Portraits - Una lunga esposizione | 3/5

di
genere
voyeur

«Hai qualche novità, per me?»
«Non molto. La signora Mazzanti sembra una donna cristallina, impeccabile. Siamo sicuri che il marito non si sia sbagliato?»
«Se lui ha un sospetto, di certo qualcosa ci sarà. Sarà uno stronzo ma non è stupido.»
«Lei passa le sue giornate alla luce del sole! Non ci sono momenti in cui sia sfuggita alla mia osservazione. Se avesse fatto qualcosa di sospetto, l’avrei certamente saputo!»
La mia recita era studiata e finemente calcolata. Tutto rientrava nel piano. Il mio capo, tuttavia, era parecchio perplesso. «Porca miseria, questo non va bene! Dobbiamo trovare qualcosa il prima possibile!» esclamò lui, adirato. «Io la seguirò ancora qualche giorno, dopodiché, se tali sospetti non dovessero trovare conferma, credo sia meglio smettere di pedinare la donna.» ribadii. Ero un po’ preoccupata per i risvolti di quella vicenda. Se il mio datore di lavoro avesse deciso di prendere le redini del carro ed effettuare le indagini in prima persona, avrebbe rischiato di scoprire il nostro artefatto. Dovevo quindi correre ai ripari.

«Perché non pedini mio marito?» chiese Cristina, il pomeriggio seguente.
«Perché è un avvocato e mi farebbe il culo a fette se mi scoprisse.»
«Non ti scoprirà, stai tranquilla. Ti aiuterei io.» disse Cristina, rassicurante.
La sua voce era ammaliante. Sapeva di avere un ascendente su di me. Sembrava quasi che mi stesse studiando. Ero palesemente rapita dai suoi lineamenti, continuavo a fissare quel collo seducente, impreziosito da una collana di coralli tanto sobria quanto accattivante, con cui lei usciva praticamente tutti i giorni.
«Pensi che troverei qualcosa, se cercassi?» chiesi io, incuriosita.
«Forse. Quell’uomo è una volpe. Sono sicura che certe volte tiri su qualche striscia di nascosto, al circolo del tennis. Mi dice sempre che ha smesso da anni ma io non gli credo affatto. Beve parecchio, oltretutto. Certe sere, torna a casa ubriaco marcio. È diventato insopportabile.»
Non mi stupiva più di tanto quel ritratto. Continuavo a chiedermi come mai potesse ancora stare insieme a un uomo del genere. Poteva avere letteralmente tutti gli uomini (e magari le donne!) che voleva.
«È complicato. Potrei dirti che quando si crea assuefazione è difficile interrompere certe abitudini. La mia vita è questa e nel bene o nel male ci navigo sopra e in quel che faccio riesco anche abbastanza bene, limitando i danni.»
«E cosa farai, se un giorno dovesse scoprirti?» chiesi io, sentendomi confortata dal clima confidenziale che si era venuto a creare.
Cristina diventò improvvisamente rigida. Sgranò gli occhi e si allontanò col busto. La sua espressione cambiò repentinamente e diventò paonazza in viso. Era livida di rabbia e risentimento. «Cosa stai insinuando?» mi chiese con tono improvvisamente aggressivo.
“Cazzo.” Pensai. Mi ero lasciata sfuggire un pericoloso indizio riguardo al suo giovane amante. Dovevo correre ai ripari. «No…niente. Dicevo, se tuo marito trovasse una qualsiasi maniera per incastrarti, anche inventando, sarebbe complicato dimostrare il contrario. Lui come avvocato avrà molte carte al suo mazzo. Ha provato perfino a farti pedinare pur di trovare qualsiasi cosa contro di te!»
«Non ho paura perché non ho niente da nascondere. Inoltre, io e te adesso lo teniamo per le palle.» disse lei, sprezzante.
La sua tracotanza metteva i brividi per un duplice motivo. Da un lato, sentivo di essere fortemente attratta da quella sicurezza granitica. Dall’altro, il fatto che lei negasse perfino a me il fatto di avere una relazione extra-coniugale mi faceva arrabbiare. Avrei tanto voluto spiattellarle in faccia quanto sapevo ma preferivo tacere. Preferivo continuare a giocare il ruolo di complice. Volevo si fidasse di me ciecamente e avevo paura che si allontanasse.
«Quanto ti paga, lui?» chiese Cristina.
La guardai fissa negli occhi. «io…» tentennando.
«Quanto sei disposta a chiedermi, pur di fare questo per me?» disse la donna, il cui tono di voce si era fatto parecchio imperativo. Notai che le sue labbra carnose si erano leggermente socchiuse, lasciando intravedere una fila di denti bianchissimi, capaci di tranciare qualsiasi volontà. Mi guardava fissa negli occhi, mentre accarezzava il dorso della mia mano, facendomi trasalire. Mi stava letteralmente soggiogando. «Aiutami, Paola. Facciamolo insieme.» mi sussurrò all’orecchio. Fui pervasa da un brivido. Ero impaurita ma anche eccitata. Mi sentivo inerme.
«Come… come mi giustifico col capo? Lui vorrà sapere.» balbettai io.
«Sarà un nostro segreto. Anzi. Mi è venuta una idea ancora migliore.»

Quel giorno, in studio, io ero tesissima. Stavo compilando alcune cartelle di fatture, mentre il mio datore di lavoro era sul retro, intento a fare alcune ristampe. Sapevo che da un momento all’altro, lei avrebbe varcato quella soglia. Ella, infatti, arrivò puntuale. Finse di non vedermi, si diresse al centro del bancone e suonò il campanello. Una voce da lontano disse “Arrivo!”. La donna attese in silenzio. Non appena la riconobbe, il mio capo si fermò di botto. «Prego. Desidera?» chiese, incerto, cercando di non tradirsi.
«Buonasera. Volevo sapere: Fate ancora quei bei shooting fotografici su richiesta?» domandò elegantemente. Il mio capo si voltò verso di me, inquisitorio, visibilmente nel panico. Io mi mostrai confusa tanto quanto lui e feci spallucce. «Ehm… Si, cioè. A dire il vero in questo momento siamo un po’ a corto di personale. Cosa aveva in mente, nello specifico?»
«Oh beh. Avrei intenzione di fare un regalo a mio marito. Sa, per il suo compleanno!» La donna parlava con una tranquillità quasi spettrale. «Capisco! Beh, sarà certamente un bel pensiero da parte sua.» cercò di rispondere il mio capo.
«Mi rendo conto che il professionista qui è lei, ma volevo chiarire un punto. Lei intuirà di certo la natura di questa mia richiesta. Pertanto, le dico che, qualora siate disponibili, preferirei una sensibilità più femminile, per questo tipo di lavoro.» Aggiunse Cristina, con tono cantilenante e aristocratico.
«Capisco, signora. Lei mi lasci i suoi recapiti e provvederò a darle informazioni quanto prima. Ha una e-mail?»

Dopo che la donna aveva fornito il suo indirizzo e il suo numero di telefono, uscì dalla porta e si dileguò in breve tempo, senza mai voltarsi un istante.
«E ora cosa facciamo?» chiese lui.
«Non capisco.» risposi io.
«Come mai è venuta? Ti avrà mica seguito?»
«Ma no, figurati! Sono stata attenta, io!» mentii spudoratamente.
«Questo rovina tutto!»
«Oppure, è la conferma che lei non ha nulla da nascondere!» provai a dire.
«Non so. Magari hai ragione. Magari è davvero fedele a suo marito, al punto da regalargli un album di fotografie!» commentò lui. Io avrei voluto vomitare, al solo pensiero che un album del genere potesse andare a finire tra le grinfie di quell’uomo becero.
«Rimane il fatto che tu adesso sei compromessa.» replicò Massimo.
«Io credo invece che sia una occasione perfetta per noi! Posso seguirla da vicino, fare molte più foto. Così, lei si fiderà di me!» risposi io.
«Mmmh. Ci devo pensare. Sei sicura che non mandiamo tutto a puttane?»
«Così mi offendi, però!» replicai io, sardonica.
Il mio capo concordò un prezzo con la signora Mazzanti. Decisero data e luogo. Dopodiché, rimandò a me per i dettagli tecnici. Quello che dovevo fare io era semplicemente sostituire alcune date nel calendario. Così, il giorno stabilito per effettuare lo shooting avrei in realtà pedinato l’avvocato, mentre, in un giorno qualsiasi, avrei effettuato il servizio fotografico di copertura, in modo da poter avere anche io un alibi. Era tutto pronto.

«Perfetto, ferma così!» dissi io, mentre provavo alcune inquadrature. Cristina era stupenda. Era vestita con quelli che sembravano abiti da sposa variopinti. Addobbata e con varie acconciature, ella non si risparmiò i lussi più fastosi. Dopo qualche scatto di prova, mi disse che adesso voleva un po’ alleggerirsi. Mi chiese quindi di aiutarla a slacciare il corpetto e liberarla dall’abito in toulle e merletti che stava indossando. Obbedii meccanicamente, con la reflex ancora al collo. La donna rimase in intimo nero, di pizzo. Le mie gote si arrossarono all’istante. Lei comprese il mio imbarazzo e mi disse che era tutto ok e che lei si sentiva a suo agio e pertanto dovevo anche io sentirmi a mio agio.
La inquadrai dal basso, dall’alto. La feci distendere, mi concentrai sul suo stupendo collo regale, con quelle forme sinuose e quei dolci rilievi. Lei era maestosamente provocante. Si sedette su una sedia messa di spalle e si fece immortalare da ogni angolatura. Cercai di accentuare il contrasto tra candore della pelle e nero dell’intimo, da cui trasparivano alcune forme e accennati anfratti che sognavo di poter assaggiare con le mie stesse labbra.
«Voglio farne un paio senza.» mi disse, mentre si slacciava il reggiseno. Chi ero io, per impedirle ciò?
Rimase in topless e tacco dodici. Mi fissava con avidità. «Riprendimi da più vicino.» «Sono bella?»
«Come preferisci che mi metta?» «Dirigimi! Sei tu la fotografa, qui.» diceva, con provocazioni sempre più esplicite.
Io ero in difficoltà. Non mi sentivo per niente professionale. Era lavoro, eppure allo stesso tempo era qualcos’altro.
Quando anche l’ultimo indumento fu tolto, ella rimase completamente nuda, alla mercè del mio obbiettivo fotografico. Sentivo che l’eccitazione era arrivata anche per lei a livelli importanti. Il suo respiro si fece più corto. Sapeva di essere coinvolta tanto quanto me. I nostri sguardi parlavano da soli. Io mordevo il labbro, lei si girava i capelli. C’era un magnetismo impressionante nell’aria. La fotografai di schiena, in posa plastica, mentre iper-estendeva il collo e issava il bacino, creando una curva sontuosa con i lombi. Il fondoschiena si ergeva scolpito come un dolce marmo bianco di carrara del Bernini. Lei raccolse la sua folta chioma di lato, rivelando meglio il dorso, la nuca e le spalle.
«Sei bellissima.» dissi, infine. Ma sì. Cosa cazzo mi importava, se adesso mandavo in vacca anni di professionalità? Io ero ormai persa di lei, dei suoi lineamenti, del suo viso, della sua personalità roboante. Non sapevo neanche potessi essere così attratta da una donna ma sentivo che ormai tutto ciò non avesse più senso. Avrei potuto amarla indipendentemente da cosa portava in mezzo alle gambe. Sarei stata sua se solo me lo avesse ordinato. Mi sfiorò il braccio, guardandomi negli occhi. Io ricambiai quello sguardo con passione. Al che, le carezzai la schiena, fino a quel momento la parte più eccitante di tutto il suo corpo, a dir poco perfetta. La sentii sussultare. Quindi, sollevai dal collo la mia reflex e la poggiai per terra, con due dita sollevai il mento di Cristina e la baciai. Lei non si oppose, anzi ricambiò il bacio con ancora più ardore, iniziando a sbottonare il mio gilet da lavoro e la camicia jeans.
«Anche tu sei bellissima.» furono le ultime parole che ascoltai quella sera, prima di perdermi un sogno lungo quasi un’eternità.
scritto il
2024-06-23
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