Ridotta in schiavitù, venduta (parte 4)

di
genere
sadomaso

Venne chiusa in una cella con altre schiave, a ciascuna delle quali spettò un pagliericcio posato a terra.
La prima cosa che impararono fu che all’ingresso di un qualsiasi addestratore, avrebbero dovuto mettersi in ginocchio con la fronte a terra. L’ultima che avesse trovato la posizione avrebbe ricevuto 5 frustate, seduta stante, davanti alle altre costrette ad assistere.
Impararono così che gli ordini vanno eseguiti il più velocemente possibile in quanto la loro attenzione avrebbe dovuto essere rivolta unicamente alle esigenze dei Padroni.
Gli addestratori entravano anche di notte, non per crudeltà o divertimento, ma per far capire alle schiave che anche nel sonno avrebbero dovuto avere sempre in mente l’obbedienza.
Nella loro futura vita sarebbe sicuramente accaduto di essere svegliate d’improvviso per soddisfare una esigenza dei loro proprietari e avrebbero dovuto farsi trovare pronte e reattive.
Era iniziato l’addestramento per ottenere la totale sottomissione, quella che lei aveva tanto apprezzato in Maria senza però chiedersi come fosse stata ottenuta.
Le venne in mente che non l’aveva mai chiamata per nome, sempre “schiava” o “cagna”. Non seppe nemmeno dire di che colore avesse gli occhi.
Alla stessa domanda, formulata un giorno ai suoi futuri Padroni, nessuno molto probabilmente avrebbe saputo dare la risposta, né la cosa sarebbe comunque stata di interesse.
Benchè nessuno glielo avesse detto, evidentemente era stata destinata alla vendita come schiava di piacere, così come lei e la sua famiglia avevano preteso da Maria alla quale non chiese mai come era stata addestrata, prendendo per scontata la sua schiavitù, la sua bravura nell’inginocchiarsi e di offrire il proprio corpo al piacere o alla comodità dei Padroni, magari come sgabello per le gambe o come poggiapiedi davanti alla tv, di offrirsi alle frustate o al dolore che per divertimento le venivano imposte.
Non seppe dire quanto tempo fosse rimasta in quella “scuola”.
I giorni erano un susseguirsi incessante di esercizi fisici per rassodare e irrobustire il corpo, ed esercizi di sottomissione.
Ogni tanto incrociavano gli altri gruppi di schiavi durante l’addestramento.
Era capitato che venissero destinate al servizio a tavola dei Padroni, ai quali dovevano offrire i piatti e subito inginocchiarsi, gambe larghe e petto in fuori, in attesa di ulteriori ordini.
In quelle occasioni ogni tanto videro che i Padroni/addestratori usavano schiavi e schiave a 4 zampe come sedie, seduti sulle loro schiene mentre consumavano tranquillamente i pasti.
La prima volta che li vide si spaventò, ben sapendo che la sua esile corporatura non le avrebbe consentito di sopportare il peso su di sé e subito pensò alle punizioni.
Poi realizzò che erano sicuramente tutti appartenenti al gruppo degli schiavi giovani ma robusti e forti.
Non solo i maschi, infatti, erano muscolosi, ma anche le femmine erano tutt’altro che esili benché non grasse, bensì sportive e robuste. Probabilmente quell’uso rientrava nell’allenamento degli schiavi che, come ebbe modo di vedere, soffrivano per lo sforzo.
Qualche volta qualcuna cedeva sotto il peso dei Padroni e veniva subito punita, davanti agli altri. Al termine della punizione doveva riprendere subito il suo posto quale sedile umano ma, provata dal precedente sforzo e dalla punizione, cedeva nuovamente. Al termine del pranzo padronale, le schive e gli schiavi erano provatissimi.
Angélique, alzando appena gli occhi, vedeva quanto stessero tremando per lo sforzo di non cedere e far stare comodi i Padroni.
Alcuni erano molto più resistenti ed immaginò che fossero in quella scuola già da un po’ di tempo, così da avere acquisito maggiore forza e resistenza.
Non era l’uso in sé, benchè utile all’addestramento ed all’eventuale uso futuro dopo essere stati acquistati, quanto la comprensione di essere solo oggetti, pezzi di arredamento che, in quanto tali, avrebbero dovuto svolgere la loro funzione fino in fondo.
Li incontrò ancora, qualche volta, nel cortile, dove stavano facendo allenamento quali ponygirl o ponyboy, trascinando calessi anche grossi sui quali erano seduti gli addestratori che, attraverso briglie e frusta, si facevano portare, sempre attenti anche alla postura dei cavalli umani.
Un giorno lei ed un’altra schiava si trovavano, per ragioni di servizio, in cortile.
Era in corso un addestramento molto duro.
Tutti i cavalli umani, femmine e maschi, vennero attaccati ad una pesante carrozza.
Il ruolo di cocchiere era svolto da una Padrona che Angélique riteneva fosse la più crudele.
La donna aveva una frusta molto lunga per cavalli che, come dimostrò, sapeva maneggiare molto bene.
Il gradino per salire in carrozza era alto. La Padrona si guardò in giro e vide loro due. Fece cenno alla sua compagna di avvicinarsi.
Nella scuola quella schiava veniva chiamata come n. 14, numero che, al pari di tutte, le era stato disegnato sul seno e su una natica. Era più esile di lei e, probabilmente, più giovane di un paio di anni.
La Padrona, abbastanza robusta, aveva chiamato la più debole per farle svolgere il ruolo di sgabello. Fatta accucciare a terra, le salì in piedi sulla schiena per poi issarsi al posto di guida.
N. 14 rimase ferma fino a quando la Padrona, che aveva iniziato a frustare i cavalli, aveva messo in movimento la carrozza, seppur a fatica visto il peso.
Nessuno sapeva quanto fosse il tempo di permanenza in quella struttura. Ogni tanto ne mancava qualcuna ed altre si aggiungevano.
Angélique non parlava con le altre schiave nella sua cella. Nessuno in cella parlava. Questo era l’ordine delle guardie. Nemmeno durante l’addestramento avevano modo di scambiarsi informazioni, notizie, considerazioni.
Si sentiva sola e, immaginava, anche le altre e gli altri vivevano la stessa sensazione. Durante le ore notturne, quelle poche sottratte al sonno in quanto la stanchezza era tale da far precipitare nel riposo, aveva modo di pensare a sé, alla sua vita di adesso e a quella precedente.
Lo sconforto era forte e le mancava l’assenza di dialogo, fosse anche solo per fare uscire quel peso che la opprimeva.
Realizzò che anche quello faceva parte dell’addestramento.
La solitudine le rendeva deboli e, quindi, si sarebbero attaccate maggiormente alla soddisfazione degli unici esseri umani che avrebbero avuto modo di vedere, frequentare, dai quali dipendevano in ogni cosa, anche per l’assenza del dolore.
Non sapeva se queste fossero le effettive motivazioni. Forse sì, forse no, Forse era dettato solo dal sadismo e dal piacere di vessare quelle ex-persone.
Fatto sta che si sentiva dipendente dagli umori dei Padroni/addestratori e faceva di tutto per assecondarli. Si chiedeva quale fosse il pensiero e la sensazione delle altre, ma era costretta a restare senza risposta e, così, a trarre sempre maggior convincimento dalle proprie sensazioni mai confrontate.
Vedeva che anche le altre schiave e schiavi erano sempre più solerti nell’obbedire e soddisfare al meglio, ma non ne conosceva le emozioni, sempre più isolata.
Trovava una sorta di conforto nelle riflessioni introspettive, nell’analizzare gli effetti degli addestramenti su di sé, sulla sua volontà, sui suoi comportamenti.
Al momento viveva gli atti cui era sottoposta con il solo desiderio di eseguire al meglio l’ordine, provando sollievo quando vedeva la soddisfazione dei Padroni e tensione quando, invece, ne avvertiva la contrarietà.


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krugher.1863@gmail.com
di
scritto il
2022-10-19
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