Naufragare

di
genere
sentimentali

Reticoli di luce solare refratta oscillano leggeri sull’ondulato fondo sabbioso, solidali alla placida increspatura sovrastante. Mi faccio cullare a faccia in giù, costretto dal mio istinto di sopravvivenza a respirare nonostante la mia riluttanza e attratto dalla voglia di lasciami andare, trasportare lontano dalla corrente, naufragare senza nessun pensiero.
Esco dall’acqua limpida che nell’inclinazione dei raggi del sole dei tardo pomeriggio appare blu scura. Mentre mi asciugo due piacenti signore mi passano accanto scoccandomi sguardi di approvazione. Non raccolgo. Non sono dell’umore giusto, forse non lo sarò più e mi limito a un cortese cenno di saluto.
Lascio la spiaggia alle mie spalle e cammino sul lungomare che s’accende di luci e si popola di gente festante, o che finge di esserlo. Le ombre si stanno allungando nel volgere - sempre più deciso - della stagione verso l’autunno, come, del resto, nella mia vita.
Nella luce del tramonto che scolora nella sera, vago con passi oziosi guidato dal tedio dei miei pensieri, i volti di chi incontro mi appaiono maschere enigmatiche che sembrano rimestare e portare a galla la mia tristezza e che mi rammentano, gridando con voce afona, la mia solitudine.
L’estate era stata torrida. Stagione terribile per tanti ma non per me, perché c’eri tu.
Ricordo ogni minimo particolare della prima volta che ti ho vista: figuretta elegante in un vestitino da quattro soldi, andatura dinoccolata affascinante nel suo procedere trascinandosi dietro un trolley con noncuranza.
L’anticiclone africano implacabile gravava sulle città, sulle campagne, su tutto! Faceva caldo, cazzo se era caldo! Sembrava scioglierti l’anima. Anacronistica estate per il suo anticipo che aveva dissolto la primavera appena affacciatasi, promessa
dolce soffocata al suo primo apparire e i secchi fiori di tiglio accumulati a terra come
segnale del suo fugace passaggio.
La differenza d’età una distanza siderale fra noi, tuttavia eri irresistibile e d’un tratto più nulla m’importò se non di te. Accelerai il passo per raggiungerti, poi affiancarti.
Se il vederti camminare era stata l’intuizione di una promessa, l’esserti accanto, vederti da vicino aveva superato ogni mia aspettativa. Mi rivolsi a te per un tentativo d’approccio, pratica che solitamente mi risultava naturale e coronata da sicuro successo.
Io, proprio io - cosa inaudita - mi impappinai, sentii il cuore e la mente sciogliersi. Il cinismo che mi opprimeva, il disincanto, il disgusto, tutto sembrò dissolversi; il sottile dolore che mi accompagnava fedelmente - segno inconfessato di un desiderio indomabile, incompiuto di sentirmi amato - sembrò finalmente trovare lenimento.
Scoppiasti a ridere e fui completamente ammaliato, il mio fiato appeso alla tua bocca, ai tuoi candidi denti; balbettai, ciangottai in tua completa balia.
Mi ripresi proponendoti di bere insieme qualcosa di fresco, attendendo la tua risposta con la trepidazione di un ragazzo al suo primo incontro, emozionandomi quando accettasti.
Quale discorsi intercorsero fra noi anche sforzandomi - e ne provo rammarico - proprio non riesco a rammentarmelo. Ricordo solo che cercavi un’appoggio, una sistemazione in città e, meravigliosamente, fosti da me. La casa al buio, la luce e i suoni filtravano da fuori dove con la notte esplodeva, frenetica, la voglia di divertirsi. Noi l’uno di fronte all’altra, un silenzio gravido di tutto, il tuo alito fresco e poi le tue labbra sulle mie. Che emozione mi suscitò il tuo corpo! I tuoi seni sodi, la rotondità perfetta dei tuoi glutei, la dolcezza della tua intimità profumata, la naturalezza e la perizia con cui me lo prendevi in bocca mi entusiasmarono, ma di più l’amplesso che ne seguì mi fece raggiungere delle vette mai toccate. La tua figa era in grado di contrarsi sul mio cazzo consentendomi di raggiungere un’estasi travolgente: il fuoco nascosto fra le tue cosce fluiva in me facendomi ribollire.
La mia vita fu investita di un vento fresco, il tuo giovane corpo, la tua risata cristallina, tutta la tua presenza colmavano la mia sete, sconfiggevano il mio male di vivere: pensai fosse il tutto, il compimento di quello che avevo sempre cercato.
Poi te ne sei andata, e di me ti rimane tuttalpiù la vaghezza di un ricordo.
È stato difficile non lasciarmi andare completamente. Son riuscito a tenermi
lontano dall’alcool ma sono comunque ubriaco di ricordi, costantemente alla ricerca di te, fosse il miraggio di un tuo profumo, fosse solo l’arcana leggerezza di un sogno, scrutando le ondulazioni della spiaggia per individuare le orme dei tuoi piedi sulla sabbia, inesorabilmente cancellate dal vento e dal tempo, geloso finanche delle molecole d’acqua che conservano memoria della tua pelle che hanno accarezzato allorché t’immergevi nel mare cristallino, illudendomi di udire nelle stanze deserte di casa il risuonare della tua fresca voce. Nostalgia di te, da togliermi il fiato. Di nulla m’importa, dei posti meravigliosi visitati, dei soldi che possiedo, dei successi conseguiti, del caldo e del freddo, poiché tutto è privo di solidità, etereo in confronto alla materica consistenza della tua mancanza.
Novembre bussa alle porte, l’aria è fresca, i locali sul lungomare sono in maggioranza chiusi. Bevo guardando il tramonto e sperando, invano, di intercettare la fugace bellezza del raggio verde, ultimo regalo del sole che affonda nel mare. Mi alzo e cammino non so per quanto tempo.
È notte: l’insenatura, nei giorni d’estate affollata di bagnanti è silenziosa, le luci e i suoni della città giungono attenuati come bagliori e come echi distanti, il mare è scuro, piatto e le piccole onde muoiono sul litorale con un sommesso mormorio. Son qui, in questo luogo caro e denso di bei ricordi: di noi due sdraiati sulla sabbia candida o immersi nel mare splendido, degli sguardi ammirati e bavosi che la tua persona, che il tuo culo sublime, il corpo perfetto suscitavano, del divertimento che la mia reazione di gelosia ti provocava.
Mi tolgo le scarpe, mi spoglio e ripiego con cura i miei indumenti, appoggiandoli su uno scoglio piatto. Mentre percorro il breve tratto di spiaggia la sabbia è fredda sotto i miei piedi. Il mare, amico ospitale m’accoglie, mi coccola; nuoto e mi allontano dalla riva ad ampie bracciate, solo, irrimediabilmente solo. Le stelle mi guardano con
la loro algida, indifferente bellezza. Son svuotato nel fisico e nell’anima. Sfinito mi fermo. Mi volgo e vedo una sagoma sulla riva lontana che mi chiama e mi attende, la riconosco:
- Sei tu, sei tornata -, non ho dubbi, il mio cuore mi scoppia di felicità, la mia malinconia scompare per quell’attesa infine soddisfatta, per il sogno impossibile che s’avvera.
- Aspettami! Adesso arrivo, volo…..
I miei occhi, sorprendentemente, fendono la notte come fari.

Ma è buio e lo sguardo non può spingersi lontano per più di pochi metri, in verità.
Oscurità e silenzio.
L’insenatura è deserta e nessuna bracciata più increspa di spuma la sua nera liquidità che, nel suo calmo flusso e riflusso, nelle sue oscillazioni imprigiona polvere di stelle.
La spiaggia attende nessuno, desolata.

di
scritto il
2023-03-22
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