Noi non siamo nessuno

di
genere
etero


I vapori della doccia , l’acqua calda sulla nostra pelle, il getto del soffione come un temporale, l’afflizione che esce dalla sua bocca, le gocce che scendono sulla superficie del vetro, lasciando aloni. Le dita incrociate alle sue con il palmo delle mie mani contro il dorso delle sue, saldamente afferrate, spinte al vetro scorrevole. Lei inclinata, appena appena, io ancora retrostante, ancora violento dentro di lei, dentro il suo fondo schiena. Sesso anale quasi furioso, senza compromessi, solo il mio diletto perverso fino all’orgasmo. Sono sporco proprio come quella canzone di Maryln Manson che a lei piace… piaceva.
Usciamo dal box doccia, siamo nella piccola stanza da letto pervasa dalla condensa. Viviamo insieme da poco nel suo appartamento, quello che la nonna le ha lasciato in eredità, solo a lei che l’ha accudita, fino alla morte. I suoi genitori sono un casino, i miei non sono meglio. Ci sentiamo nessuno. Siamo avvolti da perversioni, deviazioni e contraddizioni. Queste cose ci rendono vivi e forti. Man mano scopro l’anima di lei, scopata dopo scopata… perversione dopo perversione. Lei è masochista, bipolare… un bel cocktail da tracannare senza alcun sorso. Io? Ho i miei fottuti casini ma, non so a che gioco sto giocando, un conto e farle male fisicamente, un altro sentimentalmente. Desidero il suo fisico perfetto, scolpito da ore ed ore di palestra? Desidero che sia la mia sottomessa? Mi chiedo se l’amo ogni volta che prendo il suo corpo per il mio piacere… a lei piace… lei mi provoca, cerca di farsi punire.
Io l’ho cercata, lei mi ha trovato, io l’ho corteggiata lei mi ha sedotto. Lei mi ha dimostrato la sua devozione.

Non è ancora tardi, anche se manca poco all’imbrunire. Siamo freschi, puliti e belli, resteremo sempre sporchi.
Ho tirato fuori dall’armadio il suo abito più bello, corto, seducente, leggermente luccicante per i miei i gusti, non lo ha mai indossato. Doveva al suo diciotto anni, la nonna morì poco prima. Lei non festeggiò e non indossò quell’abito che la stessa nonna le aveva regalato.
Tutto quello che posso fare per lei è festeggiare i suoi diciannove anni come se fossero la festa dei diciotto. Con pazienza ho organizzato tutto, con qualche aiuto, qualche sforzo e soprattutto con soldi. Suppongo che lei sospetti qualcosa, la sua intelligenza è fuori dal comune, non dice nulla, si agghinda divinamente, mette in risalto la luminosità del suo viso.
Mentre si veste, la tocco, la sfioro con le dita, l’afferro con prepotenza per il collo, le tolgo il respiro. Mentre si veste gli giro intorno, lei esalta ogni gesto con una seducente lentezza che mi fa impazzire, mi provoca. Io la bacio, la schiaffeggio, vorrei legarla al letto… So che se la scopassi perderei tempo, il desiderio è forte. L’ho scopata con foga nella doccia, solo per il mio piacere, ora vuole godere lei. La fortuna vuole che il mio cazzo non è ancora del tutto pronto e duro. Distolgo i pensieri contorti. Le intimo di muoversi.

Usciamo di casa, sua mamma ci guarda male, abita al piano superiore, lei mi stringe la mano forte, percepisco la sua ansia: lei la cerca, lei vorrebbe abbracciarla, lo so. Non so chi dei due è più orgoglioso o stupido. In fondo lo siamo tutti. Nasconde la tristezza baciandomi.
- Lascia stare bambolina, non ci pensare! - Non so essere più confortevole di così. Annuisce disfatta.
Prima di mettere in moto la macchina le bendo gli occhi.
- Ma cosa? Perché? - Domanda regalandomi un sorriso curioso e sincero.
Mi tocca il membro e si passa la lingua sulle labbra. Lei sembra divertita, forse pensa che sia uno dei nostri giochi perversi, ma io, non dubito della sua intelligenza, sono sicuro che sa cosa succede.
Ho organizzato tutto nel pub di una delle sue amiche, la dolce e porca Veronica. Un vecchio edificio suddiviso in due sale situale al piano terra ed una più riservata nel seminterrato. Una sala non molto capiente, massimo una ventina di persone ma, sufficientemente grande per noi, siamo pochi. Lei sue amiche, i miei amici, una dozzina di persone, forse più. Non è una grande festa.
L’aiuto a scendere dalla macchina, riesce a camminare senza problemi, una mano all’ingresso, un paio di gradini. Parliamo e scherziamo mentre intorno a noi si prodiga il silenzio. Ci addentriamo nel locale, andiamo oltre le due sale.
Quello dei tacchi non è un rumore bensì un suono. Se la donna o la ragazza che li indossa li sa suonare, il suono diventa una melodia peccaminosa. Lei in questo è un artista.
Per me le luci del locale sono soffuse, per lei l’oscurità. Cammina suadente, elegante, bendata tra i tavoli. Nel silenzio, il suono dei suoi tacchi lunghi e neri ha un che di eccitante. La guido, apro una vecchia porta di legno, risalente ai primi del 900, ci separa dal piano interrato. Al solo cigolio e all’odore di estremante antico del legno, suppongo che lei abbia capito dove si trovi, per quanto bendata non è difficile intuire cosa accade.
Scendiamo i gradini l’aiuto a scenderli con attenzione, anch’essi di legno, scricchiolanti sotto i nostri passi lenti, tengo la sua mano, lei stringe forte la mia. Il silenzio ci avvolge.
Lei non può vedere ma io si: vedo le facce di stucco degli invitati, soprattutto i maschi.Lei è mia, deliberatamente mia, bellissima ed elegante. L’attimo prima scese le scale come una sexy sfilata. Non l’ho fa apposta, per lei è naturale. Mi accorgo che è davvero bella, me ne accorgo dopo tanto tempo, come se la vedessi attraverso una luce diversa. La mia voglia di possederla aumenta all’improvviso.

Sciolgo il nodo della benda. Urla, applausi, baci e abbracci… auguri di qua e di la. Perché improvvisamente non mi importa nulla di quello che ho organizzato? Tutto diventa una lunga noia.
Lascio la mia bambolina alle sue amiche, io parlo con i miei, sorseggio una birra, guardo strano il tavolo dove sono situati i pochi regali, i bicchieri, qualche bottiglia di alcol. Il tavolo dove metteremo la torta, dove faremo foto di consuetudine.
Io e lei ci guardiamo spesso, scambiamo parole con tutti, ci alterniamo, stiamo poco insieme, quel poco però mi infiamma, mi fa prudere il pene. Se posso le tocco il culo con un minimo di classe e savoir faire.
Con una scusa banale lei mi porta su, andiamo dritti in bagno, il disimpegno è unico per tutti, lei chiude la porta senza sincerasi di essere soli. La sbatto su quella stessa porta, la mia mano sinistra afferra il suo collo forte mentre con l’altra sbottono il pantalone, levo il cazzo pulsante di fuori, la lascio dalla presa, lei si abbassa in un attimo, lo prende in bocca, lo lecca iniziando dalle palle, arriva fino alla punta, lo irrora, poi lo succhia con brama ed impegno… pochi secondi di pompino superbo e gradevole. Lei si alza, quasi mi sfugge… io mi alzo i pantaloni a tempo, lei esce ridendo. È il suo modo di ringraziarmi, pero ora. Poco dopo la raggiungo nella sala. Continuiamo ad intrattenerci con i nostri amici. I nostri sguardi sono più intensi, ci cerchiamo, ci nascondiamo apposta per cercaci. Inizio a capire che anche lei vuole andare altrove, a casa. Vuole essere posseduta.

La stanza si fa tetra, due piccole candele, una luce fievole, Veronica scende dalle scale con la torta.
La poggia su quel tavolo, quello all’angolo, adibito per l’occasione. Procediamo a tutto il rituale: torta, regali foto e fotine, sembriamo davvero due fidanzatini innamorati. Io so che tu lo sei, ma io?
Il mio regalo per ultimo, un piccolo diamante che gli porgo senza convenevoli, mi sento osservato, avverto imbarazzo quando lei mi tratta come un fidanzatino. La mia bambolina è così contenta, il mio disagio non sarà inopportuno proprio alla fine della festa, resisto.
Restiamo soli mentre riponiamo i regali, sistemiamo la sala. Guardo ancora quel tavolo, l’altra bottiglia di prosecco non ancora stappata. Non penso, agisco. Scatto verso le scale, raggiungo la vecchia porta, la varco, vedo Veronica che sgombra i tavoli, le sorrido e basta. Chiudo la vecchia porta dall’interno con il chiavistello. La bambolina non si accorge di nulla fino a quando non scorge il mio sguardo famelico. Lei è vicino a tavolo. Ci sono momenti in cui non parliamo, in quei momenti io so che fare, lei si lascia fare…
Mentre mi avvicino, il meraviglioso abito scivola via da suo corpo con un semplice gesto, si posa ai suoi piedi, si abbassa, lo prende e lo adagia meticolosamente sul tavolo. Devo avere dimenticato che non indossa il reggiseno. Le calze autoreggenti con il fiocco, ed i tacchi… li tiene.
Il palmo delle mie mani su suoi fianchi, la squadro per bene, l’afferro. Ci baciamo…
Avevo osservato il tavolo, il prosecco, il calice flute… la mia perversione quella sera aveva elaborato qualcosa.
Allontano le labbra, la lingua. Prendo la bottiglia di prosecco, i due calici, verso. Porgo un calice a lei, ne beve un goccio, io tutto d’un sorso. Lo ripongo.
- Cosa hai in mente? - mi chiede, con occhi maliziosi quasi socchiusi in maniera investigativa.
Beve nuovamente ma, afferro io il calice, verso il prosecco nella sua bocca, ingoia… riempo il calice all’orlo, lo verso nuovamente nella sua bocca. Trabocca, scivola, dalle labbra, dal mento, scende lungo il collo, fino i seni, oltre. Io lecco, bevo dalla sua bocca, assaporo il gusto dolce del prosecco dai seni…
Porgo il calice sulle labbra della mia bambolina, sorride eccitata. Guido il calice lungo il suo corpo, traccio un percorso che va dalle labbra fino al ventre. Prova dei brividi di freddo e piacere. Sono più lento, scendo ancora, il calice è in mezzo le sue gambe… usando il flute sposto il filo del perizoma, lo spingo nella vagina… con un impeto.
- O cazzo! - Urla la bambolina.
Per accompagnare il movimento, mi inginocchio ed aumento il ritmo: sto masturbando lei con un calice in maniera impulsiva. Bastano pochi attimi e lei è tutto un batticuore. Non capisce che sta succedendo, sa solo che sta godendo con tremiti inaspettati e prepotenti. Alza la testa al soffitto, si sorregge con le mani. Ha accolto quel bicchiere per prosecco in silenzio nella sua vagina, giusto un paio di gemiti nonostante la mia impulsività e forza nel masturbarla.
Infine non resiste, deve urlare, contorcersi. Apre la bocca ma, serra la mascella, ogni suoi grido è una supplica a non smettere. Le sue gambe sono aperte e gocciolanti, accuso stanchezza… levo il calice dalla sua vagina inzuppata. La bambolina mi afferra dai capelli mentre mi alzo, mi porta a se baciandomi avidamente con passione.
Mi levo il maglione, afferro il calice scendo giù, divarico le sue gambe, infilo la testa e le do una bella leccata nel contempo inserisco ancora il flute, riparto con la masturbazione convulsiva. Lei riprende a gemere, questa volta però affonda le sue unghie come può nella mia carne, le mie spalle, mi tira persino i capelli.
Il tono della sua voce si fa vuoto, il respiro viene colto da lunghi brividi, riversa l’orgasmo nel calice. Quando le tolgo il calice, i suoi umori colano dall’interno cosce esattamente come le gocce d’acqua sul vetro della doccia. Mi alzo osservando il flute, mezzo pieno di lei.
La sua mano si avvicina al flute, accompagna la mia di mano verso la sua bocca, vuole berlo. Devio il movimento, poso il flute sul tavolo, prendo dal collo la mia bambolina per qualche istante, finché non vedo deliquio nei suoi occhi. La giro, mi guardo un attimo attorno, dunque la sbatto sul tavolo pancia sotto, lego i suoi polsi con il nastro regalo, mi calo i pantaloni.
Il mio pene non ha bisogno di nessuna sollecitazione: è già enorme e scapocchiato, punto verso il suo fondoschiena dove rovescio del prosecco, lei intanto, spingendo abilmente dilata l’ano favorendo la penetrazione. Entro forte, avverto fastidio ed un pizzico di dolore che mi eccita ancora di più, è la prima volta che le scopo il sedere senza una lubrificazione adeguata.
Il fastidio viene subito sconfitto dall’enorme piacere che mi riversa scopando con foga il sedere della mia bambolina mentre lei urla e si dimena, accentuando la mia voglia perversa di sesso anale.
Mentre la sodomizzo, l’afferro pure per i capelli, la tiro a me mentre non accenno a rallentare il ritmo della penetrazione oscena, forzata. Il suo corpo arde, sento il pene bruciare, lei implora piacere ed io violenza, le tiro i capelli, più di una volta, le faccio le natiche rosse, i miei schiaffi rumoreggiano più delle sue urla.
Raggiungo il piacere e riverso lo sperma nel flute, avviene tutto in un attimo senza sapere come, l’ho fatto e basta. Il calice ora è pieno dei nostri orgasmi liquidi. L’afferro per i capelli e la dispongo in ginocchio, scolo il contenuto del calice nella sua bocca… la mia bambolina sorride, si lecca le labbra, ingoia soddisfatta. Facendolo e come se gettasse benzina sul fuoco.
- Buono! - Lo dice per provocarmi, lo leggo nei suoi occhi.
Ora vorrei legarla ad un letto e darle dolore, credo che lo farò, la notte è ancora lunga, intanto mentre lei è ancora in ginocchio, prendo il prosecco e dall’alto lo verso su di lei, lei beve quanto più possibile cercando di non affogarsi.





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scritto il
2022-04-03
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