La corsa
di
Kugher
genere
sentimentali
Le scarpe da corsa si muovevano con regolarità sul selciato del lungomare. Il leggero suono prodotto era coordinato col respiro frequente ma non affannato della donna. Le gambe avevano il ritmo che il cuore allenato consentiva loro di tenere nonostante la non più giovane età e grazie all’allenamento mai interrotto da quando, anni addietro, aveva lasciato quella città, la sua, per lavoro.
Ogni estate Monica faceva ritorno nella città natale ed ogni volta era un rinnovato tuffo nei profumi e nei sapori coi quali era cresciuta. Alcuni negozi le erano nuovi. La gelateria sulla curva, quella posta davanti alla panchina sul mare, invece era ancora quella degli anni che l’avevano vista bambina. La sera precedente, la prima del suo ritorno, vi si era recata per gustare il gelato al cioccolato e alla stracciatella. Il sapore le aveva affollato la mente dei pomeriggi coi nonni, dei venerdì sera coi genitori, dei primi appuntamenti col batticuore e la gonna corta quel tanto che mamma le consentiva. In quella gelateria aveva consumato l’ultimo cono prima del suo saluto a quella terra di acqua e sole per andare verso la nuova esperienza lavorativa, verso la sua nuova vita. Sulla panchina posta lì davanti, quella stessa sera, lei e Giulio si scambiarono un bacio con la promessa che presto sarebbe stato ripetuto ma che, allora non sapevano, fu invece l’ultimo.
Mentre sbirciava all’interno del negozio seguendo il ritmo delle lunghe gambe, alzò la mano in saluto di Francesco, che portava il nome di suo nonno il quale, da piccola, le metteva la panna sul cono gelato. Riportato lo sguardo sul percorso, al momento di superare la curva, in corrispondenza della panchina dei ricordi, vide al suo fianco la bella ragazza, che aveva il suo stesso passo ma tenuto con minore fatica. Entrambe avevano i capelli neri raccolti in una coda di cavallo che, ritmicamente, seguiva il loro passo danzando sulle schiene. Monica la conosceva, così come conosceva i suoi genitori ed i suoi nonni, sapeva dei suoi amori e dei suoi timori. Le sorrise, rivedendo sé stessa, le emozioni, le sensazioni delle scoperte appena fatte e di quelle ancora da fare che la aspettavano e delle quali aveva curiosità, ma anche timore. Si rivide all’ultimo anno di liceo e la scelta dell’università condivisa tra le amiche, con le speranze e le aspettative. Le guardò con un po’ di invidia il seno senza reggipetto sportivo il quale, però, non sarebbe servito un granché, visto quanto era sodo.
La ragazza, invece, non la conosceva, non poteva conoscerla. Era assorta nei suoi pensieri e proiettata al mondo universitario che la attendeva ed al quale si era iscritta assieme a Franca, sua amica dalle elementari. Ne seguiva però il ritmo, avendo entrambe lo stesso passo. Guardò l’ora. Aveva ancora tempo per andare a casa, farsi una doccia, riposarsi e prepararsi per uscire con quel ragazzo, Giulio, che le faceva battere il cuore e procurava desiderio di sesso. Alzò gli occhi dall’orologio e guardò quella donna sconosciuta cercando, senza riuscirci, di proiettare sé stessa a quella età che le sembrava lontanissima.
Alla fine della corsa entrarono nello stesso palazzo, nel quale Monica era cresciuta. La sua cameretta dava sulla piazzetta nella quale il sabato c’era il mercato che, la mattina presto, la svegliava con il vociare ed i profumi. Arrivate al secondo piano entrarono nel medesimo appartamento soleggiato.
Monica, dopo la doccia sotto il cui getto era rimasta a lungo, si stese, nuda, nel letto, nella stessa stanza che occupava fin da bambina, quella stessa occupata da quell’altra ragazza che l’aveva accompagnata nella corsa, lei stessa, troppi anni fa. Voltò il viso e vide nel letto stesa la ragazza che lei era stata, quando dopo la corsa e la doccia, come in quel momento, si stendeva sul letto. Era ovvio che non l’avesse riconosciuta: il cerchio della giovane era ancora aperto, aveva possibilità di fare entrare progetti e farne uscire altri. Il cerchio di Monica, invece, era chiuso, non avendo più spazio, o tempo, per altri progetti e dovendo vivere con quelli realizzati e non realizzati.
Si ripromise di chiamare Franca, la sua amica di una vita che aveva appena divorziato. Pensò a Giulio, a quanto sapesse fare sesso bene e a come le piaceva quando la faceva sua schiava, usandola per le sue esigenze sessuali tenendole il collo nella mano o i capelli per dirigerle la bocca verso la sua erezione, verso il suo desiderio di lei. Pensava alla scoperta di quella sessualità in un periodo in cui internet non c’era e mancava quel confronto che ora è possibile trovare nelle community e nelle chat. Il possesso, visto da entrambi i lati, rendeva il loro rapporto avvolgente e coinvolgente legando le loro anime.
Il pensiero di Giulio la portò a chiedersi come sarebbe stata la sua vita se non se ne fosse andata.
Restò ancora nel letto.
Sorrise.
“Non va più via
L'odore del sesso, che hai addosso
Si attacca qui
All'amore che posso, che io posso
E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa”.
Quella canzone di Ligabue la eccitava dentro.
Il pensiero tornò a Giulio e, per un attimo, lei e l’altra ragazza ritornarono ad essere la stessa persona, fuse in un’unica anima. Iniziò ad accarezzarsi nelle sue parti intime.
Ogni estate Monica faceva ritorno nella città natale ed ogni volta era un rinnovato tuffo nei profumi e nei sapori coi quali era cresciuta. Alcuni negozi le erano nuovi. La gelateria sulla curva, quella posta davanti alla panchina sul mare, invece era ancora quella degli anni che l’avevano vista bambina. La sera precedente, la prima del suo ritorno, vi si era recata per gustare il gelato al cioccolato e alla stracciatella. Il sapore le aveva affollato la mente dei pomeriggi coi nonni, dei venerdì sera coi genitori, dei primi appuntamenti col batticuore e la gonna corta quel tanto che mamma le consentiva. In quella gelateria aveva consumato l’ultimo cono prima del suo saluto a quella terra di acqua e sole per andare verso la nuova esperienza lavorativa, verso la sua nuova vita. Sulla panchina posta lì davanti, quella stessa sera, lei e Giulio si scambiarono un bacio con la promessa che presto sarebbe stato ripetuto ma che, allora non sapevano, fu invece l’ultimo.
Mentre sbirciava all’interno del negozio seguendo il ritmo delle lunghe gambe, alzò la mano in saluto di Francesco, che portava il nome di suo nonno il quale, da piccola, le metteva la panna sul cono gelato. Riportato lo sguardo sul percorso, al momento di superare la curva, in corrispondenza della panchina dei ricordi, vide al suo fianco la bella ragazza, che aveva il suo stesso passo ma tenuto con minore fatica. Entrambe avevano i capelli neri raccolti in una coda di cavallo che, ritmicamente, seguiva il loro passo danzando sulle schiene. Monica la conosceva, così come conosceva i suoi genitori ed i suoi nonni, sapeva dei suoi amori e dei suoi timori. Le sorrise, rivedendo sé stessa, le emozioni, le sensazioni delle scoperte appena fatte e di quelle ancora da fare che la aspettavano e delle quali aveva curiosità, ma anche timore. Si rivide all’ultimo anno di liceo e la scelta dell’università condivisa tra le amiche, con le speranze e le aspettative. Le guardò con un po’ di invidia il seno senza reggipetto sportivo il quale, però, non sarebbe servito un granché, visto quanto era sodo.
La ragazza, invece, non la conosceva, non poteva conoscerla. Era assorta nei suoi pensieri e proiettata al mondo universitario che la attendeva ed al quale si era iscritta assieme a Franca, sua amica dalle elementari. Ne seguiva però il ritmo, avendo entrambe lo stesso passo. Guardò l’ora. Aveva ancora tempo per andare a casa, farsi una doccia, riposarsi e prepararsi per uscire con quel ragazzo, Giulio, che le faceva battere il cuore e procurava desiderio di sesso. Alzò gli occhi dall’orologio e guardò quella donna sconosciuta cercando, senza riuscirci, di proiettare sé stessa a quella età che le sembrava lontanissima.
Alla fine della corsa entrarono nello stesso palazzo, nel quale Monica era cresciuta. La sua cameretta dava sulla piazzetta nella quale il sabato c’era il mercato che, la mattina presto, la svegliava con il vociare ed i profumi. Arrivate al secondo piano entrarono nel medesimo appartamento soleggiato.
Monica, dopo la doccia sotto il cui getto era rimasta a lungo, si stese, nuda, nel letto, nella stessa stanza che occupava fin da bambina, quella stessa occupata da quell’altra ragazza che l’aveva accompagnata nella corsa, lei stessa, troppi anni fa. Voltò il viso e vide nel letto stesa la ragazza che lei era stata, quando dopo la corsa e la doccia, come in quel momento, si stendeva sul letto. Era ovvio che non l’avesse riconosciuta: il cerchio della giovane era ancora aperto, aveva possibilità di fare entrare progetti e farne uscire altri. Il cerchio di Monica, invece, era chiuso, non avendo più spazio, o tempo, per altri progetti e dovendo vivere con quelli realizzati e non realizzati.
Si ripromise di chiamare Franca, la sua amica di una vita che aveva appena divorziato. Pensò a Giulio, a quanto sapesse fare sesso bene e a come le piaceva quando la faceva sua schiava, usandola per le sue esigenze sessuali tenendole il collo nella mano o i capelli per dirigerle la bocca verso la sua erezione, verso il suo desiderio di lei. Pensava alla scoperta di quella sessualità in un periodo in cui internet non c’era e mancava quel confronto che ora è possibile trovare nelle community e nelle chat. Il possesso, visto da entrambi i lati, rendeva il loro rapporto avvolgente e coinvolgente legando le loro anime.
Il pensiero di Giulio la portò a chiedersi come sarebbe stata la sua vita se non se ne fosse andata.
Restò ancora nel letto.
Sorrise.
“Non va più via
L'odore del sesso, che hai addosso
Si attacca qui
All'amore che posso, che io posso
E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa”.
Quella canzone di Ligabue la eccitava dentro.
Il pensiero tornò a Giulio e, per un attimo, lei e l’altra ragazza ritornarono ad essere la stessa persona, fuse in un’unica anima. Iniziò ad accarezzarsi nelle sue parti intime.
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