Lezioni di pompino
di
cagnetta rottainculo
genere
dominazione
Il padrone era sui settanta, lo schiavo sui sessanta. Lui era robusto e virile, con barba e basettoni larghi quasi fedine, che gli conferivano una espressione severa e autoritaria. L'altro, il sottomesso servo e schiavo, stava sul magro e sul liscio con i capelli quasi rasati. Era un grande lavoratore ma di sabato si tirava a nuovo, faceva la doccia, spianava mento e inguine da ogni traccia di pelo e si vestiva di seta nera con pantaloni e maglia attillatissimi, senza intimo sotto, a maggior risalto di un bel culo carnoso. Due natiche da favola di cui il padrone si era subito invaghito. Verso sera si recava a casa del padrone. Entrava e lo trovava seduto. Stava a lungo in piedi innanzi a lui, un po' di fronte e un po' di spalle, immobile come una statua. Poi lo allietava con lievi movimenti di fianchi e di natiche. Ad un semplice cenno si spogliava nudo, indossava il collare con il guinzaglio e consegnava il capo del guinzaglio al padrone. Un tiro di guinzaglio significava che stava facendo bene. Due tiri che non faceva per niente bene. E in questo caso si piazzava a culo esposto sullo schienale soffice di una poltrona e implorava il castigo. Riceveva almeno dieci colpi di canna, che contava con voce rotta ma ben scandita. Il padrone lo stava correggendo e gli dava la possibilità di rimediare ai suoi errori, sbagli, mancanze, anche piccoli o minuscoli. Come quella volta che sentì i due tiri solo perché era arrivato con cinque minuti di ritardo. “Hai qualcosa da dire a tua discolpa?” “No padrone”. “È la prima volta che arrivi in ritardo”. “Sì padrone”. “Non deve succedere mai più”. “Sì padrone”. “Meriti che ti punisca”. “Sì padrone”. “Niente colpi stasera, voglio umiliarti”. “Sì padrone, grazie padrone”. “In cucina!” “Subito padrone”. Lui stava in piedi, l'altro a quattro zampe, come un cane. “Rovescia il bidone del rusco”. “Annusa”. “Racconta”. Quanti odori schifosi. Il padrone aveva impiegato giorni per riempire il bidone di ogni tipo di avanzi e schifezze: gusci di uova, scorze di formaggio, ossa di pollo, bucce e tanto altro, che aveva lasciato ammuffire e fermentare con cura per mettere alla prova il suo schiavo. “Racconta schiavo”. “Grazie padrone che mi fa fare questa esperienza”. “Sniffa e racconta”. Lo schiavo esplorava l'immondezza con movimenti su e giù del muso, la sniffava con calma e con cura fingendo di deliziarsene. “padrone quante buone esalazioni di marcio e di organico in decomposizione”. “Lo credo bene: c'è voluta una settimana intera per fartene dono”. “Grazie padrone”. L'eccitazione di entrambi stava salendo alle stelle. Il padrone era ormai a cazzo duro e da buon secondo anche lo schiavo. “Vieni schiavo e bacialo!” Lo schiavo baciava e annusava il bastone del padrone ammaliandosene e il padrone se ne compiaceva. “Succhia schiavo”. Ubbidiente Lo schiavo baciava l'asta, la puliva a lingua, se la pompava in gola a ventosa con lacrime e quasi senza respiro, prima lentamente, poi con sempre più ritmo, fino a quando il padrone dava spinte di pube e schizzava il seme. Un cibo prezioso e un nutrimento per lo schiavo. Egli ingordo mandava giù, puliva l'asta, puliva le gocce cadute sul pavimento e ringraziava, ringraziava felice il suo padrone per il grande onore che aveva ricevuto. Poi si metteva a cuccia, zitto zitto per non disturbare, orgoglioso di aver sentito un solo strappo di guinzaglio prima che il padrone si assopisse, pago di lui e di come lo aveva tirato su con le sue lezioni di pompino. Il pompino si sa è un arte. Non tutti gli schiavi ci sono portati, ma lo schiavo in questione fin dalle prime prove aveva dimostrato una grande inclinazione. Perché la pompa riesca bene è importante che sia ben regolata ma soprattutto che lo schiavo si mostri genuino e tenace nel servire il cazzo del padrone fino a farlo venire. Le lezioni avevano messo a punto il rito ma la voluttà di quello schiavo era apparsa subito preponderante nel suo farsi prono e sottomesso e pieno di adorazione per il pube, l'asta, le palle e la tutta la foresta virile del capo. Appena entrava fra le sue gambe il padrone apriva e stringeva le cosce a ventaglio sul malcapitato, poi lo lasciava salire su e su a baciare e leccare le palle, a sprofondare il naso fra i peli, sniffandoli bene. A muso sollevato lo schiavo sorrideva al suo padrone. Passava e ripassava l'asta fino alla cappella, la mordeva delicatamente, sempre alzando gli occhi e seguendo i cenni del padrone, che lo incitava a indugiare o a continuare e ad andare avanti. Le prime succhiate erano lente ma profonde fino a fine corsa, su e poi giù, prima a secco, poi sbavando e colando saliva, dalla radice di quello scettro fino alla punta, con le dita del maschio che a tratti gli storcevano e gli tappavano il naso, fra sospiri, sbuffi, gemiti e lacrime, rantoli e quasi conati. Al primo conato il padrone dava tregua allo schiavo, che ansimava quasi rabbioso prima di tornare al lavoro. L'asta vibrava, pulsava, i fiati riempivano la stanza, c'era un grande rumore di sesso. Lo schiavo continuava. Il padrone spingeva a scatti, con colpi automatici, finché la danza di quel pube, le smorfie dello schiavo e i gemiti del padrone si spegnevano nel piacere del primo schizzo a fontana, di un secondo, di un terzo, delle ultime gocce di puro piacere erotico, nel reciproco incontro degli sguardi, lo sguardo dall'alto del padrone e lo sguardo dal basso dello schiavo. Un tiro di guinzaglio. “Bravo schiavo”. La pompa era risultata praticamente perfetta e rinsaldava l'intesa fra il maestro e lo schiavo, sbalorditi per la quantità di emozione di cui avevano fatto incetta nel mondo della superiorità e della inferiorità, della dominazione dell'uno e della ubbidienza dell'altro, fra nuovi insegnamenti, nuovi apprendimenti, progressi e orizzonti in divenire, i quali settimana dopo settimana, mese dopo mese, si dipanavano e si sviluppavano putridi dentro il pozzo senza fondo della loro perversione.
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