Schiava dei suoceri (parte 8)

di
genere
sadomaso

I due coniugi erano seduti ai lati opposti della parte lunga del tavolo.
La scelta era dettata dalla inconscia volontà di tenere le distanze tra loro più che dalla emulazione delle cene dei nobili che le immagini dei film rappresentano seduti in quel lato, separati da fiori e arredamento ricco sulla tavola.
“In ginocchio a metà della tavola”.
L’inutilità dell’ordine nell’indicare il luogo aveva il solo effetto di dare piacere a chi lo aveva pronunciato, al solo scopo di affermare il proprio potere di scegliere il luogo dell’umiliazione altrui.
Irene era stata scossa da sconforto quando ebbe modo di vedere quale sarebbe stata la sua punizione.
Lo capì subito quando, avendo terminato di imbandire la tavola, si era recata, carponi, ad annunciare che la cena era pronta solo dopo avere baciato i piedi dei suoceri.
Gli strumenti della sua tortura e del piacere dei Padroni erano appoggiati a terra ai piedi di Franco, seduto sulla poltrona di pelle, in modo che lei avrebbe potuto vederli benissimo una volta entrata in sala in posizione tipica da cagna.
Erano 4 morsetti a ciascuno dei quali era attaccato un peso.
“In ginocchio davanti a me”.
Con lentezza estenuante il Padrone attaccò i morsetti intorno alla carne, avendo cura di schiacciarli bene.
Da tempo ormai era ferma, in ginocchio, a metà del lato lungo della tavola.
Due morsetti mordevano i capezzoli. L’altra coppia era attaccata alle grandi labbra.
Il dolore perforava la testa di Irene che faceva fatica a mantenere la posizione ferma, inginocchiata, resa difficoltosa dalla pretesa di farle tenere le mani incrociate dietro alla testa sulla quale erano stati posati due libri.
La sofferenza determinata di morsetti era amplificata dalla concentrazione e dalla tensione di restare il più ferma possibile per evitare la caduta dei libri, fatto che le avrebbe procurato altra punizione.
La punizione della punizione le generava un senso di totale appartenenza, sottolineando la sua impossibilità di ribellione e totale sudditanza ai capricci di quella coppia sadica.
I Padroni mangiavano con una calma che non li caratterizzava, il cui scopo era quello sia di trarre piacere dal contrasto della loro ricca e curata alimentazione con la sofferenza della schiava, che nemmeno riusciva a pensare all’odio che provava verso di loro perché completamente assorbita dalla postura.
Il senso di potere e di controllo verso quella bella e giovane donna, immeritatamente loro nuora, era come una spezia sul piatto del dominio, fonte di eccitazione che rendeva duro il cazzo del Padrone e bagnata la figa di Luisa.
Tutte le pietanze che avrebbe arricchito il loro corpo e soddisfatto il loro appetito oltre all’ego tipico del Padrone, erano state posate sull’ampia tavola di legno, illuminata dalla calda luce delle candele sui tre candelabri posti a distanza uguale tra loro.
L’unica fonte di illuminazione aveva l’effetto di giocare con i tremolio tipico delle candele sul viso sofferente della schiava, dando un aspetto eccitante in una scenografia che, complice il legno pesante del mobilio e le centinaia di libri alle pareti, proiettava in un ambiente ottocentesco.
La predisposizione di tutte le pietanze sulla tavola privava i padroni della necessità di essere serviti, ma anche la schiava della possibilità di cambiare posizione, restando costretta per un tempo indefinito a stare inginocchiata con quei maledetti pesi che le perforavano il cervello che, invece, doveva restare vigile per tenere una posizione immobile.
I due frustini posati sulla tavola accanto ai bicchieri da vino bianco contribuivano all’agitazione della ragazza, soprattutto quando, dopo il primo, ciascuno dei Padroni cominciò a stuzzicarla con piccoli colpetti che mettevano a dura prova la nuora per il mantenimento dell’equilibrio che diventava sempre più precario.
Ad Irene si gelò il sangue quando sentì i libri muoversi sulla sua testa con pericolo di caduta.
Riuscì a compensare il cambio di equilibrio piegando appena la testa.
Tentativo reso inutile dal decimo piccolo colpetto col frustino che la fece spostare quel poco da compromettere la stabilità raggiunta e vedere cadere a terra i libri e, con essi, affermarsi la prossima punizione.
Quel giochetto sadico al quale spesso i Padroni la sottoponevano, la faceva sentire completamente in loro balia, al pari di quando le ordinavano di leccare loro le scarpe. Attività già di per sé umiliante, che loro rendevano ancor peggiore muovendo ripetutamente il piede davanti al suo viso prostrato a terra, costringendola a inseguirlo e, così, a cedere loro tutta la sua dignità, rendendola completamente succube.
In quei frangenti avvertiva tutto il loro piacere ed eccitazione che si alimentava sempre più in maniera proporzionale alla sua umiliazione, nutrendosi di essa e rendendola ancor più inerme in quanto comprendeva che era la tipica benzina sul fuoco.
“Sei una incapace, nemmeno i libri sai tenere sulla testa”.
Pareva un gioco da bambini stupidi quello dei Padroni, se non fosse che poco dopo si trovò, sempre inginocchiata, con il viso rivolto verso il muro e le mani appoggiate su esso, con le ginocchia abbastanza indietro da sbilanciare il peso in avanti, tutto retto dalle mani.
Questa postura rendeva ancor più dolorosi i morsetti con i pesi che i Padroni si erano premurati di attaccare meglio, non tanto per essere sicuri che non si staccassero durante la punizione, quanto per giocare col suo dolore e con il loro potere mentre la schiava era in ansia per l'imminente punizione.
Ognuno dei 14 colpi di frustino le rigava la schiena oltre a far danzare i pesetti che sembravano attaccati coi denti ai capezzoli ed alle grandi labbra, quasi avessero paura essi stessi di cadere.
Due i Padroni, due i frustini, due colpi ricevuti in rapida successione per lasciare spazio a interminabili secondi in attesa della prossima doppietta.
Le avevano preannunciato 7 colpi a testa.
All’ultimo le parve di avere scalato una montagna impervia e si rilassò per essere arrivata alla cima.
“Ancora 3…”
Le si gelò il sangue. Non ce l’avrebbe fatta lei, la schiena, i suoi nervi, la sua paura.
“...sì Franco, 3 … a testa”.
Irene si gettò ai loro piedi, facendo strisciare quei maledetti pesetti sul pavimento mentre lei stessa strisciava a terra per supplicare i loro piedi e piangere su essi, implorando, cedendo le ultime briciole di orgoglio alimentando con la sua umiliazione la loro eccitazione.
di
scritto il
2024-06-26
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