Anniversario
di
RunningRiot
genere
etero
Se volete, fatevi due conti. Se no, non fa niente, ci mancherebbe. Mi capitano delle cose talmente curiose, inusitate, strane, che faccio fatica io stessa a raccapezzarmici, figuriamoci se pretendo che lo facciate voi. Ogni mattina mi sveglio al suono gracchiante del telefono, le rane. Ogni mattina penso che debbo cambiare suoneria. Accanto al telefono trovo sempre lo stesso pacchettino che la sera prima non c'era. C'è un post-it con una firma: "M.", mia sorella. Nel pacchettino c'è una scatolina, nella scatolina c'è un anellino. Sottile, ma è oro. Con una pietra verde, smeraldo. Lo infilo quasi sotto choc perché è il primo vero anello della mia vita. Corro in cucina da mamma e chiedo di Martina, ma lei è già' uscita con papà. Avanzo verso mia madre con il braccio teso e la mano bene in vista. Lei sorride come se dicesse "lo so, lo so", poi domanda: "Allora, tesoro, come ci si sente ad avere diciotto anni e un giorno?".
Sono circa 1.600 risvegli che questa specie di giorno della marmotta si ripete sempre uguale a se stesso. Circa 1.600 risvegli che compio diciotto anni più un giorno. Dormo da una mia amica o vado fuori per il fine settimana? Sempre nel mio letto finisco per svegliarmi la mattina. Sempre con le solite rane, l'anellino, mamma. Poi, conclusa questa scena, cambia tutto: i luoghi, le stagioni, i vestiti, le spiagge, i prof e, man mano che i giorni vanno avanti, le compagnie e gli argomenti di conversazione. Questi ultimi, in particolare, negli ultimi tempi sono diventati bizzarri.
"Che schifo, ma come fate a fare i pompini...", "mah, insomma… si fa su e giù con la bocca, se non hai presente...". "Oddio... bleah...". "Perché bleah?". "Gio mi ha raccontato che una sua amica adora gli schizzi, fa l'artistico ahahahah, secondo me era una cazzata solo perché voleva farsene fare uno". "E tu gliel'hai fatto?". "Certo che gliel'ho fatto, ti pare che voglio essere da meno di una dell'artistico? Metti che non era una cazzata...". "E i capelli? Tu ce li hai corti, ma io li devo legare, mi cascano". "Devi avere anche una buona apnea, perché a un certo punto ti dimentichi di respirare ahahahah... però vengono meglio".
Solo l'ultima, quella dell’apnea, è mia. Giusto un po' eccessiva. Per il resto immaginatevi una placida conversazione tra ragazze perbene spiaggiate su poltrone, divani e tappeti del salotto di una casa perbene. "Dovremmo chiamare Francesco e dirgli se ci porta un paio di canne". "E per ringraziarlo fargli fare il giudice di una gara...". Ok, anche quest'ultima è mia, la capirete.
Ma mica siamo un gruppo di troie, eh? Siamo ragazze normalissime e lo restiamo anche quando – dopo che i tè sono stati snobbati - qualcuna tira fuori una bottiglia di grappa marca “l’ho solata a mio padre, tanto gliel’avevano regalata”. Perché una delle strade verso la parità è quella dell’alcol che ti scende nello stomaco e ti finisce nel sangue. Pure a noi, mica solo ai maschi. Chi l’ha detto, dove sta scritto? Che poi, semmai, ai maschi piacerebbe sentire i nostri discorsi dopo un po’ che il tappo della bottiglia è saltato. Giusto, bravo, siediti lì, ascolta e fatti una sega, ché io un ragazzo che si fa una sega ancora non l’ho mai visto e sono curiosa. Siamo ragazze normalissime interessate al cazzo e qualcuna, sostiene, anche alla fica, non si capisce se per davvero o perché è trendy. Ragazze normalissime, perché a diciotto anni più un giorno è normale fare certi pensieri, perché è normale confidarseli ed è normale esagerare. Perché prima o poi tutte ci siamo scaldate le fregne intonse navigando su Internet e pensando “oddio, e se mi capita UNO COSI’?”. Ragazze normalissime che bevono e parlano di pompini, oh yes.
È vero, tra di noi c’è qualcuna che è andata oltre, che ha scopato. La mia migliore amica, Stefy, di sicuro. Un altro paio, probabile. Un’altra, insospettabile buzzicozza (non per fare body shaming, ma il ruolo di narratrice me lo impone), quando facevamo il terzo si è addirittura prostituita, ma questo lo saprò solo tra un paio di anni e ancora oggi non ci posso credere. Altre due o tre, mmm… forse millantano. Però se si parla di pompini magari ne so qualcosa, non faccio per vantarmi. Anzi no, non mi vanto proprio, non mi è mai piaciuto vantarmi di questo, non di fronte a una platea così ampia. In via riservata, più ristretta, magari vantarmi no ma raccontare sì. E cazzo, sennò che gusto c’è?
Isella, una mia compagna di classe metà stronza e metà invidiosa, mi ha appiccicato addosso la battuta di un film. Il film non l'ho visto però la battuta già la conosco e, ammetto, non è neanche male: spiaggia libera, chiunque arriva ci piazza l'ombrellone. D’accordo, ma vorrei precisare che “spiaggia libera” è un’esagerazione, dai, passa tra qualche mese e ne riparliamo. Tuttavia sì, dalla scorsa primavera ho cominciato a non farmi tanti problemi. Prima erano cose, diciamo così, abbastanza sporadiche. Ero più che altro orgogliosa di essere l'unica a ingoiare, tra quelle che conoscevo, ma non è che facessi molta roba. Poi invece ci ho preso proprio gusto, ho capito che mi piace da morire. E mi piace anche cambiare palestra dove allenarmi.
È vero però che le voci girano. Personalmente, a me frega cazzi, ma riconosco che in seguito qualche problema questa cosa me lo darà. Per il momento me ne disinteresso, anzi ci trovo anche il lato positivo. Nulla mi toglierà mai dalla testa la convinzione che è stata proprio questa nomea che comincia ad accompagnarmi a far dire a un mio amico “lo sapevo che eri un po’ troia”. Un attimo dopo se ne era pentito e mi aveva anche chiesto scusa, senza nemmeno immaginare la scarica tra le gambe che – mentre finivo di mandare giù la sua roba - quell’insulto mi aveva provocato. Il motivo non lo capii e ci misi un bel po’ per capirlo. Ci misi invece cinque secondi a capire che mi piaceva essere chiamata così (o sinonimi), e non avete idea dei ditali che mi sono fatta con quelle parole nelle orecchie che facevano volare la fantasia. Che peraltro, a diciotto anni e un giorno, vola un po’ dappertutto, non solo nei dintorni del sesso. Perché nel mondo ci sono millanta milioni di altre cose e dentro la tua testa forse anche di più.
Una delle fantasie è questa: ubriacarmi la notte su una panchina con qualcuno, amica o amico che sia, non importa. Ma in due, tre al massimo, non il solito megagruppo. È un po’ idiota, lo ammetto, ma una a volte è attratta dalle idiozie. Naturalmente, quando dico “la notte” mica intendo sul serio “tutta la notte”. I miei sono di larghe vedute, ok, ma sai il culo che mi fanno se gli combino una cosa del genere… Per “notte” intendo le due e mezza, le tre. Al massimo. L’occasione si presenta dopo pochissimi giorni dall’inizio della scuola, senza che ci sia nulla di programmato. Posso dire che ci scivolo dentro senza accorgermene. Quando me ne accorgo, e sono già un po’ brilla, vorrei poter tornare indietro, ma a quel punto mi pare brutto.
Mi ritrovo accanto a Brochicco dopo che i suoi amici si sono mano a mano defilati. Vigliacchi. No, non è che sto Brochicco mi stia sul cazzo, anzi. Ma stasera è un accollo. Perché? Beh, perché lui e la sua ragazza si sono mollati, ecco perché. Ho notato che, più uno va avanti con gli anni, più tende a sminuire questi amori liceali. Come se, che ne so, quando stai all'università quelle sì che sono storie serie, Grandi Amori. Se fate anche voi così, beh, lasciatevelo dire: è una cazzata. Certe infatuazioni e certi dolori sono reali a qualsiasi età. Voglio dire, Brochicco soffriva proprio. Quindi, la mia fantasia di ubriacarmi la notte su una panchina con qualcuno si realizza, sì, ma con un qualcuno che mi piange letteralmente sulla spalla tutto il tempo. Per la precisione: nell'incavo tra il collo e la spalla. Quanto all'alcol, lo Jaegermeister devono averlo inventato apposta per occasioni come queste, sennò non si spiega perché lo vendono. Lui comunque è molto carino perché alla fine insiste per accompagnarmi a casa, ci contavo anche se non ci speravo. Sarà poco meno di un chilometro, ma alle due di notte... "Oh, mò 'n te suicidà però, eh?": bacetto sotto il portone e via. La mattina dopo, a scuola, siamo due fantasmi in after da Jaegermeister. La sera, invece, ci ritroviamo a pomiciare sulla stessa panchina. "Mi ha fatto bene parlare con te", e stavolta il bacetto mi arriva sulle labbra, insieme alla sensazione un po' sgradevole di essere il classico chiodo che scaccia un altro chiodo. "Senti, Brochì, già hai preso 'na tranvata...", "no dai, giusto per stare un po' insieme". Quel "giusto per stare un po' insieme" si traduce ben presto in un lingua in bocca e in una mano sotto la maglietta, il tutto sulla la panchina della sera prima. E stavolta non è nemmeno buio. La sua ormai ex la conosco vagamente, non ho nessun giudizio particolare su di lei, nessuna ostilità preconcetta. Tuttavia per la prima volta avverto una sensazione di competitività che mai avevo provato prima, non così forte almeno. Sarà che quando Bro mi abbassa la coppa del reggiseno mi rendo conto che non gli riempio la mano come gliela riempiva lei, questo è poco ma sicuro, però il fatto che me la cerchi e che mi pacchi la tetta in quel modo mi piace. Disclaimer con la sua faccia tra le mie mani: "Senti, io non ho proprio intenzione di avere una storia con te, ok?". Il suo cenno di assenso non so quanto sia consapevole, perché mentre lo fa continua a guardarmi le labbra, però è sufficiente, quello che dovevo dire l'ho detto. E subito dopo sono io che lo bacio con una certa furia: ok, adesso pomiciami. Magari pomiciami su un'altra panchina, ne conosco una, l'ho già provata, è praticamente nascosta a tutti. Strusciami la mano tra le gambe, mi piace. Fammi salire a cavallo e strusciare il mio "tra le gambe" sopra il tuo "tra le gambe", mi piace. Magari tu non te ne accorgi di quanto sia eccitata sotto i jeans, ma io invece lo sento quanto tu sei eccitato sotto i tuoi. Perciò, liberiamolo. Lascia, faccio io. Impugniamolo, faccio io. Sbaciucchiamolo, faccio io. Quando mi chino non ci penso più alle possibili implicazioni sentimentali, faccio solo una cosa che mi piace fare tantissimo e che – anche se il timore di commettere errori ce l'ho ancora – ogni volta che la faccio mi sento più brava. Tanto brava che devo reprimermi per non domandargli "lei te li fa(ceva) così?". Non lo chiedo, ripeto, ma credo proprio che quel gusto particolare di rendere fedifraghi i ragazzi si manifesti per la prima volta proprio questa sera. Ho una voglia terribile di saperlo, ho soprattutto una voglia terribile di sentirmi dire che no, che i miei sono migliori. Ho una voglia che annego dentro la più banale delle domande: "Ti piace come te lo succhio?". Sì, lo so che stai per sborrare, io proprio quello volevo. Grazie per l'avvertimento, ma non ce n'era bisogno. Dedicherò a quel tuo scatto e a quel tuo sospiro secco il ditale della buonanotte.
Ecco, adesso veniamo al "core" della vicenda ("core" detto all'inglese, non alla romana). Sì, questa era l'introduzione. Un po' lunga, eh lo so. Ma io sono verbosa. Però immaginate come sarebbe stato scarno arrivare a questo punto scrivendo semplicemente: una sera ho consolato un mio amico sopra una panchina e la sera dopo gli ho fatto un bocchino. Ok, rende l'idea, per certi versi sarebbe stato un attacco fulminante, ma solo a patto di continuare sulla stessa falsariga. Altrimenti il racconto sarebbe una tristezza...
Però è proprio da quella "consolazione" che nasce la storia, oltre che dalla mia fantasia di ubriacarmi sopra una panchina in compagnia di qualcuno. Me ne sono ricordata chattando qualche giorno fa con una mia amica: 22 dicembre, dieci anni tondi tondi. Ecco perché il racconto si chiama "Anniversario". Sono andata a controllare, eh? Mica c'ho sta memoria. Era il sabato prima di Natale.
Festa, di quelle che ti devastano casa. E infatti col cazzo che la casa è la mia. Festa di quelle che ti devastano lo stomaco e il cervello, di quelle che non sai nemmeno più cosa e quanto hai bevuto, che non sei stata certo a badare di non scendere mai di gradazione alcolica (che poi, boh, a me è sempre sembrata una cazzata). Festa di quelle che vai a pisciare e ti ci addormenteresti là sopra, se non lo fai è perché non ti ricordi se hai chiuso la porta. Festa di quelle che, mentre esci dal bagno, il bagno ti gira attorno.
"Stai bene?". "Sì sì, benissimo". "Vieni, va'". Ed è così che ti ritrovi stesa su un letto di una camera che non hai mai visto prima. E inoltre, te ne rendi conto solo un po' dopo, stai anche con un tizio che non hai mai visto prima. Capisci solo che è più grande, avrà quattro-cinque anni più di te, a occhio, boh.
“Scusa, ma se sto stesa allora sì che mi sento male”. “Non ti preoccupare, mettiti così”. Il suo “mettiti così” prevede la seguente manovra: stendersi sul letto accanto a me e, poiché il letto è stretto, far rotolare la sottoscritta sopra di lui. “Ehi, ma…”. “Sta buona e respira, non c’avrai mica paura…”. Paura? Io? Ma figuriamoci! Non ho paura di niente, io! “Perché dovrei avere paura, scusa? Come ti chiami?”. “Valerio, sono il fratello di Francesco”. “Francesco?”.
Spiegazione per boomer e semi-boomer: ve lo ricordate Brochicco, quello del pompino sulla panchina? Bravi. Beh, Brochicco mica è il cognome, e nemmeno il nome. È un appellativo che esce fuori se incollate “bro”, brother, e Chicco. Chicco cioè Francesco, appunto. E questo è suo fratello e la casa che stiamo devastando (io nemmeno tanto, ma altri sì) è la loro. Cioè, dei loro genitori, poveracci. E dimenticavo, magari non ve ne frega un cazzo ma, a questo punto della vicenda, Brochicco ci si è rimesso insieme a quella, eh? Non durano fino alla fine dell’anno scolastico, questo ve lo posso spoilerare, ma intanto sono di là che pomiciano.
"Ti diverti?". "Sì". "Sai che sei carina, tu come ti chiami invece?". "Annalisa". "Ah già". "Perché ah già?". "Niente, avevo sentito fare il tuo nome, forse quando sei arrivata...". Guardate che, sei hai diciotto anni e un giorno, è abbastanza lusinghiero che un ragazzo così grande e che fa l'università ("che studi?", "giurisprudenza") ti faccia la corte in questo modo. Perché che ci stia provando è chiaro: ubriaca sì, scema no. E, allo stesso tempo, non è esattamente vero che non hai paura. Cioè, proprio paura forse no ma un filino di tensione sì, senz'altro.
"Perché mi tocchi il culo?". "Perché mi piace accarezzarlo, me lo dai un bacio?". "La tua fidanzata che direbbe?". "Lei stasera non c'è...". "Come mai?". "È via, e poi la festa l'ha organizzata Francesco". "Tu mi sa che non vuoi solo un bacetto" (scema no, ubriaca sì, ma con un barlume di vigilanza). "Ahahahah no, voglio solo un bacetto... aspetta, mettiti così".
Questa volta il suo "mettiti così" prevede una cosa che comincio a conoscere bene, ovvero quando mi fanno sentire il pacco. Sono sdraiata su di lui, lo bacio e lo sento abbastanza nettamente. Le mani sul culo diventano due, stringono e mi spingono verso di lui. Beh, ok, è una limonata e mi piace pure, dopo un po' mi struscio anche io. Tette contro petto, soprattutto, ma a volte anche contro il suo pacco. Ben presto mi rendo conto che, sì, lui mi stringe a sé, ma che io gli ondeggio sopra. È bello, sto bene e i baci non solo li accolgo ma li cerco. Pomiciare su un letto è una ficata. Anche quando mi abbassa i leggings e mi scopre il sedere è una ficata. Qualche mano sotto una gonna sì, me l'hanno piazzata, ma è la prima volta che qualcuno mi denuda così spudoratamente le natiche. "Che culetto che c'hai". "Ti piace?". "Ammazza...". Gli apprezzamenti li gradisco, e anche le sue mani che me lo accarezzano. Quello che mi piace molto meno, al contrario, è quando una mano si dirige tra le cosce. So cosa intende fare - un paio di volte ci hanno già provato - ma io non ho la minima intenzione di lasciarglielo fare. Se non è panico ci manca poco: "No-no-no! Lì no!". Nel senso: "lì sì" se restassi sopra le mutandine, "lì no" se si va sotto, pelle contro pelle.
Nuova spiegazione: ho il terrore di essere violata. Quando mi tocco, mi sgrilletto e basta proprio perché ho paura di perdere il controllo e di combinare un bordello, se mi struscio lo faccio con un cuscino. Naturalmente, come tutte, anche io ho provato a vedere fin-dove-si-arriva, e quando l'ho fatto era come stare sul filo spinato. O come camminare sulle uova. È una specie di fobia. "Sangue poco, me l'ero già sfondata a furia di ditalini ahahahah". Ecco, a differenza dell'amica che me lo ha raccontato ho una concezione diversa della prima volta.
La sorpresa di Valerio mi appare genuina. Anche logica, visto il punto cui ci siamo spinti e in modo così rapido: "Perché non ti va?". "Non mi va". Punto. Non è particolarmente facile in quella situazione, eh? Cioè, sarebbe facile se avessi davanti, che ne so, un prete, lo rivendicherei anche con fierezza: "Beh, padre, io sono pura". Poiché però è da un po' che di preti non ne frequento, il contesto è assolutamente ribaltato e ammettere che non hai mai preso dentro nessuno risulta persino imbarazzante, soprattutto con un ragazzo più grande che si sarà fatto sto mondo e quell'altro (poi, più vai avanti e più scopri che la condizione di ragazzo-più-grande-che-si-è-fatto-sto-mondo-e-quell'altro non è così diffusa, ma ora che ne so?). "Dai, non ti va?", "sì, ma la mano tienila sopra le mutande". Che cazzo, sì che mi va, mi piaceva tanto, però non in quel modo, mi prende il panico. E pomiciare con il panico addosso non credo sia possibile. "Scusa un attimo, ma sei vergine?". Bravo, e soprattutto grazie di avere pronunciato tu quelle tre sillabe. Ciò non significa che non diventi rossa in faccia da poterci accendere una sigaretta, ok, ma grazie lo stesso.
"Come è possibile?". Cioè, no, un momento, in che senso "come è possibile?". Andavi così bene! Certo che è possibile, ci si nasce, sarà possibile, no? Questo è ciò che penso a botta calda. Un paio di secondi dopo mi rendo conto che il suo ragionamento non è poi così sorprendente: ti sei stesa su uno di cui cinque minuti fa ignoravi l'esistenza, ti sei fatta baciare, ti sei fatta abbassare i leggings sul sedere... beh, un'idea se la sarà fatta, no? Direte: è chiaro che si è fatto un'idea. Ok, in parte avete ragione e in parte no. Non è che non mi è mai capitato di sedermi sulle gambe di un ragazzo o, per dire, stendermi su un divano su ben tre amici, sentendo per giunta una mano sulle cosce. Però in sé non significa niente, soprattutto quando si sta in gruppo c'è una fisicità nei rapporti che non prelude assolutamente a quello che pensate. D'accordo, magari inconsapevolmente gli ormoni si sono scatenati e stanno organizzando un party, e magari più tardi qualche amica ti dirà "Annalì, l'ho visto come ti strusciavi, che troia!", ma vi assicuro che in quelle occasioni l'elemento "sesso" è molto ma molto sullo sfondo, lo sa pure la tua amica, e quando ti dice "che troia", sostanzialmente, scherza. In questo caso no, nessuno scherzo. Valerio è fisiologicamente certo - o per meglio dire, lo era - che stavate per passare alla fase "dammela"/"non vedo l'ora". Dico "fisiologicamente" perché è proprio la sua fisiologia maschile che lo rivela. Io capisco tutto, figuriamoci, ma lo capisco con un certo disagio interiore.
E niente, in pratica finirebbe qui se non fosse per l'intervento di quello che nelle tragedie greche si chiama deus ex machina. La porta della stanza si apre ed entra L'Altro, che resta interdetto per quelle poche frazioni di secondo che mi servono per coprirmi il sedere. Dopo di che l'attenzione mia e quella di Valerio si concentrano su di lui, e lui può dire la sua battuta di ingresso: "Ahò, quindi ce l'hai fatta".
Cioè? Aspetta-aspetta-aspetta, che vuol dire "ce l'hai fatta?". Guardo la faccia di Valerio a dieci centimetri dalla mia impostando un'espressione tipo "significa che se stiamo messi così non è un caso?". Non è che mi prenda paura, ma se esiste una posizione intermedia tra quel "filino di tensione" di cui parlavo prima e la paura, beh, è quella. Mi prende la testa e mi bacia, ma mica basta così poco: accetto il bacio e mi struscio pure un po', però quando ci stacchiamo il mio sguardo interrogativo ritorna, magari un po' obnubilato ma ritorna. "Ok, non dovevo provarci? Sei bella, vero che è bella?", chiede Valerio all'amico. La risposta arriva rivolta direttamente a me: "Sei sorca, e che culetto! È un peccato che te lo sei coperto".
A leggerla così, soprattutto in un ambiente di racconti porno, è chiaro che ci sarebbe da prendere e da scappare via urlando, anche per una puttanella come la sottoscritta. Però non è così. Sì, sì, l’alcol, i freni inibitori allentati… quello che volete. Io dico però che è il tono delle loro voci, che è quanto di più lontano si possa immaginare dal “mò te zompamo addosso”. Faccio bene? Faccio male? Questo davvero non sono nelle condizioni di chiedermelo, figuriamoci di rispondermi. E soprattutto non ne ho il tempo: “Ho rimediato due cannoni, ce li sparamo?”, chiede L’Altro mostrandoceli.
Lo chiamo L’Altro perché, naturalmente, Valerio fa le presentazioni e mi dice il suo nome. Che io però non ricordo proprio. Certo, potrei dargliene uno di fantasia, è ovvio. Ma fantasia per fantasia allora preferisco chiamarlo “L’Altro”, funziona meglio.
Così ci ritroviamo a condividere il primo bengala seduti sul letto e con le schiene appoggiate al muro, io in mezzo e loro ai lati. In silenzio, ma solo per un po’: “’n te divertivi de là, biondì?”, chiede L’Altro. “Sì, perché?”. “Boh, se stai qua… non è che te voi divertì in un altro modo?”. “Lassala perde, è ‘no zainetto… però è ‘n tajo”, lo stoppa Valerio. Posto che non so cosa abbia detto o fatto di così divertente da essere definita un “tajo”, mi rode il culo anche sta storia dello “zainetto”, che semmai è il modo in cui noi di quinta chiamiamo quelli del primo/secondo. “Ahò, a zainetto…”, gli faccio passandogli il cannone. “E daje, sto a scherzà, saresti pure ‘na gran fica, se non fosse…”. “Se non fosse?”, faccio io. “Se non fosse?”, mi fa eco L’Altro. “Se non fosseeee… ‘o sappiamo io e lei”. Valerio mi prende il mento e me lo volta verso di lui, mi bacia soffocando la mia risatina e il mio “ma quanto sei stronzo”. Però il lingua-in-bocca mi piace. Sarà l’effetto del cannone ma mi piace pure più di prima. E sarà sempre l’effetto del cannone, ma non me ne frega un cazzo di stare in una situazione pre-pomicio con lui mentre L’Altro ci guarda. Anzi, per un bel po’ – mentre con Vale uniamo labbra e scambiamo saliva – L’Altro è come se fosse proprio uscito di scena e fossimo di nuovo soli. Almeno finché non piazza l’affondo: “Ahò, questa però…”.
“Questa però” cosa? Ve lo dico io cosa: questa però si eccita, basta guardare il rilievo dei capezzoli sotto la maglietta. E se guardare non è sufficiente, basta passare un dito lì, sul cotone, per sentire quanto sono duri. Piccolini ma duri. Quando L’Altro lo fa è proprio una scossa elettrica, i capezzoli mi hanno fatto sempre questo effetto. Il primo pensiero, invece, è quello di una che si è fatta troppi elettroshock, altro che scossa elettrica. Mentre un ragazzo che non conosco mi bacia e un altro che conosco ancora meno mi tocca le tette, a me non viene altro di meglio che chiedermi una cosa che dovrebbe essere proprio l’ultimo dei problemi: “chissà dove cazzo ho messo il maglione”.
Già, il maglione. Per me non è strano. Non sono una che viene alle feste con l’outfit guardate-quanto-sono-figa-stasera, non lo sono ancora. Non mancano di farmelo notare, eh? Nemmeno la mia migliore amica, manca di farmelo notare: “Ma cazzo, ma te potevi mette ‘n po’ più carina?”. Un giorno o l’altro le rispondo che lo faccio apposta, così almeno lascio qualche ragazzo anche a lei e alle altre… Comunque no, io sono una che mette jeans e felpe, leggings e maglioni. Non è che non ho altre cose, ma nove su dieci le scelte sono queste, soprattutto quando fa freddo. Scappata-di-casa look.
Ma non mi fate distrarre, che già sono abbastanza distratta di mio a domandarmi dove ho lasciato il maglione mentre questo mi pacca una tetta. Stringe, mugolo nella bocca di Valerio, stringe più forte e mugolo più forte: “Un bacio dammelo pure a me”. Non è che abbandono la bocca di Valerio, vengo costretta da una mano ad abbandonare la bocca di Valerio. Perché mi hai mollato la tetta? Cazzo, stavo benissimo! L’Altro non è un mostro, ma Vale è più carino, preferivo decisamente baciare lui. E infatti con quella lingua in bocca ci sto poco, mi sottraggo quasi subito. I ruoli erano chiari, Cristo: lui mi bacia e tu ti occupi del mio seno, cosa c’era che non andava? Accontentata al volo, una mano si intrufola sotto la maglietta e fa contenti i miei capezzoli, ma non è quella dell’Altro, è quella di Valerio, che adesso mi bacia e me li strapazza. L’Altro mi mette la mano su una gamba, poi tra le cosce: se le apro un po’ tu mi strusci, ok? Sto impazzendo, ma lui fa esattamente quello che desidero. Ancora una volta mugolo nella bocca di Valerio, ma molto più sonoramente. Così mi fate morire.
L'Altro è proprio uno che deve godersela a frustrare i miei desideri, perché ancora una volta si interrompe: 'ndo cazzo vai? Va a girare la chiave della porta, ecco dove va. Un quarto d'ora fa sarei andata in para, ma poiché lo fa con una espressione tipo "così 'n ce rompe er cazzo nessuno" è tutto ok. Non vorrei proprio che qualcuno ci rompesse il cazzo. Torna sul letto e mi sfila la maglietta. Io dico "no dai", ma alzo le braccia. Nonostante un po' di insicurezza e di vergogna, ho un corteo di black bloc nelle mutandine. Mi piace come mi guardano mentre sto mezza nuda: "ammazza quanto sei lunga", "ammazza quanto sei secca", "ammazza quanto sei bona". Vale mi bacia ancora, L'Altro riporta la mano tra le mie gambe e la bocca sul seno. Errata corrige: non era prima che mi facevate morire, è ORA.
Poi, come nelle favole, arriva la crisi. Sono tutte così, fateci caso: in partenza c'è una situazione di equilibrio, poi arriva la rottura di questo equilibrio, infine c'è la risoluzione e la ricomposizione. Ciò che adesso rompe l'equilibrio è in sostanza la stessa cosa che prima stava per impanicarmi: la mano dell'Altro che si infila nelle mutandine, sento distintamente le dita che mi slittano sulla fica e che cercano l'ingresso. "No-no-no-no-NO!". Schizzo, mi divincolo, non so nemmeno dove trovi la forza per fare quel movimento. Atleticamente parlando, intendo. L'Altro mi guarda con lo stesso stupore di Valerio di poco fa: "E daje piccola...". "No!". "Perché?". "Lassala", interviene Vale. "Perché? Famosela!". "Lassala...". "A Valè, questa vuole scopare!". "No, questa non ha mai scopato!". Prima che anche L'Altro possa fare un commento tipo "non è possibile", mi tuffo a baciare Valerio. Per meglio dire, mi butto letteralmente tra le sue braccia. Ho un po' lo stesso sentimento che provavo prima: vergogna, inadeguatezza, darsi arie da baby-bitch senza esserlo. Ho bisogno di protezione dalla Strega Cattiva, di consolazione, e Valerio me le dà, anzi smette persino di baciarmi per stringermi di più. È il mio Principe Azzurro. Poiché però questa non è una favola e io non sono la bella addormentata, beh, meglio finirla qui, no? Meglio scappare tipo... Bolzano andrebbe bene. Se solo sapessi dove è volata la maglietta... mi mette a disagio il pensiero di mettermi a cercarla così, con le tette nude davanti a loro, adesso che l'incantesimo si è infranto.
Ed è qui che succede qualcosa che... voglio dire, se mi aspettassi qualcosa questa sarebbe davvero l'ultima. Ma siccome non mi aspetto niente, la sorpresa è ancora maggiore. L’Altro appoggia la testa sulla mia schiena – solo testa e schiena, nessun altro contatto – e inizia a biascicare “scusa, scusami”. Ci sarebbe un elemento da considerare, ma lo farò solo diverso tempo dopo, ripensando e ricordando. E' un elemento che ora mi sfugge, anche perché in certe situazioni sei portata a pensare più a te stessa che agli altri. Ed è questo: non sei mica solo tu a essere fatta come una cocuzza, lo sono anche loro. Anche i loro comportamenti sono incoerenti e illogici, proprio come i tuoi. Che infatti stringi Valerio con un braccio e porti una mano a cercare la testa dell’Altro, ad accarezzargli quei riccioli scuri come se lo volessi consolare di chissà cosa.
Cerco l’ennesimo bacio da Valerio e poi lascio andare, lascio fare, mi lascio mettere seduta come prima, con la schiena appoggiata al muro, mi lascio pomiciare come prima. Ma da tutti e due, stavolta. Mi lascio succhiare le tette, una per ciascuno, tengo ferme le loro teste. Cazzo, ma la lupa di Romolo e Remo godeva così? Ci credo che li ha adottati. La mano dell’Altro mi cerca, ho i leggings calati a metà coscia e anche il perizoma è andato un po’ giù nell’assalto precedente. Lui resta sopra, spinge il tessuto bagnato contro il mio centro pulsante, anche se incosciente come sono vorrei che stavolta mi toccasse, vorrei risentire i suoi polpastrelli lì dove non sono mai stata così sensibile, vorrei scoprire se lui saprebbe sgrillettarmi come so sgrillettarmi io. Ma va benissimo anche così, perché apro le cosce e lui si impossessa della mia fregna, ce l’ha tutta nella sua manona ma è come se si fosse impossessato di tutta me stessa. Mi sento presa. Mai come prima mi sento presa, e mi accorgo di gemere forte da chissà quanto. Riapro gli occhi per un momento e… cazzo, non sapevo che facessero delle case così, senza soffitto, con la vista direttamente sul cielo stellato. Forse per la prima volta capisco le smanie di quei ragazzi che la mia bocca ha portato al punto di non ritorno. Forse per la prima volta avrò un orgasmo non fatto in casa. O è la seconda? Ma chissenefrega, chi ha la forza di ricordarselo, ora?
Forse no, invece. Un’altra manona, quella di Valerio, stacca la mia manina dalla sua nuca e se la porta a fare un giro. Un breve giro, poco più in basso, verso qualcosa di inequivocabilmente duro, caldo e bello da impugnare. Apro gli occhi e lo guardo, ma è come se non avessi nessun pensiero in testa. Subito dopo è la mia nuca ad essere spinta giù. Se penso a quello che sto facendo non lo so, so solo che apro la bocca in automatico e che la mia lingua è come se avesse una calamita per quella cappella gonfia e umida. Sapore di maschio, vertigine, testicoli gonfi da accarezzare, da tenere al caldo mentre mi dedico al cazzo, da leccare mentre tengo al caldo il cazzo con un impacciato lavoretto di mano.
"Dai, viè qua". Il suo "viè qua" è l'equivalente dei "mettiti così" di poco prima. Ovvero per terra tra le sue gambe. Ok, ora ti faccio vedere che lo so prendere tutto in bocca. Il suo sospiro esplode, esplode la sua voce: "Dio che bocchinara! Ha ragione Francesco a dì che sei bravissima...". BANG! Eh? Prego? Stupore, forse non ho capito bene. No, lo stupore è proprio perché ho capito bene! Ma anche, oddio, più che stupore… beh, mi incazzo. Cioè, non ci posso credere, sono incazzatissima, guarda te come si rovesciano gli stati d’animo, eh? Prima ero la Bella addormentata adesso sono Crudelia. Osservo Vale a bocca aperta (ok, non ce l’ho aperta solo per quel motivo) ma sono incazzatissima con il fratello, Brochicco. No, anzi, lasciamo perdere i nomignoli affettuosi, sono incazzata come una bestia con suo fratello Francesco. Adesso vado di là e lo sputtano di fronte alla sua ragazza. Oppure… oppure vado di là e gliene faccio un altro sempre di fronte alla sua ragazza. Perché ok, sono incazzatissima ma al tempo stesso sta cosa mi ha mandata fuori di testa. Perché i pensieri associativi corrono più veloce della luce: in fin dei conti pensare a Brochicco che mi sborra in bocca e poi lo racconta a Valerio, e poi a Valerio che si mette in testa di farselo succhiare è facile come fare due più due. Mi aspettava, mi cercava, mi ha portata in camera sua. Magari l’arrivo dell’Altro è stata una semplice casualità, ma l’epilogo doveva essere questo: bocca su cazzo, sperma nello stomaco. E io, dietro a queste concatenazioni perdo la testa, così come la perdo quando Valerio me la spinge di nuovo verso il suo uccello teso e sbavato. Chissà se anche lui, come il fratellino, accompagnerà il suo getto con un "Annalisaaaaah...".
Succhio, a volte succhio e a volte spompino proprio. È bello, è facile, mi viene bene. Chissenefrega se pensa che sia una bocchinara seriale, meglio, e poi non è nemmeno tanto distante dal vero, dammi giusto il tempo di diventarla. Non è che sia tanto in grado di fare paragoni, nemmeno me lo ricordo, in fondo. Ma vedi, Valè, a occhio e croce tuo fratello ha qualche argomento in più di te, roba da poco, eh? Magari ricordo pure male. Però nel frattempo ho imparato una cosa, l’ho vista su internet. Te la mostro? Eccola: colata di saliva sul cazzo, per farlo scivolare meglio. Non è che ce ne sia uno stretto bisogno, ok, ma è proprio tanto tanto da zozza, no? Manco al Trullo la trovi una che ti fa sti bocchini… Bravo, sbrocca pure tu e dammi l’andatura, mi piace, mi manda in calore la tua mano sulla testa. Tanto ce l’ho vuota la testa, adesso.
Tanto vuota che mi sa che L’Altro deve ripetere quello che ha detto, ho sentito ma non ho capito: “Daje, succhia ‘n po’ pure me”. Perché no? Volto la testa e beh, wow, parliamone... A posteriori potrei dire che non è enorme, ma è certamente l'arnese più grosso che ho visto finora di persona. I video non contano, quelli sono fiction, qui si gioca sul serio, questo è 3D, e poi c’è l’odore, differente da quello di Vale, assai differente, e chissà il sapore… Io però non so se sono capace di giocarci. “Tira fuori la lingua”. Sì, questa la so, ho visto su internet anche questa: io tiro fuori la lingua e tu ci picchietti il cazzo sopra. Ok, facciamolo. “Ammazza quant’è troia…”. Quando me lo mette in bocca mi strozza: conato, tosse, lacrime agli occhi. Cazzo, vacci piano, anzi no, vediamo se pure questo mi arriva in gola.
Li spompino, a turno, seguendo l’ispirazione, la mia voglia, le loro richieste. Mi inchino su Valerio e mi tiro su con L’Altro, mi aggrappo alle sue gambe. “Te piace, eh?, “mmm, mmm…”. Ci vuole un tempo infinito, da farsi male alle ginocchia, da farsi male alla mandibola. Bacio, succhio, lecco e penso. Penso una cosa sola: sto sbocchinando due ragazzi, due ragazzi più grandi, non mi hanno nemmeno invitata a prendere un gelato o al Mac, non ci siamo nemmeno seduti al bar, mi hanno offerto un cannone per farmi sballare e i loro cazzi da fagocitare, mi piace, mi piace da impazzire, mi vergogno per quanto mi piace, Gesù quanto sono troia. Me lo dico da sola che sono troia ed è proprio un’altra cosa rispetto agli apprezzamenti che mi fanno, che mi piacciono tanto. La prima volta che te lo dici da sola e te ne convinci deve essere un po’ come perdere la verginità, ormai è fatta e non puoi più tornare indietro. È eccitante fino allo sturbo, ma non so se ridere o piangere. Sono malata, sono ninfomane o sono l’Angelo del Piacere?
“Viè qua sennò te vengo addosso!”. Lascio Valerio e vedo L’Altro che se lo tira, praticamente finisce la sua sega sulle mie tonsille, cazzo che raffica, “ingoia zoccola!”. Gimme gimme gimme! Però si vede che è destino che uno dei due mi venga addosso, il calore di Valerio mi sporca sul collo e fin poco sopra il seno. Delirio da vittima di bukkake, porco Giuda, pure questo… è una new entry, un’estasi. “Mò pulisci…”. Ecco, neppure questa la sapevo, il cazzo si pulisce? Wow, ma è una figata! Mi piace! È la sindrome di Cenerentola, e io mi sento molto una porno-Cenerentola! Voglio essere porno-Cenerentola pure con te, Vale.
Inginocchiata, lordata, ancora alla ricerca del respiro, con questi due che si tengono i cazzi in mano e mi sovrastano. Fisso il pavimento, puzzo e ho addosso un misto di euforia e vergogna per il quale bisognerebbe inventare una parola nuova.
- Sono una troia, vero?
- Sì biondì, ma beato chi te capita sotto…
- O sopra…
Apro gli occhi e guardo Valerio. Già, chissà come deve essere averlo sopra, chissà se mi farebbe male violandomi. Quasi tutte dicono di sì, ma che è un attimo. Ho una voglia terribile di masturbarmi immaginandomelo, terribile. Ho una voglia terribile di volare a casa e di farlo. Una, due, anche tre volte di fila, sotto le coperte, nel mio letto. Domattina sarà la solita storia che si ripete: sveglia con le rane, anellino, mia madre che domanda "allora, tesoro, come ci si sente ad avere diciotto anni e un giorno?". Un po’ troia ma bene, mamma, un po’ troia ma molto bene.
Sono circa 1.600 risvegli che questa specie di giorno della marmotta si ripete sempre uguale a se stesso. Circa 1.600 risvegli che compio diciotto anni più un giorno. Dormo da una mia amica o vado fuori per il fine settimana? Sempre nel mio letto finisco per svegliarmi la mattina. Sempre con le solite rane, l'anellino, mamma. Poi, conclusa questa scena, cambia tutto: i luoghi, le stagioni, i vestiti, le spiagge, i prof e, man mano che i giorni vanno avanti, le compagnie e gli argomenti di conversazione. Questi ultimi, in particolare, negli ultimi tempi sono diventati bizzarri.
"Che schifo, ma come fate a fare i pompini...", "mah, insomma… si fa su e giù con la bocca, se non hai presente...". "Oddio... bleah...". "Perché bleah?". "Gio mi ha raccontato che una sua amica adora gli schizzi, fa l'artistico ahahahah, secondo me era una cazzata solo perché voleva farsene fare uno". "E tu gliel'hai fatto?". "Certo che gliel'ho fatto, ti pare che voglio essere da meno di una dell'artistico? Metti che non era una cazzata...". "E i capelli? Tu ce li hai corti, ma io li devo legare, mi cascano". "Devi avere anche una buona apnea, perché a un certo punto ti dimentichi di respirare ahahahah... però vengono meglio".
Solo l'ultima, quella dell’apnea, è mia. Giusto un po' eccessiva. Per il resto immaginatevi una placida conversazione tra ragazze perbene spiaggiate su poltrone, divani e tappeti del salotto di una casa perbene. "Dovremmo chiamare Francesco e dirgli se ci porta un paio di canne". "E per ringraziarlo fargli fare il giudice di una gara...". Ok, anche quest'ultima è mia, la capirete.
Ma mica siamo un gruppo di troie, eh? Siamo ragazze normalissime e lo restiamo anche quando – dopo che i tè sono stati snobbati - qualcuna tira fuori una bottiglia di grappa marca “l’ho solata a mio padre, tanto gliel’avevano regalata”. Perché una delle strade verso la parità è quella dell’alcol che ti scende nello stomaco e ti finisce nel sangue. Pure a noi, mica solo ai maschi. Chi l’ha detto, dove sta scritto? Che poi, semmai, ai maschi piacerebbe sentire i nostri discorsi dopo un po’ che il tappo della bottiglia è saltato. Giusto, bravo, siediti lì, ascolta e fatti una sega, ché io un ragazzo che si fa una sega ancora non l’ho mai visto e sono curiosa. Siamo ragazze normalissime interessate al cazzo e qualcuna, sostiene, anche alla fica, non si capisce se per davvero o perché è trendy. Ragazze normalissime, perché a diciotto anni più un giorno è normale fare certi pensieri, perché è normale confidarseli ed è normale esagerare. Perché prima o poi tutte ci siamo scaldate le fregne intonse navigando su Internet e pensando “oddio, e se mi capita UNO COSI’?”. Ragazze normalissime che bevono e parlano di pompini, oh yes.
È vero, tra di noi c’è qualcuna che è andata oltre, che ha scopato. La mia migliore amica, Stefy, di sicuro. Un altro paio, probabile. Un’altra, insospettabile buzzicozza (non per fare body shaming, ma il ruolo di narratrice me lo impone), quando facevamo il terzo si è addirittura prostituita, ma questo lo saprò solo tra un paio di anni e ancora oggi non ci posso credere. Altre due o tre, mmm… forse millantano. Però se si parla di pompini magari ne so qualcosa, non faccio per vantarmi. Anzi no, non mi vanto proprio, non mi è mai piaciuto vantarmi di questo, non di fronte a una platea così ampia. In via riservata, più ristretta, magari vantarmi no ma raccontare sì. E cazzo, sennò che gusto c’è?
Isella, una mia compagna di classe metà stronza e metà invidiosa, mi ha appiccicato addosso la battuta di un film. Il film non l'ho visto però la battuta già la conosco e, ammetto, non è neanche male: spiaggia libera, chiunque arriva ci piazza l'ombrellone. D’accordo, ma vorrei precisare che “spiaggia libera” è un’esagerazione, dai, passa tra qualche mese e ne riparliamo. Tuttavia sì, dalla scorsa primavera ho cominciato a non farmi tanti problemi. Prima erano cose, diciamo così, abbastanza sporadiche. Ero più che altro orgogliosa di essere l'unica a ingoiare, tra quelle che conoscevo, ma non è che facessi molta roba. Poi invece ci ho preso proprio gusto, ho capito che mi piace da morire. E mi piace anche cambiare palestra dove allenarmi.
È vero però che le voci girano. Personalmente, a me frega cazzi, ma riconosco che in seguito qualche problema questa cosa me lo darà. Per il momento me ne disinteresso, anzi ci trovo anche il lato positivo. Nulla mi toglierà mai dalla testa la convinzione che è stata proprio questa nomea che comincia ad accompagnarmi a far dire a un mio amico “lo sapevo che eri un po’ troia”. Un attimo dopo se ne era pentito e mi aveva anche chiesto scusa, senza nemmeno immaginare la scarica tra le gambe che – mentre finivo di mandare giù la sua roba - quell’insulto mi aveva provocato. Il motivo non lo capii e ci misi un bel po’ per capirlo. Ci misi invece cinque secondi a capire che mi piaceva essere chiamata così (o sinonimi), e non avete idea dei ditali che mi sono fatta con quelle parole nelle orecchie che facevano volare la fantasia. Che peraltro, a diciotto anni e un giorno, vola un po’ dappertutto, non solo nei dintorni del sesso. Perché nel mondo ci sono millanta milioni di altre cose e dentro la tua testa forse anche di più.
Una delle fantasie è questa: ubriacarmi la notte su una panchina con qualcuno, amica o amico che sia, non importa. Ma in due, tre al massimo, non il solito megagruppo. È un po’ idiota, lo ammetto, ma una a volte è attratta dalle idiozie. Naturalmente, quando dico “la notte” mica intendo sul serio “tutta la notte”. I miei sono di larghe vedute, ok, ma sai il culo che mi fanno se gli combino una cosa del genere… Per “notte” intendo le due e mezza, le tre. Al massimo. L’occasione si presenta dopo pochissimi giorni dall’inizio della scuola, senza che ci sia nulla di programmato. Posso dire che ci scivolo dentro senza accorgermene. Quando me ne accorgo, e sono già un po’ brilla, vorrei poter tornare indietro, ma a quel punto mi pare brutto.
Mi ritrovo accanto a Brochicco dopo che i suoi amici si sono mano a mano defilati. Vigliacchi. No, non è che sto Brochicco mi stia sul cazzo, anzi. Ma stasera è un accollo. Perché? Beh, perché lui e la sua ragazza si sono mollati, ecco perché. Ho notato che, più uno va avanti con gli anni, più tende a sminuire questi amori liceali. Come se, che ne so, quando stai all'università quelle sì che sono storie serie, Grandi Amori. Se fate anche voi così, beh, lasciatevelo dire: è una cazzata. Certe infatuazioni e certi dolori sono reali a qualsiasi età. Voglio dire, Brochicco soffriva proprio. Quindi, la mia fantasia di ubriacarmi la notte su una panchina con qualcuno si realizza, sì, ma con un qualcuno che mi piange letteralmente sulla spalla tutto il tempo. Per la precisione: nell'incavo tra il collo e la spalla. Quanto all'alcol, lo Jaegermeister devono averlo inventato apposta per occasioni come queste, sennò non si spiega perché lo vendono. Lui comunque è molto carino perché alla fine insiste per accompagnarmi a casa, ci contavo anche se non ci speravo. Sarà poco meno di un chilometro, ma alle due di notte... "Oh, mò 'n te suicidà però, eh?": bacetto sotto il portone e via. La mattina dopo, a scuola, siamo due fantasmi in after da Jaegermeister. La sera, invece, ci ritroviamo a pomiciare sulla stessa panchina. "Mi ha fatto bene parlare con te", e stavolta il bacetto mi arriva sulle labbra, insieme alla sensazione un po' sgradevole di essere il classico chiodo che scaccia un altro chiodo. "Senti, Brochì, già hai preso 'na tranvata...", "no dai, giusto per stare un po' insieme". Quel "giusto per stare un po' insieme" si traduce ben presto in un lingua in bocca e in una mano sotto la maglietta, il tutto sulla la panchina della sera prima. E stavolta non è nemmeno buio. La sua ormai ex la conosco vagamente, non ho nessun giudizio particolare su di lei, nessuna ostilità preconcetta. Tuttavia per la prima volta avverto una sensazione di competitività che mai avevo provato prima, non così forte almeno. Sarà che quando Bro mi abbassa la coppa del reggiseno mi rendo conto che non gli riempio la mano come gliela riempiva lei, questo è poco ma sicuro, però il fatto che me la cerchi e che mi pacchi la tetta in quel modo mi piace. Disclaimer con la sua faccia tra le mie mani: "Senti, io non ho proprio intenzione di avere una storia con te, ok?". Il suo cenno di assenso non so quanto sia consapevole, perché mentre lo fa continua a guardarmi le labbra, però è sufficiente, quello che dovevo dire l'ho detto. E subito dopo sono io che lo bacio con una certa furia: ok, adesso pomiciami. Magari pomiciami su un'altra panchina, ne conosco una, l'ho già provata, è praticamente nascosta a tutti. Strusciami la mano tra le gambe, mi piace. Fammi salire a cavallo e strusciare il mio "tra le gambe" sopra il tuo "tra le gambe", mi piace. Magari tu non te ne accorgi di quanto sia eccitata sotto i jeans, ma io invece lo sento quanto tu sei eccitato sotto i tuoi. Perciò, liberiamolo. Lascia, faccio io. Impugniamolo, faccio io. Sbaciucchiamolo, faccio io. Quando mi chino non ci penso più alle possibili implicazioni sentimentali, faccio solo una cosa che mi piace fare tantissimo e che – anche se il timore di commettere errori ce l'ho ancora – ogni volta che la faccio mi sento più brava. Tanto brava che devo reprimermi per non domandargli "lei te li fa(ceva) così?". Non lo chiedo, ripeto, ma credo proprio che quel gusto particolare di rendere fedifraghi i ragazzi si manifesti per la prima volta proprio questa sera. Ho una voglia terribile di saperlo, ho soprattutto una voglia terribile di sentirmi dire che no, che i miei sono migliori. Ho una voglia che annego dentro la più banale delle domande: "Ti piace come te lo succhio?". Sì, lo so che stai per sborrare, io proprio quello volevo. Grazie per l'avvertimento, ma non ce n'era bisogno. Dedicherò a quel tuo scatto e a quel tuo sospiro secco il ditale della buonanotte.
Ecco, adesso veniamo al "core" della vicenda ("core" detto all'inglese, non alla romana). Sì, questa era l'introduzione. Un po' lunga, eh lo so. Ma io sono verbosa. Però immaginate come sarebbe stato scarno arrivare a questo punto scrivendo semplicemente: una sera ho consolato un mio amico sopra una panchina e la sera dopo gli ho fatto un bocchino. Ok, rende l'idea, per certi versi sarebbe stato un attacco fulminante, ma solo a patto di continuare sulla stessa falsariga. Altrimenti il racconto sarebbe una tristezza...
Però è proprio da quella "consolazione" che nasce la storia, oltre che dalla mia fantasia di ubriacarmi sopra una panchina in compagnia di qualcuno. Me ne sono ricordata chattando qualche giorno fa con una mia amica: 22 dicembre, dieci anni tondi tondi. Ecco perché il racconto si chiama "Anniversario". Sono andata a controllare, eh? Mica c'ho sta memoria. Era il sabato prima di Natale.
Festa, di quelle che ti devastano casa. E infatti col cazzo che la casa è la mia. Festa di quelle che ti devastano lo stomaco e il cervello, di quelle che non sai nemmeno più cosa e quanto hai bevuto, che non sei stata certo a badare di non scendere mai di gradazione alcolica (che poi, boh, a me è sempre sembrata una cazzata). Festa di quelle che vai a pisciare e ti ci addormenteresti là sopra, se non lo fai è perché non ti ricordi se hai chiuso la porta. Festa di quelle che, mentre esci dal bagno, il bagno ti gira attorno.
"Stai bene?". "Sì sì, benissimo". "Vieni, va'". Ed è così che ti ritrovi stesa su un letto di una camera che non hai mai visto prima. E inoltre, te ne rendi conto solo un po' dopo, stai anche con un tizio che non hai mai visto prima. Capisci solo che è più grande, avrà quattro-cinque anni più di te, a occhio, boh.
“Scusa, ma se sto stesa allora sì che mi sento male”. “Non ti preoccupare, mettiti così”. Il suo “mettiti così” prevede la seguente manovra: stendersi sul letto accanto a me e, poiché il letto è stretto, far rotolare la sottoscritta sopra di lui. “Ehi, ma…”. “Sta buona e respira, non c’avrai mica paura…”. Paura? Io? Ma figuriamoci! Non ho paura di niente, io! “Perché dovrei avere paura, scusa? Come ti chiami?”. “Valerio, sono il fratello di Francesco”. “Francesco?”.
Spiegazione per boomer e semi-boomer: ve lo ricordate Brochicco, quello del pompino sulla panchina? Bravi. Beh, Brochicco mica è il cognome, e nemmeno il nome. È un appellativo che esce fuori se incollate “bro”, brother, e Chicco. Chicco cioè Francesco, appunto. E questo è suo fratello e la casa che stiamo devastando (io nemmeno tanto, ma altri sì) è la loro. Cioè, dei loro genitori, poveracci. E dimenticavo, magari non ve ne frega un cazzo ma, a questo punto della vicenda, Brochicco ci si è rimesso insieme a quella, eh? Non durano fino alla fine dell’anno scolastico, questo ve lo posso spoilerare, ma intanto sono di là che pomiciano.
"Ti diverti?". "Sì". "Sai che sei carina, tu come ti chiami invece?". "Annalisa". "Ah già". "Perché ah già?". "Niente, avevo sentito fare il tuo nome, forse quando sei arrivata...". Guardate che, sei hai diciotto anni e un giorno, è abbastanza lusinghiero che un ragazzo così grande e che fa l'università ("che studi?", "giurisprudenza") ti faccia la corte in questo modo. Perché che ci stia provando è chiaro: ubriaca sì, scema no. E, allo stesso tempo, non è esattamente vero che non hai paura. Cioè, proprio paura forse no ma un filino di tensione sì, senz'altro.
"Perché mi tocchi il culo?". "Perché mi piace accarezzarlo, me lo dai un bacio?". "La tua fidanzata che direbbe?". "Lei stasera non c'è...". "Come mai?". "È via, e poi la festa l'ha organizzata Francesco". "Tu mi sa che non vuoi solo un bacetto" (scema no, ubriaca sì, ma con un barlume di vigilanza). "Ahahahah no, voglio solo un bacetto... aspetta, mettiti così".
Questa volta il suo "mettiti così" prevede una cosa che comincio a conoscere bene, ovvero quando mi fanno sentire il pacco. Sono sdraiata su di lui, lo bacio e lo sento abbastanza nettamente. Le mani sul culo diventano due, stringono e mi spingono verso di lui. Beh, ok, è una limonata e mi piace pure, dopo un po' mi struscio anche io. Tette contro petto, soprattutto, ma a volte anche contro il suo pacco. Ben presto mi rendo conto che, sì, lui mi stringe a sé, ma che io gli ondeggio sopra. È bello, sto bene e i baci non solo li accolgo ma li cerco. Pomiciare su un letto è una ficata. Anche quando mi abbassa i leggings e mi scopre il sedere è una ficata. Qualche mano sotto una gonna sì, me l'hanno piazzata, ma è la prima volta che qualcuno mi denuda così spudoratamente le natiche. "Che culetto che c'hai". "Ti piace?". "Ammazza...". Gli apprezzamenti li gradisco, e anche le sue mani che me lo accarezzano. Quello che mi piace molto meno, al contrario, è quando una mano si dirige tra le cosce. So cosa intende fare - un paio di volte ci hanno già provato - ma io non ho la minima intenzione di lasciarglielo fare. Se non è panico ci manca poco: "No-no-no! Lì no!". Nel senso: "lì sì" se restassi sopra le mutandine, "lì no" se si va sotto, pelle contro pelle.
Nuova spiegazione: ho il terrore di essere violata. Quando mi tocco, mi sgrilletto e basta proprio perché ho paura di perdere il controllo e di combinare un bordello, se mi struscio lo faccio con un cuscino. Naturalmente, come tutte, anche io ho provato a vedere fin-dove-si-arriva, e quando l'ho fatto era come stare sul filo spinato. O come camminare sulle uova. È una specie di fobia. "Sangue poco, me l'ero già sfondata a furia di ditalini ahahahah". Ecco, a differenza dell'amica che me lo ha raccontato ho una concezione diversa della prima volta.
La sorpresa di Valerio mi appare genuina. Anche logica, visto il punto cui ci siamo spinti e in modo così rapido: "Perché non ti va?". "Non mi va". Punto. Non è particolarmente facile in quella situazione, eh? Cioè, sarebbe facile se avessi davanti, che ne so, un prete, lo rivendicherei anche con fierezza: "Beh, padre, io sono pura". Poiché però è da un po' che di preti non ne frequento, il contesto è assolutamente ribaltato e ammettere che non hai mai preso dentro nessuno risulta persino imbarazzante, soprattutto con un ragazzo più grande che si sarà fatto sto mondo e quell'altro (poi, più vai avanti e più scopri che la condizione di ragazzo-più-grande-che-si-è-fatto-sto-mondo-e-quell'altro non è così diffusa, ma ora che ne so?). "Dai, non ti va?", "sì, ma la mano tienila sopra le mutande". Che cazzo, sì che mi va, mi piaceva tanto, però non in quel modo, mi prende il panico. E pomiciare con il panico addosso non credo sia possibile. "Scusa un attimo, ma sei vergine?". Bravo, e soprattutto grazie di avere pronunciato tu quelle tre sillabe. Ciò non significa che non diventi rossa in faccia da poterci accendere una sigaretta, ok, ma grazie lo stesso.
"Come è possibile?". Cioè, no, un momento, in che senso "come è possibile?". Andavi così bene! Certo che è possibile, ci si nasce, sarà possibile, no? Questo è ciò che penso a botta calda. Un paio di secondi dopo mi rendo conto che il suo ragionamento non è poi così sorprendente: ti sei stesa su uno di cui cinque minuti fa ignoravi l'esistenza, ti sei fatta baciare, ti sei fatta abbassare i leggings sul sedere... beh, un'idea se la sarà fatta, no? Direte: è chiaro che si è fatto un'idea. Ok, in parte avete ragione e in parte no. Non è che non mi è mai capitato di sedermi sulle gambe di un ragazzo o, per dire, stendermi su un divano su ben tre amici, sentendo per giunta una mano sulle cosce. Però in sé non significa niente, soprattutto quando si sta in gruppo c'è una fisicità nei rapporti che non prelude assolutamente a quello che pensate. D'accordo, magari inconsapevolmente gli ormoni si sono scatenati e stanno organizzando un party, e magari più tardi qualche amica ti dirà "Annalì, l'ho visto come ti strusciavi, che troia!", ma vi assicuro che in quelle occasioni l'elemento "sesso" è molto ma molto sullo sfondo, lo sa pure la tua amica, e quando ti dice "che troia", sostanzialmente, scherza. In questo caso no, nessuno scherzo. Valerio è fisiologicamente certo - o per meglio dire, lo era - che stavate per passare alla fase "dammela"/"non vedo l'ora". Dico "fisiologicamente" perché è proprio la sua fisiologia maschile che lo rivela. Io capisco tutto, figuriamoci, ma lo capisco con un certo disagio interiore.
E niente, in pratica finirebbe qui se non fosse per l'intervento di quello che nelle tragedie greche si chiama deus ex machina. La porta della stanza si apre ed entra L'Altro, che resta interdetto per quelle poche frazioni di secondo che mi servono per coprirmi il sedere. Dopo di che l'attenzione mia e quella di Valerio si concentrano su di lui, e lui può dire la sua battuta di ingresso: "Ahò, quindi ce l'hai fatta".
Cioè? Aspetta-aspetta-aspetta, che vuol dire "ce l'hai fatta?". Guardo la faccia di Valerio a dieci centimetri dalla mia impostando un'espressione tipo "significa che se stiamo messi così non è un caso?". Non è che mi prenda paura, ma se esiste una posizione intermedia tra quel "filino di tensione" di cui parlavo prima e la paura, beh, è quella. Mi prende la testa e mi bacia, ma mica basta così poco: accetto il bacio e mi struscio pure un po', però quando ci stacchiamo il mio sguardo interrogativo ritorna, magari un po' obnubilato ma ritorna. "Ok, non dovevo provarci? Sei bella, vero che è bella?", chiede Valerio all'amico. La risposta arriva rivolta direttamente a me: "Sei sorca, e che culetto! È un peccato che te lo sei coperto".
A leggerla così, soprattutto in un ambiente di racconti porno, è chiaro che ci sarebbe da prendere e da scappare via urlando, anche per una puttanella come la sottoscritta. Però non è così. Sì, sì, l’alcol, i freni inibitori allentati… quello che volete. Io dico però che è il tono delle loro voci, che è quanto di più lontano si possa immaginare dal “mò te zompamo addosso”. Faccio bene? Faccio male? Questo davvero non sono nelle condizioni di chiedermelo, figuriamoci di rispondermi. E soprattutto non ne ho il tempo: “Ho rimediato due cannoni, ce li sparamo?”, chiede L’Altro mostrandoceli.
Lo chiamo L’Altro perché, naturalmente, Valerio fa le presentazioni e mi dice il suo nome. Che io però non ricordo proprio. Certo, potrei dargliene uno di fantasia, è ovvio. Ma fantasia per fantasia allora preferisco chiamarlo “L’Altro”, funziona meglio.
Così ci ritroviamo a condividere il primo bengala seduti sul letto e con le schiene appoggiate al muro, io in mezzo e loro ai lati. In silenzio, ma solo per un po’: “’n te divertivi de là, biondì?”, chiede L’Altro. “Sì, perché?”. “Boh, se stai qua… non è che te voi divertì in un altro modo?”. “Lassala perde, è ‘no zainetto… però è ‘n tajo”, lo stoppa Valerio. Posto che non so cosa abbia detto o fatto di così divertente da essere definita un “tajo”, mi rode il culo anche sta storia dello “zainetto”, che semmai è il modo in cui noi di quinta chiamiamo quelli del primo/secondo. “Ahò, a zainetto…”, gli faccio passandogli il cannone. “E daje, sto a scherzà, saresti pure ‘na gran fica, se non fosse…”. “Se non fosse?”, faccio io. “Se non fosse?”, mi fa eco L’Altro. “Se non fosseeee… ‘o sappiamo io e lei”. Valerio mi prende il mento e me lo volta verso di lui, mi bacia soffocando la mia risatina e il mio “ma quanto sei stronzo”. Però il lingua-in-bocca mi piace. Sarà l’effetto del cannone ma mi piace pure più di prima. E sarà sempre l’effetto del cannone, ma non me ne frega un cazzo di stare in una situazione pre-pomicio con lui mentre L’Altro ci guarda. Anzi, per un bel po’ – mentre con Vale uniamo labbra e scambiamo saliva – L’Altro è come se fosse proprio uscito di scena e fossimo di nuovo soli. Almeno finché non piazza l’affondo: “Ahò, questa però…”.
“Questa però” cosa? Ve lo dico io cosa: questa però si eccita, basta guardare il rilievo dei capezzoli sotto la maglietta. E se guardare non è sufficiente, basta passare un dito lì, sul cotone, per sentire quanto sono duri. Piccolini ma duri. Quando L’Altro lo fa è proprio una scossa elettrica, i capezzoli mi hanno fatto sempre questo effetto. Il primo pensiero, invece, è quello di una che si è fatta troppi elettroshock, altro che scossa elettrica. Mentre un ragazzo che non conosco mi bacia e un altro che conosco ancora meno mi tocca le tette, a me non viene altro di meglio che chiedermi una cosa che dovrebbe essere proprio l’ultimo dei problemi: “chissà dove cazzo ho messo il maglione”.
Già, il maglione. Per me non è strano. Non sono una che viene alle feste con l’outfit guardate-quanto-sono-figa-stasera, non lo sono ancora. Non mancano di farmelo notare, eh? Nemmeno la mia migliore amica, manca di farmelo notare: “Ma cazzo, ma te potevi mette ‘n po’ più carina?”. Un giorno o l’altro le rispondo che lo faccio apposta, così almeno lascio qualche ragazzo anche a lei e alle altre… Comunque no, io sono una che mette jeans e felpe, leggings e maglioni. Non è che non ho altre cose, ma nove su dieci le scelte sono queste, soprattutto quando fa freddo. Scappata-di-casa look.
Ma non mi fate distrarre, che già sono abbastanza distratta di mio a domandarmi dove ho lasciato il maglione mentre questo mi pacca una tetta. Stringe, mugolo nella bocca di Valerio, stringe più forte e mugolo più forte: “Un bacio dammelo pure a me”. Non è che abbandono la bocca di Valerio, vengo costretta da una mano ad abbandonare la bocca di Valerio. Perché mi hai mollato la tetta? Cazzo, stavo benissimo! L’Altro non è un mostro, ma Vale è più carino, preferivo decisamente baciare lui. E infatti con quella lingua in bocca ci sto poco, mi sottraggo quasi subito. I ruoli erano chiari, Cristo: lui mi bacia e tu ti occupi del mio seno, cosa c’era che non andava? Accontentata al volo, una mano si intrufola sotto la maglietta e fa contenti i miei capezzoli, ma non è quella dell’Altro, è quella di Valerio, che adesso mi bacia e me li strapazza. L’Altro mi mette la mano su una gamba, poi tra le cosce: se le apro un po’ tu mi strusci, ok? Sto impazzendo, ma lui fa esattamente quello che desidero. Ancora una volta mugolo nella bocca di Valerio, ma molto più sonoramente. Così mi fate morire.
L'Altro è proprio uno che deve godersela a frustrare i miei desideri, perché ancora una volta si interrompe: 'ndo cazzo vai? Va a girare la chiave della porta, ecco dove va. Un quarto d'ora fa sarei andata in para, ma poiché lo fa con una espressione tipo "così 'n ce rompe er cazzo nessuno" è tutto ok. Non vorrei proprio che qualcuno ci rompesse il cazzo. Torna sul letto e mi sfila la maglietta. Io dico "no dai", ma alzo le braccia. Nonostante un po' di insicurezza e di vergogna, ho un corteo di black bloc nelle mutandine. Mi piace come mi guardano mentre sto mezza nuda: "ammazza quanto sei lunga", "ammazza quanto sei secca", "ammazza quanto sei bona". Vale mi bacia ancora, L'Altro riporta la mano tra le mie gambe e la bocca sul seno. Errata corrige: non era prima che mi facevate morire, è ORA.
Poi, come nelle favole, arriva la crisi. Sono tutte così, fateci caso: in partenza c'è una situazione di equilibrio, poi arriva la rottura di questo equilibrio, infine c'è la risoluzione e la ricomposizione. Ciò che adesso rompe l'equilibrio è in sostanza la stessa cosa che prima stava per impanicarmi: la mano dell'Altro che si infila nelle mutandine, sento distintamente le dita che mi slittano sulla fica e che cercano l'ingresso. "No-no-no-no-NO!". Schizzo, mi divincolo, non so nemmeno dove trovi la forza per fare quel movimento. Atleticamente parlando, intendo. L'Altro mi guarda con lo stesso stupore di Valerio di poco fa: "E daje piccola...". "No!". "Perché?". "Lassala", interviene Vale. "Perché? Famosela!". "Lassala...". "A Valè, questa vuole scopare!". "No, questa non ha mai scopato!". Prima che anche L'Altro possa fare un commento tipo "non è possibile", mi tuffo a baciare Valerio. Per meglio dire, mi butto letteralmente tra le sue braccia. Ho un po' lo stesso sentimento che provavo prima: vergogna, inadeguatezza, darsi arie da baby-bitch senza esserlo. Ho bisogno di protezione dalla Strega Cattiva, di consolazione, e Valerio me le dà, anzi smette persino di baciarmi per stringermi di più. È il mio Principe Azzurro. Poiché però questa non è una favola e io non sono la bella addormentata, beh, meglio finirla qui, no? Meglio scappare tipo... Bolzano andrebbe bene. Se solo sapessi dove è volata la maglietta... mi mette a disagio il pensiero di mettermi a cercarla così, con le tette nude davanti a loro, adesso che l'incantesimo si è infranto.
Ed è qui che succede qualcosa che... voglio dire, se mi aspettassi qualcosa questa sarebbe davvero l'ultima. Ma siccome non mi aspetto niente, la sorpresa è ancora maggiore. L’Altro appoggia la testa sulla mia schiena – solo testa e schiena, nessun altro contatto – e inizia a biascicare “scusa, scusami”. Ci sarebbe un elemento da considerare, ma lo farò solo diverso tempo dopo, ripensando e ricordando. E' un elemento che ora mi sfugge, anche perché in certe situazioni sei portata a pensare più a te stessa che agli altri. Ed è questo: non sei mica solo tu a essere fatta come una cocuzza, lo sono anche loro. Anche i loro comportamenti sono incoerenti e illogici, proprio come i tuoi. Che infatti stringi Valerio con un braccio e porti una mano a cercare la testa dell’Altro, ad accarezzargli quei riccioli scuri come se lo volessi consolare di chissà cosa.
Cerco l’ennesimo bacio da Valerio e poi lascio andare, lascio fare, mi lascio mettere seduta come prima, con la schiena appoggiata al muro, mi lascio pomiciare come prima. Ma da tutti e due, stavolta. Mi lascio succhiare le tette, una per ciascuno, tengo ferme le loro teste. Cazzo, ma la lupa di Romolo e Remo godeva così? Ci credo che li ha adottati. La mano dell’Altro mi cerca, ho i leggings calati a metà coscia e anche il perizoma è andato un po’ giù nell’assalto precedente. Lui resta sopra, spinge il tessuto bagnato contro il mio centro pulsante, anche se incosciente come sono vorrei che stavolta mi toccasse, vorrei risentire i suoi polpastrelli lì dove non sono mai stata così sensibile, vorrei scoprire se lui saprebbe sgrillettarmi come so sgrillettarmi io. Ma va benissimo anche così, perché apro le cosce e lui si impossessa della mia fregna, ce l’ha tutta nella sua manona ma è come se si fosse impossessato di tutta me stessa. Mi sento presa. Mai come prima mi sento presa, e mi accorgo di gemere forte da chissà quanto. Riapro gli occhi per un momento e… cazzo, non sapevo che facessero delle case così, senza soffitto, con la vista direttamente sul cielo stellato. Forse per la prima volta capisco le smanie di quei ragazzi che la mia bocca ha portato al punto di non ritorno. Forse per la prima volta avrò un orgasmo non fatto in casa. O è la seconda? Ma chissenefrega, chi ha la forza di ricordarselo, ora?
Forse no, invece. Un’altra manona, quella di Valerio, stacca la mia manina dalla sua nuca e se la porta a fare un giro. Un breve giro, poco più in basso, verso qualcosa di inequivocabilmente duro, caldo e bello da impugnare. Apro gli occhi e lo guardo, ma è come se non avessi nessun pensiero in testa. Subito dopo è la mia nuca ad essere spinta giù. Se penso a quello che sto facendo non lo so, so solo che apro la bocca in automatico e che la mia lingua è come se avesse una calamita per quella cappella gonfia e umida. Sapore di maschio, vertigine, testicoli gonfi da accarezzare, da tenere al caldo mentre mi dedico al cazzo, da leccare mentre tengo al caldo il cazzo con un impacciato lavoretto di mano.
"Dai, viè qua". Il suo "viè qua" è l'equivalente dei "mettiti così" di poco prima. Ovvero per terra tra le sue gambe. Ok, ora ti faccio vedere che lo so prendere tutto in bocca. Il suo sospiro esplode, esplode la sua voce: "Dio che bocchinara! Ha ragione Francesco a dì che sei bravissima...". BANG! Eh? Prego? Stupore, forse non ho capito bene. No, lo stupore è proprio perché ho capito bene! Ma anche, oddio, più che stupore… beh, mi incazzo. Cioè, non ci posso credere, sono incazzatissima, guarda te come si rovesciano gli stati d’animo, eh? Prima ero la Bella addormentata adesso sono Crudelia. Osservo Vale a bocca aperta (ok, non ce l’ho aperta solo per quel motivo) ma sono incazzatissima con il fratello, Brochicco. No, anzi, lasciamo perdere i nomignoli affettuosi, sono incazzata come una bestia con suo fratello Francesco. Adesso vado di là e lo sputtano di fronte alla sua ragazza. Oppure… oppure vado di là e gliene faccio un altro sempre di fronte alla sua ragazza. Perché ok, sono incazzatissima ma al tempo stesso sta cosa mi ha mandata fuori di testa. Perché i pensieri associativi corrono più veloce della luce: in fin dei conti pensare a Brochicco che mi sborra in bocca e poi lo racconta a Valerio, e poi a Valerio che si mette in testa di farselo succhiare è facile come fare due più due. Mi aspettava, mi cercava, mi ha portata in camera sua. Magari l’arrivo dell’Altro è stata una semplice casualità, ma l’epilogo doveva essere questo: bocca su cazzo, sperma nello stomaco. E io, dietro a queste concatenazioni perdo la testa, così come la perdo quando Valerio me la spinge di nuovo verso il suo uccello teso e sbavato. Chissà se anche lui, come il fratellino, accompagnerà il suo getto con un "Annalisaaaaah...".
Succhio, a volte succhio e a volte spompino proprio. È bello, è facile, mi viene bene. Chissenefrega se pensa che sia una bocchinara seriale, meglio, e poi non è nemmeno tanto distante dal vero, dammi giusto il tempo di diventarla. Non è che sia tanto in grado di fare paragoni, nemmeno me lo ricordo, in fondo. Ma vedi, Valè, a occhio e croce tuo fratello ha qualche argomento in più di te, roba da poco, eh? Magari ricordo pure male. Però nel frattempo ho imparato una cosa, l’ho vista su internet. Te la mostro? Eccola: colata di saliva sul cazzo, per farlo scivolare meglio. Non è che ce ne sia uno stretto bisogno, ok, ma è proprio tanto tanto da zozza, no? Manco al Trullo la trovi una che ti fa sti bocchini… Bravo, sbrocca pure tu e dammi l’andatura, mi piace, mi manda in calore la tua mano sulla testa. Tanto ce l’ho vuota la testa, adesso.
Tanto vuota che mi sa che L’Altro deve ripetere quello che ha detto, ho sentito ma non ho capito: “Daje, succhia ‘n po’ pure me”. Perché no? Volto la testa e beh, wow, parliamone... A posteriori potrei dire che non è enorme, ma è certamente l'arnese più grosso che ho visto finora di persona. I video non contano, quelli sono fiction, qui si gioca sul serio, questo è 3D, e poi c’è l’odore, differente da quello di Vale, assai differente, e chissà il sapore… Io però non so se sono capace di giocarci. “Tira fuori la lingua”. Sì, questa la so, ho visto su internet anche questa: io tiro fuori la lingua e tu ci picchietti il cazzo sopra. Ok, facciamolo. “Ammazza quant’è troia…”. Quando me lo mette in bocca mi strozza: conato, tosse, lacrime agli occhi. Cazzo, vacci piano, anzi no, vediamo se pure questo mi arriva in gola.
Li spompino, a turno, seguendo l’ispirazione, la mia voglia, le loro richieste. Mi inchino su Valerio e mi tiro su con L’Altro, mi aggrappo alle sue gambe. “Te piace, eh?, “mmm, mmm…”. Ci vuole un tempo infinito, da farsi male alle ginocchia, da farsi male alla mandibola. Bacio, succhio, lecco e penso. Penso una cosa sola: sto sbocchinando due ragazzi, due ragazzi più grandi, non mi hanno nemmeno invitata a prendere un gelato o al Mac, non ci siamo nemmeno seduti al bar, mi hanno offerto un cannone per farmi sballare e i loro cazzi da fagocitare, mi piace, mi piace da impazzire, mi vergogno per quanto mi piace, Gesù quanto sono troia. Me lo dico da sola che sono troia ed è proprio un’altra cosa rispetto agli apprezzamenti che mi fanno, che mi piacciono tanto. La prima volta che te lo dici da sola e te ne convinci deve essere un po’ come perdere la verginità, ormai è fatta e non puoi più tornare indietro. È eccitante fino allo sturbo, ma non so se ridere o piangere. Sono malata, sono ninfomane o sono l’Angelo del Piacere?
“Viè qua sennò te vengo addosso!”. Lascio Valerio e vedo L’Altro che se lo tira, praticamente finisce la sua sega sulle mie tonsille, cazzo che raffica, “ingoia zoccola!”. Gimme gimme gimme! Però si vede che è destino che uno dei due mi venga addosso, il calore di Valerio mi sporca sul collo e fin poco sopra il seno. Delirio da vittima di bukkake, porco Giuda, pure questo… è una new entry, un’estasi. “Mò pulisci…”. Ecco, neppure questa la sapevo, il cazzo si pulisce? Wow, ma è una figata! Mi piace! È la sindrome di Cenerentola, e io mi sento molto una porno-Cenerentola! Voglio essere porno-Cenerentola pure con te, Vale.
Inginocchiata, lordata, ancora alla ricerca del respiro, con questi due che si tengono i cazzi in mano e mi sovrastano. Fisso il pavimento, puzzo e ho addosso un misto di euforia e vergogna per il quale bisognerebbe inventare una parola nuova.
- Sono una troia, vero?
- Sì biondì, ma beato chi te capita sotto…
- O sopra…
Apro gli occhi e guardo Valerio. Già, chissà come deve essere averlo sopra, chissà se mi farebbe male violandomi. Quasi tutte dicono di sì, ma che è un attimo. Ho una voglia terribile di masturbarmi immaginandomelo, terribile. Ho una voglia terribile di volare a casa e di farlo. Una, due, anche tre volte di fila, sotto le coperte, nel mio letto. Domattina sarà la solita storia che si ripete: sveglia con le rane, anellino, mia madre che domanda "allora, tesoro, come ci si sente ad avere diciotto anni e un giorno?". Un po’ troia ma bene, mamma, un po’ troia ma molto bene.
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