Portraits - Una lunga esposizione | 2/5
di
Jan Zarik
genere
voyeur
Qualche giorno dopo, mentre ero in studio a controllare alcune voci nel registro mensile e sbrigando altre faccende di routine, entrò un cliente. Un uomo piuttosto pasciuto, benestante, che sembrava avesse confidenza con Massimo, il mio datore di lavoro. Appariva piuttosto turbato, in volto. Parlavano con tono di voce basso. «Certo, mi rendo conto, avvocato.» diceva il mio datore di lavoro che quindi aggiunse. «Vuole che ne parliamo di là?» il cliente acconsentì. Io li seguii con la coda dell’occhio avviarsi verso l’ufficio del capo. Considerato che la faccenda mi insospettiva alquanto, decisi che mi sarei avvicinata alla parete adiacente, per provare a carpire alcuni frammenti di dialogo che trapelavano dal cartongesso, tuttavia mi fu impossibile distinguere alcunchè. Dopo qualche minuto, si sentì un suono sordo, come di una mano che batteva sul tavolo a palmo aperto. Qualche attimo di silenzio, ripresero i mormorii indistinti.
Qualche attimo di pausa, poi la voce del titolare replicò in tono più deciso. Dopodiché, lo stridere delle sedie annunciò che stavano per uscire dall’ufficio, quindi mi rifiondai alla postazione PC, per evitare di essere sgamata. Il cliente strinse la mano di Massimo in modo formale e uscì. Il capo, a quel punto, sbuffò e dondolò la testa. Era tutto parecchio strano. Lo vidi togliersi gli occhiali e stringere la base del naso con due dita, immerso in una riflessione. Infine, li inforcò nuovamente, si girò verso di me e mi chiese di seguirlo in ufficio. Mi alzai quindi ed entrammo dentro il suo studio.
«Quel signore lì, sai chi è?»
«No.»
«L’avvocato Mazzanti, piuttosto noto in città. Mi fece alcuni favori, io gliene ricambiai altrettanti.»
«Capito. E che vuole da te, ora?»
«Vuole che pedini sua moglie. Sospetta che abbia una tresca.»
«Ah.» in quel momento, ammetto che mi aveva spiazzata.
«In passato facevo robette extra, tipo investigatore. Capisci? Quel genere di favori, fatti in nero, ovviamente. Ma ormai sono passati anni!»
«Perché non si rivolge a qualche investigatore vero?»
«Eh, sai. In certi contesti, le voci girano veloci e l’avvocato è un volto parecchio noto.»
«Mmh.» commentai io, perplessa.
«Beh, comunque. Veniamo a noi! Ti va di guadagnare qualche soldo extra?» mi disse tutto sorridente.
«Non prendermi per il culo! Il favore l’ha chiesto a te.» dissi io, stizzita.
«Lo so, hai ragione! Ma sul serio, come faccio ad allontanarmi dal negozio? Inoltre, tu sei portata per le esterne. Sei più giovane, conosci meglio i locali della zona. A me non va di pedinare una donna che potrebbe pure mettermi in difficoltà se mi scoprisse.»
«E questo dovrebbe convincermi a fare la stalker di una sconosciuta?» replicai io.
«Ascolta! Tu scatti qualche foto, immortali il cornuto e la cornuta insieme, noi diamo le foto a Mazzanti e questi soldi te li prendi tu.» disse il datore di lavoro, mentre sventolava quattro banconote viola da cinquecento euro. Fissai il denaro un po’ ipnotizzata.
«Due foto.» dissi io, a un certo punto.
«Almeno dieci.» replicò lo stronzo.
«Tre foto. E voglio la metà in anticipo.» replicai.
Massimo si accigliò, ma capiva che non aveva alternative. Mi tese la mano. Io la strinsi e conservai il millino in tasca.
«C’è altro che dovrei sapere?» il capo mi diede indirizzo e nome della donna.
«Comunque, l’unico cornuto, per essere precisi, è proprio l’avvocato.» aggiunsi in chiusura, mentre uscivo dalla stanza. Quel pomeriggio ritornai a casa presto. Avrei dovuto organizzare le mosse successive. Come si effettua un pedinamento? Come potevo evitare di farmi notare dalla diretta interessata?
Mentre questi pensieri mi occupavano la mente, cercavo di rilassarmi in camera oscura. Mi stavo dedicando allo sviluppo delle foto del pomeriggio tra i campi. Ero desiderosa di rivedere i due giovani amanti e la loro unione d’amore. Feci qualche provino di esposizione e contrasto, dopodiché mi deliziai riguardando i momenti più concitati. Il mio cuore iniziò nuovamente a fibrillare, segno che ero emozionata e vogliosa. Quella sera mi masturbai distesa a letto, tenendo gli occhi chiusi, in compagnia del mio sempre disponibile amico fucsia, impostato a velocità medio-alta, cercando di rievocare tutte quelle sbirciate, inclusa l’adrenalina del momento successivo alla fuga nel bosco.
Il mattino dopo, mi sbrigai presto. Feci colazione con cappuccio e croissant al bar della piazza antistante la via dove abitava l’avvocato. La TV accesa faceva un gran baccano e mi impediva di concentrarmi e tenere a bada l’ansia. Era inoltre sintonizzata sulla cronaca locale. Sentivo le parole del capo di Polizia mentre rilasciava la sua solita dichiarazione riguardo l’omicidio del giorno. “Stiamo seguendo diverse piste. Non lasciamo nulla di intentato. Se qualcuno sa qualcosa si faccia avanti.” Come se il clima di tensione non fosse già alle stelle!
Conoscevo soltanto il nome della moglie di Mazzanti. Avrei quindi dovuto aspettare che uscisse di casa o che vi rientrasse. I Mazzanti abitavano in una villetta autonoma in stile liberty, il cui ingresso si affacciava direttamente sul grande viale alberato.
Dopo quasi mezz’ora, notai l’avvocato uscire, in compagnia di una donna. Si sfiorarono con le guance e presero due strade diverse. La donna sembrava molto più giovane di lui, elegante e composta. Si fermò sul ciglio della strada, in attesa che il semaforo pedonale diventasse verde.
Cristo santo.
Quali probabilità c’erano che si trattasse proprio di lei? Nessuna. Era uno scherzo. Un macchinoso ed elaborato inganno condotto a mio discapito. La donna che soltanto pochi giorni prima si trovava nuda in mezzo ai campi in compagnia di quel giovane uomo, quasi a rischio di farsi ammazzare da qualche cacciatore svampito, quella che aveva riempito le mie ultime notti di magiche sensazioni e intensi orgasmi, colei di cui avevo immortalato gli attimi più tenebrosi e peccaminosi, era la stessa che avrei dovuto pedinare e di cui avrei dovuto rubare i segreti.
Avevo già completato il lavoro, prima ancora che mi fosse commissionato. Era difficile da razionalizzare. Mi sentivo dentro una fiction. Ero impazzita del tutto e vedevo schemi laddove non ce n’erano.
La donna, come se non bastasse, varcò la porta del bar in cui ero appostata. «Cazzo.» sussurrai a bassa voce. Era vestita con un sobrio abito tubulare grigio, una borsetta nera e i tacchi in pendant. Ordinò un caffè macchiato e lo consumò lì, in piedi davanti al bancone. Aveva i capelli raccolti ma il suo viso e il candore della sua pelle erano inconfondibili. A un certo punto, pagò in contanti e si diresse fuori, per strada. Afferrai la borsa e mi accinsi a seguirla.
La donna passeggiava lungo il mercato rionale, guardando distrattamente la merce esposta. Io, nel frattempo, ero combattuta. Da un lato, ero tentata di andare fino in fondo, poiché i soldi erano davvero tanti e il desiderio di rivedere quella coppia mi ossessionava. D’altro canto, sentivo un certo trasporto nei confronti di quella giovane, chissà come finita a essere la moglie di un altolocato burbero come il Mazzanti. Eppure, sembrava così genuinamente trasportata e innamorata del giovane borghese. A prescindere, se anche fosse stata solo una avventura, avrei considerato certamente legittimo perseverare quell’adulterio. Per quanto poco possa valere la mia opinione, ritenevo fosse un dovere morale. Una sorta di riequilibrio delle disparità del mondo.
Mi si strinse il cuore al pensiero di ciò che stavo per fare, ma dovevo necessariamente liberarmi di un peso. Toccai la spalla della donna e attesi che si voltasse. «Lei è la signora Mazzanti, non è vero?» chiesi, con voce tremante. La donna mi fulminò con lo sguardo. «Chi sei?» Ero stata stregata dal tono di voce calmo e pacato di quella signora, che vista da vicino mostrava la sua vera età in modo più articolato, oltre i trentacinque anni probabilmente.
«Non dovrei rivolgerle la parola. Ma se vorrà ascoltarmi, mi ringrazierà per averlo fatto.»
La presi in disparte e le raccontai di ciò che stava cercando di fare suo marito. Omisi di dire che l’avevo paparazzata giusto qualche giorno prima, evitai di dire che conservavo alcune sue foto insieme all’amante. Le dissi che sarei stata disposta a coprirla. A darle un alibi, se necessario.
«E cosa chiede, in cambio?» domandò la donna, che nel frattempo mi aveva ascoltato molto attentamente.
Quella domanda mi spiazzò. In realtà non avevo pianificato nulla da ricevere in cambio. Quello che stavo per fare era a vantaggio esclusivo di quella coppia di cui mi ero follemente invaghita, non avevo pensato a nessun tornaconto personale. Al che, risposi «Per poterle creare un alibi, mi servirà scattarle qualche foto in questi giorni. Così, suo marito si ricrederà dei suoi sospetti.» dissi io, cercando di rimanere sul vago. La donna rimase in silenzio qualche secondo, poi disse «Perché fa questo, per me? Come faccio a fidarmi di lei?»
«Mi sembra una bella persona. Forse, merita di meglio rispetto a suo marito. Non ho altro modo per far sì che lei si fidi di me se non assicurandole quanto le ho detto.»
La mia voce tremante e incerta tradiva una emozione che nessuna persona dotata di un minimo di intelligenza poteva confondere con semplice bontà morale.
Era chiaro che la traduzione esatta della mia frase fosse “perché la sua bellezza è unica, perché desidero salvarla da quel suo marito ingrato che non la valorizza e che la considera una donna-oggetto. Perché il suo giovane uomo la rende felice e sorridente e perché vorrei assaggiare anche io un po’ di quella fresca acqua di sorgente che sgorga dalle sue delicate gambe bianche come il latte.”
Tutto ciò non lo dissi, eppure quella bellissima donna sembrò ne avesse colto ogni parola.
«Come intendi procedere, dunque?» mi chiese con tono pacato. Definimmo perciò alcuni dettagli su luoghi e tempi e concordammo un paio di appuntamenti. Doveva essere tutto assolutamente realistico. Sapevo cosa fare. Ero lucida e determinata tanto quanto lo era la moglie di Mazzanti. «Chiamami Cristina.» disse lei, d’un tratto. Così, strinsi la delicata mano di Cristina e la salutai.
Nei giorni successivi, mi recai nelle vicinanze di casa sua. Lei avrebbe lasciato come concordato le finestre di casa aperte in modo che io potessi fotografarla da fuori. Potevo quindi dimostrare che lei si trovava al proprio domicilio in molti momenti della giornata. Poi, l’avrei seguita all’aperitivo con alcune sue amiche. Concordammo insieme il vestiario adeguato in modo tale che tempi e luoghi coincidessero sempre. La seguii mentre andava a fare compere, mentre andava a teatro col marito, mentre faceva colazione al solito bar. Per una settimana raccolsi foto che mostravano nettamente come lei fosse una moglie diligente con una vita sociale attiva, integerrima sotto tutti i punti di vista.
La sera, sviluppavo le sue foto in modo da creare una linea temporale continua e affidabile. Eravamo diventate rapidamente complici, io e lei. Un sodalizio meraviglioso.
L’unico desiderio rimasto era quello di vedere il giovane uomo un’altra volta. Morivo dalla voglia di vederli di nuovo insieme, mentre si abbandonavano l’un l’altra al piacere sfrenato e lussurioso. Ormai, pensavo soltanto a loro. Era possibile innamorarsi di una coppia e del loro legame?
Qualche attimo di pausa, poi la voce del titolare replicò in tono più deciso. Dopodiché, lo stridere delle sedie annunciò che stavano per uscire dall’ufficio, quindi mi rifiondai alla postazione PC, per evitare di essere sgamata. Il cliente strinse la mano di Massimo in modo formale e uscì. Il capo, a quel punto, sbuffò e dondolò la testa. Era tutto parecchio strano. Lo vidi togliersi gli occhiali e stringere la base del naso con due dita, immerso in una riflessione. Infine, li inforcò nuovamente, si girò verso di me e mi chiese di seguirlo in ufficio. Mi alzai quindi ed entrammo dentro il suo studio.
«Quel signore lì, sai chi è?»
«No.»
«L’avvocato Mazzanti, piuttosto noto in città. Mi fece alcuni favori, io gliene ricambiai altrettanti.»
«Capito. E che vuole da te, ora?»
«Vuole che pedini sua moglie. Sospetta che abbia una tresca.»
«Ah.» in quel momento, ammetto che mi aveva spiazzata.
«In passato facevo robette extra, tipo investigatore. Capisci? Quel genere di favori, fatti in nero, ovviamente. Ma ormai sono passati anni!»
«Perché non si rivolge a qualche investigatore vero?»
«Eh, sai. In certi contesti, le voci girano veloci e l’avvocato è un volto parecchio noto.»
«Mmh.» commentai io, perplessa.
«Beh, comunque. Veniamo a noi! Ti va di guadagnare qualche soldo extra?» mi disse tutto sorridente.
«Non prendermi per il culo! Il favore l’ha chiesto a te.» dissi io, stizzita.
«Lo so, hai ragione! Ma sul serio, come faccio ad allontanarmi dal negozio? Inoltre, tu sei portata per le esterne. Sei più giovane, conosci meglio i locali della zona. A me non va di pedinare una donna che potrebbe pure mettermi in difficoltà se mi scoprisse.»
«E questo dovrebbe convincermi a fare la stalker di una sconosciuta?» replicai io.
«Ascolta! Tu scatti qualche foto, immortali il cornuto e la cornuta insieme, noi diamo le foto a Mazzanti e questi soldi te li prendi tu.» disse il datore di lavoro, mentre sventolava quattro banconote viola da cinquecento euro. Fissai il denaro un po’ ipnotizzata.
«Due foto.» dissi io, a un certo punto.
«Almeno dieci.» replicò lo stronzo.
«Tre foto. E voglio la metà in anticipo.» replicai.
Massimo si accigliò, ma capiva che non aveva alternative. Mi tese la mano. Io la strinsi e conservai il millino in tasca.
«C’è altro che dovrei sapere?» il capo mi diede indirizzo e nome della donna.
«Comunque, l’unico cornuto, per essere precisi, è proprio l’avvocato.» aggiunsi in chiusura, mentre uscivo dalla stanza. Quel pomeriggio ritornai a casa presto. Avrei dovuto organizzare le mosse successive. Come si effettua un pedinamento? Come potevo evitare di farmi notare dalla diretta interessata?
Mentre questi pensieri mi occupavano la mente, cercavo di rilassarmi in camera oscura. Mi stavo dedicando allo sviluppo delle foto del pomeriggio tra i campi. Ero desiderosa di rivedere i due giovani amanti e la loro unione d’amore. Feci qualche provino di esposizione e contrasto, dopodiché mi deliziai riguardando i momenti più concitati. Il mio cuore iniziò nuovamente a fibrillare, segno che ero emozionata e vogliosa. Quella sera mi masturbai distesa a letto, tenendo gli occhi chiusi, in compagnia del mio sempre disponibile amico fucsia, impostato a velocità medio-alta, cercando di rievocare tutte quelle sbirciate, inclusa l’adrenalina del momento successivo alla fuga nel bosco.
Il mattino dopo, mi sbrigai presto. Feci colazione con cappuccio e croissant al bar della piazza antistante la via dove abitava l’avvocato. La TV accesa faceva un gran baccano e mi impediva di concentrarmi e tenere a bada l’ansia. Era inoltre sintonizzata sulla cronaca locale. Sentivo le parole del capo di Polizia mentre rilasciava la sua solita dichiarazione riguardo l’omicidio del giorno. “Stiamo seguendo diverse piste. Non lasciamo nulla di intentato. Se qualcuno sa qualcosa si faccia avanti.” Come se il clima di tensione non fosse già alle stelle!
Conoscevo soltanto il nome della moglie di Mazzanti. Avrei quindi dovuto aspettare che uscisse di casa o che vi rientrasse. I Mazzanti abitavano in una villetta autonoma in stile liberty, il cui ingresso si affacciava direttamente sul grande viale alberato.
Dopo quasi mezz’ora, notai l’avvocato uscire, in compagnia di una donna. Si sfiorarono con le guance e presero due strade diverse. La donna sembrava molto più giovane di lui, elegante e composta. Si fermò sul ciglio della strada, in attesa che il semaforo pedonale diventasse verde.
Cristo santo.
Quali probabilità c’erano che si trattasse proprio di lei? Nessuna. Era uno scherzo. Un macchinoso ed elaborato inganno condotto a mio discapito. La donna che soltanto pochi giorni prima si trovava nuda in mezzo ai campi in compagnia di quel giovane uomo, quasi a rischio di farsi ammazzare da qualche cacciatore svampito, quella che aveva riempito le mie ultime notti di magiche sensazioni e intensi orgasmi, colei di cui avevo immortalato gli attimi più tenebrosi e peccaminosi, era la stessa che avrei dovuto pedinare e di cui avrei dovuto rubare i segreti.
Avevo già completato il lavoro, prima ancora che mi fosse commissionato. Era difficile da razionalizzare. Mi sentivo dentro una fiction. Ero impazzita del tutto e vedevo schemi laddove non ce n’erano.
La donna, come se non bastasse, varcò la porta del bar in cui ero appostata. «Cazzo.» sussurrai a bassa voce. Era vestita con un sobrio abito tubulare grigio, una borsetta nera e i tacchi in pendant. Ordinò un caffè macchiato e lo consumò lì, in piedi davanti al bancone. Aveva i capelli raccolti ma il suo viso e il candore della sua pelle erano inconfondibili. A un certo punto, pagò in contanti e si diresse fuori, per strada. Afferrai la borsa e mi accinsi a seguirla.
La donna passeggiava lungo il mercato rionale, guardando distrattamente la merce esposta. Io, nel frattempo, ero combattuta. Da un lato, ero tentata di andare fino in fondo, poiché i soldi erano davvero tanti e il desiderio di rivedere quella coppia mi ossessionava. D’altro canto, sentivo un certo trasporto nei confronti di quella giovane, chissà come finita a essere la moglie di un altolocato burbero come il Mazzanti. Eppure, sembrava così genuinamente trasportata e innamorata del giovane borghese. A prescindere, se anche fosse stata solo una avventura, avrei considerato certamente legittimo perseverare quell’adulterio. Per quanto poco possa valere la mia opinione, ritenevo fosse un dovere morale. Una sorta di riequilibrio delle disparità del mondo.
Mi si strinse il cuore al pensiero di ciò che stavo per fare, ma dovevo necessariamente liberarmi di un peso. Toccai la spalla della donna e attesi che si voltasse. «Lei è la signora Mazzanti, non è vero?» chiesi, con voce tremante. La donna mi fulminò con lo sguardo. «Chi sei?» Ero stata stregata dal tono di voce calmo e pacato di quella signora, che vista da vicino mostrava la sua vera età in modo più articolato, oltre i trentacinque anni probabilmente.
«Non dovrei rivolgerle la parola. Ma se vorrà ascoltarmi, mi ringrazierà per averlo fatto.»
La presi in disparte e le raccontai di ciò che stava cercando di fare suo marito. Omisi di dire che l’avevo paparazzata giusto qualche giorno prima, evitai di dire che conservavo alcune sue foto insieme all’amante. Le dissi che sarei stata disposta a coprirla. A darle un alibi, se necessario.
«E cosa chiede, in cambio?» domandò la donna, che nel frattempo mi aveva ascoltato molto attentamente.
Quella domanda mi spiazzò. In realtà non avevo pianificato nulla da ricevere in cambio. Quello che stavo per fare era a vantaggio esclusivo di quella coppia di cui mi ero follemente invaghita, non avevo pensato a nessun tornaconto personale. Al che, risposi «Per poterle creare un alibi, mi servirà scattarle qualche foto in questi giorni. Così, suo marito si ricrederà dei suoi sospetti.» dissi io, cercando di rimanere sul vago. La donna rimase in silenzio qualche secondo, poi disse «Perché fa questo, per me? Come faccio a fidarmi di lei?»
«Mi sembra una bella persona. Forse, merita di meglio rispetto a suo marito. Non ho altro modo per far sì che lei si fidi di me se non assicurandole quanto le ho detto.»
La mia voce tremante e incerta tradiva una emozione che nessuna persona dotata di un minimo di intelligenza poteva confondere con semplice bontà morale.
Era chiaro che la traduzione esatta della mia frase fosse “perché la sua bellezza è unica, perché desidero salvarla da quel suo marito ingrato che non la valorizza e che la considera una donna-oggetto. Perché il suo giovane uomo la rende felice e sorridente e perché vorrei assaggiare anche io un po’ di quella fresca acqua di sorgente che sgorga dalle sue delicate gambe bianche come il latte.”
Tutto ciò non lo dissi, eppure quella bellissima donna sembrò ne avesse colto ogni parola.
«Come intendi procedere, dunque?» mi chiese con tono pacato. Definimmo perciò alcuni dettagli su luoghi e tempi e concordammo un paio di appuntamenti. Doveva essere tutto assolutamente realistico. Sapevo cosa fare. Ero lucida e determinata tanto quanto lo era la moglie di Mazzanti. «Chiamami Cristina.» disse lei, d’un tratto. Così, strinsi la delicata mano di Cristina e la salutai.
Nei giorni successivi, mi recai nelle vicinanze di casa sua. Lei avrebbe lasciato come concordato le finestre di casa aperte in modo che io potessi fotografarla da fuori. Potevo quindi dimostrare che lei si trovava al proprio domicilio in molti momenti della giornata. Poi, l’avrei seguita all’aperitivo con alcune sue amiche. Concordammo insieme il vestiario adeguato in modo tale che tempi e luoghi coincidessero sempre. La seguii mentre andava a fare compere, mentre andava a teatro col marito, mentre faceva colazione al solito bar. Per una settimana raccolsi foto che mostravano nettamente come lei fosse una moglie diligente con una vita sociale attiva, integerrima sotto tutti i punti di vista.
La sera, sviluppavo le sue foto in modo da creare una linea temporale continua e affidabile. Eravamo diventate rapidamente complici, io e lei. Un sodalizio meraviglioso.
L’unico desiderio rimasto era quello di vedere il giovane uomo un’altra volta. Morivo dalla voglia di vederli di nuovo insieme, mentre si abbandonavano l’un l’altra al piacere sfrenato e lussurioso. Ormai, pensavo soltanto a loro. Era possibile innamorarsi di una coppia e del loro legame?
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