Sottomissione al Dominio (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
Anna osservò quella bella ragazza, resa più nuda dall’intimo sexy, mentre si inginocchiava per toglierle le scarpe.
Provò piacere, quando le prese un piede tra le mani e cominciò a massaggiarlo con una delicatezza che dalle estremità si propagò, come uno tsunami, fino alla figa e poi su, su, fino al centro del piacere.
In quel momento realizzò che Monica, ad un certo punto di quella frequentazione, senza sapere perché e come, aveva iniziato ad essere sempre più presente nel suo mese prima e nelle sue settimane, poi.
Era piacevole la sua compagnia, si trovava bene, non solo per la ventata di giovinezza che una ragazza può portare.
Aveva quel qualcosa di indefinibile che a fatica riusciva a collocare ma che le piaceva.
Il pregiudizio sociale le impediva di riconoscere i segnali che, invece, aveva ben individuato quando aveva avuto un rapporto sessuale prolungato con Eleonora, la sua collega di università.
Era stata una relazione molto eccitante, entrambe fidanzate con ragazzi che tra di loro si conoscevano.
Per fare sesso, si incontravano nella stanza di lei che, provenendo da Ancona, si era stabilita a Milano per gli studi.
Erano passati molti anni da quell'unico rapporto saffico.
L’attrazione non era sufficiente per abbattere la difesa che non le faceva riconoscere ciò che Monica cercava di trasmettere.
Eppure provava piacere quando la ragazza era gentile con lei, scambiando per cortesia la sua offerta di portarle i pacchi, di servirle il caffè al bar ancor prima che il cameriere glielo portasse.
Anna non amava le persone servili, che cercavano di compiacere con un falso atteggiamento coloro dai quali avrebbero potuto avere agevolazioni.
Eppure da Monica quelle attenzioni le piacevano, così come le piaceva il suo bel corpo che le aveva ricordato l’avventura erotica con Eleonora.
C’era di più, però. Le piaceva proprio essere servita e riverita.
Ad Anna piaceva dominare gli uomini, anche se mai aveva avuto un vero e proprio rapporto di dominio. L’atteggiamento autoritario era limitato alla camera da letto. Soggiaceva anche a imposizioni ma più per compiacere il compagno che per eccitazione, preferendo stare sopra.
Non aveva mai approfondito quell’aspetto del suo carattere, trovando comunque appaganti i suoi rapporti sessuali.
Aveva letto di BDSM, era una donna aperta mentalmente ed una volta aveva anche avuto un rapporto con uno uomo che le aveva chiesto di sculacciarlo. Le era piaciuto ma l’episodio restò confinato, senza prosecuzione o indagine ulteriore dentro le sue esigenze.
Nei mesi della frequentazione di Monica, si era scoperta a provocare situazioni nelle quali la ragazza avrebbe potuto servirla e, a volte, sfacciatamente le aveva messo tra le braccia un pacco conservando lei le mani libere, provando piacere nel vedere la sua reazione passiva.
Non avrebbe mai confessato a nessuno, avendo già fatto fatica ad ammetterlo a sé stessa, che aveva provato desiderio verso di lei benché avesse dirottato il pensiero verso Eleonora nel momento in cui si era portata il dito alla figa per masturbarsi.
Gli anni delle avventure universitarie per lei erano finiti.
Quale freno per ogni eventuale pensiero di una nuova relazione, vi era la posizione sociale, il lavoro di responsabilità che, oltre a richiedere in lei un tono formale, le assorbiva molto tempo ed energie, un compagno col quale non conviveva avendo entrambi dato la scusa alla reciproca vicinanza al lavoro se fossero rimasti nelle proprie abitazioni.
L’ultima relazione seria si era conclusa circa 8 anni addietro e adesso, a quasi 45 anni, non aveva proprio intenzione di stravolgere la propria vita, le proprie routine riadattando la casa per ospitare altra persona o, peggio, a fare i bagagli per portarli in altra via della stessa città.
Non ultimo, la frenava il rapporto di amicizia con la mamma di Monica. Si conoscevano da tanto, più o meno da quando aveva terminato la sua relazione anni addietro e si era iscritta in palestra per recuperare tempo per sé.
Il rapporto con Monica era iniziato come un leggero piano in pendenza, sul quale la pallina comincia a rotolare tanto lentamente da non vederla come un problema.
La situazione era sotto controllo.
Quando il piano si era inclinato, quando Monica l’aveva inclinato, ancora non aveva fatto nulla, eppure aveva visto la pallina aumentare la velocità.
Ma era ancora tanto lontana, troppo.
Le cose avevano iniziato a precipitare quando, in negozio, aveva visto Monica in intimo.
Le era piaciuta e l’aveva desiderata.
In quel momento aveva provato solo desiderio e voglia, voglia pura, quella che ti fa sentire la necessità di prendere, toccare, leccare ed essere leccata, avere.
Il piano ora era troppo pendente e la pallina, avvicinandosi, era sempre più grossa, posto che, quando era lontana, le dimensioni percepite non erano quelle reali.
Adesso Monica era lì, inginocchiata davanti a lei, più nuda che protetta da quell’intimo che dava solo la voglia di strapparlo.
Le stava massaggiando i piedi con un tocco particolare, tipico di chi vuole solo dare piacere e, da esso, prendere il proprio.
La testa era più china del dovuto ed i seni esposti, offerti, una parte di femminilità quasi consegnata a lei, seduta, vestita, che traeva piacere da quell’azione che aveva iniziato ad essere umiliante per chi stava a terra ed eccitante per lei.
Il piano inclinato portava direttamente a lei, a loro. La pallina era sempre più grossa.
A quel punto aveva solo la possibilità di spostarsi per evitarla.
Sarebbe stata ancora in tempo per chiederle cosa stesse facendo, dirle di alzarsi, di andare a rivestirsi.
Sarebbe stata brusca, ma avrebbe posto definitivamente fine a qualsiasi cosa quella situazione significasse.
Ma non lo fece, anzi, non ci pensò nemmeno, troppo attratta e avvolta da quella sensazione che si stava propagando in lei, quella voglia di andare avanti a vedere cosa ci fosse dopo la curva, dove portasse quella strada attraverso quali vie, piazze, verso quali stanze.
Rimase ferma, rapita dalla situazione che si era creata, che Monica aveva creato e dove l’aveva portata, inconsciamente cosciente di arrivarci, di essere condotta, a volte stimolando silenziosamente il comportamento di quella giovane, quasi stesse giocando con qualcosa di pericoloso che ora stava scoprendo essere fuoco, energia, calore, eccitazione.
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krugher.1863@gmail.com
Provò piacere, quando le prese un piede tra le mani e cominciò a massaggiarlo con una delicatezza che dalle estremità si propagò, come uno tsunami, fino alla figa e poi su, su, fino al centro del piacere.
In quel momento realizzò che Monica, ad un certo punto di quella frequentazione, senza sapere perché e come, aveva iniziato ad essere sempre più presente nel suo mese prima e nelle sue settimane, poi.
Era piacevole la sua compagnia, si trovava bene, non solo per la ventata di giovinezza che una ragazza può portare.
Aveva quel qualcosa di indefinibile che a fatica riusciva a collocare ma che le piaceva.
Il pregiudizio sociale le impediva di riconoscere i segnali che, invece, aveva ben individuato quando aveva avuto un rapporto sessuale prolungato con Eleonora, la sua collega di università.
Era stata una relazione molto eccitante, entrambe fidanzate con ragazzi che tra di loro si conoscevano.
Per fare sesso, si incontravano nella stanza di lei che, provenendo da Ancona, si era stabilita a Milano per gli studi.
Erano passati molti anni da quell'unico rapporto saffico.
L’attrazione non era sufficiente per abbattere la difesa che non le faceva riconoscere ciò che Monica cercava di trasmettere.
Eppure provava piacere quando la ragazza era gentile con lei, scambiando per cortesia la sua offerta di portarle i pacchi, di servirle il caffè al bar ancor prima che il cameriere glielo portasse.
Anna non amava le persone servili, che cercavano di compiacere con un falso atteggiamento coloro dai quali avrebbero potuto avere agevolazioni.
Eppure da Monica quelle attenzioni le piacevano, così come le piaceva il suo bel corpo che le aveva ricordato l’avventura erotica con Eleonora.
C’era di più, però. Le piaceva proprio essere servita e riverita.
Ad Anna piaceva dominare gli uomini, anche se mai aveva avuto un vero e proprio rapporto di dominio. L’atteggiamento autoritario era limitato alla camera da letto. Soggiaceva anche a imposizioni ma più per compiacere il compagno che per eccitazione, preferendo stare sopra.
Non aveva mai approfondito quell’aspetto del suo carattere, trovando comunque appaganti i suoi rapporti sessuali.
Aveva letto di BDSM, era una donna aperta mentalmente ed una volta aveva anche avuto un rapporto con uno uomo che le aveva chiesto di sculacciarlo. Le era piaciuto ma l’episodio restò confinato, senza prosecuzione o indagine ulteriore dentro le sue esigenze.
Nei mesi della frequentazione di Monica, si era scoperta a provocare situazioni nelle quali la ragazza avrebbe potuto servirla e, a volte, sfacciatamente le aveva messo tra le braccia un pacco conservando lei le mani libere, provando piacere nel vedere la sua reazione passiva.
Non avrebbe mai confessato a nessuno, avendo già fatto fatica ad ammetterlo a sé stessa, che aveva provato desiderio verso di lei benché avesse dirottato il pensiero verso Eleonora nel momento in cui si era portata il dito alla figa per masturbarsi.
Gli anni delle avventure universitarie per lei erano finiti.
Quale freno per ogni eventuale pensiero di una nuova relazione, vi era la posizione sociale, il lavoro di responsabilità che, oltre a richiedere in lei un tono formale, le assorbiva molto tempo ed energie, un compagno col quale non conviveva avendo entrambi dato la scusa alla reciproca vicinanza al lavoro se fossero rimasti nelle proprie abitazioni.
L’ultima relazione seria si era conclusa circa 8 anni addietro e adesso, a quasi 45 anni, non aveva proprio intenzione di stravolgere la propria vita, le proprie routine riadattando la casa per ospitare altra persona o, peggio, a fare i bagagli per portarli in altra via della stessa città.
Non ultimo, la frenava il rapporto di amicizia con la mamma di Monica. Si conoscevano da tanto, più o meno da quando aveva terminato la sua relazione anni addietro e si era iscritta in palestra per recuperare tempo per sé.
Il rapporto con Monica era iniziato come un leggero piano in pendenza, sul quale la pallina comincia a rotolare tanto lentamente da non vederla come un problema.
La situazione era sotto controllo.
Quando il piano si era inclinato, quando Monica l’aveva inclinato, ancora non aveva fatto nulla, eppure aveva visto la pallina aumentare la velocità.
Ma era ancora tanto lontana, troppo.
Le cose avevano iniziato a precipitare quando, in negozio, aveva visto Monica in intimo.
Le era piaciuta e l’aveva desiderata.
In quel momento aveva provato solo desiderio e voglia, voglia pura, quella che ti fa sentire la necessità di prendere, toccare, leccare ed essere leccata, avere.
Il piano ora era troppo pendente e la pallina, avvicinandosi, era sempre più grossa, posto che, quando era lontana, le dimensioni percepite non erano quelle reali.
Adesso Monica era lì, inginocchiata davanti a lei, più nuda che protetta da quell’intimo che dava solo la voglia di strapparlo.
Le stava massaggiando i piedi con un tocco particolare, tipico di chi vuole solo dare piacere e, da esso, prendere il proprio.
La testa era più china del dovuto ed i seni esposti, offerti, una parte di femminilità quasi consegnata a lei, seduta, vestita, che traeva piacere da quell’azione che aveva iniziato ad essere umiliante per chi stava a terra ed eccitante per lei.
Il piano inclinato portava direttamente a lei, a loro. La pallina era sempre più grossa.
A quel punto aveva solo la possibilità di spostarsi per evitarla.
Sarebbe stata ancora in tempo per chiederle cosa stesse facendo, dirle di alzarsi, di andare a rivestirsi.
Sarebbe stata brusca, ma avrebbe posto definitivamente fine a qualsiasi cosa quella situazione significasse.
Ma non lo fece, anzi, non ci pensò nemmeno, troppo attratta e avvolta da quella sensazione che si stava propagando in lei, quella voglia di andare avanti a vedere cosa ci fosse dopo la curva, dove portasse quella strada attraverso quali vie, piazze, verso quali stanze.
Rimase ferma, rapita dalla situazione che si era creata, che Monica aveva creato e dove l’aveva portata, inconsciamente cosciente di arrivarci, di essere condotta, a volte stimolando silenziosamente il comportamento di quella giovane, quasi stesse giocando con qualcosa di pericoloso che ora stava scoprendo essere fuoco, energia, calore, eccitazione.
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