Ridotta in schiavitù, venduta (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
Angélique sapeva che gli schiavi, prima di essere venduti, venivano portati in centri di smistamento.
L’informazione non le arrivava da Maria, la schiava che la sua famiglia aveva posseduto.
Non aveva mai parlato con lei, non le aveva mai rivolto domande su chi fosse, cosa le era accaduto.
Sapeva solo che era una schiava “di prima mano”, ma unicamente perché quello era scritto nel certificato di acquisto.
L’avevano cercata proprio con questa caratteristica in quanto era chic averne una “nuova” e non “usata”.
La schiavitù veniva vista non solo perché utile per la comodità ed il piacere, ma era uno status avere schiave o schiavi con determinate caratteristiche.
Dal momento dell’acquisto, la proprietà di Maria li legittimava tra le persone di una certa importanza. Questo era bastato non solo a lei ma anche ai suoi genitori.
Le informazioni sui centri di smistamento le arrivavano da conversazioni che le sue amiche o i conoscenti ogni tanto facevano, anche se a lei non interessava granché.
Sapeva anche che quelli destinati ai lavori pesanti venivano subito messi in vendita.
Quelli giovani e belli, uomini e donne, venivano invece destinati ai piaceri dei Padroni. Per questi ultimi vi era un periodo di addestramento, nel quale sarebbe stata abbattuta ogni ipotesi di ribellione e, parimenti, sviluppata la servitù e l’uso del corpo per soddisfare bisogni e piaceri.
L’ansia si impadronì maggiormente di lei quando vide che li stavano facendo scendere.
Solo la schiava sedile venne trattenuta perchè, così aveva sentito, nel pomeriggio quel camion sarebbe stato usato per fare un altro giro di raccolta.
La guardia, che l’aveva trovata molto comoda, preferì tenerla per tutta la giornata, non sapendo se nel prossimo giro di raccolta ne avrebbe trovata un’altra altrettanto comoda.
Angélique in quel momento si sentì in colpa per averla odiata, pensando che erano entrambe nella stessa situazione e, probabilmente, quella ragazza se la sarebbe vista peggio di lei.
Vennero fatti scendere senza troppi complimenti, senza lesinare l’uso del frustino.
Qualche colpo lo prese anche lei, benché avesse cercato di essere solerte.
Si rese conto che non venivano picchiati per sadico piacere, posto che ormai quello era lavoro di routine per le guardie, ma solo perché era quasi ora di pranzo ed avevano fretta di consegnare la merce al centro smistamento, far firmare per ricevuta e andarsene a mangiare.
Vennero attaccate le catene ai loro guinzagli senza che le guardie dedicassero tempo a guardare i loro sguardi, senza che potessero sentire il battito dei loro cuori.
Furono divisi in tre gruppi.
Angélique venne destinata al gruppo che radunava schiavi e schiave giovani e belli.
Prima di essere trascinata in fila indiana verso le celle che li avrebbero ospitati nei prossimi giorni, riuscì a mandare un ultimo sguardo a quella che adesso considerava una sua “compagna di viaggio”, per il fatto che con lei, seppur in solitudine, aveva condiviso ansie e tormenti anche solo perché fu l’unica della quale aveva incrociato gli occhi che tutte le altre avevano tenuti bassi.
La guardia stava chiudendo il portellone del camion, lasciando la schiava sedile in posizione per l’uso pomeridiano. Angélique ne intercettò lo sguardo prima di essere strattonata con le altre.
Questa distrazione le valse un altro colpo di frustino.
“Muoviti, bestia, che abbiamo fame”.
Angélique sentì il rumore del portellone posteriore del camion che si chiudeva definitivamente, non solo per la schiava sedile ancora al suo interno, ma anche, simbolicamente, per lei e per tutti gli altri, traghettati dal passato al futuro, da una vita ad un’altra, strappati da quel breve viaggio che rappresentava il loro Acheronte.
Prima di concentrarsi esclusivamente su sé stessa, quale ultimo “ponte” con la vita passata, si chiese quale sarebbe stata la sorte della sua ex-schiava, Maria, ora diventata una schiava di seconda mano e quindi deprezzata sul mercato snob dei Padroni ricchi che non gradivano oggetti usati.
Sarebbe stata probabilmente acquistata da una famiglia meno abbiente che l’avrebbe destinata anche a lavori usuranti, oltre che per il piacere, facendole perdere la sua bellezza.
Cominciò a vedere sé stessa al posto di Maria ed i suoi futuri Padroni al posto della sua famiglia.
Si ricordava dei suoi pensieri quando era lei la Padrona, come considerava la sua come le altre schiave, cioè come oggetti.
Quando la usava, lei come i suoi genitori, pensava solo al proprio piacere, godendo del suo dolore e della sua umiliazione, fino a dimenticarla subito dopo, senza pensare quanto invece sarebbe rimasta dentro alla sua schiava, scavando buche nell’anima che non sarebbero mai state riempite.
Tra pochi giorni o settimane o mesi, sarebbe stata lei l’oggetto di qualche famiglia. Avrebbe magari avuto quale Padrona una ragazza della sua età che l’avrebbe usata a piacimento, senza pensare a lei.
Avrebbe dovuto soddisfare sessualmente qualcuno che molto probabilmente avrebbe potuto avere l’età dei suoi genitori, sempre sperando che non venisse destinata a lavori pesanti.
Ebbe un fugace pensiero in cui si immaginò di essere acquistata dalla stessa famiglia che avrebbe comperato anche Maria, così da divenire “colleghe”, pari grado.
Si immaginò gli occhi carichi di odio e di rancore della sua ex schiava che, a quel punto, non avrebbe più dovuto fare finta di nulla e mascherare i propri sentimenti.
Riflessi in quegli ipotetici occhi vide il proprio pentimento per come si era comprata, per le volte che l’aveva picchiata e umiliata, magari costringendola, per divertimento, a strisciare a terra e leccare i piedi suoi e di tutte le sue amiche.
Ricordò quando, un pomeriggio primaverile di pioggia, lei e le sue amiche costrette a casa dal cambio improvviso del tempo che aveva annullato la gita, si erano ritrovate nella sua stanza.
Decisero di simulare il picnic programmato e, nell’ampio locale di casa sua, avevano aperto i cestini con le provviste.
Prima avevano costretto Maria a 4 zampe e, a turni, le si sedettero sulla schiena cavalcioni per farsi portare come se la schiava fosse una cavalla, frustandola quando accennava a rallentare per la stanchezza.
Al momento del pasto, staccarono pezzi di pane che lanciarono sul pavimento della stanza in posti diversi, ordinando alla schiava di correre, a 4 zampe o strisciando, per raggiungerli e mangiarli dopo averli raccolti da terra con la sola bocca, schernita dalle loro rise di eccitazione e divertimento.
L’ipocrisia che alberga in ciascuna persona le impedì di vedersi così approfonditamente da capire che il pentimento era dovuto solo al fatto che, adesso, lei stessa sarebbe stata nella medesima posizione di Maria. Se non avesse avuto questa disavventura, sicuramente non si sarebbe mai fatta scrupoli verso coloro che erano considerate oggetti di proprietà.
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krugher.1863@gmail.com
L’informazione non le arrivava da Maria, la schiava che la sua famiglia aveva posseduto.
Non aveva mai parlato con lei, non le aveva mai rivolto domande su chi fosse, cosa le era accaduto.
Sapeva solo che era una schiava “di prima mano”, ma unicamente perché quello era scritto nel certificato di acquisto.
L’avevano cercata proprio con questa caratteristica in quanto era chic averne una “nuova” e non “usata”.
La schiavitù veniva vista non solo perché utile per la comodità ed il piacere, ma era uno status avere schiave o schiavi con determinate caratteristiche.
Dal momento dell’acquisto, la proprietà di Maria li legittimava tra le persone di una certa importanza. Questo era bastato non solo a lei ma anche ai suoi genitori.
Le informazioni sui centri di smistamento le arrivavano da conversazioni che le sue amiche o i conoscenti ogni tanto facevano, anche se a lei non interessava granché.
Sapeva anche che quelli destinati ai lavori pesanti venivano subito messi in vendita.
Quelli giovani e belli, uomini e donne, venivano invece destinati ai piaceri dei Padroni. Per questi ultimi vi era un periodo di addestramento, nel quale sarebbe stata abbattuta ogni ipotesi di ribellione e, parimenti, sviluppata la servitù e l’uso del corpo per soddisfare bisogni e piaceri.
L’ansia si impadronì maggiormente di lei quando vide che li stavano facendo scendere.
Solo la schiava sedile venne trattenuta perchè, così aveva sentito, nel pomeriggio quel camion sarebbe stato usato per fare un altro giro di raccolta.
La guardia, che l’aveva trovata molto comoda, preferì tenerla per tutta la giornata, non sapendo se nel prossimo giro di raccolta ne avrebbe trovata un’altra altrettanto comoda.
Angélique in quel momento si sentì in colpa per averla odiata, pensando che erano entrambe nella stessa situazione e, probabilmente, quella ragazza se la sarebbe vista peggio di lei.
Vennero fatti scendere senza troppi complimenti, senza lesinare l’uso del frustino.
Qualche colpo lo prese anche lei, benché avesse cercato di essere solerte.
Si rese conto che non venivano picchiati per sadico piacere, posto che ormai quello era lavoro di routine per le guardie, ma solo perché era quasi ora di pranzo ed avevano fretta di consegnare la merce al centro smistamento, far firmare per ricevuta e andarsene a mangiare.
Vennero attaccate le catene ai loro guinzagli senza che le guardie dedicassero tempo a guardare i loro sguardi, senza che potessero sentire il battito dei loro cuori.
Furono divisi in tre gruppi.
Angélique venne destinata al gruppo che radunava schiavi e schiave giovani e belli.
Prima di essere trascinata in fila indiana verso le celle che li avrebbero ospitati nei prossimi giorni, riuscì a mandare un ultimo sguardo a quella che adesso considerava una sua “compagna di viaggio”, per il fatto che con lei, seppur in solitudine, aveva condiviso ansie e tormenti anche solo perché fu l’unica della quale aveva incrociato gli occhi che tutte le altre avevano tenuti bassi.
La guardia stava chiudendo il portellone del camion, lasciando la schiava sedile in posizione per l’uso pomeridiano. Angélique ne intercettò lo sguardo prima di essere strattonata con le altre.
Questa distrazione le valse un altro colpo di frustino.
“Muoviti, bestia, che abbiamo fame”.
Angélique sentì il rumore del portellone posteriore del camion che si chiudeva definitivamente, non solo per la schiava sedile ancora al suo interno, ma anche, simbolicamente, per lei e per tutti gli altri, traghettati dal passato al futuro, da una vita ad un’altra, strappati da quel breve viaggio che rappresentava il loro Acheronte.
Prima di concentrarsi esclusivamente su sé stessa, quale ultimo “ponte” con la vita passata, si chiese quale sarebbe stata la sorte della sua ex-schiava, Maria, ora diventata una schiava di seconda mano e quindi deprezzata sul mercato snob dei Padroni ricchi che non gradivano oggetti usati.
Sarebbe stata probabilmente acquistata da una famiglia meno abbiente che l’avrebbe destinata anche a lavori usuranti, oltre che per il piacere, facendole perdere la sua bellezza.
Cominciò a vedere sé stessa al posto di Maria ed i suoi futuri Padroni al posto della sua famiglia.
Si ricordava dei suoi pensieri quando era lei la Padrona, come considerava la sua come le altre schiave, cioè come oggetti.
Quando la usava, lei come i suoi genitori, pensava solo al proprio piacere, godendo del suo dolore e della sua umiliazione, fino a dimenticarla subito dopo, senza pensare quanto invece sarebbe rimasta dentro alla sua schiava, scavando buche nell’anima che non sarebbero mai state riempite.
Tra pochi giorni o settimane o mesi, sarebbe stata lei l’oggetto di qualche famiglia. Avrebbe magari avuto quale Padrona una ragazza della sua età che l’avrebbe usata a piacimento, senza pensare a lei.
Avrebbe dovuto soddisfare sessualmente qualcuno che molto probabilmente avrebbe potuto avere l’età dei suoi genitori, sempre sperando che non venisse destinata a lavori pesanti.
Ebbe un fugace pensiero in cui si immaginò di essere acquistata dalla stessa famiglia che avrebbe comperato anche Maria, così da divenire “colleghe”, pari grado.
Si immaginò gli occhi carichi di odio e di rancore della sua ex schiava che, a quel punto, non avrebbe più dovuto fare finta di nulla e mascherare i propri sentimenti.
Riflessi in quegli ipotetici occhi vide il proprio pentimento per come si era comprata, per le volte che l’aveva picchiata e umiliata, magari costringendola, per divertimento, a strisciare a terra e leccare i piedi suoi e di tutte le sue amiche.
Ricordò quando, un pomeriggio primaverile di pioggia, lei e le sue amiche costrette a casa dal cambio improvviso del tempo che aveva annullato la gita, si erano ritrovate nella sua stanza.
Decisero di simulare il picnic programmato e, nell’ampio locale di casa sua, avevano aperto i cestini con le provviste.
Prima avevano costretto Maria a 4 zampe e, a turni, le si sedettero sulla schiena cavalcioni per farsi portare come se la schiava fosse una cavalla, frustandola quando accennava a rallentare per la stanchezza.
Al momento del pasto, staccarono pezzi di pane che lanciarono sul pavimento della stanza in posti diversi, ordinando alla schiava di correre, a 4 zampe o strisciando, per raggiungerli e mangiarli dopo averli raccolti da terra con la sola bocca, schernita dalle loro rise di eccitazione e divertimento.
L’ipocrisia che alberga in ciascuna persona le impedì di vedersi così approfonditamente da capire che il pentimento era dovuto solo al fatto che, adesso, lei stessa sarebbe stata nella medesima posizione di Maria. Se non avesse avuto questa disavventura, sicuramente non si sarebbe mai fatta scrupoli verso coloro che erano considerate oggetti di proprietà.
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