La porta

di
genere
voyeur

La giovane donna con i capelli color biondo sabbia scompigliati a metà schiena attraversò la porta dell'albergo trascinando per un braccio l'uomo dietro di sé, come se non riuscisse a trattenere la sua impazienza. Entrambi indossavano lunghi soprabiti, che gettarono a terra prima ancora che la pesante porta si chiudesse. Sotto indossavano abiti da discoteca, lei, in particolare, un abito bianco a collo alto senza maniche che le copriva a malapena la parte superiore delle gambe, con grandi cerchi dorati e argentati che le penzolavano dalle orecchie e dai polsi, e alti tacchi a spillo che mostravano le unghie dei piedi dipinte di rosso vivo.
Lei rise in modo palese contro il viso di lui, al quale rivolse il suo bel faccino; gli avvolse le braccia intorno al collo e gli conficcò le unghie dipinte di rosso, altrettanto appariscenti, nelle spalle. Premette il suo corpo, alto, snello e in forma, contro quello di lui per tutta la sua lunghezza, così forte che lui indietreggiò di un passo contro la porta e lei lo seguì, allargando i piedi ai lati di quelli di lui. Le mani dell'uomo si insinuarono intorno alla sua vita fino alla schiena, e lei portò dietro di sé le sue mani e gli afferrò i polsi, spingendoli verso il basso in modo che le mani le afferrassero il culo. Lei gemette e rise di nuovo, questa volta con le sue labbra piene e rosate che sfiorarono quelle di lui, e inarcò la schiena per spingere il bacino contro quello di lui. I suoi occhi, di color marrone intenso, si aprirono ampiamente sui suoi.
"Sai cosa vorrei farti?", gli disse quasi alitandogli nell'orecchio, ma a voce abbastanza alta perché io potessi sentirlo. L'uomo le strinse il sedere più forte, e lei cacciò uno strilletto di rimando. Lui sorrise.

La ragazza cominciò a strusciare il suo corpo, tutto avvolto in quel vestitino bianco fasciante, contro quello di lui. Quando raggiunse il pavimento con le ginocchia, strattonò con finta rabbia la sua cintura, e quando lui affondò le mani nei suoi splendidi capelli mezzi arruffati, la testa di lei ricadde all'indietro per incontrare il suo sguardo verso il basso, gli fece un sorriso cospiratorio, e gli aprì i pantaloni. Tirò fuori dalla patta il suo cazzo semi-eretto, e vi avvolse intorno le sue lunghe e agili dita. Alzò lo sguardo verso di lui, ora con serietà.
"Oh, sì…" disse in un soffio di fiato.
Baciò la punta della cappella con la bocca conformata in una piccola «O», e sfiorò appena la piccola fessura con la punta irrigidita della lingua. Lo guardò come si guarda il prorpio adorato animale domestico, quindi lo baciò di nuovo, stavolta con labbra più aperte, scintillanti di saliva. L'uomo gemette e si accasciò contro la porta della stanza d'albergo. Lei tirò fuori la sua linguetta rosa e umida, come a voler cullare la parte inferiore del suo cazzo, lo strinse leggermente nel pugno e alzò di nuovo lo sguardo per controllare l'espressione facciale di lui: i suoi occhi erano chiusi, sembrava come stordito. Lei sorrise a sé stessa, orgogliosa di sé, avvolse le sue belle mani e le sue lunghe ed eleganti dita intorno alla parte posteriore del suo sedere e affondò la bocca per tutta la lunghezza del suo cazzo, che scomparve tra le sue labbra… tanto a fondo che un nodo le sporse dalla gola. Si staccò e si mise a ridere quando controllò e trovò del rossetto rosa sulla base del pube dell'uomo.

*****

Avevo ereditato l'albergo, vecchio di oltre un secolo. Doveva essere stato imponente, in passato: il tendone che copriva il marciapiede, con le lampadine lungo tutto il bordo, era ancora lì, opulento e grandioso, anche se per lo più segnato dal tempo. Intorno all'hotel, in pietra calcarea, era cresciuto nei decenni successivi il quartiere dei divertimenti, e se un tempo esso era la destinazione preferita di diplomatici e dignitari, oggi era frequentato più che altro da coppie che si incontravano sulle piste da ballo, accanto o dall'altra parte della strada.
Avevo una carriera emergente nella fotografia industriale, quando l'atto di proprietà mi arrivò sotto forma di lettera raccomandata da parte di un notaio. Mi lamentai, pensando a quanto sarebbe stato oneroso, per me, cercare di sbolognarlo. Sapevo solo di avere uno zio, una sorta di eremita solitario che viveva in un attico costruito appositamente in cima al vecchio edificio di sette piani dopo averlo acquistato con del misterioso denaro di cui era entrato in possesso in modo sospetto alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
"Lei è il suo unico nipote?", mi disse il notaio quando gli chiesi: "Perché a me?".
Volevo vedere i libri contabili, i registri delle riparazioni e altre informazioni per iniziare a capire a quanto avrei potuto cercare di venderlo, se mai ce ne fosse stato bisogno. Tutto era su carta, nascosto in scatoloni sparsi in ogni angolo. Trovai le sue dichiarazioni dei redditi, e scoprii che aveva dichiarato più o meno le stesse entrate ogni anno, aggiungendo forse un punto percentuale o due man mano che procedeva. Il posto sembrava un incubo da risolvere, e mi chiesi anche quanto sarebbe costato eventualmente demolirlo e vendere il terreno.
Ma c'erano un direttore e uno staff di una decina persone che gestivano il posto, pulivano le camere, facevano il bucato, eccetera. Lo riconosco al mio strano zio defunto: era quanto di più vicino a un'operazione «chiavi in mano» si potesse trovare. Aveva organizzato bene la cosa dei cavilli, e non c'era letteralmente nulla da fare se non guardare i soldi che scorrevano nei conti.
Salii al suo attico, al settimo piano. Lo zio aveva installato un ascensore ad uso personale, che si fermava solo lì e giù nel suo garage privato, dove teneva la sua auto, una vecchia Bugatti color vinaccia, tutta impolverata. Il tutto sembrava non essere mai stato ristrutturato fin dagli anni '40. Era vintage, ma di classe. Curiosai tra le pile di giornali e libri e i fogli sciolti.
Fu allora che trovai la «porta».

*****

La ragazza si alzò e prese per mano l'uomo, questa volta in modo schivo e timido, e lo condusse, sulle punte dei piedi (si era tolta le scarpe…), fino al bordo del letto. Lo fece voltare e gli spinse i palmi delle mani sul petto finché lui cadde per metà sul letto, restando lì appoggiato sui gomiti. Lei gongolò leggermente, accese le lampade sui comodini e tornò indietro verso la porta per spegnere la luce principale. Si allontanò un po' dall'uomo e allungò la mano dietro la schiena per calare la cerniera del suo vestitino attillato, che le cadde dal corpo come una nuvola e si accartocciò sul pavimento intorno ai suoi piedi. Ridacchiando tra sé e sé, raccolse il vestito con la punta del piede e allungò un braccio all'indietro per afferrarlo con la mano e poggiarlo sullo schienale di una delle sedie.
Sembrava una Venere. Gettò la testa in avanti in modo che le increspature bionde le ricadessero sul viso e sul petto e intrecciò le braccia e le mani e le dita dietro la schiena mentre si dirigeva in punta di piedi verso l'uomo e il letto. Era vestita con un reggiseno a mezza coppa, di raso bianco, candido e scintillante, con mutandine di raso abbinate; ciascuno dei due pezzi sfoggiava un piccolo fiocco rosso, uno tra i monti lisci e procaci della sua carne morbida, l'altro tra la pelle tonica delle sue cosce, con una piccola catenina d'oro e un ciondolo a forma di serpente intorno al collo e un'altra intorno allo stomaco.
Quando gli fu vicina, gli fece cenno di alzare la gamba e poi, con delicatezza, gli slacciò i lacci delle scarpe, gliele sfilò con grazia e le appoggiò sul bordo del letto, prima una e poi l'altra. Gli tolse i pantaloni e rise quando per poco non lo tirò giù dal letto. Lui si alzò a sedere, si spogliò di tutto ciò che indossava e si sdraiò di nuovo, con le braccia incrociate dietro la testa. La ragazza si chinò e pose le mani, all'apparenza morbide e delicate, sulla parte superiore delle cosce di lui, e guardò in basso in modo che i suoi capelli, tutti lucenti e increspati, formassero una tendina bionda attraverso la quale lei lo scrutava.
"Ti va di leccarmi?" gli disse con leggerezza. L'uomo, eretto come un pino, annuì vigorosamente, e lei titillò, infilò i pollici nella vita delle mutandine e le fece scorrere in giù, lungo le gambe snelle e sode.
"Stai giù ora…", lei disse dolcemente, poi portò con cautela il suo corpicino leggero e delicato sopra quello possente e prono di lui in posizione di 69, e ridacchiò mentre lo stuzzicava con i fianchi, portando dapprima la sua figa, nuda e appetitosa, abbastanza vicino alla sua bocca, e poi allontanandola dalla sua lingua guizzante. Si scostò i capelli da un lato e avvolse le dita delicate intorno alla base del suo cazzo e lasciò cadere della saliva sulla cappella.

*****

La «porta» era difficile da vedere nel muro, in mezzo a decenni di disordine… ma non era esattamente una porta segreta: era solo poco appariscente perché era una porta normale. L'avevo aperta solo perché mi sembrava un posto strano per un armadio a muro. Dietro di essa c'era uno stretto dedalo di pareti incompiute che si ritiravano nell'ombra. Fu una sorpresa: «…Una specie di magazzino?», mi chiesi. Azionai un interruttore che era all'interno della porta, e si accesero delle fioche lampadine spoglie, in una linea che si estendeva in lontananza. Ero incuriosito.
Mi insinuai nello stretto corridoio, e giunsi a quello che sembrava essere, per quello che il mio senso dell'orientamento potesse capire, il retro del pozzo del suo ascensore personale. Lungo il lato del pozzo c'era una semplice scala di legno che scendeva giù fino al piano terra. «Una bella via di fuga…», pensai, «…proprio quello di cui ogni recluso ha bisogno». Ero curioso di sapere se la porta in fondo fosse aperta. Ma dopo aver sceso solo una serie di scale, trovai un'altra apertura. Entrai in un altro stretto corridoio incompiuto, che si trovava al sesto piano, l'ultimo dell'hotel.
Seguii questo corridoio fino al punto in cui si divideva in altre tre direzioni, come un incrocio. Ne scelsi una a caso, e percorsi solo una decina di metri prima di imbattermi in una vecchia tenda di velluto nero, impolverata e sporca di tracce di intonaco. La aprii e mi ritrovai a guardare, attraverso una lastra di vetro, in una delle stanze dell'albergo. Era buia e non c'era nessuno, ma richiusi rapidamente la tenda, sentendo di essermi imbattuto in qualcosa di incriminante. Notai un interruttore nella parete, e lo azionai: tutte le luci dei corridoi si spensero. Dietro di me notai un'altra tenda simile, lungo il corridoio. Sbirciai attraverso di essa, e scoprii che dava allo stesso modo su un'altra stanza dell'albergo.

Scesi a parlare con il direttore, al piano terra, al banco della portineria.
"Sa, non mi dispiacerebbe ispezionare qualche stanza…", gli dissi.
Tutti quelli che lavoravano lì mi guardarono con un certo sospetto, e uno degli addetti alle pulizie fu così gentile da spiegarmi il perché: lavoravano tutti lì da anni, e il cambio di proprietà li aveva spaventati per il futuro del loro lavoro. Rassicurai che non sarebbe successo nulla a breve.
Il concierge scrollò le spalle e mi mostrò il quadro delle chiavi.
"Qualcuna in particolare?" chiese, con modi e voce di un albergatore vecchio stampo.
"Oh, non so… mi dia le chiavi del sesto piano…", risposi.
Salii, aprii una stanza non occupata e richiusi la porta dietro di me. Il grande letto king size si affacciava su una credenza con un grande TV a schermo piatto alla parete. Perlomeno mio zio aveva aggiornato le stanze, se non il suo alloggio. Le cose erano pulite, moderne e luminose. Sulla parete accanto al letto c'era un grande specchio. Mi ci avvicinai e mi coprii il viso con le mani a coppa, ma dietro non si vedeva nulla. Ne esaminai i bordi: lo specchio era stato fissato saldamente alla parete.
Lasciai le luci accese, gettai la giacca sul letto e tornai all'attico, attraversai la «porta» e calcolai più o meno il punto in cui avrei trovato quella stanza. Avevo azzeccato la prima ipotesi. Sbirciai con attenzione attraverso un'altra serie di tende scure (erano ovunque nei corridoi…) e vidi la mia giacca sul letto nella stanza illuminata. Lasciai la luce accesa, aprii la tenda e feci il giro della stanza. Dall'interno, con tenda aperta e luci del corridoio accese, si riusciva a intravedere qualcosa attraverso il vetro unidirezionale, ma non più di tanto.

*****

L'uomo si era infilato un cuscino sotto la testa per tenerla sollevata, e le aveva avvolto le mani intorno ai fianchi. Potevo sentire il rumore delle labbra e della lingua di lui che scorrevano e penetravano nella sua figa fradicia. E potevo anche sentire i gemiti soffocati che sfuggivano involontariamente dalla bocca della ragazza mentre si abbatteva con movimenti ritmici sul cazzo di lui, lucido e duro come l'acciaio. Con il viso premuto sul retro dello specchio, osservavo quel grosso membro, che sembrava quasi troppo grande per la piccola e graziosa boccuccia di lei, prima premeva contro le sue labbra lucide, poi le forzava scivolando attraverso la sua bocca aperta, e scompariva attraverso le sue labbra in tensione fino a ché una protuberanza non le comparve da dentro la gola. Lei fece seguire alla bocca la sua piccola mano delicata, che andava su e giù sul cazzo bagnato dalla sua saliva. Si tirò su e respirò e gridò e rabbrividì, quindi si spinse di nuovo su di lui con una impaziente disperazione. La sua schiena si incurvò, e i suoi fianchi spinsero la sua figa con forza giù sulla faccia di lui, e i suoni di slurpamento riempirono la stanza, facendo barcollare le mie gambe e oscurare la mia visione per l'eccessiva eccitazione.

Lei rise e si girò sul posto, sollevando la figa dalla bocca di lui e portandosi a cavalcioni sul suo petto, con le lunghe dita dalle unghie appuntite che la sostenevano sulle sue spalle. Lei sorrise, si morse il labbro inferiore e scosse i capelli in avanti, in modo che le loro punte gli sfiorassero il viso, il collo e il petto. Lui le strinse i capelli tra le mani e le tirò delicatamente la testa verso di sé, costringendola a baciarlo. Lei rise, ma gemette anche. Lui le sollevò le mani sul petto, le prese in mano i seni ancora coperti dal reggiseno e li strinse nella sua presa. La schiena di lei si piegò, e la ragazza sospirò, con un livello di gemito tale da non lasciare dubbi sul fatto che i suoi seni fossero del tipo «sensibile».
Si accasciò su di lui per baciarlo di più, e lui ne approfittò per allungare una mano dietro la schiena e slacciarle abilmente il reggiseno. Lei si rimise a sedere dritta su di lui, lasciò che le cadesse lungo le braccia e lo afferrò, facendolo cadere dove c'erano gli altri vestiti sulla sedia. I suoi seni erano magnifici: rotondi, lisci, formosi. Scese lungo il suo petto e sul suo addome fino a quando il cazzo dell'uomo, ancora duro come un tronco, non spuntò davanti al suo stomaco. Lui raggiunse di nuovo i suoi seni nudi e li massaggiò. Lei espirò di nuovo con forza e senza controllo, e allungò una mano tremolante tra i loro corpi, per afferrare l'erezione di lui, come se volesse aggrapparsi a qualcosa per reggersi in equilibrio. Istintivamente lo accarezzò su e giù, e strofinò il palmo dell'altra mano intorno alla cappella. Lui le tormentò i capezzoli e lei rabbrividì, fece una smorfia e sembrò perdere l'autocontrollo che conservava.
Si morse di nuovo le labbra e si piegò in avanti, con una mano appoggiata sul petto di lui, mentre l'altra si allungava dietro e tra le sue gambe per afferrare il suo cazzo e tenerlo fermo sotto i suoi fianchi sollevati. Tutto il suo corpo tremava, e lei emise un miagolìo acuto.
"Di solito non lo faccio…" sussurrò lei, a voce abbastanza alta da poterla sentire.
"Ma…?", sussurrò l'uomo con un sorriso malizioso.
"Ma…", sospirò lei con un sorriso scomposto, "…sei stato così incredibilmente interessante e gentile con me… e non ci hai provato con me come hanno fatto tutti gli altri nel club. Ti sei comportato da vero uomo, quindi direi che te lo meriti", provò lei, portando la testa pulsante del suo cazzo contro le labbra gocciolanti della sua figa eccitata.
"Eri la più bella, nel club…", disse lui. Lei abbassò i fianchi in modo che le sue labbra si allargassero, circondando piano la cappella bulbosa.
"Lo pensi tu", gli sussurrò.
"Diro di più! Sei la ragazza più bella con cui sono stato quest'anno, ovunque", aggiunse lui.
Lei espirò, abbassò lo sguardo tra loro e gli scosse in faccia le ciocche di capelli.
"No…!", sospirò con un sorriso, premendo i fianchi verso il basso in modo che la sua fighetta cominciasse ad aprirsi e ad avvolgere il suo cazzo come un guanto, mentre questo la riempiva lentamente.
"Voglio rivederti quando ritorno in città…", disse l'uomo.
Lei squittì e si piegò in avanti, premendo il suo viso sul collo di lui per mordergli delicatamente l'orecchio; i suoi fianchi si incurvarono e la sua figa inghiottì il cazzo dell'uomo fino in fondo. La ragazza gridò nell'incavo del suo collo con voce soffocata, e infilò le mani sotto la schiena di lui, spingendole a fondo per avvolgersi strettamente intorno al suo corpo.
"Davvero?" chiese lei innocentemente, mentre cominciava a strusciare i fianchi contro il pube di lui, con il suo cazzo, lungo, spesso e duro, completamente infisso nella sua figa stretta, calda e bagnata. Lui non le rispose, ma non ce n'era bisogno. Lei respirava forte e gridava con un gemito soffocato a ogni ondeggiamento dei suoi fianchi, prendendolo più forte, più a fondo e più completamente dentro di lei.

*****

Tornai nel corridoio. Sbirciai attraverso altre tende, finché non trovai una finestra con le luci accese. Usai l'interruttore (…ce n'era uno accanto a ogni tenda) e lo spensi. Notai allora che, quando aprivo la tenda, l'asta era fatta di qualche materiale che non produceva alcun suono. Mi sono sentito comunque esposto, e ho aperto la tenda solo di pochi centimetri.
Nella stanza c'era un uomo che se ne stava sdraiato sul letto a guardare un telegiornale. Indossava un abito da lavoro, come se stesse ammazzando il tempo prima di una riunione, forse. Guardai sopra la finestra: c'era una presa d'aria che lasciava passare il suono, e potevo sentire suoni e rumori del programma in TV.

Tornai all'attico, inorridito e incuriosito da ciò che avevo trovato. Fuori dalla «porta», contro il muro, c'era una poltroncina di pelle scura. Mi guardai intorno nell'attico con maggiore attenzione, preoccupato di essere incriminato, e allo stesso tempo affascinato e coinvolto. Da una serie di grandi finestre si poteva vedere il marciapiede sottostante e l'ingresso principale dell'hotel.
Solo dopo essermi seduto, notai sul tavolo un monitor a schermo piatto. Era camuffato tra pile di libri con copertina rigida. Premetti il pulsante di accensione ed ebbi immediatamente la visuale della telecamera a soffitto della hall e del banco della portineria.
"Wow!", sussurrai. "Accidenti…!".
Accanto al monitor c'era un computer portatile. Lo aprii e trovai una password incollata sul lato della tastiera. Sicuro, zio pervertito. Si aprì con un programma già in esecuzione. Capii che si trattava di un programma-clone di quello del desktop del concierge, perché ho notato che il gioco del solitario che si stava svolgendo davanti a me corrispondeva a quello che potevo vedere dalla telecamera dell'atrio dietro e sopra il concierge.

Mentre stavo cercando di capire come funzionava il tutto, vidi entrare dei clienti. Sembravano una giovane coppia, reduce dai locali notturni. Li osservai attentamente e notai chiaramente che il concierge aveva dato loro la chiave della stanza 505. Mi alzai e feci il giro del corridoio principale del 6° piano (non del 5°, perché volevo evitare di imbattermi nella coppia, sentendomi già un pervertito colpevole), per capire più o meno a che punto, nella planimetria, si trovasse la 505. Poi tornai al mio attico, attraversai la «porta» e scesi il pozzo di due piani, fino al corridoio segreto del quinto piano. Mi insinuai silenziosamente fino al punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la 505.
Trovarlo fu facile: nella fioca illuminazione del corridoio, il bagliore attorno al bordo della tenda scura era evidente. Spensi l'interruttore per immergermi nell'oscurità e scostai con cautela la tenda di qualche centimetro. Mi appoggiai alla parete opposta, e realizzai ciò che avevo scoperto: il mio vecchio zio solitario era un voyeur incallito, innegabile e indiscutibile. Mi sentivo male a sbirciare nella vita privata della nuova giovane coppia senza che loro lo sapessero. Ma guardai ugualmente, finché non mi sentii veramente in colpa e chiusi la tenda.

Percorsi il corridoio, e trovai una tenda per ogni stanza. Scesi nel pozzo e trovai corridoi simili su ogni piano. Tornai nel lato ospiti dei corridoi ed esaminai la disposizione. Il posto era così antico che non si sarebbe mai potuto dire che le pareti tra le unità erano troppo larghe. La pianta si snodava a zig-zag, i corridoi erano conformati in vari tipi di curve angolari e ricoperti da una fitta moquette, e nessuno sarebbe stato in grado di dire che c'erano state delle modifiche o degli spazi vuoti.
Tornai all'attico e mi sedetti sulla poltroncina, stupefatto e non poco preoccupato. Avevo programmato di vivere in quel posto per i soli, pochi mesi che pensavo mi sarebbero serviti per sistemare le carte e mettere l'hotel sul mercato. Ora, però, con il terribile segreto che avevo scoperto sul precedente inquietante proprietario dell'attico, le cose diventavano decisamente più complicate. La prima soluzione a cui pensai fu quella di far sigillare la «porta» e nasconderla dietro uno strato di intonaco, piuttosto che eliminare in qualche modo tutti i corridoi. Mi resi conto, però, che avrei dovuto fare quel lavoro tutto da solo, perché qualsiasi manovale assunto per farlo si sarebbe naturalmente incuriosito e avrebbe potuto dare un'occhiata ai corridoi. E probabilmente poi sarei stato io quello additato come «il verme». E se anche non lo fossi stato, se pure lo fosse stato mio zio, la reputazione dell'hotel sarebbe stata comunque rovinata, e con essa le sue entrate, proprio quando stavo cercando di venderlo. Tuttavia non avevo il tempo, né le conoscenze o le competenze, per fare il falegname o il carpentiere.
Decisi di lasciar perdere il problema per il momento, e di estendere il piano iniziale di due mesi a un anno prima di mettere l'hotel sul mercato. Non avevo più fretta di vendere l'albergo. I ricavi che generava ogni mese sembravano sorprendentemente alti. Mi misi invece a riorganizzare l'attico, per renderlo in qualche modo vivibile per l'anno o giù di lì che mi aspettavo di rimanerci.

Una luce rossa lampeggiante su una piccola unità attaccata al monitor sul tavolo vicino alla grande finestra anteriore mi mise in allarme. Mi avvicinai per indagare, e notai che il monitor si era acceso automaticamente, e mostrava una coppia che entrava dalla porta principale dell'albergo. Il vecchio stronzo aveva installato un sensore di movimento? Guardai la nuova coppia che entrava. Accesi il portatile e vidi il concierge mentre inseriva le informazioni che gli avevano fornito. Vidi anche la stanza che aveva dato loro: 302. La coppia si avviò verso l'ascensore, con le braccia strette l'uno attorno alla vita dell'altra.
Guardai alle mie spalle attraverso quella che sarebbe stata la sala da pranzo (se non fosse stato per le imponenti pile di giornali e i faldoni sciolti) verso la «porta». Cercai di togliermi quel pensiero dalla testa, ma mi rodeva come un sassolino incastrato nella scarpa.

Attraversai la «porta» di nascosto, portando con me una seggiola pieghevole che era lì di fianco. Mi sentivo come se dovessi vomitare. Ma avevo anche visto bene la ragazza che teneva sottobraccio il tizio nella hall mentre pagava la stanza: aveva i capelli neri lisci tagliati a caschetto, con un fiocco al collo e una gonna corta plissettata. «Molto minuta, molto carina…» pensai. Scesi quattro rampe nella tromba dell'ascensore privato e contai le tende nere fino a quello che, in base a quanto appreso in precedenza, era probabilmente il retro della stanza 302.
Mi sedetti sulla seggiola e spensi l'interruttore. Quindi aprii la tenda.
La coppia si stava sbaciucchiando. Anche se lei si era sollevata sulla punta dei piedi, non riusciva a raggiungerlo bene. Era alto, dal fisico possente… pensai sicuramente a qualche atleta professionista, dato che i suoi bicipiti erano grandi come le cosce di lei. La tipina ridacchiò, salì in piedi sul bordo del letto e gli avvolse le braccia intorno alla vita: ora erano alla stessa altezza. Lui le afferrò i capelli, lei gli schaffeggiò la mano, saltò giù di nuovo e lo condusse verso il bagno.
"Fatti una doccia!" la sentii dirgli. "Io la farò non appena sarai uscito tu!".
Quando lui scomparve dalla mia vista, la vidi tirare giù il copriletto e poi avvicinarsi allo specchio. Feci un balzo indietro per lo spavento, non mi sentivo nemmeno abbastanza coraggioso da rischiare di far rumore con le tende chiuse. Mi allontanai di qualche metro, temendo di essere scoperto. Lei mise il viso a un centimetro dallo specchio e continuò a esaminarsi le labbra e gli occhi. Quando mi resi conto che non riusciva a vedere nulla, mi avvicinai con cautela. Era incredibilmente bella. Portai il mio viso a due centimetri dal suo. Lei teneva la bocca aperta e si esercitò in uno sguardo che sembrava di estasi, lasciando che la bocca cadesse aperta e gli occhi quasi si chiudessero. Lui la sorprese quando le arrivò alle spalle indossando solo un asciugamano. Lei ridacchiò per l'eccitazione e sgattaiolò via verso il bagno.

Chiusi la tenda, accesi l'interruttore e sgattaiolai su per due piani e lungo il corridoio per controllare la situazione della 505. Mi sedetti sulla seggiola, spensi la luce e aprii la tenda.
La bionda era supina, con le caviglie annodate dietro la schiena dell'uomo. Le sue braccia erano altrettanto strette intorno al collo di lui. Penzolava dal suo corpo come un pendolo, con quasi tutto il suo peso. I lombi di lui si sollevavano e si abbattevano tra le sue cosce divaricate. Ad ogni spinta, il corpo di lei veniva scosso con forza e tremava come un albero sotto una scure. Ad ogni colpo di lui, lei gridava come trafitta da una pugnalata. Dal mio punto di vista, da come gemeva e urlava, lei pareva aver superato il punto degli orgasmi multipli, ed era come se resistesse solo per restare viva. Non che avessi mai guardato gente che scopava, ma questo era senza dubbio il sesso più duro, più intenso, più passionale che avessi mai visto. Non riuscivo a credere con quanta foga, con quanta intensità lui le stesse martellando l'utero, né che lei fosse in grado di resistere all'intensità di quei colpi di bacino. Dalla visuale, e dai suoni, sembrava che stesse per sfondarla.

Senza preavviso, lei lo spinse via e altrettanto rapidamente si rotolò sui gomiti e sulle ginocchia. Quasi lo implorava, gemendo forte e dimenando il suo sedere rotondo in aria di fronte a lui, di distruggerla. Lui si mise in ginocchio alle sue spalle e le afferrò i fianchi come si farebbe con i remi di una barca. Lei si allungò di sotto e all'indietro per afferrare il suo membro e portarselo contro le labbra della figa. Nel momento in cui si toccarono, lui si fiondò su di lei e le affondò dentro con un unico colpo secco, e lei urlò e strillò. Si abbassò ulteriormente sul petto e sollevò il culetto verso di lui. La sua mano gli raggiunse il polso, dove lui le teneva i fianchi, e le sue unghie scavarono nella sua pelle, tirandolo a sé così forte da costringerlo a scoparla con più vigore.
Mi abbassai, per avere un'angolazione più bassa, così da poter vedere il suo viso girato di lato che premeva contro le lenzuola del letto. Ciò che vidi mi fece inspirare aria fino a quasi svenire. Aveva gli occhi socchiusi e la bocca spalancata. A ogni spinta profonda e potente nella sua figa, lei si stropicciava il viso sul materasso e serrava la mascella. I vocalizzi e gli urletti che emetteva erano sufficienti da soli a farmelo venire duro. Ma il suo viso (se mai ci fosse stata un'espressione più di puro piacere e desiderio della sua…) era sicuramente quello che stavo guardando a due metri di distanza dalla mia faccia. Le piaceva da morire essere scopata così.

Rimasi lì, con la mia testa girata per allinearla con la sua, quando sia io che lei sentimmo i grugniti del tizio che la montava da dietro intensificarsi… si stava avvicinando al suo orgasmo. Le sue sopracciglia si sollevarono sulla fronte, sulla quale vedevo formarsi delle perle di sudore. Il tono delle grida e dei mugolii della giovane donna si faceva più alto e più intenso, sembrava quasi che stesse accompagnando il suo amante colpo dopo colpo, mentre lui si avvicinava al punto di non ritorno. Urlò quando sentì che il suo respiro si fermava e che il suo martellare perdeva il ritmo. Potevo vedere, tra le sue gambe, lo sperma che sgorgava dalla figa ad ogni spinta di lui, ormai vacillante per la fatica, dentro di lei. Lei ebbe un ultimo orgasmo insieme a lui, anche il suo respiro si fermò e il suo corpo si irrigidì. Alla fine lei fece una sonora inspirazione, profonda e lunga, e si accasciò sul letto, con lui franato sopra di lei.
Lei si mise subito a ridere, schiacciata dal corpo del suo stallone, e sollevò la testa per baciarlo. Si rotolò sotto di lui, in modo che i loro corpi e i loro volti fossero di nuovo insieme. Ora era delicata, morbida e faceva le fusa. Sembrava orgogliosa di sé.

Chiusi la tenda, accesi l'interruttore e portai la mia seggiola giù per le due rampe fino a tornare alla 302. Riaprii quella tenda e mi sedetti. Il piccolo angelo-folletto aveva le mani che coprivano le enormi mani dell'uomo, che a loro volta coprivano i suoi piccoli seni. Lo stava cavalcando lentamente, dolcemente, con la testa all'indietro, gli occhi chiusi e la bocca aperta. Sembrava in tutto e per tutto troppo grande per lei, soprattutto quando riuscii a vedere dietro le sue spalle, tra le sue natiche, dove il cazzo del suo uomo, innegabilmente grande, sembrava impossibilmente infilato nella sua figa apparentemente troppo stretta. Lei inarcò la schiena, così tanto da sembrare una ginnasta.
A un tratto lui si sollevò da sotto di lei e lei si aggrappò al suo corpo con tutta sé stessa. Camminò verso il bagno con lei appesa al suo collo e i suoi piedi attorcigliati ai ceppi delle sue cosce. Sembrava che lui potesse portarla facilmente con una mano sola. Era andato a prendere un bicchiere d'acqua, che condivise con lei. Per tutto il tempo lei rimase impalata sul suo enorme randello, alzandosi e abbassandosi e prendendolo incredibilmente in profondità nel suo corpo. Gli diede un altro sorso d'acqua dal bicchiere e lo baciò sulle labbra con passione, tenendogli il viso con le sue piccole mani e le sue affusolate dita.

Lui fece un passo verso il letto, ma poi cambiò tragitto e la spinse contro lo specchio. Toccai lo specchio dall'altro lato, il mio palmo a un mezzo centimetro di spessore dalla sua pelle, separato solo dallo strato di vetro. Lui era infilato dentro di lei, che era premuta ferma contro il vetro, proprio di fronte a me. Mi chinai e vidi, a due centimetri dai miei occhi, quell'enorme cazzo che si conficcava nella sua figa incredibilmente stretta, ma che grondava umori come un rubinetto che perde. Lei sbatteva la nuca contro lo specchio a ogni spinta. I suoni che emetteva erano quelli di una persona che viene infilzata da una serie di coltellate.
Mi alzai, ma crollai subito… le mie gambe erano diventate molli e traballanti, e il mio cuore martellava nel petto come una grancassa. In ginocchio, mi appoggiai al vetro e guardai in alto… se non fosse stato per quello strato trasparente, ero abbastanza vicino da poterle leccare la figa.
Proprio in quel momento vidi l'eiaculazione di lui sgorgare dalle sue labbra gonfie e rosse. Era una quantità enorme, che scorreva a fiotti lungo le sue cosce. Lui, nonostante questo, continuava a pistonarla forte, senza interrompere il suo ritmo. Il liquido bianco e denso debordava dappertutto. Lei sembrava aver perso tutte le energie, e pendeva ormai dalle sue spalle come una bambola gonfiabile mezza sgonfia.

Quando finì, lui la posò sul letto, Era distrutta, accartocciata, era come se si fosse rotta, ma sorrideva con gli occhi socchiusi. Sembrava come ubriaca di succo di felicità. Si punzecchiò la bocca con un dito e gemette di approvazione verso di lui. Lui prese degli asciugamani e la aiutò a ripulirla, prima di salire sul letto dietro di lei. La giovane donna tirò le coperte intorno a entrambi, tirò a sé il braccio enorme di lui contro il suo petto, e sorrise piena di pace e di soddisfazione.

Tornai al quinto piano. Trovai la bionda sorprendentemente allo specchio. Si stava applicando il rossetto. Erano entrambi nuovamente vestiti. Ma quando uscirono dalla stanza, lei saltellando accanto a lui tenendogli la mano, era chiaro che sarebbero ritornati più tardi. Entrambi avevano lasciato degli oggetti personali nella stanza. Presi nota di questo, e tornai all'attico.
Non appena mi sedetti sul divano, quasi incapace di elaborare ciò che avevo visto, la luce rossa lampeggiò di nuovo. Girai la testa in direzione del monitor sulla scrivania piccola… nella hall stava entrando un'altra coppia, un ragazzo e una ragazza giovani e belli, vestiti di tutto punto, abbracciati l'uno all'altra, ansiosi di raggiungere la stanza.
Mi avvicinai a fatica al portatile. La camera 402 era quella che il portiere di notte aveva assegnato loro.
"Porca puttana…!", mormorai tra me e me ad alta voce.
Guardai il programma di prenotazione. Nel breve tempo in cui mi ero allontanato dai corridoi, erano state occupate altre otto camere. Feci un rapido calcolo nella mia testa, e mi resi conto che, a 150 dollari l'una, non avrei mai più dovuto lavorare.
Lanciai uno sguardo alla seggiola accanto alla «porta», dove l'avevo posizionata; con un sospiro di rassegnazione, mi diressi verso di essa, per poi riattraversare la «porta» e scendere alla 402… e poi alla 409, e alla 202, 206, 208, 303, 307, 503 e 504.
Mentre mi chiudevo la porta alle spalle, la luce rossa stava lampeggiando di nuovo. Espirai profondamente e attraversai il corridoio fino alla tromba dell'ascensore…

scritto il
2024-07-24
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