Schiava dei suoceri (parte 4)

di
genere
sadomaso

Le sembrò di avere pulito il pavimento dalla polvere con il ventre ed i seni quando finalmente giunse ai piedi della suocera che, sadica, non si era persa nemmeno un centimetro della sua umiliazione.
Anzi, il tempo necessario per percorrere il calvario dalla porta al “trono”, aveva avuto l’effetto di amplificare l’eccitazione della Padrona.
L’attesa ha anche questo scopo, cioè quello di aumentare l’ansia o alimentare il piacere dando tempo alla parte sessuale di trarre emozioni erotiche da quei momenti che anticipano, pur rinviando nel tempo, quanto sarà provato.
Irene, stesa a terra, aveva quale unico orizzonte le scarpette di quella megera. Aprì la bocca per leccare le calzature ma venne anticipata dalla donna che le infilò in bocca la punta della ciabattina.
La stronza spingeva il più possibile. Voleva arrivare alla gola o, almeno, il più vicino possibile.
“Tieni bene aperta la bocca, vermiciattola”.
Dovette soffocare tosse e conati, avendo la vecchia raggiunto la parte sensibile.
La fatica non le impediva di sentire sulla lingua il ruvido della suola con ciò cui era attaccato, cioè gli inevitabili granelli che si trovano sul pavimento.
Finalmente la Padrona le tolse il piede dalla bocca, ma solo per dare origine ad altra umiliazione.
“Tira bene fuori la lingua, puttana”.
Irene sapeva cosa sarebbe accaduto.
La suocera cominciò a strisciare la suola della ciabattina sulla sua lingua, usandola come zerbino.
“A questo serve la tua lingua di puttana”.
Si divertì a lungo, prima una suola e poi l’altra.
“Guardami mentre mi pulisco le scarpe sulla tua lingua”.
Irene faceva fatica a tenere lo sguardo alto, mentre doveva stare con la bocca aperta e la lingua fuori, senza poter alzare troppo la testa in quanto la postura necessaria per poter osservare gli occhi della Padrona era incompatibile con la funzione della sua lingua.
Ogni tanto la stronza schiacciava il piede verso terra facendole molto male.
Evidentemente era eccitata ed aveva tutte le intenzioni di divertirsi il più possibile con lei.
Ormai non pensava nemmeno più alla serata che tanto aveva atteso con quel bell’uomo che da tempo la corteggiava.
I due Padroni avevano il potere di assorbire tutte le sue attenzioni e sensazioni facendole vivere la schiavitù.
“Toglimi le ciabattine”.
Sapeva cosa stava per succedere e già si sentiva in bocca il sapore del piede di quella donna che era rimasto a contatto con la ciabattina di cuoio.
“Leccami i piedi, anzi, lavameli con la lingua”.
Era un ordine del tutto inutile. Sapevano entrambi che quell’attività era cosa scontata, essendo un dazio ulteriore da pagare ogni qual volta Irene era al cospetto dei suoi proprietari.
La schiava passò la lingua, ripetutamente, su ogni centimetro della pelle, contorcendosi il più possibile per arrivare dietro e sotto, posto che la donna non faceva nulla per agevolarla.
Il piede stava fermo e la schiava avrebbe dovuto svolgere il suo lavoro.
Luisa la osservava dalla posizione privilegiata. La sua espressione era tale da narrare, a chi avesse potuto osservarla, tutto il piacere che aveva dentro e che stava provando.
Si sentiva eccitata e bagnata. Quella puttanella aveva il potere, con la sua umiliazione, di scatenarle dentro emozioni fortissime e di lasciarla bagnata per tutto il tempo che sarebbe stata con loro.
Si era tolta le mutandine poco prima di mandarle il messaggio sms.
Da allora la bocca dello stomaco aveva iniziato a vibrare e la sua fica a dare testimonianza dello stato.
Adorava sentirsi bagnata e immaginare che gli umori sporcassero la gonna che poi quella puttana a terra davanti a lei avrebbe dovuto lavare.
Le mutandine erano a terra, accanto ai suoi piedi, come se quella posizione avesse il compito (inutile) di anticipare alla schiava ciò che avrebbe dovuto fare con la lingua dopo averle leccato i piedi.
La eccitava osservare la fatica con la quale cercava di guardala dal livello più basso raggiungibile e, da laggiù, farle vedere i suoi occhi colmi di piacere e di eccitazione, mentre muoveva le dita del piede che in quel momento si trovavano nella bocca della nuora.
Osservò le sue stesse mutandine a terra. Spostò lo sguardo più volte dalla cagna a terra all’indumento.
Il sorriso sadico prese maggior evidenza nel momento in cui pensò che, più tardi, avrebbe intriso quelle stesse mutandine con la sua urina e le avrebbe appallottolate in bocca a quella puttana a terra, magari mentre serviva la cena a lei e al marito.
Luisa si accorse che il sorriso rivelatore delle intenzioni rimaste però segrete, venne notato dalla ragazza e si divertì nell’osservare l’ombra che vide passare nei suoi occhi.
L’eccitazione era giunta al culmine e necessitava ora di ben altri sfoghi.
Prima di costringere la schiava, inginocchiata, a leccarle la figa, schiacciò con forza il piede ancora infilato nella sua bocca, a terra, fino a vedere sgorgare lacrime di sofferenza in quegli occhi che non riuscivano più a guardare i suoi.
Estrasse il piede e si soffermò a guardare quel bel corpo che le apparteneva e dal quale avrebbe potuto trarre tutto il piacere che avesse voluto.
Le dava fastidio che il proprio corpo non avesse più quella tonicità e bellezza che possedeva quando si era sposata e col quale tanto eccitava il marito.
Troppi anni erano passati.
L’eccitazione era al limite ma volle prolungare ancora il piacere dell’attesa della lingua della puttana sulla figa.
Si alzò in piedi. Le pose un piede sulla schiena e iniziò a camminarle sopra. Un passo sulla schiena e uno sulle natiche.
Scendeva a terra, si girava e percorreva al contrario il percorso sul suo tappeto umano.
Giunta sul dorso si fermò.
Per restare in equilibrio si appoggiò al bastone che aveva a fianco della poltrona, essendo cosa solita che usasse la nuora come tappeto per le sue passeggiate e abbisognando di un supporto.
Sentiva la sua fatica nel reggerla e le piaceva avvertire il corpo sotto di lei.
Col piede le spostò il capo facendole appoggiare la guancia a terra.
Le pose il piede sulla faccia. Sentì il corpo della nuora che si irrigidiva per prepararsi all’uso.
Appoggiò il peso sulla faccia e fece l’ultimo passo pesandosi completamente sopra per scendere a terra.
Si sedette sulla poltrona e allargò le cosce.
“Lecca, puttana”.
Irene era ancora dolorante per l’uso. La suocera che camminava sulla sua faccia le procurava sempre tanto dolore.
Si mise in ginocchio.
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scritto il
2024-06-20
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