Portraits - Una lunga esposizione | 4/5
di
Jan Zarik
genere
voyeur
Fare l’investigatrice privata era complesso. Lo era ancora di più quando l’oggetto della tua ricerca rappresentava già l’oggetto delle tue ossessioni. Diventai, nel giro di poche settimane, una guardona, una truffatrice, una complice di adulterio, una lesbica, una amante, una attrice e perfino una ladra.
Avevo spillato soldi al mio capo, facendogli credere che avrei portato a termine un lavoro senza mai compierlo. Avevo mentito spudoratamente riguardo a ciò che sapevo sul giovane amante.
L’obbiettivo, adesso, era tirarsi fuori da quella situazione. Dovevamo mettere al suo posto il marito geloso e paranoico, per il resto saremmo state libere di andare dove volevamo e con chi volevamo.
Già. In fondo, forse speravo di potere avere un futuro con Cristina. Ad essere sincera, non riuscivo ad avere una grande padronanza delle mie azioni. Agivo per inerzia, spinta dalle pulsioni che quella situazione era in grado di evocare.
Alla sera prestabilita, pedinai l’avvocato Mazzanti. Lo seguii a un incontro di partito, Rimasi a debita distanza, perché sapevo che quegli ambienti sarebbero stati super-sorvegliati e la mia inesperienza avrebbe potuto giocare a sfavore. Mi serviva solo fare un paio di foto, immortalarlo davanti un paio di piste di coca oppure mentre conversava con qualche mafioso, oppure mentre immergeva il suo viso tra le natiche di qualche prostituta. Cristina mi diede alcune card di accesso ai privè di noti locali presso cui il marito spesso si recava dopo il lavoro. Il marito beveva, parecchio. Avevo contato almeno quattro drink diversi, per lo più whiskey, nel giro di un paio d’ore e a stomaco vuoto.
Scattai qualche foto di circostanza, immortalandolo mentre incontrava alcune persone. Nel frattempo, la mia mente vagava ancora tra i ricordi di due sere precedenti, quella dove io e Cristina abbandonammo il nostro corpo l’una all’altra. Quando un’altra donna si dedica alla clitoride meglio di come faresti da sola, ti rendi conto che allora i maschi potrebbero assolutamente restare superflui. La cura e la precisione quasi magiche con cui riusciva a farmi provare ciò che avevo provato quella sera erano alla stregua di un sortilegio. Io ricambiai con gratitudine, cercando di fare il meglio che potevo, abbeverandomi a quella fonte calda, setosa e magnifica di umori. Ne ricordo il sapore pungente, che penetrava dentro le narici e procedeva fino al centro del mio petto, espandendolo. Cercavo con la lingua i suoi segreti, mentre le mie mani accoglievano i suoi glutei, i suoi seni bianchi, si insinuavano nella sua bocca che si apriva e la lingua oscena si dimenava tra le mie dita. Le sue, invece, spigolose e affusolate, mi fecero toccare il cielo. Sentivo quasi dei crampi a ogni orgasmo. Non so bene dove riuscisse a premere, ma ciò mi provocava ogni volta un piccolo svenimento. Ci sussurrammo alle orecchie un sacco di cose, parole dolci, parole sboccate, parole piene di desiderio.
Sentivo che Cristina era libera, molto più di me. Non diceva mai nulla a caso e sapeva convincerti di tutto. Quando mi trovai distesa a cosce divaricate, ormai impiattata per essere consumata, mi tornò in mente la sensazione che ebbi nel boschetto dove tutto iniziò, in preda a uno di quegli orgasmi adrenalinici in cui credevo sarei morta di piacere. La sensazione di completo abbandono e sottomissione era la stessa. Avrebbe potuto fare di me ciò che voleva e in un certo senso lo aveva fatto.
Ecco perché pensavo sempre a lei, pure in quel posto squallido, mentre facevo foto al marito cornuto e viscido! Ero di nuovo umida. Stavo quasi per giocare di mano anche in quella situazione, dentro la gabbia del leone. Tuttavia, appena in tempo venni catturata da un movimento strano, tornai subito lucida. Vidi un paio di uomini sedersi con lui, per parlare. La conversazione sembrava parecchio tesa e l’avvocato appariva in difficoltà. Nel dubbio, scattai alcune foto. Per il resto, niente coca. Niente puttane. Niente che potesse incastrarlo in modo plateale.
Mi confrontai con Cristina, qualche giorno dopo, nel corso di uno di quei finti pomeriggi alle sue dipendenze e sotto copertura. «Fantastico! Lo abbiamo fregato!» disse lei, trionfante.
Io non capivo, per cui chiesi di spiegare meglio. A quando pare, Cristina conosceva quelle persone. Dovevano essere magistrati potenti, probabilmente corrotti, altri invece erano imprenditori in odore di mafia. Averli fotografati insieme avrebbe di sicuro scoperchiato qualche scandalo che coinvolgeva uomini importanti, accordi sotto-banco per qualche politico condannato. Suo marito, proprio in quei giorni, stava lavorando alla preparazione dell’accusa di un uomo per l’omicidio di un vicino di casa. Una roba grossa, che aveva generato un forte dibattito in città in quelle settimane, di cui i giornali e i TG non facevano altro che parlare. Tutte queste robe erano per me piuttosto lontane, poiché cercavo di rimanere semplicemente una fotografa; avevo ben altri interessi. Tuttavia, capii anche di possedere qualcosa che potesse creare scompiglio. Decidemmo quindi di inviare tutto alla polizia in busta anonima e attendere.
Massimo, nel frattempo, premeva affinché gli fornissi qualcosa di utile, sulla donna. Spiegai che non solo la moglie di Mazzanti era innocente e il marito si era inventato tutto, ma persino che avevo scoperto qualcosa che poteva mettere nei pasticci proprio l’avvocato. Per cui, forse avremmo dovuto dare indietro i soldi e tirarci fuori da quello scomodo inghippo. Lui apparve raggelare. Era impaurito, forse più di quanto non fossi io. Il timore nei confronti di quell’uomo era palpabile. Cercò dunque di investigare meglio le mie fonti ma io rimasi impenetrabile. Mi disse «Ho sbagliato a coinvolgerti. Potrebbe essere rischioso per te.» Io lo tranquillizzai. Era fatta! Lo avrebbero presto inchiodato in qualche scandalo. Inoltre, ero felice di aiutare quella donna a sbarazzarsi del marito. Adesso Cristina faceva un po’ parte della mia vita e io della sua, sognavo il momento in cui avremmo potuto iniziare a frequentarci con maggiori libertà.
Rimaneva solo la questione ancora in sospeso del giovane amante. Era stata una avventura occasionale? Oppure, era un ospite abituale? Non ero ancora riuscita a introdurle il discorso, perché appunto lei continuava a negarmi qualsiasi confessione. Divenne frustrante, dopo un po’. Sapevo che non potevamo essere sincere al cento per cento l’una con l’altra ma stavo iniziando a essere delusa dal fatto che quel gioco lo avesse sempre governato lei, per suo esclusivo vantaggio. Ero sicura che il giorno in cui pedinavo il marito, lei avrebbe colto la palla al balzo per incontrare il suo giovane prediletto.
Ero invidiosa, forse? Chissà. Avrei sempre potuto pedinare anche lei, come d’altronde era mio compito fare dall’inizio di questa assurda storia, tuttavia non ero capace di farlo. Per me lei era inviolabile e volevo soltanto lasciarmi alle spalle quei fastidiosi intrighi di alta società. Avevo voglia di ritornare in camera oscura, perdermi negli anfratti di luce soffusa rossa, dedicarmi alla carta pellicola immersa nelle vasche di sviluppo, ammirare i chiaroscuri dei corpi che avevo immortalato, nudi e nerboruti, avvinghiati in prese d’amore e di passione.
Un giorno Cristina venne nuovamente al nostro negozio. Voleva ringraziarci ufficialmente per il bellissimo risultato del photo-book che aveva svolto insieme a me come regalo per il marito. Accogliemmo quei ringraziamenti con imbarazzo ma senza darlo troppo a vedere. Ci annunciò inoltre che avrebbe gradito la nostra presenza alla festa che si sarebbe tenuta in una importante villa ricevimenti poco fuori città. Da un lato, pensavamo potesse essere un azzardo. Dall’altro, ci rendevamo conto che era ancora più sospetto rifiutare la proposta.
Per cui, Massimo e io preparammo l’attrezzatura e andammo alla festa di compleanno del Mazzanti.
Ero assolutamente intenzionata a mantenere un profilo basso. Volevo cercare di nascondermi dietro la fotocamera per il maggior tempo possibile.
Eppure, mi sentivo tesa. Avvertivo una specie di strana elettricità nell’aria, che non metteva per nulla a mio agio. Era una festa davvero sfarzosa, d’altronde quella coppia ci aveva ormai abituato. Molti invitati illustri, politici, volti noti della città. Facevamo foto un po’ a tutti. Io giravo tra i tavoli, mentre Massimo stava in postazione polaroid per le foto-souvenir. Stavo per bere un goccio di spumante d’aperitivo, quando questo mi andò di traverso. Tossii e cercai di non affogare. Ero sconvolta. Non potevo credere ai miei occhi.
Il giovane amante era lì, elegante, sorridente, coi suoi boccoli ramati, che scambiava alcune parole con altre persone.
Raggelai, cercai con lo sguardo la moglie del festeggiato ma lei, giustamente, mi ignorava, facendo la radiosa e sorridente come sempre. Niente la turbava. Nessun accenno al disagio.
Come era possibile? Chi era quindi quel tizio? Perché camminava lì, alla luce del sole, nonostante quello che rappresentava? Ero fuori di me. Adirata e gelosa. Mi ero esposta così tanto che adesso mi sentivo bruciare, scottata da una radiazione tossica che adesso pervadeva tutto il mio corpo. Non riuscivo a concentrarmi sul lavoro, eppure le persone continuavano a chiedere i miei servizi.
Quando il giovane alzò una mano per farmi avvicinare, sentii il battito andare a mille. Me lo ricordavo alla perfezione, quel giovincello sbarbato, magro e ossuto ma incredibilmente seducente, mentre si scopava la moglie del Mazzanti in mezzo ai cespugli. Ricordavo anche quelle cosce finemente irsute, attraenti, giovani e prestanti, mentre si contraevano e irrigidivano ad ogni colpo di anca. Ricordavo quella verga pulsante, venosa, carnosa, come fosse un dipinto il cui glande rosso e lucido poteva essere scambiato per un papavero rosso pronto a secernere tutto il suo polline. Ero spaventata ma anche eccitata, cazzo! Mi inginocchiai meglio, per ottimizzare l’angolatura della foto. Si faceva riprendere in compagnia di altre persone, alcune molto più grandi di lui. Tutti sorridenti e compiaciuti. Io, invece, in ginocchio con la fotocamera in mano e la fica che minacciava di grondare contro la mia volontà per ciò che stavo vivendo.
Era proprio un caro ragazzo, amato da tutti. Dovetti bere altro spumante, sebbene Massimo mi avesse raccomandato di non eccedere per non apparire troppo approfittatori. Ma io me ne fottevo. Sarei dovuta stare altre tre ore in quella villa. Cristina mi ignorava e ora la vista di quel giovane mi aveva turbato. Ero inoltre un po’ brilla, non avrei dovuto eccedere sul luogo di lavoro. Stavo scattando foto orribili, poiché la mente pensava ad altro. «Come sono venute?» domandò improvvisamente il giovane, guardandomi diritto negli occhi. «Ehm, bene!» risposi io, cercando di camuffare la fortissima tensione. Aveva una qualche vaga idea di chi io fossi e cosa stessi facendo lì? Sapeva di me e Cristina? Come avrebbe reagito, se avesse saputo che lo avevo già conosciuto nel suo intimo?
Come potevo spiegargli che io avevo già fatto l’amore con lui, attraverso le mie foto?
«Io sono Francesco, piacere. Ci siamo già visti da qualche parte?» domandò con un velo di apparente innocenza. La sua voce era inconfondibile. Si addentrava tra i miei ricordi con prepotenza. Arrossii fortemente. Lui notava quanto fossi trasportata da quel momento. «Non credo, no. Piacere mio, comunque, sono Paola!» dissi io. Lo notai mordersi il labbro. Gli piacevo, forse? Stava giocando con me? Ero soltanto presa dall’alcol. Stavo per crearmi delle storie nella testa. Dovevo smetterla, tacere quei bollori e rimanere concentrata.
Arrivato il momento della torta, ci furono chiaramente le foto di rito. Io e Massimo dovevamo coordinare gli invitati, per consentire a tutti di farsi la foto col festeggiato davanti il dolce.
“Auguri, avvocato!” e il numero 65 scritto a caratteri cubitali. Pacchiana, insulsa, troppo ordinaria.
«Adesso, una foto con sua moglie!» disse Massimo, mentre invitava Cristina ad avvicinarsi al marito. Mazzanti, che sembrava per niente contento della nostra presenza lì, si limitò ad annuire. Noi eravamo scomodi per lui tanto quanto lui era scomodo per noi. Cristina ci aveva fregato tutti.
«Beh, a questo punto facciamo venire anche il resto della famiglia! Dov’è mio figlio?» disse il Mazzanti. Il tempo si fermò per un istante. «Francesco? Vieni a fare una foto con me e Cristina!»
Mi sentii morire dentro. La reflex scivolò dalle mani. Per fortuna era ancora appesa al collo. Tuttavia, nella mia goffaggine e ubriachezza stavo per perdere l’equilibrio. Dovetti quindi sforzarmi di non rovinare per terra.
«Ehi, che ti prende? Stai sul pezzo! Fai ‘ste foto…!» sussurrò Massimo, cercando di mantenere un contegno. Ero in un sogno. Un sogno grottesco e osceno. Un incubo immondo e funesto. Cosa stavo guardando, davvero? Il ragazzo coi boccoli si fece largo per raggiungere il tavolo della torta. Lo seguii con lo sguardo. Lui ricambiò con un sorriso ma non sapeva cosa stavo pensando in quel momento e allo sgomento che provavo. Erano lì, tutti e tre. Sorridenti. L’avvocato Mazzanti, sua moglie e infine il giovane figlio di Mazzanti, avuto col primo matrimonio, con cui Cristina, sua matrigna, si toglieva al massimo una decina d’anni. La mia testa vorticava, in preda al delirio. Dovemmo continuare a scattare foto per il loro ludibrio, sebbene io nel frattempo fossi con la testa altrove, nei campi sperduti, diventata nuovamente una voyeur ignara di eventi a cui nessuno avrebbe mai creduto.
Avevo spillato soldi al mio capo, facendogli credere che avrei portato a termine un lavoro senza mai compierlo. Avevo mentito spudoratamente riguardo a ciò che sapevo sul giovane amante.
L’obbiettivo, adesso, era tirarsi fuori da quella situazione. Dovevamo mettere al suo posto il marito geloso e paranoico, per il resto saremmo state libere di andare dove volevamo e con chi volevamo.
Già. In fondo, forse speravo di potere avere un futuro con Cristina. Ad essere sincera, non riuscivo ad avere una grande padronanza delle mie azioni. Agivo per inerzia, spinta dalle pulsioni che quella situazione era in grado di evocare.
Alla sera prestabilita, pedinai l’avvocato Mazzanti. Lo seguii a un incontro di partito, Rimasi a debita distanza, perché sapevo che quegli ambienti sarebbero stati super-sorvegliati e la mia inesperienza avrebbe potuto giocare a sfavore. Mi serviva solo fare un paio di foto, immortalarlo davanti un paio di piste di coca oppure mentre conversava con qualche mafioso, oppure mentre immergeva il suo viso tra le natiche di qualche prostituta. Cristina mi diede alcune card di accesso ai privè di noti locali presso cui il marito spesso si recava dopo il lavoro. Il marito beveva, parecchio. Avevo contato almeno quattro drink diversi, per lo più whiskey, nel giro di un paio d’ore e a stomaco vuoto.
Scattai qualche foto di circostanza, immortalandolo mentre incontrava alcune persone. Nel frattempo, la mia mente vagava ancora tra i ricordi di due sere precedenti, quella dove io e Cristina abbandonammo il nostro corpo l’una all’altra. Quando un’altra donna si dedica alla clitoride meglio di come faresti da sola, ti rendi conto che allora i maschi potrebbero assolutamente restare superflui. La cura e la precisione quasi magiche con cui riusciva a farmi provare ciò che avevo provato quella sera erano alla stregua di un sortilegio. Io ricambiai con gratitudine, cercando di fare il meglio che potevo, abbeverandomi a quella fonte calda, setosa e magnifica di umori. Ne ricordo il sapore pungente, che penetrava dentro le narici e procedeva fino al centro del mio petto, espandendolo. Cercavo con la lingua i suoi segreti, mentre le mie mani accoglievano i suoi glutei, i suoi seni bianchi, si insinuavano nella sua bocca che si apriva e la lingua oscena si dimenava tra le mie dita. Le sue, invece, spigolose e affusolate, mi fecero toccare il cielo. Sentivo quasi dei crampi a ogni orgasmo. Non so bene dove riuscisse a premere, ma ciò mi provocava ogni volta un piccolo svenimento. Ci sussurrammo alle orecchie un sacco di cose, parole dolci, parole sboccate, parole piene di desiderio.
Sentivo che Cristina era libera, molto più di me. Non diceva mai nulla a caso e sapeva convincerti di tutto. Quando mi trovai distesa a cosce divaricate, ormai impiattata per essere consumata, mi tornò in mente la sensazione che ebbi nel boschetto dove tutto iniziò, in preda a uno di quegli orgasmi adrenalinici in cui credevo sarei morta di piacere. La sensazione di completo abbandono e sottomissione era la stessa. Avrebbe potuto fare di me ciò che voleva e in un certo senso lo aveva fatto.
Ecco perché pensavo sempre a lei, pure in quel posto squallido, mentre facevo foto al marito cornuto e viscido! Ero di nuovo umida. Stavo quasi per giocare di mano anche in quella situazione, dentro la gabbia del leone. Tuttavia, appena in tempo venni catturata da un movimento strano, tornai subito lucida. Vidi un paio di uomini sedersi con lui, per parlare. La conversazione sembrava parecchio tesa e l’avvocato appariva in difficoltà. Nel dubbio, scattai alcune foto. Per il resto, niente coca. Niente puttane. Niente che potesse incastrarlo in modo plateale.
Mi confrontai con Cristina, qualche giorno dopo, nel corso di uno di quei finti pomeriggi alle sue dipendenze e sotto copertura. «Fantastico! Lo abbiamo fregato!» disse lei, trionfante.
Io non capivo, per cui chiesi di spiegare meglio. A quando pare, Cristina conosceva quelle persone. Dovevano essere magistrati potenti, probabilmente corrotti, altri invece erano imprenditori in odore di mafia. Averli fotografati insieme avrebbe di sicuro scoperchiato qualche scandalo che coinvolgeva uomini importanti, accordi sotto-banco per qualche politico condannato. Suo marito, proprio in quei giorni, stava lavorando alla preparazione dell’accusa di un uomo per l’omicidio di un vicino di casa. Una roba grossa, che aveva generato un forte dibattito in città in quelle settimane, di cui i giornali e i TG non facevano altro che parlare. Tutte queste robe erano per me piuttosto lontane, poiché cercavo di rimanere semplicemente una fotografa; avevo ben altri interessi. Tuttavia, capii anche di possedere qualcosa che potesse creare scompiglio. Decidemmo quindi di inviare tutto alla polizia in busta anonima e attendere.
Massimo, nel frattempo, premeva affinché gli fornissi qualcosa di utile, sulla donna. Spiegai che non solo la moglie di Mazzanti era innocente e il marito si era inventato tutto, ma persino che avevo scoperto qualcosa che poteva mettere nei pasticci proprio l’avvocato. Per cui, forse avremmo dovuto dare indietro i soldi e tirarci fuori da quello scomodo inghippo. Lui apparve raggelare. Era impaurito, forse più di quanto non fossi io. Il timore nei confronti di quell’uomo era palpabile. Cercò dunque di investigare meglio le mie fonti ma io rimasi impenetrabile. Mi disse «Ho sbagliato a coinvolgerti. Potrebbe essere rischioso per te.» Io lo tranquillizzai. Era fatta! Lo avrebbero presto inchiodato in qualche scandalo. Inoltre, ero felice di aiutare quella donna a sbarazzarsi del marito. Adesso Cristina faceva un po’ parte della mia vita e io della sua, sognavo il momento in cui avremmo potuto iniziare a frequentarci con maggiori libertà.
Rimaneva solo la questione ancora in sospeso del giovane amante. Era stata una avventura occasionale? Oppure, era un ospite abituale? Non ero ancora riuscita a introdurle il discorso, perché appunto lei continuava a negarmi qualsiasi confessione. Divenne frustrante, dopo un po’. Sapevo che non potevamo essere sincere al cento per cento l’una con l’altra ma stavo iniziando a essere delusa dal fatto che quel gioco lo avesse sempre governato lei, per suo esclusivo vantaggio. Ero sicura che il giorno in cui pedinavo il marito, lei avrebbe colto la palla al balzo per incontrare il suo giovane prediletto.
Ero invidiosa, forse? Chissà. Avrei sempre potuto pedinare anche lei, come d’altronde era mio compito fare dall’inizio di questa assurda storia, tuttavia non ero capace di farlo. Per me lei era inviolabile e volevo soltanto lasciarmi alle spalle quei fastidiosi intrighi di alta società. Avevo voglia di ritornare in camera oscura, perdermi negli anfratti di luce soffusa rossa, dedicarmi alla carta pellicola immersa nelle vasche di sviluppo, ammirare i chiaroscuri dei corpi che avevo immortalato, nudi e nerboruti, avvinghiati in prese d’amore e di passione.
Un giorno Cristina venne nuovamente al nostro negozio. Voleva ringraziarci ufficialmente per il bellissimo risultato del photo-book che aveva svolto insieme a me come regalo per il marito. Accogliemmo quei ringraziamenti con imbarazzo ma senza darlo troppo a vedere. Ci annunciò inoltre che avrebbe gradito la nostra presenza alla festa che si sarebbe tenuta in una importante villa ricevimenti poco fuori città. Da un lato, pensavamo potesse essere un azzardo. Dall’altro, ci rendevamo conto che era ancora più sospetto rifiutare la proposta.
Per cui, Massimo e io preparammo l’attrezzatura e andammo alla festa di compleanno del Mazzanti.
Ero assolutamente intenzionata a mantenere un profilo basso. Volevo cercare di nascondermi dietro la fotocamera per il maggior tempo possibile.
Eppure, mi sentivo tesa. Avvertivo una specie di strana elettricità nell’aria, che non metteva per nulla a mio agio. Era una festa davvero sfarzosa, d’altronde quella coppia ci aveva ormai abituato. Molti invitati illustri, politici, volti noti della città. Facevamo foto un po’ a tutti. Io giravo tra i tavoli, mentre Massimo stava in postazione polaroid per le foto-souvenir. Stavo per bere un goccio di spumante d’aperitivo, quando questo mi andò di traverso. Tossii e cercai di non affogare. Ero sconvolta. Non potevo credere ai miei occhi.
Il giovane amante era lì, elegante, sorridente, coi suoi boccoli ramati, che scambiava alcune parole con altre persone.
Raggelai, cercai con lo sguardo la moglie del festeggiato ma lei, giustamente, mi ignorava, facendo la radiosa e sorridente come sempre. Niente la turbava. Nessun accenno al disagio.
Come era possibile? Chi era quindi quel tizio? Perché camminava lì, alla luce del sole, nonostante quello che rappresentava? Ero fuori di me. Adirata e gelosa. Mi ero esposta così tanto che adesso mi sentivo bruciare, scottata da una radiazione tossica che adesso pervadeva tutto il mio corpo. Non riuscivo a concentrarmi sul lavoro, eppure le persone continuavano a chiedere i miei servizi.
Quando il giovane alzò una mano per farmi avvicinare, sentii il battito andare a mille. Me lo ricordavo alla perfezione, quel giovincello sbarbato, magro e ossuto ma incredibilmente seducente, mentre si scopava la moglie del Mazzanti in mezzo ai cespugli. Ricordavo anche quelle cosce finemente irsute, attraenti, giovani e prestanti, mentre si contraevano e irrigidivano ad ogni colpo di anca. Ricordavo quella verga pulsante, venosa, carnosa, come fosse un dipinto il cui glande rosso e lucido poteva essere scambiato per un papavero rosso pronto a secernere tutto il suo polline. Ero spaventata ma anche eccitata, cazzo! Mi inginocchiai meglio, per ottimizzare l’angolatura della foto. Si faceva riprendere in compagnia di altre persone, alcune molto più grandi di lui. Tutti sorridenti e compiaciuti. Io, invece, in ginocchio con la fotocamera in mano e la fica che minacciava di grondare contro la mia volontà per ciò che stavo vivendo.
Era proprio un caro ragazzo, amato da tutti. Dovetti bere altro spumante, sebbene Massimo mi avesse raccomandato di non eccedere per non apparire troppo approfittatori. Ma io me ne fottevo. Sarei dovuta stare altre tre ore in quella villa. Cristina mi ignorava e ora la vista di quel giovane mi aveva turbato. Ero inoltre un po’ brilla, non avrei dovuto eccedere sul luogo di lavoro. Stavo scattando foto orribili, poiché la mente pensava ad altro. «Come sono venute?» domandò improvvisamente il giovane, guardandomi diritto negli occhi. «Ehm, bene!» risposi io, cercando di camuffare la fortissima tensione. Aveva una qualche vaga idea di chi io fossi e cosa stessi facendo lì? Sapeva di me e Cristina? Come avrebbe reagito, se avesse saputo che lo avevo già conosciuto nel suo intimo?
Come potevo spiegargli che io avevo già fatto l’amore con lui, attraverso le mie foto?
«Io sono Francesco, piacere. Ci siamo già visti da qualche parte?» domandò con un velo di apparente innocenza. La sua voce era inconfondibile. Si addentrava tra i miei ricordi con prepotenza. Arrossii fortemente. Lui notava quanto fossi trasportata da quel momento. «Non credo, no. Piacere mio, comunque, sono Paola!» dissi io. Lo notai mordersi il labbro. Gli piacevo, forse? Stava giocando con me? Ero soltanto presa dall’alcol. Stavo per crearmi delle storie nella testa. Dovevo smetterla, tacere quei bollori e rimanere concentrata.
Arrivato il momento della torta, ci furono chiaramente le foto di rito. Io e Massimo dovevamo coordinare gli invitati, per consentire a tutti di farsi la foto col festeggiato davanti il dolce.
“Auguri, avvocato!” e il numero 65 scritto a caratteri cubitali. Pacchiana, insulsa, troppo ordinaria.
«Adesso, una foto con sua moglie!» disse Massimo, mentre invitava Cristina ad avvicinarsi al marito. Mazzanti, che sembrava per niente contento della nostra presenza lì, si limitò ad annuire. Noi eravamo scomodi per lui tanto quanto lui era scomodo per noi. Cristina ci aveva fregato tutti.
«Beh, a questo punto facciamo venire anche il resto della famiglia! Dov’è mio figlio?» disse il Mazzanti. Il tempo si fermò per un istante. «Francesco? Vieni a fare una foto con me e Cristina!»
Mi sentii morire dentro. La reflex scivolò dalle mani. Per fortuna era ancora appesa al collo. Tuttavia, nella mia goffaggine e ubriachezza stavo per perdere l’equilibrio. Dovetti quindi sforzarmi di non rovinare per terra.
«Ehi, che ti prende? Stai sul pezzo! Fai ‘ste foto…!» sussurrò Massimo, cercando di mantenere un contegno. Ero in un sogno. Un sogno grottesco e osceno. Un incubo immondo e funesto. Cosa stavo guardando, davvero? Il ragazzo coi boccoli si fece largo per raggiungere il tavolo della torta. Lo seguii con lo sguardo. Lui ricambiò con un sorriso ma non sapeva cosa stavo pensando in quel momento e allo sgomento che provavo. Erano lì, tutti e tre. Sorridenti. L’avvocato Mazzanti, sua moglie e infine il giovane figlio di Mazzanti, avuto col primo matrimonio, con cui Cristina, sua matrigna, si toglieva al massimo una decina d’anni. La mia testa vorticava, in preda al delirio. Dovemmo continuare a scattare foto per il loro ludibrio, sebbene io nel frattempo fossi con la testa altrove, nei campi sperduti, diventata nuovamente una voyeur ignara di eventi a cui nessuno avrebbe mai creduto.
7
voti
voti
valutazione
6.6
6.6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Portraits - Una lunga esposizione | 3/5racconto sucessivo
Portraits - Una lunga esposizione | 5/5
Commenti dei lettori al racconto erotico