Qualunque cosa - Capitolo 8

di
genere
dominazione

Non potei controllare, ma ero sicuro che sulle natiche di Martha non erano rimasti segni delle frustate della sera prima.
Uscii per concedere a Martha un po’ di privacy per rivestirsi, quando uscì dalla stanza vestita allo stesso modo in cui era arrivata la sera prima, le indicai la porta e la salutai, dandole appuntamento al lavoro.

Tornai da Daphne che nel frattempo si era svegliata.
Slegai le corde dal letto le la feci alzare per portarla in bagno, i segni sul seno erano svaniti, quelli sulle natiche si vedevano ancora, ma anche quelli sarebbero spariti in giornata.
In bagno, aprii l’acqua della doccia e la feci sedere sul water tenedole in alto i polsi ancora legati fra loro.
Quando ebbe finito, la feci entrare nella doccia assicurando la corda al supporto del doccino, mi tolsi l’accappatoio ed entrai con lei.
La feci girare con la faccia rivolta verso la parete, mi insaponai le mani e inziai ad insaponarle la schiena con lunghi movimenti circolari, spostandomi in basso, sui fianchi, le cosce i polpacci e infine i piedi, senza toccare i glutei
La feci girare e iniziai passando le mani al centro del seno, sopra il petto, sulla pancia evitando per quanto possibile il contatto con i capezzoli e i seni.
scesi alle cosce e lei istintivamente aprì leggermente le gambe, risalendo insaponai anche l’interno delle cosce, ma senza arrivare ai genitali, ogni cosa a suo tempo.
Tornai ad occuparmi della schiena e di nuovo giu alle cosce, mentre risalivo dalle cosce ai glutei sporse il sedere in fuori, passai lentamente le mani sui glutei con i pollici che sfioravano l’interno arrivando a toccare le labbra e il buchino, facendo forza sulla corda allargò ulteriormente le gambe e sporse il sedere ancora più indietro.piegandosi leggermente in avanti.
Restando alle sue spalle portai le mani sui suoi seni insaponandoli e prendendoli completamente nelle mie mani. Il bacino di Daphne indietreggiò ancora e non potei evitare il contatto con il mio pene che già da quando avevo messo le mani sul corpo di Daphne svettava in una erezione quasi dolorosa.
Scivolai con le mani dai seni alla fica passando le dita sul solco fra le labbra e poi tornando indietro al clitoride, il mio cazzo era perfettamente fra i suoi glutei, non la stavo ancora penetrando, ma il sapone contribuiva a far scorrere il membro fra le sue chiappe ad ogni movimento.
Liberai i polsi di Daphne per darle modo di muoversi più liberamente, questo le diede modo di piegare ulteriormente la schiena e offrirmi il suo fiore gonfio ed eccitato. Percorsi partendo dall’ano tutto il solco verso il basso fino a trovare il cordino delle palline vaginali, lo afferrai e lo tirai leggermente, non con l’intenzione di sfilarle ma solo di farle sentire che erano ancora lì.
Daphne ora era perfettamente a novanta gradi, con le gambe oscenamente divaricate in attesa che la penetrassi, ma contrariamente a quello che probabilmente pensava, non le tolsi le palline vaginali ma puntai invece direttamente al suo buchino, prima con il dito indice, che entrò senza difficoltà, attesti che i muscoli che in un primo momento si erano stretti attorno al mio dito si rilassassero e inserii anche il medio, feci scorrere un po le due dita e poi le sfilai per sostituirle con il mio cazzo.
Entrai in lei senza difficoltà, anche se erano passati solo pochi giorni il breve allenamento con i plug stava già dando i suoi risultati, aveva una percezione diversa e più consapevole del suo corpo e sapeva riconoscere le reazioni a questi nuovi stimoli.
Non sapevo se per Daphne la penetrazione anale fosse più o meno piacevole, ma certamente ogni movimento che facevamo era scandito dalle vibrazioni che le geisha balls trasmettevano alle pareti della sua vagina.
Stava provando piacere, che fosse per la penetrazione in se o per le palline non potrei dirlo, ma certamente stava godendo.
Mentre continuavo a possederla nel didietro le sfilai le geisha balls dalla vagina, allo stesso tempo mi sfilai dal retto per poterla penetrare in vagina.
Fui dentro in un unico affondo sottolineato da un gemito di soddisfazione di lei che evidentemente preferiva queste penetrazione rispetto a quella anale.
Ma non era mia intenzione lasciarle il culo libero.
Continuando a fotterla ad un buon ritmo, infilai prima un pollice nell’ano e poi quando capii che ormai era partita infilai anche quello dell’altra mano, afferrando con il resto delle dita le sue chiappette sode.
Fu la goccia che distrusse ogni argine, Daphne esplose letteralmente in un orgasmo multiplo che durò diversi interminabili secondi.
Quasi cadde in ginocchio ma senza sfilarsi da me, rimanendo con il sedere sollevato e le spalle a terra, i mi accovacciai alle sue spalle e continuai a pompare con lo stesso ritmo sempre con i pollici piantati nel suo retto sentendo il mio cazzo che si muoveva nell’altro canale attraverso il sottile strato muscolare che separava i due orifizi.
Credo fosse passato più di un minuto e Daphne stava ancora godendo, io ero ormai al limite, stavo per esplodere.
Mi sfilai da lei e segandomi schizzai cinque fiotti densi sulla sua schiena.
Eravamo esausti, di nuovo come avevo fatto il giorno prima, la strinsi a me e restammo per un po’ seduti nella doccia.
Tornai nella mia stanza e mi vestii per andare a lavoro, Daphne non poteva certo venire in ufficio con quella specie di T-shirt con cui l’avevo costretta a presentarsi alla mia porta, sarebbe dovuta tornare a casa sua a cambiarsi.
“Mi sono portata un cambio, l’ho lasciato in macchina qui sotto, se mi fai scendere vado a prenderlo.”
“Certo vai pure.” infilo le sneakers sotto all’accappatioio e scese velocemente in strada per recuperare dalla sua auto un abito nero, senza maniche con spalline larghe e una gonna dritta con spacchi laterali, aveva anche portato un paio di decolleté nere lucide che lasciò all’ingresso insieme alle sneakers.
Facemmo colazione insieme senza parlare, al momento di uscire per recarci a lavoro trovò il coraggio di parlare.
“Grazie per questa mattina, ne avevo bisogno”
“Lo so, vai ora”
Quando Daphne se ne fu andata tornai nella stanza, sul comò c’erano le palline che avevo usato con Martha, ma non quelle di Daphne, forse si era dimenticata di restituirle, guardai anche in bagno e nella doccia ma non le trovai..
Lavai e igenizzai quelle usate da Martha e le riposi insieme agli altri oggetti.
In ufficio passai davanti al reparto di Daphne e la trovai già al suo tavolo, le feci cenno di seguirmi.
Mi lascio alcuni secondi di vantaggio in modo da non dare nell’occhio e poi si alzò per venire da me.
Entrò nel mio ufficio e chiuse la porta, senza che le dicessi nulla si tirò su la gonna del vestito per poi adagiarsi con il busto sulla mia scrivania divaricando leggermente le gambe.
Era senza mutandine e il plug era al suo posto.
“Non mi hai restituito le sfere…”
“Non mi avevi dato istruzioni, così questa mattina prima di uscire le ho indossate di nuovo.”
“Hai fatto bene, ma quella punizione è finita, ora possiamo toglierle.”
Esplorai con la mano i suoi genitali esterni fino a trovare il cordino delle geisha balls, tirai delicatamente e le estrassi facendomele cadere in mano. Diedi una sculacciata leggera colpendo anche il plug.”
“Puoi andare per ora”
Uscì dalla stanza lasciandomi solo.
Senza Dough il lavoro si accumulava, così iniziai a occuparmi delle urgenze.
“Martha!” chiamai dalla mia postazione, solitamente a quest’ora stava già sostituendo le cassette di backup…
Nessuna risposta. Chiamai di nuovo senza ottenere risposta, erano già le nove passate, Martha non era mai in ritardo.
Andai nel suo ufficio per constatare che in effetti, ancora non era arrivata. Era uscita molto presto da casa mia, era strano che non fosse in orario e che non avesse avvisato.
Controllai se ci fossero messaggi da parte delle risorse umane che mi segnalavano l’assenza di qualcuno dei collaboratori ma niente.
Presi il cellulare e chiamai il suo numero.Dopo cinque squilli rispose.
“Martha ? Tutto ok ?”
“Si, sto entrando ora.”
“Ok”
Andai ad aspettarla nel suo ufficio.
“Buongiorno, va tutto bene ?”
“Cosa dovrebbe andare male ? Ieri sera mi hanno solo frustato per divertimento.”
Avrei voluto dirgli che lo aveva scelto lei quel trattamento, ma mi trattenni.
“Capisco, e capisco che tu non voglia parlarne con me, ma mi piacerebbe che lo facessi invece”
“Guarda, parlare con te è l’ultima cosa che voglio fare. Sono in ritardo, ho un sacco di cose da fare e non vorrei indispettire il mio capo perché è uno manesco.”
Alzai le mani in segno di resa, non c’era niente in quel momento che potessi dire o fare per indurla a parlare di quello che era successo la sera prima, doveva fare lei la prima mossa verso di me, quando fosse stata pronta, da parte mia dovevo solo farle capire che quando avesse voluto, ero lì per lei.
“Va bene, se per caso vorrai parlarne con me, sono a disposizione, sempre.”
Quello che voglio è che tu esca dal mio ufficio, devo lavorare”
Non replicai oltre e ripresi anch'io a fare il mio lavoro.
Cominciava a piacermi Martha, era uno spirito ribelle, sarebbe stato divertente ‘domarla’, ma prima dovevo capire quanto lei fosse disposta a giocare quel tipo di gioco.
Il resto della settimana trascorse più o meno liscio con Martha che continuava a parlare con me il minimo indispensabile.
Venerdì Daphne mi provocò deliberatamente, venne in ufficio indossando un paio di pantaloni, non dovetti neanche chiamarla nel mio ufficio per controllare perché quella mattina avevo fatto tardi ed arrivai all’ingresso proprio mentre stava entrando.
La vidi entrare nel palazzo, ma lei non vide me, quindi avevo tutto il tempo di pianificare le mie mosse.
In tarda mattinata la chiamai nel mio ufficio.
Quando entrò le chiesi di chiudere la porta, mi alzai e la spinsi di forza nel bagno. Non era il caso di dare ulteriore spettacolo a Martha o a chiunque si fosse avventurato nel mio ufficio.
Una volta in bagno la misi di fronte al lavandino, e guardandola dallo specchio le chiesi spiegazioni sul suo abbigliamento di quel giorno.
“Oggi mi andava di vestirmi così”
Fu la sua risposta guardandomi negli occhi con un’aria di sfida.
“Togliteli!”
“No!”
Continuava apertamente a sfidarmi, era fin troppo chiaro che voleva provocare una reazione, possibilmente violenta. Non aveva capito niente…
Le afferrai i polsi tenendoli con la mano sinistra dietro la sua schiena, in questo modo le tolsi la possibilità di usare le mani per sostenersi e fu costretta a piegarsi sul lavandino, con la mano destra abbassai la zip sul fianco dei pantaloni e li tirai giù.
Sotto indossava un tanga nero.
Avrei voluto strapparglielo di dosso, e forse era la reazione che anche lei voleva provocare commettendo quelle disubbidienze che in passato le erano costate salate, ma non volevo dargli questa soddisfazione, non avrei reagito come si aspettava.
Abbassai anche il tanga scoprendo la rosellina del suo ano non occupata dal plug come avrebbe dovuto.
Ci voleva una lezione, lì, subito, senza esitazione.
Dall’erogatore del sapone liquido per le mani ne versai una generosa quantità sulla mano libera e la depositai sul suo ano, spalmandola e utilizzandola come lubrificante di fortuna per infilare un dito dentro.
Feci scorrere il dito diverse volte e poi ne infilai un secondo, continuando a farli scorrere per tutta la lunghezza.
Sfilai le dita, presi ancora del sapone e lo spalmai ulteriormente sull’ano e intorno.
Dirai fuori il pene ormai durissimo, lo appoggiai e spinsi senza troppa delicatezza tutto dentro il suo culo, mentre continuavo a tere i polsi di Daphne con l’altra mano la presi per i capelli e iniziai a martellare il culo con affondi violenti e implacabili.
Andai avanti incurante dei lamenti di lei, sempre più forte, fino a schizzare tutto il mio seme nelle sue viscere.
Laciai la presa sui suoi capelli e sui polsi, le tirai su il tanga con forza, facendo in modo che si infilasse in mezzo alle labbra e continuai a tirare ben oltre quello che sarebbe stato necessario, tirai poi su i suoi pantaloni lasciando che fosse lei ad allacciare e tirare su nuovamente la zip.
Presi un capezzolo fra le dita e continuai a stringerlo fino a che non abbassò lo sguardo. La feci inginocchiare e le infilai il mio cazzo in bocca da pulire, era impiastrato di sperma e sapone.
Fece quello che le avevo chiesto mentre io continuavo a stringere dolorosamente il suo capezzolo fra le dita.
La feci tornare in piedi tirandola per il capezzolo e le dissi di venire da me il giorno dopo alle 15 per la sua punizione.
“E ti consiglio di non prendere impegni neanche per domenica, stavolta non ci sarà Martha a salvarti.”

Strinsi fino a che non vidi affiorare le lacrime sugli occhi di Daphne, poi la lasciai andare.
Rimasto solo mi lavai, per quanto efficace il lavoro di bocca di Daphne qualche residuo di sapone era rimasto ed era piuttosto fastidioso, Daphne non aveva avuto modo di lavarsi, e il sapone nel suo retto le stava sicuramente provocando fastidi peggiori dei miei. Era quello che volevo.
Sempre in qualsiasi momento non doveva mai dimenticare chi comandava.
Me ne andai dall’ufficio all’ora di pranzo, c’era ancora del lavoro da fare, ma lunedì Dough sarebbe tornato e se ne sarebbe occupato lui.
Per il pomeriggio la presenza di Martha era più che sufficiente, in fondo era venerdì.
Mentre uscivo dalla hall del nostro palazzo vidi dall’altra parte della strada Douglas che camminava verso est, allontanandosi da dove stavo io.
Era troppo lontano per chiamarlo, ma volevo chiedergli se era tutto a posto così allungai il passo nella sua direzione cercando di arrivare parallelo a lui sull’altro lato della strada, lo avevo quasi raggiunto e mi sarebbe bastato a quel punto attraversare la strada per averlo a portata di voce quando svoltò bruscamente entrando in un palazzo di uffici come ce n’erano tanti in quella zona della città.
Presi il telefono per chiamarlo, non sapevo dove fosse diretto e non volevo certo aspettarlo fuori.
“Ciao Dough, come te la passi ?”
“Bene capo, sono ancora a casa, ma le cose vanno migliorando.
“Bene, pensavo fossi in giro, magari potevamo vederci per pranzo…”
“no, mi spiace, anche oggi sono bloccato a casa.”
“Capisco, va bene dai, allora ci becchiamo lunedì in ufficio.”
“Certo! A presto!”
Che stava succedendo ? Se non l'avessi visto entrare in quel posto con i miei occhi avrei creduto assolutamente alla balla che mi aveva appena raccontato, ma perché mentirmi ?
Dovevo saperne di più, poco più avanti c’era una caffetteria con le vetrine che davano proprio sull’ingresso del palazzo dove era entrato Douglas.
Entrando mi accorsi che oltre al bancone e ad alcuni tavoli a livello della strada, il locale aveva anche un piano superiore che affacciava sempre sullo stesso lato.
Ordinai un caffè e una fetta di torta e salii al piano superiore.
Trovai un tavolo proprio vicino alla vetrina, un punto di osservazione perfetto, potevo tenere d’occhio l’ingresso del palazzo di fronte senza essere notato.
Una cameriera molto cortese mi portò quello che avevo ordinato e mi chiese se c’era altro che potesse fare per me. Era molto carina, con modi gentili e aggraziati, si muoveva fra i tavoli come se danzasse.
“Per ora sono a posto, grazie”
Le sorrisi e lessi il nome sulla divisa.
“Camilla, sei una ragazza dai modi gentili e ti muovi con la grazia di una ballerina.”
Il viso le si illuminò in un sorriso sincero e spontaneo.
“La ringrazio”
“Mi chiamo Steve, dammi pure del tu.”
“Grazie Steve”
Disse annuendo leggermente in imbarazzo e si allontanò.
“Camilla, scusami” La richiamai.
“Ho cambiato idea, vorrei un frullato invece del caffè, è possibile ? Lascia nel conto anche il caffè ovviamente, non c’è problema.”
"Certo, nessun problema”
Rimise il mio caffè sul suo vassoio e si allontanò velocemente. Tornai ad osservare l’ingresso del palazzo, non c’erano targhe all’esterno, se c’erano uffici di più aziente le indicazioni le avrei trovate solo entrando nella hall, ma dovevo aspettare che Douglas uscisse.
Mentre formulavo questi pensieri Camilla tornò con il mio frullato.
Lo depose sul tavolo accanto allo spicchio di torta che ancora non avevo toccato mettendoci sotto un tovagliolino quadrato come sottobicchiere.
Ringraziai Camilla che si allontanò velocemente rispondendomi solo con un cenno del capo.
Tagliai con la forchetta un pezzo di dolce e assaggiai senza distogliere lo sguardo dal lato opposto della strada. Amarene su un fondo di crema e pasta frolla, non una classica american pie, ma molto gustosa, il giusto equilibrio di dolce e aspro.
Terminai la torta raccogliendo anche le briciole, e iniziai a sorseggiare il frullato, fragola e un leggero aroma di vaniglia, quasi un retrogusto tanto era poco percepibile.
Sollevando il bicchiere notai che sotto al tovagliolo c’era qualcosa che si intravedeva in trasparenza, una scritta forse, ma non leggibile.
Con la coda dell’occhio notai un movimento sulla strada, Douglas stava uscendo dal palazzo e stava tornando nella direzione da cui era venuto quando lo avevo visto.
Finii con calma il frullato per lasciare che si allontanasse abbastanza da non vedermi quando fossi entrato nello stesso palazzo.
Ora che non dovevo più controllare la strada mi concentrai su quello che avevo notato prima, spostai il tovagliolo ma sotto il tavolo era pulito, mi accorsi allora che quello che avevo visto in trasparenza non era qualcosa scritto sul tavolo, ma sul retro del tovagliolo.
Era un numero di telefono, e sotto come firma solo una ‘C’.
Presi il cellulare e memorizzai il numero di Camilla, lasciai venti dollari sul tavolo per quello che avevo consumato più la mancia e attraversai la strada diretto all’ingresso del palazzo di fronte.
Entrai con passo tranquillo nella hall e mi diressi al pannello con i nomi delle società ospitate che si trovava fra gli ascensori.
Non c’erano studi medici fra i nomi, notai invece una società che si occupava di consulenze e che qualche tempo prima ci aveva inviato una offerta per esternalizzare alcuni dei servizi che venivano svolti dal mio ufficio e in parte dal reparto di logistica della nostra divisione di produzione.
Lunedì avrei chiesto conto a Douglas di quello che avevo visto oggi.

Tornai a casa e verificai di avere tutto quello che mi sarebbe servito il giorno successivo per Daphne.
Feci una doccia e mi preparai ad uscire di nuovo. Avevo una cena con alcuni ex compagni del college che si trovavano a passare in città.
Uscii di casa e presi un taxi per il centro, mentre viaggiavamo verso il ristorante mandai un messaggio a Camilla:
“A che ora stacchi ?”
La serata passò piacevolmente raccontandoci aneddoti e varie figuracce di quando eravamo matricole, dopo la cena passammo in un bar per continuare la serata, poi ci congedammo con la promessa di non perderci di vista e chiamammo i taxi per tornare chi a casa chi in albergo.
Ripresi in mano il cellulare dove occhieggiava la notifica di alcuni nuovi messaggi.
Uno era di Martha:”Possiamo parlare ?” a cui non risposi, lo avrei fatto più tardi, forse.
L’altro veniva dal numero di Camilla:”Stasera devo fare la chiusura, sarò qui fino all’una”
Era quasi mezzanotte, chiesi al taxi di lasciarmi davanti alla caffetteria dove lavorava Camilla.
Entrai e mi sedetti ad un tavolo lontano dalle vetrine, Camilla stava pulendo i tavoli sistemandoli per la mattina, mi vide entrare e mi sorrise illuminando tutto il locale con la sua energia contagiosa.
Lascio quello che stava facendo per prendere la mia ordinazione.
“Ciao Camilla, è bello vederti di nuovo.”
“Prende qualcosa ?”
“Abbiamo stabilito che non sono tipo da caffè, mi affido a te. E dammi del tu”
“Non diamo confidenza ai clienti” Mi rispose strizzando l’occhio.
Tornò con uno spicchio di una magnifica torta al cioccolato e amarene, guarnita con piccole nuvolette di panna. Da bere una specie di frappè alla nocciola che si sposava perfettamente con il cioccolato della torta.
Approfittai dell’attesa per rispondere a Martha:”Si, possiamo parlare. A casa mia. Domattina alle 10.
Feci scorrere un po’ la timeline di instagram per passare il tempo mentre aspettavo l’ora di chiusura, mancavano circa quindici minuti.
Proseguii surfando i social senza accorgermi del tempo che passava finché le luci del locale non si abbassarono di colpo.
Ero l’unico cliente rimasto, e a parte le luci sopra il bancone e quelle della cucina, tutte le altre luci erano state spente.
Mentre mi guardavo intorno Camilla chiuse a chiave la porta di ingresso e venne verso di me.
“Devo pulire il pavimento qui, vieni con me.”
La seguii oltre il bancone in una piccola stanza che fungeva da spogliatoio per i dipendenti.
“Aspettami qui, faccio presto”
Non attese la mia risposta e tornò da dove eravamo venuti.
Passarono cinque o sei minuti e la vidi comparire sulla porta.
“Eccoti! Hai fatto presto, sei stata di parola.”
Si, ora però dovrei cambiarmi…” mi disse indicando la porta.
Uscii sul corridoio, lei chiuse la porta lasciandomi ad attenderla nella fredda luce che proveniva dalla cucina.
Quando riaprì la porta, il completo da cameriera aveva lasciato il posto ad un paio di jeans e una felpa verde scuro, scarpe da ginnastica.
“Dove vuoi che andiamo ?”
“Veramente non credo di essere vestita per poter andare da nessuna parte, e sono un po’ stanca, ti va di accompagnarmi a casa ?”
“Certo che mi va! Chiamo un taxi.”
Utilizzai la app per prenotare un Taxi che sarebbe arrivato in 3 minuti, o almeno così diceva.
Uscimmo dal retro del locale in un vicolo e tornammo sulla via principale per aspettare il taxi che arrivò circa 5 minuti dopo, alla faccia dei 3 minuti.
Camilla disse l’indirizzo al tassista che partì immediatamente.
Dall’indirizzo che aveva dato sembrava abitasse vicino al campus, nella parte est della città, ma non in periferia.
Scendemmo in un quartiere residenziale, diversi palazzi per appartamenti probabilmente costruiti fra gli anni ‘60 e ‘70.
Nel palazzo di Camilla c’erano 8 appartamenti, il suo era al secondo piano.
La seguii su per le scale fino alla porta del suo appartamento, inserì la chiave nella toppa e si girò verso di me.
“Non abito sola, non fare troppo rumore”
Che cazzo significava ‘non abito sola’ ?
Entrò nell’appartamento ed accese la luce.
Ci trovavamo in un piccolo soggiorno con un divano, una televisione che doveva avere la stessa età del palazzo, un tavolo tondo di legno con 4 sedie poco distante e una minuscola cucina ancora più dietro.
sulle pareti laterali si aprivano 4 porte, camilla si diresse ad una di queste la apri e mi fece cenno di precederla, entrai nella stanza fiocamente illuminata dalla luce che proveniva dal soggiorno, poi Camilla spense anche quella luce e rimasi al buio, nei pochi istanti in cui c’era luce avevo intravisto un letto e una scrivania, Camilla chiuse la porta alle sue spalle e accese la luce sul comodino accanto al letto.
Avevo visto bene, un letto una scrivania e un piccolo armadio a muro, tre ante.
Sembrava in tutto e per tutto la stanza di una studentessa di college, tranne che per il fatto che invece di esserci due letti ce n’era uno a due piazze.
“E’ carino qui” osservai.
Camilla si tolse la felpa restando con una t-shirt bianca sopra i jeans.
Si sedette sul bordo del letto e mi invitò a sedermi accanto a lei.
“Insieme a me ci abitano altre tre ragazze, vanno al college.”
“ah, capisco, e tu invece ?”
“Anch’io, faccio la cameriera per non gravare completamente sui miei genitori, con quel lavoro riesco a pagare l’affitto di questa stanza e avanza qualcosa per me, senza dover dipendere completamente da loro.”
La conversazione stava languendo, scostai una ciocca di capelli dal viso di Camilla e mi avvicinai lentamente al suo viso.
La baciai in modo abbastanza casto per capire le sue intenzioni.
Apri la bocca e lasciò che con la lingua cercassi la sua, rapidamente il bacio divenne appassionato, la sdraiai sul letto e continuai a baciarla, infilai una mano sotto la t-shirt e presi in mano un seno, mi lasciò fare e mi baciò con più foga.
Avevo una gamba in mezzo alle sue e lei strofinava l’inguine sulla mia coscia.
Ad un certo punto iniziammo a spogliarci vicendevolmente, la t-shirt fu facile da togliere, con i jeans fu più impegnativo, ma con il suo aiuto riuscii a toglierli e rimase in mutandine. I piccoli seni perfetti erano un’opera d’arte nella luce calda della lampada.
Mi tuffai su quelle delicate colline e ne presi a piene mani, e lingua e baci, poi scesi verso l pube ancora coperto dalle mutandine, baciai il bordo superiore e poi il tessuto scendendo fino a sentire le sue labbra sotto le mie, l’odore era inebriante, sfilai le mutandine e scoprii il suo sesso completamente depilato, la leccai ed era già bagnata, aveva una sapore meraviglioso, non avrei voluto mai smettere.
Invece fu lei ad allontanarmi per spingersi fra le mie gambe e prenderlo in bocca, era molto delicata, ma sapeva quello che faceva, in breve tempo me lo fece diventare di marmo.
Lo lascio andare e si sdraiò di nuovo sul letto con le gambe aperte in un chiaro invito che non mi feci sfuggire.
Le fui sopra, la baciai ed entrai in lei.
Lo facemmo per un po’ alla missionaria, poi mi misi in ginocchio tirandola a me senza uscire da lei, mi distesi sulla schiena e lei mi cavalcò energicamente dettando il ritmo e la profondità della penetrazione mentre io le afferravo i glutei e con un dito giocavo con il suo buchino posteriore.
Si tirò su, accucciandosi su di me per cambiare angolazione nella penetrazione, questa posizione era molto stimolante per me, la cinsi per la vita e iniziai a muovermi dentro di lei spingendo con il bacino e facendola sussultare ad ogni colpo che via via si faceva più veloce mentre mi avvicinavo all’orgasmo. Aveva capito che ero vicino e mi sussurrò di venirle dentro.
Non me lo feci ripetere due volte, venni cercando di non fare troppo rumore continuando a muovermi finché anche lei non venne emettendo qualche gemito strozzato.
Restò a cavallo sopra di me con le ginocchia divaricate e la testa sul mio petto, con le dita riuscivo ancora ad arrivare al suo ano che ripresi a stimolare scendendo anche alla vagina, si spostò per facilitarmi l’accesso e infilai due dita ora decisamente più in profondità visto che stava con il bacino quasi sopra il mio addome.
La masturbai così finché non la sentii venire di nuovo e con le dita ancora dentro di lei la baciai di nuovo.
Nel frattempo ero tornato duro e ne volevo ancora, la misi carponi e la montai da dietro con potenti affondi facendola venire altre due volte prima di riempirla nuovamente venendo a mia volta.
Camilla si addormentò quasi subito senza neanche darmi il tempo di dire nulla.
Impostai la sveglia sul telefono per le 7 e provai a dormire anch’io.
Mi svegliai che era ancora notte, Camilla non c’era, ma sentivo scorrere l’acqua della doccia, proveniva da dietro una porta che non avevo notato prima, si vedeva la luce filtrare da sotto la porta. Mi alzai e controllai l’ora, erano le 5, di lì ad un ora avrebbe iniziato ad albeggiare.
Bussai alla porta del bagno ed entrai.
Il bagno era piccolo, il water il bidet e una vasca sulla parete in fondo chiusa da una tenda bianca senza disegni, la figura di Camilla si distingueva in trasparenza.
“Posso approfittare anche io dell’acqua calda ?”
Chiesi a voce un po’ più alta dopo aver chiuso la porta.
Camilla scostò un poco la tenda per mettere fuori la testa ed osservarmi incuriosita e divertita, ero nudo e ridicolo come ogni uomo nudo.
Mise una mano fuori e mi fece cenno di avvicinarmi.
Scostai la tenda e scavalcai il bordo della vasca, Camilla mi passo il flacone del bagnoschiuma e si scambiò di posto con me per consentirmi di andare sotto il getto della doccia.
Mi lavai mentre continuava ad osservarmi con un malcelato sorriso sotto i baffi.
La tirai sotto il getto insieme a me e la baciai.
“Una sera di queste dobbiamo rifarlo da me… Ho una doccia più grande e vivo da solo, possiamo fare tutto il rumore che vogliamo.”
Con la mano mi stava carezzando le palle, si abbassò e me lo prese in bocca facendomelo diventare duro, la feci tirare su e le tirai su una gamba facendole appoggiare il piede sul bordo della vasca.
La presi così, in piedi, mentre l’acqua della docca scorreva fra i nostri corpi.
Mi rivestii e uscii dalla sua stanza lasciando Camilla che si asciugava i capelli.
Prima di rientrare a casa mi fermai a prendere alcune brioches per colazione, quando aprii la porta di casa erano le 7:30, troppo tardi ormai per tornare a dormire, lasciai i cornetti in cucina, mi cambiai e attesi l’arrivo di Martha guardando le telecamere nella casa di Daphne, stava dormendo e le registrazioni non mostravano nulla di interessante.
Andai in cucina, accesi la macchina del caffè, e iniziai a spremere un po’ di arance.
Non sopportavo il sapore artefatto della spremuta confezionata, quando potevo, preferivo berla appena spremuta.
Ne preparai un po’ di più in caso Martha ne volesse un po’.
Mentre finivo di sistemare suonarono alla porta, non erano ancora le 10, ma non aspettavo nessuno quindi poteva essere solo Martha.
Andai ad aprire ed era effettivamente lei, un po’ in anticipo e in abbigliamento sportivo, una tuta nera, attillata in un unico pezzo, il top con spalline larghe tipo canottiera e sopra una camicia bianca aperta con maniche risvoltate. una piccola borsa monospalla portata sotto la camicia e scarpe da ginnastica.
“Buongiorno, prego, entra e togliti le scarpe”

continua...
scritto il
2023-09-06
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