Schiava dei suoceri (parte 9)

di
genere
sadomaso

Irene era scomoda, sotto al tavolo, intenta a succhiare il cazzo del suocero che non faceva nulla per agevolarla mentre cenava.
La difficoltà della postura e la concentrazione per fare bene il suo lavoro, perché di quello si stava trattando, il suo lavoro, il lavoro di schiava, quasi le faceva dimenticare il dolore delle frustate ricevute.
Sembrava che non sarebbero finite mai mentre lei era inginocchiata, sbilanciata in avanti con le mani appoggiate al muro.
Quattordici frustate e a nulla era valsa la sua supplica ai piedi dei suoceri quando le avevano prospettato altre tre frustate, tre frustate a testa.
Era ancora ai loro piedi, dove aveva strisciato con quei maledetti morsetti ai quali erano attaccati i pesetti, due ai capezzoli e due alle grandi labbra. Mentre strisciava il dolore generato dai morsetti era quasi pari al dolore subito per le frustate.
L’avevano costretta a continuare a muoversi, a terra, strisciando, dal suocero alla suocera e a leccare i loro piedi.
Le avevano dato la falsa speranza che se avesse strisciato bene forse non l’avrebbero punita con le ulteriori sei frustate.
Tanto era stordita dal dolore, che non si fermò ad interrogarsi se i morsetti in quel momento non le stessero procurando più male rispetto al frustino acquistato da decathlon nel reparto dedicato all’equitazione.
Il suo unico scopo era evitare le frustate, quello aveva in mente.
L’eccitazione dei Padroni, alla quale aveva contribuito la sua completa cessione dell’orgoglio in quell’atto pieno di annullamento, manifestò il loro sadismo quando il suocero le pose un piede sulla schiena, in corrispondenza dei capezzoli e, quindi, in corrispondenza dei morsetti sui quali il peso del padrone procurava altro dolore il quale, a sua volta, alimentava il piacere dei dominanti.
“Hai strisciato e supplicato bene…”.
La frase pronunciata dall’uomo le voleva lasciare qualche speranza di avere ottenuto la fine delle frustate.
“...però ci eccita troppo frustarti”.
In quella frase c’era tutto il loro disprezzo, quello che traspare dal tono più che dalle parole, disprezzo unito alla coscienza del possesso.
Il suocero la tenne schiacciata sotto il piede mentre Luisa la colpiva sulle natiche.
Irene era in uno stato che non le consentì di rendersi conto che le frustate non furono tre ma cinque.
Toccò poi alla suocera mettere un piede sul culo della nuora e schiacciare, facendo male col tacco, quel tacco che sembrava si volesse conficcare nella carne quasi a prendere possesso entrando in lei.
Il peso gravava sui morsetti.
Franco tolse il piede dalla schiena e la frusta colpì sul segno che le scarpe avevano lasciato sulla pelle già segnata dalla precedente punizione.
Quando, al termine della punizione, l'avevano fatta strisciare sotto il tavolo per fare il pompino al Padrone, Irene trovò il cazzo di questo già durissimo.
Ebbe solo il tempo di pensare che quella eccitazione era il frutto del suo dolore e, sicuramente, del calpestamento del suo orgoglio e della sua umiliazione alla quale il dolore aveva fatto solo da contorno, restando quello il piatto principale della serata.
il cazzo dell’uomo le entrava in bocca e lei se lo teneva tutto dentro, fino a farlo arrivare alla gola.
Le dava fastidio e le procurava il desiderio di vomitare, ma sapeva che al Padrone quell’ingoio quasi completo dava moltissima eccitazione ed in quel momento l’unico pensiero era di soddisfarlo al meglio, fare in modo che tutta la sua libido fosse nel suo cazzo e si sfogasse in fretta, così da lasciarlo poi soddisfatto con conseguente riposo della schiava.
La testa toccava contro il tavolo e si contorceva in modo da garantire al cazzo di stare fino alla gola, mentre la sua lingua continuava ad accarezzarlo senza accennare a farlo uscire.
ogni tanto chiudeva bene le labbra e succhiava, cosa che al Padrone dava moltissimo piacere.
Cercava di impegnarsi con tutto ciò che aveva imparato del piacere dell’uomo sperando che godesse in fretta. Invece sembrava senza fine quel pompino. Eppure aveva accumulato tanta eccitazione nel corso della serata.
Non pago del piacere provato, la scarpa del suocero si era infilata tra le sue cosce e giocava sadicamente con i pesetti che tiravano i morsetti.
Irene non riuscì a tacere il suo dolore che trovò sfogo in qualche mugolio e tentativo misero di muoversi per sottrarsi alla tortura.
Come se fosse ancora possibile, il cazzo che si indurì ancor di più nella sua bocca testimoniava il piacere dell’uomo che, ancora, sembrava non volesse godere.
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scritto il
2024-06-27
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