La prima puttana
di
Giu!!!
genere
prime esperienze
Alzo i jeans, la zip, mi abbottono, controllo la fibbia, Laura è ancora in ginocchio con il sapore del mio sperma in bocca, allaccio la cinta. Esco dallo sgabuzzino, non varco nessuna porta bensì una tenda.
C’è gente che non conosco, mi porgono gli auguri, strette di mano, baci. Nel corridoio sono quasi tutti appartati. Il pavimento fluttua sotto i miei piedi, le paresti di spaccano, l’intonaco casca. Il festino pare essersi movimentato, il dj improvvisato alza la musica.
Non avrei mai festeggiato il mio diciotto anni, non c’è nulla da celebrare. Sto a cuore a qualcuno, organizzano la mia festa, la loro scusa di fare casino. Amici, compagni di classe, sbandati, siamo tutti in una vecchia villa incompleta, quasi abbandonata a se stessa. Trionfale fino alla fine, fatiscente, sopra la collina di campagna, lontano dal paese. So di chi è, so perché la conosco come le mie tasche, ogni metro quadrato.
Datemi una birra ed una canna, volete festeggiarmi, fatemi festeggiare. Il dj urla il mio nome, io bevo in saluto. Il dj è uno degli sbandati. Mi chiedo perché fra di noi c’è questo senso di aiuto familiare che non ho con i miei veri,fratelli, sorelle, parenti. Il telefono vibra incessantemente in una delle tasche, ricevo una miriadi di messaggi da una ragazzina con cui gioco. Non mi va di risponderle. Poverina, sono due giorni che mi cerca, ha pure caricato il mio cellulare. I pompini ancora non li sa fare, chiudo il telefono. Ci penserò.
Parlo, fumo, scuoto la testa, tutto sommato è una bella festa. Ci sono anche le brutte facce, brutti ceffi. Noi siamo più pericolosi.
Non è nemmeno mezzanotte, i compagni di classe se ne vanno, Laura non mi saluta, Debora mi sussurra in un orecchio: “quando saremo soli ho un regalino carino per te…”
Certo, come sempre. La ringrazio, ringrazio tutti, sono gentile. Sono così seccato e strafatto che vedo i mostri.
Regali? Una busta con dei soldi. Saranno utili.
Succede qualcosa, me ne accorgo all’istante, strani movimenti all’ingresso. Gli sbandati sono li vicino, anche degli amici. Mi avvicino ma, vengo distratto, un tizio mi sposta letteralmente, sto per mettergli le mani addosso. Dice a delle ragazze di intrattenermi. Ballano con me, sono sexy, le tocco, stanno al gioco, solo un poco.
Mi sento portare via, trascinato. Mi indirizzano verso le scale che so salire da solo, siamo al piano superiore, nel mezzo del corridoio, ci fermiamo davanti una scala di allumino a forbice. Mi dicono di salire, di divertirmi, ridono di gusto, lo faccio. Sbandati.
Salgo, e mi tiro su la scala per evitare scherzi. Sono nell’ambio sottotetto. Una mansarda senza muri divisori ma con un cesso ed un lavandino ad un angolo, accanto la porta del balcone-torre. Irritante odore di chiuso, muffa, forse anche di piscio, pizzica il mio naso. La luce è quasi assente, c’è sempre la Luna, i suoi raggi d’argento, non sono sufficienti seppur idilliaci. La luna mi affascina da sempre. Alzo l’interruttore, sperando che si accenda, prima di fare ciò, prima di salire, prima di pensare, un ombra non induce a presentarsi, ferma immobile mi inquieta se non fosse per il profumo che massaggia le mie narici. Luce.
Il neon stravecchio fatica a darci chiarore, resta giallo, un poco arancione. La instabile luce artificiale è sufficiente.
L’ombra si metamorfizza in una bellissima ragazza, alta, sensualmente bionda, con un soprabito nero, che non le s'addice, una borsetta sottobraccio, tacchi alti. Mi soffermo ancora ad osservare il suo volto: occhi come un topazio blu, alcune ciocche nere, non le avevo notate. Capelli pettinati all’indietro, leggermente truccata, mi chiedo se sia vera.
“buon copleano!”
L’accento è fortemente straniero: moldava, rumena, bulgara, russa? Che importa?
Il soprabito scivola via dal suo corpo, in maniera sensuale si posa sul vecchio pavimento sporco e appiccicoso. Immagino perché siamo soli.
“Io sono regalo”
Si lo avevo intuito, quel pezzo di figa è il mio regalo da parte degli sbandati.
Indossa un elegante tubino nero, semplice, non si direbbe una prostituta. Di quanto può essere più grande di me? Diciannove, vent’anni?
Il suo profumo si disperde subito, L’odore di chiuso e muffa del sottotetto non mi piace. Ho un mezzo personal nel pacco delle sigarette, lo accendo solo per sovrastare il cattivo odore.
Inizio maniacalmente a girargli intorno, una danza, le respiro in faccia quando devo, le offro un tiro. Allunga la mano tremolante, si fa due tiri nervosi, io ancora le giro attorno. Sembro il gatto che gioca con il topo, mi ripassa il personal.
La ragazza straniera è tutto un pezzo tremolante, la mansarda è fredda. Io colgo incertezza, paura. Forse sbaglio.
“Allora cosa mi regali?” Non devo urlare molto, la musica sembra non uscire fuori la villa, si perde nelle stanze, arriva un eco nella mansarda.
“Tuto!” Risponde lei. Sorriso finto, occhi vagamente tristi ma, belli.
Giro attorno il suo corpo perfetto, con calma però, sempre più maniaco, vorace, perverso, folle e osceno. Mi sento il leone che lecca la preda prima di sbranarla.
Il mio sguardo non lo incrocia, se lo fa è per un attimo. Forse la sto spaventando. Dovrebbe esserci abituata. Cosa vede in me? Un avvenire perso.
Alzo il tubino, sopra il culo, massaggio il gluteo di marmo, perizoma di raso nero. Le stuzzico l’ano, lo premo, infilo il dito indice, tremito.
“Si!” Esclama.
Sono dipendente dalle droghe, dall’alcol, dai drammi, mi hanno dato un altro veleno.
Ancora più dentro quel dito, ancora più acuto quel tremito… il suo corpo freddo, immobile.
Il mio sguardo, il suo, i nostri occhi… la luce dov’è?
L’erezione pulsa, non la contengo, abbasso il tubino, resta nuda. Molesto le tette, inizio a leccarle, succhiarle, strizzarle, schiaffeggiarle, esco fuori il cazzo, si inginocchia.
Apre la borsetta, prende un preservativo, mentre tenda di scattarlo glielo levo, lo getto, gli metto il cazzo in bocca, con forza. Si oppone, poi si rassegna, succhia. Ricomincia per bene: dalle palle al glande, con la punta della lingua, lascia saliva. Sputa, ingoia, si aiuta con la mano, si aggrappa a me quando glielo spingo in bocca. Mi aggrappo ai suoi capelli subito dopo. Un pompino superlativo senza passione, io spingo senza remore. Siamo in asincrono, ciononostante sto godendo.
Le mie mani intorno i suoi capelli, la nuca, la blocco.
Conficco il cazzo nella sua gola, lei indietreggia la testa portandosi indietro il corpo, inutile. Resto fermo, qualche leggero colpo. Lei inizia a schiaffeggiarmi le cosce, le natiche, lamenti affannati con voce stridula, schiaffi più veloci e forti, levo il cazzo. Cade con il culo a terra, senza fiato… liquidi pendono dalle sua labbra, occhi di ghiaccio rivolti a me… chissà come mi sta maledicendo, come se cambiasse qualcosa per un dannato.
Levo i jeans, le dico che voglio scoparle il culo, lei prende i preservativi, mi scruta con uno sguardo duro, infondo è dolce e timoroso. Il mio suppongo sia freddo come la mansarda.
Mentre lei prende un preservativo, io guardo il materasso, trascinato da sotto a sopra, gettato in un freddo angolo. È sporco, puzza, e pregno di liquidi seminali, orina e sangue mestruale. Non ci scoperei nemmeno una puttana. Lei non si opporrebbe, ma fa schifo a me. Verso il lavandino.
La ceramica è fredda, mentre lei vi appoggia le mani, divarica le gambe, metto il preservativo. Mi dice di usare la crema… non l’ascolto. Ho un erezione dominante, sono uno stronzo, erba ed alcol incitano la bestia e l’ano non si dilata mentre il glande è appoggiato, lei non dilata, non spinge, peggio per lei. Infischiandomene delle sua urla, la penetro con forza, entro appena, lo tolgo e lo rinfilo delicatamente il suo lamento continuo termina… sospira. La penetro con decisione, lo rimetto con un colpo deciso, sbraita.
Sento la pressione intorno al cazzo, credevo fosse più preparata, continua a parlare in una lingua che non conosco. Urla ancora. Inizio a scoparle il culo con foga, Il mio corpo è sconnesso, non so perché godo così tanto, non ci sono sentimenti… per fortuna, non mi fermerei nemmeno di fronte quelli.
Il suo corpo? Per ora è perfetto, non ho idea di cosa le passi per la testa, se stia godendo mentre io mi muovo forsennatamente, la penetro con la stessa determinazione, senza ritmo, cercando la via più rapida per venire perché, la sto travolgendo, mi sto prendendo tutto senza sensibilità. Voglio sentirla urlare, voglio anche il suo fiato. Non sono più il leone che lecca la preda… la sto sbranando.
La musica, copre tutto, gemiti, rumori… tranne i cattivi odori… le mani stringono i suoi fianchi, la mia presa vigorosa lascia i segni, sono sicuro che stia aspettando la fine di questo supplizio… io spero che non finisca mai… prevale quel briciolo di umanità.
Rallento il ritmo, respiro forte, dopo qualche secondo lei alza lievemente le spalle, inarca la schiena in avanti, muove il culo attorno il mio cazzo, la pressione diluisce, continua ad ansimare, non si oppone, accoglie il forte dolore insieme al piacere, si volta verso di me. Vedo ancora vuoto nei suoi occhi, ma è bella, mi eccita.
Accompagno il cazzo dentro il suo sfintere, mentre lei mi guarda e mugola, il ritmo lento trasforma le urla in gemiti di piacere, le sfioro il seno, lei sfiora le labbra vaginali. La penetro piano, quasi trovo un ritmo, seguo il suo affanno, lo sfilo ed riaffondo con decisione. Il freddo non le impedisce di sudare…
Finisce il tempo di essere dolci, credo che sia pronta solo che, la sbatto a terra, a pecorina. Brividi, miei, suoi, il pavimento. Uso il soprabito come un giaciglio, di nuovo foga, rabbia, perversione. Nell’impeto dell’inculata le tiro i capelli, roteo il polso, creo un saldo appiglio. Si, lei urla, si china, gomiti a terra, lei sue sono urla di rabbia, di quel forte dolore di cui si sazia… sborro.
Mi alzo, lascio cadere il preservativo pieno di sperma. Mentre io mi sistemo la guardo, lei mi evita, si aggiusta i capelli, inizia a tremare. Prendo la scala per scendere, lei indossa il soprabito, il tubino è atterra. Non devo dire nulla scendo. Forte odore si insinua nel mio naso: erba e fumo. Vado oltre il corridoio, mi accolgono come un trionfatore, pacche sulle spalle, gli sbandati vanno su.
Accendo una sigaretta dopo aver sceso due gradini… c’è ancora gente, ognuno si fa i fatti propri. Io penso alla puttana. Salgo di corsa, subito su, sono sorpresi di vedermi, la ragazza pensa che dovrà prendere un quarto cazzo, siamo animali.
Gesticolo, parlo, mi invento una scusa, agito la situazione, prendo la ragazza, le dico di rivestirsi il più velocemente possibile, la borsetta, prende tutto.
“Togli quei cazzo di tacchi!”
La trascino giù, nessuno ci nota, vado verso il mio motorino. Siamo lontani. Le chiedo che devo fare, lei mi da delle istruzioni, la stazione dei treni ma, aspetta un autobus. Non la lascio sola. Non le rivolgo una parola. Aspettiamo insieme le sei del mattino, accasciati ad un cazzo di muro. Quando le dico dell’autobus la sua testa e chinata sulla mia spalla. La sveglio.
Dal finestrino dell’autobus mi sorride, per me non cambia nulla. Sono avvelenato.
C’è gente che non conosco, mi porgono gli auguri, strette di mano, baci. Nel corridoio sono quasi tutti appartati. Il pavimento fluttua sotto i miei piedi, le paresti di spaccano, l’intonaco casca. Il festino pare essersi movimentato, il dj improvvisato alza la musica.
Non avrei mai festeggiato il mio diciotto anni, non c’è nulla da celebrare. Sto a cuore a qualcuno, organizzano la mia festa, la loro scusa di fare casino. Amici, compagni di classe, sbandati, siamo tutti in una vecchia villa incompleta, quasi abbandonata a se stessa. Trionfale fino alla fine, fatiscente, sopra la collina di campagna, lontano dal paese. So di chi è, so perché la conosco come le mie tasche, ogni metro quadrato.
Datemi una birra ed una canna, volete festeggiarmi, fatemi festeggiare. Il dj urla il mio nome, io bevo in saluto. Il dj è uno degli sbandati. Mi chiedo perché fra di noi c’è questo senso di aiuto familiare che non ho con i miei veri,fratelli, sorelle, parenti. Il telefono vibra incessantemente in una delle tasche, ricevo una miriadi di messaggi da una ragazzina con cui gioco. Non mi va di risponderle. Poverina, sono due giorni che mi cerca, ha pure caricato il mio cellulare. I pompini ancora non li sa fare, chiudo il telefono. Ci penserò.
Parlo, fumo, scuoto la testa, tutto sommato è una bella festa. Ci sono anche le brutte facce, brutti ceffi. Noi siamo più pericolosi.
Non è nemmeno mezzanotte, i compagni di classe se ne vanno, Laura non mi saluta, Debora mi sussurra in un orecchio: “quando saremo soli ho un regalino carino per te…”
Certo, come sempre. La ringrazio, ringrazio tutti, sono gentile. Sono così seccato e strafatto che vedo i mostri.
Regali? Una busta con dei soldi. Saranno utili.
Succede qualcosa, me ne accorgo all’istante, strani movimenti all’ingresso. Gli sbandati sono li vicino, anche degli amici. Mi avvicino ma, vengo distratto, un tizio mi sposta letteralmente, sto per mettergli le mani addosso. Dice a delle ragazze di intrattenermi. Ballano con me, sono sexy, le tocco, stanno al gioco, solo un poco.
Mi sento portare via, trascinato. Mi indirizzano verso le scale che so salire da solo, siamo al piano superiore, nel mezzo del corridoio, ci fermiamo davanti una scala di allumino a forbice. Mi dicono di salire, di divertirmi, ridono di gusto, lo faccio. Sbandati.
Salgo, e mi tiro su la scala per evitare scherzi. Sono nell’ambio sottotetto. Una mansarda senza muri divisori ma con un cesso ed un lavandino ad un angolo, accanto la porta del balcone-torre. Irritante odore di chiuso, muffa, forse anche di piscio, pizzica il mio naso. La luce è quasi assente, c’è sempre la Luna, i suoi raggi d’argento, non sono sufficienti seppur idilliaci. La luna mi affascina da sempre. Alzo l’interruttore, sperando che si accenda, prima di fare ciò, prima di salire, prima di pensare, un ombra non induce a presentarsi, ferma immobile mi inquieta se non fosse per il profumo che massaggia le mie narici. Luce.
Il neon stravecchio fatica a darci chiarore, resta giallo, un poco arancione. La instabile luce artificiale è sufficiente.
L’ombra si metamorfizza in una bellissima ragazza, alta, sensualmente bionda, con un soprabito nero, che non le s'addice, una borsetta sottobraccio, tacchi alti. Mi soffermo ancora ad osservare il suo volto: occhi come un topazio blu, alcune ciocche nere, non le avevo notate. Capelli pettinati all’indietro, leggermente truccata, mi chiedo se sia vera.
“buon copleano!”
L’accento è fortemente straniero: moldava, rumena, bulgara, russa? Che importa?
Il soprabito scivola via dal suo corpo, in maniera sensuale si posa sul vecchio pavimento sporco e appiccicoso. Immagino perché siamo soli.
“Io sono regalo”
Si lo avevo intuito, quel pezzo di figa è il mio regalo da parte degli sbandati.
Indossa un elegante tubino nero, semplice, non si direbbe una prostituta. Di quanto può essere più grande di me? Diciannove, vent’anni?
Il suo profumo si disperde subito, L’odore di chiuso e muffa del sottotetto non mi piace. Ho un mezzo personal nel pacco delle sigarette, lo accendo solo per sovrastare il cattivo odore.
Inizio maniacalmente a girargli intorno, una danza, le respiro in faccia quando devo, le offro un tiro. Allunga la mano tremolante, si fa due tiri nervosi, io ancora le giro attorno. Sembro il gatto che gioca con il topo, mi ripassa il personal.
La ragazza straniera è tutto un pezzo tremolante, la mansarda è fredda. Io colgo incertezza, paura. Forse sbaglio.
“Allora cosa mi regali?” Non devo urlare molto, la musica sembra non uscire fuori la villa, si perde nelle stanze, arriva un eco nella mansarda.
“Tuto!” Risponde lei. Sorriso finto, occhi vagamente tristi ma, belli.
Giro attorno il suo corpo perfetto, con calma però, sempre più maniaco, vorace, perverso, folle e osceno. Mi sento il leone che lecca la preda prima di sbranarla.
Il mio sguardo non lo incrocia, se lo fa è per un attimo. Forse la sto spaventando. Dovrebbe esserci abituata. Cosa vede in me? Un avvenire perso.
Alzo il tubino, sopra il culo, massaggio il gluteo di marmo, perizoma di raso nero. Le stuzzico l’ano, lo premo, infilo il dito indice, tremito.
“Si!” Esclama.
Sono dipendente dalle droghe, dall’alcol, dai drammi, mi hanno dato un altro veleno.
Ancora più dentro quel dito, ancora più acuto quel tremito… il suo corpo freddo, immobile.
Il mio sguardo, il suo, i nostri occhi… la luce dov’è?
L’erezione pulsa, non la contengo, abbasso il tubino, resta nuda. Molesto le tette, inizio a leccarle, succhiarle, strizzarle, schiaffeggiarle, esco fuori il cazzo, si inginocchia.
Apre la borsetta, prende un preservativo, mentre tenda di scattarlo glielo levo, lo getto, gli metto il cazzo in bocca, con forza. Si oppone, poi si rassegna, succhia. Ricomincia per bene: dalle palle al glande, con la punta della lingua, lascia saliva. Sputa, ingoia, si aiuta con la mano, si aggrappa a me quando glielo spingo in bocca. Mi aggrappo ai suoi capelli subito dopo. Un pompino superlativo senza passione, io spingo senza remore. Siamo in asincrono, ciononostante sto godendo.
Le mie mani intorno i suoi capelli, la nuca, la blocco.
Conficco il cazzo nella sua gola, lei indietreggia la testa portandosi indietro il corpo, inutile. Resto fermo, qualche leggero colpo. Lei inizia a schiaffeggiarmi le cosce, le natiche, lamenti affannati con voce stridula, schiaffi più veloci e forti, levo il cazzo. Cade con il culo a terra, senza fiato… liquidi pendono dalle sua labbra, occhi di ghiaccio rivolti a me… chissà come mi sta maledicendo, come se cambiasse qualcosa per un dannato.
Levo i jeans, le dico che voglio scoparle il culo, lei prende i preservativi, mi scruta con uno sguardo duro, infondo è dolce e timoroso. Il mio suppongo sia freddo come la mansarda.
Mentre lei prende un preservativo, io guardo il materasso, trascinato da sotto a sopra, gettato in un freddo angolo. È sporco, puzza, e pregno di liquidi seminali, orina e sangue mestruale. Non ci scoperei nemmeno una puttana. Lei non si opporrebbe, ma fa schifo a me. Verso il lavandino.
La ceramica è fredda, mentre lei vi appoggia le mani, divarica le gambe, metto il preservativo. Mi dice di usare la crema… non l’ascolto. Ho un erezione dominante, sono uno stronzo, erba ed alcol incitano la bestia e l’ano non si dilata mentre il glande è appoggiato, lei non dilata, non spinge, peggio per lei. Infischiandomene delle sua urla, la penetro con forza, entro appena, lo tolgo e lo rinfilo delicatamente il suo lamento continuo termina… sospira. La penetro con decisione, lo rimetto con un colpo deciso, sbraita.
Sento la pressione intorno al cazzo, credevo fosse più preparata, continua a parlare in una lingua che non conosco. Urla ancora. Inizio a scoparle il culo con foga, Il mio corpo è sconnesso, non so perché godo così tanto, non ci sono sentimenti… per fortuna, non mi fermerei nemmeno di fronte quelli.
Il suo corpo? Per ora è perfetto, non ho idea di cosa le passi per la testa, se stia godendo mentre io mi muovo forsennatamente, la penetro con la stessa determinazione, senza ritmo, cercando la via più rapida per venire perché, la sto travolgendo, mi sto prendendo tutto senza sensibilità. Voglio sentirla urlare, voglio anche il suo fiato. Non sono più il leone che lecca la preda… la sto sbranando.
La musica, copre tutto, gemiti, rumori… tranne i cattivi odori… le mani stringono i suoi fianchi, la mia presa vigorosa lascia i segni, sono sicuro che stia aspettando la fine di questo supplizio… io spero che non finisca mai… prevale quel briciolo di umanità.
Rallento il ritmo, respiro forte, dopo qualche secondo lei alza lievemente le spalle, inarca la schiena in avanti, muove il culo attorno il mio cazzo, la pressione diluisce, continua ad ansimare, non si oppone, accoglie il forte dolore insieme al piacere, si volta verso di me. Vedo ancora vuoto nei suoi occhi, ma è bella, mi eccita.
Accompagno il cazzo dentro il suo sfintere, mentre lei mi guarda e mugola, il ritmo lento trasforma le urla in gemiti di piacere, le sfioro il seno, lei sfiora le labbra vaginali. La penetro piano, quasi trovo un ritmo, seguo il suo affanno, lo sfilo ed riaffondo con decisione. Il freddo non le impedisce di sudare…
Finisce il tempo di essere dolci, credo che sia pronta solo che, la sbatto a terra, a pecorina. Brividi, miei, suoi, il pavimento. Uso il soprabito come un giaciglio, di nuovo foga, rabbia, perversione. Nell’impeto dell’inculata le tiro i capelli, roteo il polso, creo un saldo appiglio. Si, lei urla, si china, gomiti a terra, lei sue sono urla di rabbia, di quel forte dolore di cui si sazia… sborro.
Mi alzo, lascio cadere il preservativo pieno di sperma. Mentre io mi sistemo la guardo, lei mi evita, si aggiusta i capelli, inizia a tremare. Prendo la scala per scendere, lei indossa il soprabito, il tubino è atterra. Non devo dire nulla scendo. Forte odore si insinua nel mio naso: erba e fumo. Vado oltre il corridoio, mi accolgono come un trionfatore, pacche sulle spalle, gli sbandati vanno su.
Accendo una sigaretta dopo aver sceso due gradini… c’è ancora gente, ognuno si fa i fatti propri. Io penso alla puttana. Salgo di corsa, subito su, sono sorpresi di vedermi, la ragazza pensa che dovrà prendere un quarto cazzo, siamo animali.
Gesticolo, parlo, mi invento una scusa, agito la situazione, prendo la ragazza, le dico di rivestirsi il più velocemente possibile, la borsetta, prende tutto.
“Togli quei cazzo di tacchi!”
La trascino giù, nessuno ci nota, vado verso il mio motorino. Siamo lontani. Le chiedo che devo fare, lei mi da delle istruzioni, la stazione dei treni ma, aspetta un autobus. Non la lascio sola. Non le rivolgo una parola. Aspettiamo insieme le sei del mattino, accasciati ad un cazzo di muro. Quando le dico dell’autobus la sua testa e chinata sulla mia spalla. La sveglio.
Dal finestrino dell’autobus mi sorride, per me non cambia nulla. Sono avvelenato.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La tipa, caffè e lingerieracconto sucessivo
La tipa, caffè e lingerie - Il seguito. Sarà l'ora della minchia?
Commenti dei lettori al racconto erotico