Goccia di rugiada – Guerriera Crow. 2/2

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etero

Il sole stava calando quando il fuoco al centro dell'ampio anello di grosse pietre ai lati del villaggio era già alto e luminoso.
Danze e canti si succedevano nell'antico rituale della festa di primavera.
Cacciatori e guerrieri Corvi si inseguivano in movimenti ritmati sulle cadenze della musica mentre anche le donne, sull'anello esterno, cantavano e agitavano le braccia.
I più giovani caricavano il braciere con rami secchi e fronde resinose e le ragazze distribuivano bevande fermentate.

“Ah-uh nayah oh-wa oh-wa
Shon-day oh-wa oh-wa
Shon-day yeha-noha.

Ah-uh nayay tor-shna nena-nay-yayah
Nena-nay-yay yeha-noha
Ah-uh nayay tor-shna nena-nay-yayah
Yeha-noha”

Le danze tribali, accompagnate dai canti tradizionali continuarono a lungo, intervallate da rievocazioni di battaglie, episodi di caccia e atti di eroismo che avevano fatto la storia della tribù Crow.
Quando il fuoco si abbassò, al termine dell'ultimo giro di danza, il vecchio Enapay, vestito di una pesante pelliccia di orso, si alzò e, di fianco alle braci vivide, bruciando amuleti in pelle ed erbe profumate celebrò il rito di inizio della primavera.
Lanciò verso il cielo stellato grida e frasi propiziatorie e chiamò al suo fianco la guida della tribù e il capo dei cacciatori.
Altre spezie furono bruciate, insieme a pelli di lontra e frammenti di osso e di corno.
Battendo forte i piedi sul terreno pronunciò le formule rituali, sollevando fumi odorosi e, con un'ultima orazione verso il firmamento, concluse la sua parte e ritornò ai margini del cerchio dove riprese la sua pipa ricominciando a fumare. Ohanzee si riaccomodò al suo posto e di fianco al fuoco rimase solo il capo tribù.
I giovani allora caricarono nuovamente le braci di legna e rami resinosi e una forte luce si diffuse nuovamente al centro del cerchio dei Crow.
Takchawee, sua moglie, gli portò il lungo copricapo di penne d'aquila, simbolo della autorità massima della comunità di Corvi e un grosso pendaglio di aculei di istrici e tubetti di pelle di lontra che il capo si appese al collo.
Ora Kohana era solo di fianco al fuoco. Con espressione seria e la fronte aggrottata, passò con uno sguardo in rassegna tutta la tribù che dipendeva dai suoi comandi.
Dopo un lungo silenzio carico di enfasi Chumani fu chiamata e invitata a portarsi di fianco al fuoco. Alcuni addetti aggiunsero altra legna secca e le fiamme si alzarono luminose nella notte, spandendo sciami di lapilli verso il cielo.
Come era tradizione quando una donna terminava il periodo di lutto e ritornava disponibile per intraprendere una nuova relazione matrimoniale, lo stesso capo tribù alzò la voce decantando le doti della ragazza, proprio come se si trattasse di una giovane illibata e alla sua prima presentazione.
Le prese i capelli mostrandone la lunghezza e la lucentezza, enfatizzandone la bellezza, come dote inequivocabile mentre la ragazza fissava il terreno, le mani giunte in atteggiamento umile.
L'indiano tirò improvvisamente una ciocca di capelli, provocando un gemito di dolore, ma questa non si staccò, ulteriore prova della forza e delle qualità della ragazza.
Togliendole una pelle che la giovane teneva come mantello, Kohana mostrò le forti braccia e le gambe muscolose, ne tastò i muscoli acclamando alla consistenza inusuale e ricordando che la donna, unica e inedita eccezione, era parte del gruppo dei cacciatori e dei guerrieri e si era già distinta per la sua abilità e il suo coraggio.
Ohanzee si alzò dal cerchio ricordando alcune azioni di caccia e combattimenti in cui la ragazza si era mostrata forte e valorosa, assecondando le affermazioni della guida del villaggio.
I volti degli indiani, illuminati dalle vivide fiamme, si volgevano verso chi prendeva la parola e annuivano riconoscendo che quanto declamato corrispondeva a verità. Alcuni parlottavano tra loro per corroborare i racconti con ulteriori particolari.
In un unanime consenso Kohana torno al suo posto tra un basso vociferare di approvazione.
Si alzò allora la moglie del guerriero e si avvicinò alla ragazza che aspettava in silenzio senza muovere un muscolo.
Takchawee, “colomba”, prese i lembi della casacca della giovane, li sollevò e ne scoprì il petto gettando per terra il vestito da caccia. Sciolse i gambali e sfilò i mocassini lasciando la ragazza col solo perizoma.
Chumani evitò di coprirsi, rimanendo a seno nudo sotto gli occhi degli indiani che ne valutavano le forme con sussurri di ammirazione.
La pelle era lucida e lievemente inscurita sotto lo strato di grasso di bisonte con cui il suo corpo era stato unto e preparato per l'esposizione. I capezzoli e le areole erano stati adornati con pimenti scuri e risaltavano alle luci balenanti delle fiamme.
La donna iniziò a parlare enfatizzando la bellezza e la proporzione del seno senza trascurare allusioni alle sue discrete dimensioni, che promettevano indiscutibili capacità di allattamento. Prese poi le mammelle in mano affondandoci le dita per testimoniarne la consistenza soda e la capacità di dare piacere a chi avesse preso in moglie la giovane.
Fece poi girare di schiena la giovane e, scostando il perizoma che pendeva dalla stretta cintura in pelle, iniziò a declamare la vita stretta e il rigonfiamento dei fianchi, la forza dei glutei e l'armonia delle linee, prova della fertilità della ragazza, accompagnata dalle riconosciute doti domestiche, a tutti già note.
“Colomba” - Takchawee invitò gli astanti a toccare con mano e, effettivamente, qualcuno si alzò, come del testo era tradizione, per tastare il seno e i glutei della ragazza confermando quanto detto dalla donna.
Si alzò però un'anziana che, dopo una risata beffarda, dichiarò che tutto quanto enunciato era in realtà falso, in quanto Chumani, già stata maritata, mai aveva prodotto una gravidanza e mai aveva messo al mondo alcun figlio. Finì il conciso intervento concludendo che quella donna fosse in realtà sterile, sputando per terra per manifestare tutto il suo disprezzo.
Chumani rimaneva muta al centro del cerchio, le braccia rilasciate lungo i fianchi, il corpo nudo che non cercava di nascondere, lo sguardo remissivamente fisso al terreno. Non spettava a lei difendersi.
La serata si svolgeva secondo rituali tradizionali e anche lei, come tutte le donne in età da marito, doveva sostenere quella che in realtà era quasi una rappresentazione teatrale. Già in occasione del suo primo matrimonio era stata soggetta a quel trattamento e tutto si svolgeva secondo le antiche usanze del popolo dei Crow.
L'intervento della vecchia fu costellato da sommesse espressioni di disappunto, eppure nessuno osava replicare alle evidenze rimarcate dall'anziana.
Dopo un silenzio che cominciava a diventare imbarazzante, si alzò finalmente la moglie dello stregone e tutti tacquero per ascoltare il parere della donna, la più autorevole tra le femmine Corvo.
Anpaytoo ostentò tutta la fatica di cui era capace, per drizzarsi sulla stanca schiena, quasi a voler far pesare il fastidio cui era costretta per confutare un parere che non aveva riscosso alcuna simpatia.
Si portò di fianco a Chumani e volse uno sguardo indagatore sfiorando uno ad uno a tutti i visi che, alla luce del fuoco, pendevano dalle sue labbra.
Alzò poi un braccio con l'indice puntato verso la ragazza e lentamente con lo stesso, descrisse un'ampia circonferenza come ad indicare ogni singolo costituente della tribù.
L'assemblea si preparava ad un'affermazione importante.
La donna iniziò il discorso da lontano, narrando la forza e il valore di Howahkan, “voce misteriosa”, che era stato marito di Chumani. Ne descrisse le gesta rievocando fatti e situazioni che avevano coperto di onore il guerriero e che tutti ancora ricordavano.
Interrompendosi di colpo, la donna cominciò ad urlare contro l'anziana, che con quel discorso voleva gettare scredito verso la memoria del defunto destando piuttosto il sospetto della sua impotenza.
Il discorso fece molto scalpore e numerosi indiani alzarono la voce mostrandosi concordi.
L'anziana scosse poi la testa ricordando che i due giovani erano stati sposati per il breve periodo di poco più di una luna e che quel periodo era coinciso con la caccia al bisonte e un paio di incursioni contro loro nemici e che quindi era ovvio che in quella situazione i due sposi non avessero potuto concedersi poi così tante occasioni di sesso.
Il discredito era stato ampiamente arginato e l'immagine di Chumani ne era uscita anzi rafforzata.
Si alzò allora Ohanzee, il capo dei cacciatori e, come a concludere la manifestazione, chiamò in rassegna i giovani ancora in cerca di moglie per trovare chi si sentisse all'altezza di chiedere in moglie la ragazza.
Molti, in sequenza dal più debole e meno coraggioso, fino ai più forti e onorevoli, avanzarono la propria candidatura, ma Ohanzee, “ombra”, la guida responsabile dei cacciatori, e Kohana, scuotendo la testa rifiutavano uno dopo l'altro tutte le richieste.
Per ultimo, tra gli indiani scapoli, parlò lo stesso capo dei cacciatori, braccio destro del capo tribù, che, con un lungo discorso, come era tradizione tra i Corvi, ripetendo doti e virtù della ragazza, concludeva che realmente nessuno era degno di scegliere la donna e che Chumani stessa, anche in qualità di guerriera, avrebbe dovuto scegliere il proprio marito.
Quell'inaspettato riconoscimento turbò molto la giovane indiana che per la prima volta alzò lo sguardo verso l'indiano, guardandolo negli occhi.
Negli ultimi anni aveva vissuto in continuo contrasto e disaccordo con il cacciatore Corvo, da cui si sentiva umiliata e disprezzata.
Le parole di elogio avevano quindi suscitato il suo più vivo stupore.
La memoria andò indietro nel tempo, quando i due, nel corso di una battuta di caccia, si erano incontrati mentre, all'insaputa uno dell'altra, tendevano un agguato allo stesso alce.
Chumani a quei tempi non era ancora maritata né promessa ad alcuno.
L'indiano, che era riuscito ad avvicinarsi di più, aveva scoccato una freccia colpendo il bersaglio, ma l'alce era scappato.
La donna aveva colpito l'animale con una seconda freccia che l'aveva ferito profondamente al collo, recidendo una grossa arteria. La preda era avanzata ancora, ma aveva dovuto arrestarsi e Chumani l'aveva raggiunta e, saltandole addosso, aveva le affondato il coltello nel collo, tranciandone la gola e soffocandolo. Solo alla caduta dell'alce aveva scoperto la freccia che aveva raggiunto il fianco opposto della sua preda, e subito dopo era apparso Ohanzee, reclamando l'animale come suo bottino.
Ne era nata una violenta disputa tanto che i due erano passati alle mani.
L'uomo era molto più forte, ma la ragazza, con un'agilità insospettabile, più volte gli era sgusciata dalle sue braccia finendo per immobilizzarlo da dietro, stringendogli il collo con una presa che non ammetteva reazioni.
Bloccato l'avversario, Chumani l'aveva girato e, preso il proprio coltello, gli si era piazzata a cavalcioni.
Ma nella colluttazione le si era strappata la casacca che ora pendeva di lato, lasciando scoperta una spalla fino a mostrare un seno e un fianco. Pure i capelli le si erano sciolti e le ricadevano sulla pelle nuda e sudata.
L'espressione di rabbia negli occhi del suo contendente si era improvvisamente addolcita, alla vista della nudità della ragazza.
Ora, al suo sguardo non appariva un cacciatore o un contendente, ma una bellissima donna dai lunghi capelli sciolti, neri come le ali dei corvi, e un corpo di una sensualità esplosiva, enfatizzata dalla pelle lucida di sudore.
La ragazza ansimava ancora per lo sforzo e a ogni respiro il seno si gonfiava e si muoveva sotto gli occhi del guerriero Corvo.
Ohanzee aveva smarrito ogni ostilità, rimanendo affascinato dall'espressione intensa dello sguardo della ragazza, di cui non poteva comunque negare le doti nella lotta e nella caccia.
Ancora minacciato dalla lama del coltello, aveva lentamente sollevato un braccio raggiungendo la casacca della giovane e gliel'aveva slacciata facendola scivolare sul busto.
Chumani aveva osservato il proprio indumento caderle di dosso, lasciandola nuda sotto gli occhi del suo avversario.
In quella posizione a cavalcioni, coperta, sopra i gambali, dal solo perizoma aveva sentito sui genitali il contatto con il corpo dell'uomo.
Una strana sensazione si era impadronita della sua mente e, mentre l'indiano cominciava ad accarezzarle il seno, era rimasta imprigionata da un desiderio per lei ancora sconosciuto.
Posato il coltello era stata a osservare le mani dell'indiano che, alternando carezze sempre più audaci, aveva cominciato a spogliarla di ogni indumento.
Le aveva slacciato la cintura che sosteneva il perizoma e ora le accarezzava i peli del pube.
Giovane e ancora all'oscuro di ogni nozione di sesso, la ragazza, vinto un attimo di timidezza, aveva lasciato fare curiosa di capire cosa le stava succedendo e il perchè di quel piacere che le colmava di desiderio irrefrenabile l'intimità tra le gambe.
Il cacciatore si era spogliato a sua volta. La ragazza, confusa e obnubilata, gli aveva ceduto ogni iniziativa e lui intanto l'aveva adagiata al terreno. Mentre con piccoli baci le sfiorava i capezzoli, con la mano aveva cominciato ad accarezzarla tra le gambe spingendosi sempre più in alto.
Chumani si sentiva bagnare dove, prima di allora, non aveva mai dato troppa importanza a quelli che sapeva essere solo organi della riproduzione.
Un piacere sempre più incontenibile l'aveva posseduta, e ora si accorgeva di desiderare le mani dell'uomo dentro il proprio ventre. Il suo petto fremeva ai baci dell'uomo, mentre lei stessa non riusciva a capacitarsi delle sensazioni che solo ora, per la prima volta, sperimentava su quel seno e intorno ai propri genitali.
E quando l'uomo si sdraiò su di lei, accolse la sua erezione nel proprio ventre contorcendosi in uno spasimo di piacere cui non sapeva più resistere.
Solo un dolore iniziale per il primo ingresso nella sua verginità e poi un crescendo di sensazioni che le offuscarono ogni ragione e ogni coscienza.
Con le unghie piantate nella schiena di Ohanzee ne aveva accolto il seme donandogli il suo primo orgasmo e i due erano rimasti così, nudi nell'erba, sotto il sole alto e cocente, a spegnere l'affanno che dilaniava i loro corpi.
Ma, alla fine del loro amplesso, il cacciatore si era rialzato senza proferire alcuna parola, aveva trovato il proprio cavallo e si era portato via la preda accampandola come propria; a nulla erano valse le proteste della ragazza che, dopo avergli donato il suo primo amore, ora si sentiva doppiamente defraudata.
L'indiano era promesso a un'altra donna e destinato ad assumere la guida dei cacciatori, che equivaleva a diventare braccio destro del capo tribù, a tutti gli effetti un suo vice, e il dono della verginità e del primo orgasmo della ragazza non ebbero alcun seguito.
Dalla disperazione della giovane indiana si era in seguito sviluppata un'agguerrita ostilità tra i due, senza che nessuno, nella tribù, ne avesse mai compreso il motivo e anche dopo la rottura della relazione di Ohanzee con la giovane che le era stata promessa in moglie, i due non si erano più riconciliati.
Gravava inoltre sulla vicenda quello che Chumani considerava il furto della sua preda, umiliazione che la ragazza non aveva mai dimenticato. I due si erano creati un invalicabile muro di rivalità e da allora non si erano più parlati né considerati, e dopo la morte di Howahkan le cose non erano più cambiate.
Questa era la situazione tra i due, quando la giovane fissò intensamente il suo sguardo sul viso dell'antico avversario, in cui le sembrò di leggere una speranza, una velata richiesta.
Ma la sua decisione ormai era presa, meditata in lunghe notti da sola nel proprio tepee, nelle cavalcate solitarie che spesso l'indiana si concedeva fino su, in alto, fra i monti, negli agguati e nelle lunghe battute di caccia in cui, sempre sola, si appostava imparando a trovare autonomia e responsabilità, a conoscere e a dialogare con il proprio spirito più intimo.
Chumani fece solo un inchino verso chi l'aveva elogiata, ma non emise una sola parola.
Takchawee si alzò dal cerchio e le vene incontro portandole il suo vestito nuovo.
La ragazza lo indossò coprendo le proprie nudità, in vista per l'ultima volta ai maschi della tribù.
Il vestito, che aveva ottenuto da una pelle di wapiti da lei stessa cacciato, si mostrava ora in tutto il suo splendore. Conciato e ammorbidito mediante un lungo e paziente lavoro, era stato schiarito fino a diventare quasi bianco e colorato di azzurro nella sua parte superiore. Una fila di sottili frange partivano dai polsi e si riunivano sopra il seno, mentre uno festone di frange più lunghe e spesse ne contornavano il bordo inferiore. Le cuciture sui fianchi erano intessute di aculei di istrice e tutta la parte al di sotto del petto era guarnita da file verticali di perline di vetro colorato. Fiori bianchi stilizzati erano disegnati sulla base della striscia azzurra sopra il seno e si continuavano con voli di uccelli di forma e colore simile ai fiori, mentre sul resto del vestito erano disegnate stilizzate forme di cervi e alci sulla parte anteriore e il profilo delle alte montagne sul dorso.
Un silenzio carico di stupore aveva ammutolito l'intera tribù e solo la sommessa voce di Takchawee rimaneva percepibile tra i rumori del fuoco, mentre sussurrava parole dolci alla ragazza, intrecciandole i capelli insieme a sottili strisce di pelle di lontra. La donna la adornò ancora di giri di collane dalle fini perline intorno al collo, e di un'altra larga collana con frammenti di osso e di corno.
Kohana in persona si alzò infine per aggiustarle sulla fronte una striscia di pelle di antilope su cui fissò, a livello della nuca, le 3 penne d'aquila che denotavano il rango di cacciatrice e guerriera di elevata rinomanza.
Dopo il formale riconoscimento Kohana la abbracciò con forza e, presa la parola, annunciò, rivolgendosi a tutta l'assemblea: “Da questo momento in poi sarai ammessa nel consiglio dei guerrieri e nelle cerimonie formali sarai chiamata 'Wachiwi' 'Colei che balla'!”
Seguì un coro di urla sguaiate per festeggiare l'onorificenza concessa per la prima volta a una donna di una tribù nativa del popolo dei Crow.
“Chumani Wachiwi ha già fatto la sua scelta”, proseguì il capo tribù, “domani lascerà questo villaggio per andare verso le alte montagne in cerca di una nuova pista da percorrere.”
Benchè qualche sospetto fosse già emerso in alcuni, lo stupore fu generale, ma prima che le voci si alzassero, lo stesso stregone Enapay comandò di riprendere le danze intorno al fuoco, mentre Chumani tornava a sedersi di fianco alle donne della sua famiglia.
Intorno a un falò dalle alte fiamme, canti e danze si protrassero fino a tarda notte.

Al mattino presto Chumani aveva già smontato le pelli del suo tepee e sistemato buona parte del suo corredo su uno dei suoi due cavalli.
A turno donne e uomini vennero a salutarla portando ognuno un piccolo regalo con cui volevano essere ricordati dalla coraggiosa guerriera Corvo.
A metà mattino l'indiana salì sul proprio destriero, prese le redini del secondo cavallo, che trasportava il suo bagaglio e stese uno sguardo sull'accampamento che stava per lasciare definitivamente.
Un gruppo di bambini correva verso il fiume mentre alcune donne riattizzavano i fuochi con fascine di legna.
Per ultima Makawee le corse incontro.
“Piccola peste, cominciavo a pensare che non saresti più venuta a salutarmi!” la accolse Chumani, ma la ragazza, senza nulla dire, scoppiò in lacrime abbracciandole i fianchi, in piedi di fianco al suo cavallo.
“Portami con te, Goccia di rugiada, sarò per te la sua servitrice!”
La guerriera le prese le mani in una delle sue e con l'altra le sollevò il mento.
Con un dito le asciugò le lacrime e le due donne stettero a guardarsi negli occhi in silenzio.
“Devo andare, piccola, pazza Makawee. La mia strada, ora, mi chiama per condurmi lontano. Ma forse un giorno i nostri sentieri si incontreremo ancora e in quel momento, chissà cosa il futuro ci riserverà.”
E, baciatala delicatamente sulle labbra, si stacco da lei, spronò il cavallo, attraversò silenziosamente il villaggio e si diresse verso le alte montagne.
di
scritto il
2022-01-25
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