Schiava dei suoceri (parte 3)

di
genere
sadomaso

La tuta era appallottola a terra, tipica delle cose tolte di fretta e per le quali non c’è tempo di avere cura.
Si avvicinò verso la sala e, prima di farsi vedere dalla suocera, si stese ventre a terra ed entrò nel locale dove sapeva di trovare la Padrona.
“Ci hai messo troppo tempo, puttana. Verrai punita, dopo, quando arriverà tuo suocero”.
Lo sapeva che sarebbe finita così. Aveva indugiato troppo prima di uscire da casa. Poi quel maledetto camion della consegna delle bibite che non era riuscita a superare se non dopo qualche chilometro, per trovarsi di fronte l’autobus di linea che non aveva saltato una fermata.
“Scusi, Padrona”.
Quegli stronzi pretendevano il “lei”.
Già la tenevano in pugno col ricatto e, forti di questo, ne approfittavano per fare e farle fare tutto ciò che volevano.
Ciò che avevano scoperto di lei era abbastanza per farle fare più di qualche anno di carcere, senza contare la perdita dell’eredità del marito.
Quei bastardi non l’avevano denunciata ma avevano deciso che avrebbe dovuto pagarla, a lungo, pesantemente.
Sapeva benissimo di non essere mai piaciuta. Aveva classe, eleganza, ma non veniva dal loro ambiente. Una sera la suocera le disse che dalle sue origini vengono solo le serve. L’aveva anche accusata di essere una arrampicatrice sociale. Per questo avevano litigato col figlio e per anni non si erano parlati.
Irene aveva sorriso di questo, perché avevano perfettamente ragione. Lei non aveva mai amato il loro figlio ed aveva puntato esclusivamente ai soldi e alla posizione sociale.
Il figlio la amava e lei, pur di tenerlo, lo soddisfaceva sessualmente come desiderava.
Il sesso è sempre stata una importante arma e non si faceva scrupolo di farvi ricorso.
A questo si aggiunga il lato divertente: l’ex marito, sessualmente, era uno schiavo, godeva nell’essere sottomesso, umiliato e schiavizzato. Lo eccitava moltissimo assistere al rapporto sessuale della moglie con altri uomini e lei, senza fatica, lo accontentava facendogli fare lo schiavo, assistendo agli amplessi in modalità sottomessa.
Quanto volte aveva dovuto leccarle la figa per pulirla dallo sperma che gli amanti le avevano lasciato dentro.
Lo costringeva a stendersi a terra davanti alla porta di ingresso e fungere da zerbino per l’uomo di turno.
Qualche volta aveva avuto rapporti con uomini bisessuali che avevano voluto usare il culo del marito per godere.
La morte aveva aperto la questione dell’eredità che, per una serie di scatole giuridiche e di fondi, i suoi suoceri erano riusciti a bloccare almeno fino alla loro morte.
“Finché saremo in vita dovrai essere la nostra schiava e questo non sarà un gioco. Solo dopo la nostra morte potrai goderti l’eredità e giuro che te la faremo guadagnare tutta, ogni singolo centesimo di euro o ogni azione del gruppo”.
Ogni volta che si doveva recare dai Padroni quelle parole, che ricordava perfettamente, le risuonavano ancora in testa, come se le fossero urlate, nonostante il tono gelido con il quale vennero pronunciate.
Le avevano esibito i documenti raccolti dall’investigatore che avevano incaricato e le avevano ordinato di spogliarsi e di inginocchiarsi davanti a loro.
Avevano sistemato le poltrone una accanto all’altra, come fossero due troni. Davanti a loro, a terra, dove avrebbe dovuto inginocchiarsi, c’erano molti sassolini che le si conficcarono nella testa, tale era il dolore che le saliva dalle ginocchia quando le aveva posate a terra.
Solo dopo essersi goduti a lungo il suo dolore, le avevano pronunciato la sua condanna e preteso che leccasse le loro scarpe.
L’umiliazione ha mille forme. Pretesero anche che lei giurasse a loro la sua sottomissione e la cessione del suo corpo per il soddisfacimento di ogni loro voglia o anche solo capriccio.
Sapevano tutti che era un atto inutile in quanto o sarebbe stata denunciata rinunciando all’eredità, o si sarebbe sottoposta al ricatto. Il fatto che fosse nuda, inginocchiata su sassolini davanti a loro, era già l’accettazione totale di ogni loro pretesa.
“Striscia più lentamente, troia”.
Quell’ordine della suocera la riportò al presente.
Evidentemente il pensiero di quella sera le aveva fatto percorrere meccanicamente e, quindi, troppo velocemente, la distanza dalla porta ai piedi della Padrona, lungo quel pavimento di marmo, freddo, sul quale la pelle del ventre e dei seni doveva sfregare bene prima di raggiungere la donna.
Vedeva polvere a terra.
Aveva pulito lei il pavimento quando era venuta qualche giorno addietro, ma gli stronzi non si facevano problemi a camminare per casa con le scarpe, tanto sarebbe passata la schiava a pulire.
Rallentò l’andatura.
Alla Padrona piaceva osservarla procedere lentamente, godere della sua umiliazione, osservare il suo sguardo che lei cercava di mantenere neutro per non darle soddisfazione.
Luisa sorrideva mentre la nuora si avvicinava. Evidentemente non riusciva a dissimulare i suoi pensieri e, ne era certa, questo aumentava l’eccitazione della donna anziana.
“Brava, stupida cagna. Pare tu sia proprio nata per strisciare a terra. D’altro canto è ciò che le tue origini hanno determinato per te. Vieni ai miei piedi, piccola vermiciattola”.
I suoceri non perdevano occasione per insultarla ed umiliarla verbalmente oltre che coi fatti. Non c’era solamente quella che loro consideravano come distanza sociale, ma vero e proprio sadismo. Lo stesso che aveva imparato ad apprezzare con il loro figlio, quando lo usava come schiavo o come giocattolo sessuale con i suoi amanti.
Quante volte lo aveva costretto a strisciare ai piedi suoi e degli uomini che si portava a casa, a leccare le loro scarpe.
Per una sorta di legge del contrappasso, ora tutto questo toccava a lei, moltiplicato però per decine di volte, fino alla esasperazione dove spesso quei bastardi l’avevano portata.
Terminati i giochi sessuali tra lei ed il marito il rapporto era normale, anche di complicità. Lei, pur non amandolo, gli voleva bene e con lui rideva sempre tanto.
Con i suoceri il rapporto era di pura e totale schiavitù, a volte anche prolungata per giorni, a seconda dei loro capricci.
di
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2024-06-19
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