L'attesa
di
Margie
genere
dominazione
Carina, decisamente. Tre o quattro metri da me. Un viso dolce, circondato da un caschetto di capelli biondi, colore del grano maturo. Una specie di Valentina di Crepax, per la pettinatura, ma soltanto per questa e proprio no per il colore. Ha l'aria pulita, da ragazzina candida che si diverte. Si guarda attorno come se cercasse qualcosa. Scruto il suo vestito, una quindicina di centimetri sopra il ginocchio, nero, senza calze. È fine estate, in fondo, la temperatura di sera è mite. La guardo, cercando di non farmi vedere, di non lasciar intendere che... mamma, quanti che! La pelle è molto chiara. La penso al mare... Mi sento un po' umida, l'abborderei. Però lei è accompagnata da un uomo, un tizio dallo sguardo distratto. Perché non se la guarda? Il suo corpo è un magnete potente. Il vestito le calza perfettamente. Sembra quasi cucito su di lei. Belle gambe! indossa un paio di sandali col tacco, che la slanciano. Mi ispirano desideri libidinosi. Li avevo già prima, ma questo sarebbe l'elemento che infrange le catene di pudore (che non ho), di educazione, di rispetto. Quanti anni avrà? Non saprei dire. Direi sulla ventina. Appena torna mio marito glielo chiedo: lui riesce quasi sempre a capire l'età delle persone, guardandole; se sbaglia è di due o tre anni. Qualche volta abbiamo scommesso ed è sempre andata così. Mi vergognavo un po' a verificare, ma l'ho fatto. Lui sa che bastano due parole perché i miei scrupoli svaniscano come bolle di sapone sottili: niente cazzo. Distolgo lo sguardo. Mi sembra imbarazzata. La tengo d'occhio di traverso, cerco di dissimulare. Ma, ripeto, mi attrae e non riesco a spostare i miei occhi dal suo corpo che per pochi secondi. Immagino la sua lingua scorrere sulla mia passera. Sono bagnata; temo che mi goccioli. Prego che arrivi presto mio marito, intanto continuo a scrutarla. Ora sta discutendo al telefono, sembra quasi una trattativa di lavoro per i toni e i modi. Non so che lingua stia parlando. Non capisco una parola. Chiude la conversazione, il viso le s'illumina di nuovo. Una metamorfosi sorprendente: quasi un'apparizione angelica. Ma gli angeli non hanno sesso, lei invece, nella sua elegante e in fondo casta sobrietà, è di una femminilità e di una sensualità travolgenti. Affascina. Travolge, almeno me, poi chissà. Arriva mio marito. Qualche istante, poi l'uomo che è con lei la prende sottobraccio. Mi volta le spalle. Il vestito nero le lascia la schiena completamente ignuda, dal basso la copertura arriva appena sopra il coccige. La pelle chiara contrasta col nero del vestito. Contrasta anche con quelle strisce viola intersecate da un'altra che le attraversano la schiena. Mi manca il fiato mentre interpreto quei segni come colpi di frusta. Non di cintura, di frusta proprio: troppo nitidi, troppo decisi, troppo tante cose. Che importa se sbaglio? Mi manca il fiato. Non sono più soltanto bagnata, ma travolta, sconvolta. Sul mio viso si forma un acuto boato silenzioso. No, non voglio lasciar germogliare dentro di me desideri di emulazione. Penso ai morsi e agli sculaccioni: il nulla contro il tutto. Sono grondante. Sento quella tensione corrodermi. I capezzoli tesi all'inverosimile lacerano il tempo, un prurito feroce al sesso, mi sembra che anche il buco dietro mi palpiti. Immagino la mia voce chiedere di massacrarmi. Chiedere a mio marito, a l tipo che l'accompagna, a lei. La ragazza e l'uomo si perdono fra la folla. Mio marito mi stringe a sé. Struscio le mie tette contro di lui. Il piercing scatena una scossa che mi stordisce. Respiro a fondo. Non aver pietà. Non ascoltarmi.
S'è liberato un tavolo. Entriamo nel ristornante. Gli dico che devo andare in bagno. Mi suggerisce d'infilarmi il plug: s'è reso perfettamente conto del mio turbamento, della mia voglia. Lo farò. Praticamente corro dietro la porta dopo aver a malapena controllato di non entrare dalla parte maschile. La patata e la zucchina mi fanno capire che porta aprire. No, apro a caso, per la verità, ed è la porta con la patata. È la più vicina. Chiudo il chiavistello, sollevo la gonna, mi sfioro il clitoride, mi accarezzo... schizzo e mi sembra di volare. Schizzo e non so come non crolli per terra. Infilo il plug nell'ano. Un'altra liberazione. Un sospiro profondo. Sono più rilassata, adesso. Mi dirigo verso il tavolo, dove mi attende in piedi. Sono pochi passi. Mi chiede se sia turbata per i segni della frusta o per l'intrusione anale. Lo guardo senza espressione mentre mi sto sedendo. Mi sfugge un forte sospiro nell'appoggiarmi alla seduta. Tergiverso. Lui mi sorride, ironico. Non riesco ad articolare parola. Ordina mio marito per me. Azzecca proprio tutto, ma non vedo l'ora di andare via, alla faccia delle pietanze, che via via si rivelano squisite. Non vedo invece l'ora d'essere spogliata e presa. Ogni scelta va bene. Penso che se poi mi desse una valanga di paia di cinghiate... Rabbrividisco. Penso che preferirei il gusto dello sperma che mi schizza in bocca a questo paradisiaco dessert al cioccolato. Desidero un cazzo che non abbia nulla a che vedere con saponi e profumi. Trovo in questo pensiero una nuova spiaggia per la devastazione, per il piacere. Un'ondata di ricordi, di sensazioni, di voglie s'abbatte su di me; mi stravolge, mi sconvolge, mi distoglie da ogni pensiero che non abbia il sesso come argomento.
Mentre lui guida tiene la destra fra le mie cosce. Giochicchia coi piercing. Ansimo, a cosce spalancate sulla cinqucento cabrio: chissà se mi si vede anche il plug. Concateno una serie di lapsus in cui l'aspetto sessuale è più palese della nudità del mio inguine. Vorticano i lampioni e le persone impegnate in questa che probabilmente è l'ultima passeggiata serale della stagione. Vorticano le sue dita attorno al mio clitoride. Vorticano le mie sensazioni. Sono stordita dalla voglia, o da tante voglie. Non so più se la meta sia l'albergo o se sia l'orgasmo. Mi rendo conto comunque che raggiungerò prima questo.
S'è liberato un tavolo. Entriamo nel ristornante. Gli dico che devo andare in bagno. Mi suggerisce d'infilarmi il plug: s'è reso perfettamente conto del mio turbamento, della mia voglia. Lo farò. Praticamente corro dietro la porta dopo aver a malapena controllato di non entrare dalla parte maschile. La patata e la zucchina mi fanno capire che porta aprire. No, apro a caso, per la verità, ed è la porta con la patata. È la più vicina. Chiudo il chiavistello, sollevo la gonna, mi sfioro il clitoride, mi accarezzo... schizzo e mi sembra di volare. Schizzo e non so come non crolli per terra. Infilo il plug nell'ano. Un'altra liberazione. Un sospiro profondo. Sono più rilassata, adesso. Mi dirigo verso il tavolo, dove mi attende in piedi. Sono pochi passi. Mi chiede se sia turbata per i segni della frusta o per l'intrusione anale. Lo guardo senza espressione mentre mi sto sedendo. Mi sfugge un forte sospiro nell'appoggiarmi alla seduta. Tergiverso. Lui mi sorride, ironico. Non riesco ad articolare parola. Ordina mio marito per me. Azzecca proprio tutto, ma non vedo l'ora di andare via, alla faccia delle pietanze, che via via si rivelano squisite. Non vedo invece l'ora d'essere spogliata e presa. Ogni scelta va bene. Penso che se poi mi desse una valanga di paia di cinghiate... Rabbrividisco. Penso che preferirei il gusto dello sperma che mi schizza in bocca a questo paradisiaco dessert al cioccolato. Desidero un cazzo che non abbia nulla a che vedere con saponi e profumi. Trovo in questo pensiero una nuova spiaggia per la devastazione, per il piacere. Un'ondata di ricordi, di sensazioni, di voglie s'abbatte su di me; mi stravolge, mi sconvolge, mi distoglie da ogni pensiero che non abbia il sesso come argomento.
Mentre lui guida tiene la destra fra le mie cosce. Giochicchia coi piercing. Ansimo, a cosce spalancate sulla cinqucento cabrio: chissà se mi si vede anche il plug. Concateno una serie di lapsus in cui l'aspetto sessuale è più palese della nudità del mio inguine. Vorticano i lampioni e le persone impegnate in questa che probabilmente è l'ultima passeggiata serale della stagione. Vorticano le sue dita attorno al mio clitoride. Vorticano le mie sensazioni. Sono stordita dalla voglia, o da tante voglie. Non so più se la meta sia l'albergo o se sia l'orgasmo. Mi rendo conto comunque che raggiungerò prima questo.
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