Pigmei - commercio di schiave (parte 4)

di
genere
sadomaso

Chanel e Monique stavano cenando.
Tenevano entrambe moltissimo a quel rito settimanale al quale, negli ultimi 3 anni, non avevano potuto darvi luogo solo un paio di volte.
Da quando erano divenute socie nella loro attività di commercio di schiave di qualità, quello era un momento non solo conviviale ma anche per poter parlare dell’andamento degli affari.
Ciascuna di esse aveva una schiava incatenata sotto la sedia con il viso che sporgeva dal foro realizzato nel centro della seduta di quei mobili fatti realizzare appositamente, in legno pesante e pregiato, imbottite anche nei braccioli e nello schienale, impreziosite dal legno lavorato da un abile artigiano che si era guardato bene dal chiedere il motivo di quel buco al centro.
Le giovani schiave, entrambe italiane, erano, ovviamente, nude.
In quelle occasioni le Padrone usavano indossare i vestiti migliori, con ampia gonna che, sollevata, consentiva di sedersi e, senza mutandine, di avere la figa a contatto con la bocca della schiava sotto di loro.
La ragazza che serviva Chanel, Francesca, soffriva per i morsetti ai capezzoli e alla figa che le procuravano molto dolore.
Chanel era molto temuta dalle schiave in quanto, a differenza della socia, era più sadica.
“Le ultime due vendite hanno reso meglio del previsto”.
“Vero, quel possidente terriero non ha badato a spese. Pensavamo fosse interessato a una e invece non ha battuto ciglio quando gli hai sparato il costo di entrambe”.
“Prendiamo nota, Monique. E’ la seconda volta che un ricco spende una notevole quantità di danaro quando le schiave o gli schiavi in vendita sono fratelli e sorelle”.
Seguì un attimo di silenzio. Monique osservò divertita lo sguardo di Chanel che, evidentemente, stava provando molto piacere dalla lingua della giovane sotto di lei.
La Padrona si appoggiò allo schienale. Le mani, strette ai braccioli, avevano lasciato cadere a terra le posate che sarebbero state raccolte dalla schiava cameriera che, nuda, attendeva inginocchiata accanto al tavolo.
Chanel socchiuse gli occhi e cominciò a tirare con forza il cordino legato ai morsetti che stringevano i capezzoli e le grandi labbra della schiava che le stava dando piacere, ricevendo il forte dolore sadico di colei che voleva godere del lavoro della sua lingua e del gran dolore infertole.
La schiava cameriera, che ormai conosceva i gusti della Padrona, avendo capito che stava per giungere il momento dell’orgasmo, si precipitò sotto il tavolo, le tolse la scarpa e iniziò a leccarle il piede, succhiandole l’alluce e facendo passare la lingua tra le dita.
Nel momento dell’orgasmo infilò nuovamente l’alluce in bocca accarezzandolo con la bocca e la lingua.
Chanel aveva sempre avuto un orgasmo molto potente, forte. Monique sapeva che dopo l’apice del piacere provato con le mani strette ai braccioli e la schiena tesa, con la testa all’indietro, si sarebbe rilassata e accasciata.
Il respiro lentamente tornò normale. Le mani di colpo lasciarono la presa ed il cordino che tirava i morsetti venne lasciato cadere a terra.
La schiava restò sotto la sedia, ormai oggetto inutile, dimenticata al punto che non ordinò nemmeno alla schiava cameriera di toglierle i morsetti.
Le due Padrone si erano ripromesse che se avessero voluto avviare la tratta delle schiave, non avrebbero dovuto impietosirsi e, anzi, avrebbero dovuto vedere quelle ragazze e ragazzi unicamente per ciò che erano, cioè solo degli oggetti che le avrebbero fatte diventare ricche.
Così, per lei, non aveva alcuna importanza se la giovane italiana in quel momento continuava a soffrire per i morsetti o per la postura scomoda, ormai inutile alla Padrona.
La schiava che stava leccando la figa di Monique si era ovviamente accorta di quanto stava accadendo ma aveva imparato a non distrarsi. Proseguì quindi il suo lavoro come se nulla stesse accadendo.
Aumentò solo il ritmo della lingua immaginando che alla Padrona facesse piacere ricevere più attenzioni al sesso nel momento in cui osservava l’orgasmo dell’amica.
Monique non si ricordava nemmeno che quella giovane si chiamava Monica, stesso nome suo ma in altra lingua.
Aveva sorriso appena appresa, ma poi lo aveva dimenticato subito. In quegli anni avevano visto passare nelle loro celle tante schiave. Sin dall’inizio si erano ripromesse di dover dimenticare i loro nomi in quanto un nome rende persona un oggetto e loro non se lo potevano permettere.
Quelle ragazze e quei ragazzi dovevano essere e restare oggetti, merce, cose e, pertanto, venivano chiamati per ciò che erano.
“Ho sentito che due sorelle, contesse, sono riuscite a scappare e a nascondersi dalla caccia del popolo”.
“Ho sentito anche io, tra l’altro ancora giovani e appetibili. Le conoscevi?”.
“Come sai, l’ultima mia frequentazione da donna libera nel gran mondo risale ad anni addietro. Il tempo cambia le persone e le fatiche cui devono essere state sottoposte per fuggire, potrebbero avere reso meno belle le ragazze. Comunque sì, quando le frequentavo erano belle e, soprattutto, di gran classe”.
“Che notizie hai? A me hanno detto di averle viste in un paesino nella Valle della Marna, un po’ distante da Parigi. Hanno una locanda”.
“Anche io ho sentito che si trovano in quella zona, ma mi hanno detto che fanno le sarte”.
“Direi di andare a fare un giro”.
“La settimana prossima potrei partire. Tu resti qui con queste bestie che adesso stanno sotto i nostri culi”.
“Chanel, ma che linguaggio!!!”.
Risero entrambe.
Monica, sotto il culo della Padrona, lasciò scorrere la lingua fino al culo. Sapeva che alla Padrona piaceva molto. Voleva portarla all’orgasmo mentre cenava, così, forse, l’avrebbe lasciata in pace dopo.
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scritto il
2024-05-22
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