Sottomissione al Dominio (parte 4)
di
Kugher
genere
sadomaso
“Abbassati per massaggiare il mio piede”.
Con quest’ordine, seppure dato delicatamente, Anna aveva rotto gli argini, passato il Rubicone.
Monica lavorava stando inginocchiata ma col busto semi eretto, appena piegato in avanti.
Con la nuova posizione sarebbe stata quasi prostrata, con i gomiti appoggiati a terra ed in mano il piede che stava massaggiando.
“Ti spiace se appoggio l’altro piede sulla tua schiena? Sarei proprio comoda”.
Entrambe sapevano che non era una domanda ma, bensì, un inizio volto a prendersi le misure, a vedere quanto si potevano spingere e fino a dove erano tracciati i confini di quella situazione nota a Monica ma nuova ad Anna, che, in quel momento, stava agendo di istinto, guidata da un desiderio di godere del servizio di quella giovane che più volte l’aveva coccolata con le sue attenzioni servizievoli.
Non ci fu risposta, perché sapevano che non serviva.
Il massaggio non si era fermato ed Anna allungò la gamba appoggiandola sulla schiena.
Non sapeva se era comoda o meno. Sapeva solo che si sentiva bagnata tra le gambe, che non pensava più al piano inclinato ed alla pallina, né al Rubicone ormai alle spalle, lontano.
Si sentiva la testa confusa e, sicuramente, aveva il viso arrossato tanto se lo sentiva bollente per quella situazione nuova, inconsciamente desiderata e cercata.
Solo dopo, a bocce ferme, avrebbe capito che era stata portata per mano, fino a lì. Capì anche che, istintivamente, ora aveva lasciato la mano che l’aveva condotta sin lì per essere lei stessa a prendere quella mano e, da condotta, a divenire conduttrice.
Monica massaggiava il piede mentre col corpo assolveva alla funzione di sgabello.
Anna cambiò piede, come se fosse la cosa più naturale del mondo, cosa che nemmeno viene fatta dall’estetista, dove si attende che sia l’operatrice a comunicare la fine del trattamento.
Sentiva, sapeva che quello non era un massaggio ma un atto di sottomissione.
Cambiò ancora la gamba sulla schiena dello sgabello umano e si godette il massaggio all’altro piede.
Era eccitata, eccitatissima.
Non si chiese nemmeno cosa stesse provando quella ragazza.
Era concentrata solo sulle sue sensazioni amplificate dalla apparente passività di Monica nel suo ruolo speculare.
Il piede appoggiato sulla schiena si spostò, sfiorando la pelle con la punta, in un gesto che, se qualcuno lo avesse visto, lo avrebbe trovato sensuale, carico di erotismo.
Si fermò un attimo in prossimità del collo, poi fece gli ultimi centimetri fino a posarsi sulla testa che, lentamente, con un leggera pressione, venne spinta verso il basso, verso l’altro piede che stava ricevendo le carezze dalle mani.
Non trovò resistenza alcuna e le labbra raggiunsero docilmente la pelle del piede.
“Bacia”.
Non sarebbe servito l’ordine.
Era nell’ovvietà della cosa che quella fosse l’azione desiderata. Tuttavia dare un ordine simile, per la prima volta, ha sempre l’effetto di procurare eccitazione in chi lo pronuncia ed in chi lo riceve perché significa che il Rubicone è sempre più alle spalle ed il reciproco ruolo sempre più marcato.
Il tocco delle mani divenne ancor più umile o, almeno, questa fu la sensazione di Anna, forse dettata da ciò che desiderava più che dalla motivazione della ragazza.
Questo fu comunque abbastanza per eccitarla ulteriormente, per portare altro umido sull’umido già presente tra le cosce.
Le labbra si posarono lievemente e poi percorsero il piede, baciando la pelle, facendole scorrere su di essa.
Per Anna era una novità forte, mai vissuta e da vivere.
In quel momento ragionava solo con l’istinto del desiderio, con la pressione dello stomaco ingarbugliato dall’eccitazione e dalla figa bagnata.
L’altro piede era appoggiato sulle spalle chinate verso terra.
Guardava quella bella ragazza prostrata. Sapeva cosa stava accadendo ma non dove l’avrebbe portata.
“Lecca”.
La carezza della lingua, che subito aveva preso il posto del bacio, le piacque molto. Nessuno le aveva mai leccato i piedi. Solo una volta, durante il sesso, a letto. Non era un atto di sottomissione o, almeno, così non le era parso. Con gli occhi di oggi, forse, tale l’avrebbe interpretato.
La leccata ai piedi durò un tempo che lei non seppe quantificare ma solo descrivere in termini di piacere.
Più volte, lentamente e con apparente pigrizia, quasi stesse facendo un piacere alla ragazza, cambiò piede.
Aveva indossato scarpe di cuoio senza calze, non potevano non avere quel sapore ed il fatto che Monica facesse finta di nulla, come se l’importante fosse la leccata, le trasmise una sensazione che la scaldò ulteriormente.
Provò piacere quando vide Monica che si chinava ancor di più a terra per cercare di leccare la pianta del piede, che lei non accennava ad alzare per godere dello sforzo umiliante.
“A 4 zampe, sii sgabello per farmi vedere la TV”.
Accese l’elettrodomestico su un canale a caso, non le importava quale. Voleva solo godersi il servilismo di una ragazza che offriva il proprio corpo in una posizione umiliante solo per farla stare comoda, rassegnandosi a stare in quella posa in funzione del desiderio e della comodità altrui.
Ogni tanto alzava la gamba e accarezzava la testa col piede, portandolo poi sulla guancia e offrendolo al bacio, per riportarlo in posizione comoda sulla schiena.
I ruoli erano ormai definiti.
“Stenditi qui”.
Indicò a terra davanti a sé.
Apprezzò l’esecuzione dell’ordine in modo fluido, quale oggetto che esegue un comando, senza esitazione ma con quella grazia femminile che è in grado di sedurre in ogni tempo.
Anna ammirò la bellezza della ragazza e, messasi comoda in poltrona, appoggiò sopra i piedi, gustando il corpo morbido e caldo.
In quel momento aveva dimenticato le remore inconsce che l’avevano frenata, non pensava più che quella sotto i suoi piedi era la figlia di una sua amica e, anzi, questa circostanza le diede maggior piacere, aggiungendo un ulteriore nota di segretezza.
C’era solo il piacere da saziare che chiedeva altro piacere, come l’invaso vuoto che necessita di essere colmo di acqua e, per questo, ne chiede in varie quantità e velocità.
Anna volle andare a prendere un bicchiere d’acqua. Non aveva sete. Voleva solo una scusa per compiere una azione ordinaria ed alzarsi in piedi sulla ragazza, schiacciandola sotto il suo peso, sentendo il corpo morbido sotto i piedi.
Dritta su di lei, sul suo dolore, traeva piacere dallo sforzo silenzioso e composto nel reggerla, senza sapere quando sarebbe scesa.
Scese come si scende da un tappeto, senza guardarlo ulteriormente mentre gli si volta le spalle per andare a prendere da bere, sapendo di essere osservata.
Quando tornò, fu presa dalla sorpresa nel trovare la ragazza stesa sul divano e non più a terra.
Rallentò il passo per capirne il significato. Per un attimo pensò che Monica si fosse stufata del “gioco”.
Poi realizzò che la ragazza lo stava accelerando, facendole vedere i confini ampi.
Riprese sicurezza nel raggiungerla e, giunta al divano, si girò e con naturalezza si sedette sul petto della ragazza.
Provò piacere nel sentire l’aria uscire, nel vedere lo sforzo sul viso.
Non si sentiva comoda. Si alzò per spostarsi sul ventre, sicuramente più morbido.
La seconda volta non si sedette con la stessa delicatezza della prima ma, negli ultimi centimetri, si lasciò andare di peso.
Fece male a Monica, che evidentemente non se lo aspettava ma non si scompose. Rimase ferma per servire nella sua nuova funzione, provando piacere nella sottomissione utile per la comodità di Anna che faceva finta di concentrarsi sulla TV per cercare di dare eccitante normalità ad una situazione anormale.
Ad Anna non bastava. Voleva esplorare maggiormente quei confini che parevano lontani e che Monica, con la sua sottomessa passività, le aveva fatto intuire.
Si alzò per (fare finta di) andare a riporre il bicchiere.
Tornata al divano, per sedersi decise di farsi cadere dalla posizione eretta, provocando evidentemente molto male alla ragazza che, questa volta, qualcosa si stava aspettando.
Provò molto piacere nel sentire il gemito di dolore, tutta l’aria uscire ed il suo vano tentativo di proteggersi impedito dalla presenza di lei comodamente seduta.
Monica, dolorante, cercava di resistere per non far perdere comodità a quella che era divenuta ormai la sua Padrona, avendo confini ancora ampi da esplorare ma, quelli visibili, molto ben definiti.
L’invaso del piacere di Anna si stava riempiendo velocemente.
Si sentiva sempre più accaldata in viso ed eccitata.
Dimentica ormai della finzione della TV, guardava il viso sofferente della giovane sotto di sé.
Con finta delicatezza cominciò ad accarezzarlo, con un tocco il cui scopo era quello di evidenziare la differenza sempre più grande delle due posizioni, dei due ruoli, delle sue funzioni.
Monica restava ferma, passiva e la sua docilità fece versare altro piacere nell’invaso dell’eccitazione.
I respiri delle due donne erano corti per diversi ed opposti motivi.
Anna, con due dita, fece girare il viso alla ragazza, in modo che la guancia appoggiasse sul divano.
Voleva sentirla sotto di sé sempre più fortemente, voleva schiacciarla, annientarla, averla.
Si alzò in piedi, sollevò la gonna, si spostò di quel tanto che le consentisse di sedersi sulla faccia della ragazza.
La pelle del viso era accaldata e sudata per lo sforzo della schiava a contatto con la pelle delle sue natiche.
Ne avvertiva la fatica, anche nella respirazione e le piaceva, le piaceva moltissimo.
Le carezze al seno non erano fatte con la finta gentilezza con la quale aveva accarezzato il viso.
Erano carezze per trarre piacere dal tocco di quella eccitante parte femminile, di quei seni ancora freschi e sodi per l’età, diversi dai suoi che, seppur ancora piacevoli, non erano più così.
Li sentiva suoi o, meglio, a lei appartenenti.
La mano andò sul ventre fino a raggiungere la figa della ragazza.
La figa di Anna era bagnatissima.
Ne immaginava gli umori che, attraverso le mutandine sicuramente bagnate, arrivavano sul viso della schiava.
Con le dita si insinuò tra le cosce di Monica e, entrata nel sesso, lo trovò bagnato, pur nello sforzo e nella sofferenza o, anzi, forse proprio per lo sforzo e la sofferenza.
La ragazza sotto di lei era in evidente difficoltà ma lei non accennava ad alzarsi, comoda ed eccitata. Anzi, si muoveva un poco con il bacino per sentire meglio sotto di sé la faccia della giovane.
Ogni cosa ha un limite e lei portò Monica al suo. La schiava non riusciva più a resistere e la fatica richiedeva troppo ossigeno rispetto a quello che la posizione le consentiva di assumere.
Cominciò a divincolarsi ed Anna resistette ancora, come il cowboy che non vuole farsi disarcionare dal cavallo da domare.
Quando capì che la ragazza stava soffrendo troppo, si alzò, fingendosi infastidita per avere dovuto porre termine al divertimento.
Ciò che riempì l’invaso dell’eccitazione fu il rotolio di Monica che dal divano si fece cadere sul pavimento, ancora dolorante e col fiato corto per la fatica, strisciando quei pochi centimetri che la dividevano dai piedi di Anna e che cominciò a leccare scusandosi per avere ceduto.
Fu come se una valanga di acqua fosse entrata nell’invaso ormai colmo oltre la misura.
L’eccitazione fu incontenibile. Col piede, in malo modo mostrando l’urgenza del gesto, fece girare sulla schiena la schiava sul cui viso si sedette cavalcioni dopo essersi tolta le mutandine.
Non ci fu bisogno di ordinare di leccarle la figa.
Mentre riceveva dalla lingua della ragazza il piacere che sentiva esserle dovuto come diritto acquisito, cominciò a torturare con le dita i capezzoli, arrivando anche alla figa che grattò con le unghie.
Pensò solo a sé ed al proprio piacere finché la lingua sotto di lei non la fece godere fortemente, come la diga dell’invaso che crolla e tutta la tensione dell’eccitazione scema in un attimo.
Restò un attimo seduta sulla faccia, che Monica aveva fatto in tempo a girare, per riprendersi.
Aveva le mani sul petto della ragazza appoggiandosi, fino a riprendersi dal piacere provato, inaspettato fino ad un’ora addietro, nuovo.
Tornò a sedersi sul divano e, senza pensarci o, meglio, dando la cosa come scontata, per stare comoda appoggiò i piedi sul corpo a terra.
Sentì il rilassamento che si stava sostituendo all’eccitazione provata.
Senza accorgersene, si addormentò appena.
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krugher.1863@gmail.com
Con quest’ordine, seppure dato delicatamente, Anna aveva rotto gli argini, passato il Rubicone.
Monica lavorava stando inginocchiata ma col busto semi eretto, appena piegato in avanti.
Con la nuova posizione sarebbe stata quasi prostrata, con i gomiti appoggiati a terra ed in mano il piede che stava massaggiando.
“Ti spiace se appoggio l’altro piede sulla tua schiena? Sarei proprio comoda”.
Entrambe sapevano che non era una domanda ma, bensì, un inizio volto a prendersi le misure, a vedere quanto si potevano spingere e fino a dove erano tracciati i confini di quella situazione nota a Monica ma nuova ad Anna, che, in quel momento, stava agendo di istinto, guidata da un desiderio di godere del servizio di quella giovane che più volte l’aveva coccolata con le sue attenzioni servizievoli.
Non ci fu risposta, perché sapevano che non serviva.
Il massaggio non si era fermato ed Anna allungò la gamba appoggiandola sulla schiena.
Non sapeva se era comoda o meno. Sapeva solo che si sentiva bagnata tra le gambe, che non pensava più al piano inclinato ed alla pallina, né al Rubicone ormai alle spalle, lontano.
Si sentiva la testa confusa e, sicuramente, aveva il viso arrossato tanto se lo sentiva bollente per quella situazione nuova, inconsciamente desiderata e cercata.
Solo dopo, a bocce ferme, avrebbe capito che era stata portata per mano, fino a lì. Capì anche che, istintivamente, ora aveva lasciato la mano che l’aveva condotta sin lì per essere lei stessa a prendere quella mano e, da condotta, a divenire conduttrice.
Monica massaggiava il piede mentre col corpo assolveva alla funzione di sgabello.
Anna cambiò piede, come se fosse la cosa più naturale del mondo, cosa che nemmeno viene fatta dall’estetista, dove si attende che sia l’operatrice a comunicare la fine del trattamento.
Sentiva, sapeva che quello non era un massaggio ma un atto di sottomissione.
Cambiò ancora la gamba sulla schiena dello sgabello umano e si godette il massaggio all’altro piede.
Era eccitata, eccitatissima.
Non si chiese nemmeno cosa stesse provando quella ragazza.
Era concentrata solo sulle sue sensazioni amplificate dalla apparente passività di Monica nel suo ruolo speculare.
Il piede appoggiato sulla schiena si spostò, sfiorando la pelle con la punta, in un gesto che, se qualcuno lo avesse visto, lo avrebbe trovato sensuale, carico di erotismo.
Si fermò un attimo in prossimità del collo, poi fece gli ultimi centimetri fino a posarsi sulla testa che, lentamente, con un leggera pressione, venne spinta verso il basso, verso l’altro piede che stava ricevendo le carezze dalle mani.
Non trovò resistenza alcuna e le labbra raggiunsero docilmente la pelle del piede.
“Bacia”.
Non sarebbe servito l’ordine.
Era nell’ovvietà della cosa che quella fosse l’azione desiderata. Tuttavia dare un ordine simile, per la prima volta, ha sempre l’effetto di procurare eccitazione in chi lo pronuncia ed in chi lo riceve perché significa che il Rubicone è sempre più alle spalle ed il reciproco ruolo sempre più marcato.
Il tocco delle mani divenne ancor più umile o, almeno, questa fu la sensazione di Anna, forse dettata da ciò che desiderava più che dalla motivazione della ragazza.
Questo fu comunque abbastanza per eccitarla ulteriormente, per portare altro umido sull’umido già presente tra le cosce.
Le labbra si posarono lievemente e poi percorsero il piede, baciando la pelle, facendole scorrere su di essa.
Per Anna era una novità forte, mai vissuta e da vivere.
In quel momento ragionava solo con l’istinto del desiderio, con la pressione dello stomaco ingarbugliato dall’eccitazione e dalla figa bagnata.
L’altro piede era appoggiato sulle spalle chinate verso terra.
Guardava quella bella ragazza prostrata. Sapeva cosa stava accadendo ma non dove l’avrebbe portata.
“Lecca”.
La carezza della lingua, che subito aveva preso il posto del bacio, le piacque molto. Nessuno le aveva mai leccato i piedi. Solo una volta, durante il sesso, a letto. Non era un atto di sottomissione o, almeno, così non le era parso. Con gli occhi di oggi, forse, tale l’avrebbe interpretato.
La leccata ai piedi durò un tempo che lei non seppe quantificare ma solo descrivere in termini di piacere.
Più volte, lentamente e con apparente pigrizia, quasi stesse facendo un piacere alla ragazza, cambiò piede.
Aveva indossato scarpe di cuoio senza calze, non potevano non avere quel sapore ed il fatto che Monica facesse finta di nulla, come se l’importante fosse la leccata, le trasmise una sensazione che la scaldò ulteriormente.
Provò piacere quando vide Monica che si chinava ancor di più a terra per cercare di leccare la pianta del piede, che lei non accennava ad alzare per godere dello sforzo umiliante.
“A 4 zampe, sii sgabello per farmi vedere la TV”.
Accese l’elettrodomestico su un canale a caso, non le importava quale. Voleva solo godersi il servilismo di una ragazza che offriva il proprio corpo in una posizione umiliante solo per farla stare comoda, rassegnandosi a stare in quella posa in funzione del desiderio e della comodità altrui.
Ogni tanto alzava la gamba e accarezzava la testa col piede, portandolo poi sulla guancia e offrendolo al bacio, per riportarlo in posizione comoda sulla schiena.
I ruoli erano ormai definiti.
“Stenditi qui”.
Indicò a terra davanti a sé.
Apprezzò l’esecuzione dell’ordine in modo fluido, quale oggetto che esegue un comando, senza esitazione ma con quella grazia femminile che è in grado di sedurre in ogni tempo.
Anna ammirò la bellezza della ragazza e, messasi comoda in poltrona, appoggiò sopra i piedi, gustando il corpo morbido e caldo.
In quel momento aveva dimenticato le remore inconsce che l’avevano frenata, non pensava più che quella sotto i suoi piedi era la figlia di una sua amica e, anzi, questa circostanza le diede maggior piacere, aggiungendo un ulteriore nota di segretezza.
C’era solo il piacere da saziare che chiedeva altro piacere, come l’invaso vuoto che necessita di essere colmo di acqua e, per questo, ne chiede in varie quantità e velocità.
Anna volle andare a prendere un bicchiere d’acqua. Non aveva sete. Voleva solo una scusa per compiere una azione ordinaria ed alzarsi in piedi sulla ragazza, schiacciandola sotto il suo peso, sentendo il corpo morbido sotto i piedi.
Dritta su di lei, sul suo dolore, traeva piacere dallo sforzo silenzioso e composto nel reggerla, senza sapere quando sarebbe scesa.
Scese come si scende da un tappeto, senza guardarlo ulteriormente mentre gli si volta le spalle per andare a prendere da bere, sapendo di essere osservata.
Quando tornò, fu presa dalla sorpresa nel trovare la ragazza stesa sul divano e non più a terra.
Rallentò il passo per capirne il significato. Per un attimo pensò che Monica si fosse stufata del “gioco”.
Poi realizzò che la ragazza lo stava accelerando, facendole vedere i confini ampi.
Riprese sicurezza nel raggiungerla e, giunta al divano, si girò e con naturalezza si sedette sul petto della ragazza.
Provò piacere nel sentire l’aria uscire, nel vedere lo sforzo sul viso.
Non si sentiva comoda. Si alzò per spostarsi sul ventre, sicuramente più morbido.
La seconda volta non si sedette con la stessa delicatezza della prima ma, negli ultimi centimetri, si lasciò andare di peso.
Fece male a Monica, che evidentemente non se lo aspettava ma non si scompose. Rimase ferma per servire nella sua nuova funzione, provando piacere nella sottomissione utile per la comodità di Anna che faceva finta di concentrarsi sulla TV per cercare di dare eccitante normalità ad una situazione anormale.
Ad Anna non bastava. Voleva esplorare maggiormente quei confini che parevano lontani e che Monica, con la sua sottomessa passività, le aveva fatto intuire.
Si alzò per (fare finta di) andare a riporre il bicchiere.
Tornata al divano, per sedersi decise di farsi cadere dalla posizione eretta, provocando evidentemente molto male alla ragazza che, questa volta, qualcosa si stava aspettando.
Provò molto piacere nel sentire il gemito di dolore, tutta l’aria uscire ed il suo vano tentativo di proteggersi impedito dalla presenza di lei comodamente seduta.
Monica, dolorante, cercava di resistere per non far perdere comodità a quella che era divenuta ormai la sua Padrona, avendo confini ancora ampi da esplorare ma, quelli visibili, molto ben definiti.
L’invaso del piacere di Anna si stava riempiendo velocemente.
Si sentiva sempre più accaldata in viso ed eccitata.
Dimentica ormai della finzione della TV, guardava il viso sofferente della giovane sotto di sé.
Con finta delicatezza cominciò ad accarezzarlo, con un tocco il cui scopo era quello di evidenziare la differenza sempre più grande delle due posizioni, dei due ruoli, delle sue funzioni.
Monica restava ferma, passiva e la sua docilità fece versare altro piacere nell’invaso dell’eccitazione.
I respiri delle due donne erano corti per diversi ed opposti motivi.
Anna, con due dita, fece girare il viso alla ragazza, in modo che la guancia appoggiasse sul divano.
Voleva sentirla sotto di sé sempre più fortemente, voleva schiacciarla, annientarla, averla.
Si alzò in piedi, sollevò la gonna, si spostò di quel tanto che le consentisse di sedersi sulla faccia della ragazza.
La pelle del viso era accaldata e sudata per lo sforzo della schiava a contatto con la pelle delle sue natiche.
Ne avvertiva la fatica, anche nella respirazione e le piaceva, le piaceva moltissimo.
Le carezze al seno non erano fatte con la finta gentilezza con la quale aveva accarezzato il viso.
Erano carezze per trarre piacere dal tocco di quella eccitante parte femminile, di quei seni ancora freschi e sodi per l’età, diversi dai suoi che, seppur ancora piacevoli, non erano più così.
Li sentiva suoi o, meglio, a lei appartenenti.
La mano andò sul ventre fino a raggiungere la figa della ragazza.
La figa di Anna era bagnatissima.
Ne immaginava gli umori che, attraverso le mutandine sicuramente bagnate, arrivavano sul viso della schiava.
Con le dita si insinuò tra le cosce di Monica e, entrata nel sesso, lo trovò bagnato, pur nello sforzo e nella sofferenza o, anzi, forse proprio per lo sforzo e la sofferenza.
La ragazza sotto di lei era in evidente difficoltà ma lei non accennava ad alzarsi, comoda ed eccitata. Anzi, si muoveva un poco con il bacino per sentire meglio sotto di sé la faccia della giovane.
Ogni cosa ha un limite e lei portò Monica al suo. La schiava non riusciva più a resistere e la fatica richiedeva troppo ossigeno rispetto a quello che la posizione le consentiva di assumere.
Cominciò a divincolarsi ed Anna resistette ancora, come il cowboy che non vuole farsi disarcionare dal cavallo da domare.
Quando capì che la ragazza stava soffrendo troppo, si alzò, fingendosi infastidita per avere dovuto porre termine al divertimento.
Ciò che riempì l’invaso dell’eccitazione fu il rotolio di Monica che dal divano si fece cadere sul pavimento, ancora dolorante e col fiato corto per la fatica, strisciando quei pochi centimetri che la dividevano dai piedi di Anna e che cominciò a leccare scusandosi per avere ceduto.
Fu come se una valanga di acqua fosse entrata nell’invaso ormai colmo oltre la misura.
L’eccitazione fu incontenibile. Col piede, in malo modo mostrando l’urgenza del gesto, fece girare sulla schiena la schiava sul cui viso si sedette cavalcioni dopo essersi tolta le mutandine.
Non ci fu bisogno di ordinare di leccarle la figa.
Mentre riceveva dalla lingua della ragazza il piacere che sentiva esserle dovuto come diritto acquisito, cominciò a torturare con le dita i capezzoli, arrivando anche alla figa che grattò con le unghie.
Pensò solo a sé ed al proprio piacere finché la lingua sotto di lei non la fece godere fortemente, come la diga dell’invaso che crolla e tutta la tensione dell’eccitazione scema in un attimo.
Restò un attimo seduta sulla faccia, che Monica aveva fatto in tempo a girare, per riprendersi.
Aveva le mani sul petto della ragazza appoggiandosi, fino a riprendersi dal piacere provato, inaspettato fino ad un’ora addietro, nuovo.
Tornò a sedersi sul divano e, senza pensarci o, meglio, dando la cosa come scontata, per stare comoda appoggiò i piedi sul corpo a terra.
Sentì il rilassamento che si stava sostituendo all’eccitazione provata.
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