Cose che cambiano tutto

di
genere
pulp

Il giorno in cui Salvatore tornò in sé era una sera di un martedì di agosto.
Era seduto come sempre al tavolo all'angolo, la tovaglia di carta bianca sotto gli avambracci pelosi, nella grande terrazza del suo ristorante, vicino alla «bara», come la chiamava lui: un grande buffet per gli antipasti, di legno lucido, con un coperchio di vetro che si alzava con un ronzìo sinistro e che a lui gli ricordava quel film con le casse da morto che si aprivano da sole.
Era lì che si gustava beato un piatto di peperoni verdi, quando la forchetta gli cadde sulla tovaglia e lo sguardo gli si fece all'improvviso spaventato.

Ma forse sarà meglio tornare un po' indietro…

All'inizio la giornata di Salvatore cominciava presto, all'alba: andava in campagna, curava l'orto, metteva qualche mattone della casa che si stava costruendo su un terreno dello Stato ("…che se è dello Stato allora è pure mio, no? Dico bene?…"), poi tornava al ristorante per il pranzo. Lì di solito mangiava, scambiando qualche battuta con gli ospiti -pochi per la verità a quell'ora- e rinsaldava i rapporti con la famiglia: Michelina, la moglie, dalla cucina del ristorante gli gridava appresso sgridandolo su questioni vitali come i chili di mozzarella ordinata o la brutta figura che le aveva fatto fare con la cognata; le figlie per lo più lo ignoravano, anche se a volte lo guardavano con commiserazione o con odio scuotendo la testa, ognuna impegnata in qualche attività per la sera.

Per quattro mesi all'anno la vita della famiglia di Salvatore si svolgeva tutta lì, nel ristorante sul mare che aveva costruito lui stesso: fin dalla mattina presto si puliva, si tagliavano verdure e mozzarella, si preparava l'impasto per la pizza e tutto quello che serviva per la sera; a pranzo si mangiava tutti lì, e i nipoti piccoli giocavano fra i tavoli tutto il pomeriggio mentre le figlie cucinavano.
Gli avventori del mezzogiorno erano solo i fedelissimi, quelli che venivano da vent'anni sempre alla stessa ora, come quella signora che veniva a pranzo e a cena per un mese intero, portandosi sempre qualche nipote o qualche amica, e che era ormai una di famiglia.

Mandare avanti un ristorante in un luogo di villeggiatura non era facile, e nessuno lo sapeva meglio di Salvatore, che da quando era giovane lavorava per ingrandire quel posto. "Qua ci stava solo una bancarella dei cocomeri, signo'…" raccontava alle vacanziere, pavoneggiandosi, con la pancia che faceva capolino dalla camicia, "…qua io ci lavoravo come garzone e mangiavo solo pane e cipolla, per due mesi l'anno! Mica come adesso… e poi, piano piano, ho messo la frutta, poi il pesce, ho cominciato a costruire un piccolo chiosco, e così, una cosa dopo l'altra, ecco qua!". A quel punto faceva un ampio gesto con la mano ad indicare la cucina, la sala interna, il grande forno per le pizze e la bella terrazza sul mare: insomma, tutti i suoi possedimenti su territorio del demanio. Orgoglioso era, Salvatore, delle sue fatiche: "…Non per dire niente, ma io ci ho tirato su tutta la famiglia con questo ristorante; ci sta dentro il sangue mio, la pelle delle mani, signora, li vede i calli?".

Insomma, Salvatore era sempre stato un onesto lavoratore, un padre di famiglia come si deve. Certo, qualche volta aveva dovuto riportare l'ordine in famiglia a suon di schiaffi, far sentire il suo ruolo di padre come si usava da quelle parti; ma non si può andare tanto per il sottile con una moglie e cinque figlie femmine.
Salvatore glielo ripeteva sempre a quelle, un piede dentro e uno fuori dal cancello, pronto alla ritirata: "Voi dovete ringraziare a me se state qui, disgraziate! Tu non c'avevi un soldo, stavi a fare la sguattera da tuo padre!".
"E mo' faccio la sguattera a te!!" gli urlava di rimando con voce da soprano Michelina, che tanto a pranzo non c'era nessuno a sentirla.
"A voi vi ho pure mandato a scuola…" continuava imperterrito Salvatore, con tutti e due i piedi fuori dal cancello adesso, "…vi ho fatto la dote, un matrimonio che se lo ricordano tutti in paese, e qui dovete stare, tutte e sei, fino a che non schiattate!".
E Michelina, non prima di avergli urlato dietro qualcosa in un dialetto così stretto che neanche Salvatore la capiva, continuava a capare fagiolini borbottando: "Parla parla, stronzo, che tanto schiatti prima tu… ti faccio schiattare io, un giorno o l'altro, vedi che bella pietanza che ti preparo; che se non c'ero io che cucinavo stavi ancora a vendere pomodori sott'olio, tu…".
A questo punto normalmente Salvatore prendeva e saliva sulla sua Ape scassata, inseguito da numerosi e squillanti: "Ma vattene, vattene, tanto solo quello sai fare tu, disgraziato!" e si lasciava tutte quelle donne alle spalle puntando a tutto gas verso la sua campagna a dar acqua alle sue zucchine: "…almeno queste non parlano…" pensava Salvatore, "…eppure il cervello sempre quello è!". E ridacchiava, compiacendosi con sé stesso per la propria battuta.

E fu proprio mentre dava l'acqua alle zucchine con una mano, e con l'altra si grattava un attimo le palle, che lei gli comparve davanti dal nulla; pure un bello spavento, si prese: ci mancava poco che mettesse mano al coltello.
"UÈ, signorina, che ci fate qui? Lo… lo sapete che è proprietà privata?" farfugliò Salvatore, tirando fuori la mano di fretta e riferendosi, come sempre, al terreno del demanio su cui stava onestamente coltivando le sue zucchine.
E siccome quella continuava a fissarlo senza parlare, pensò che era tedesca e disse le uniche due parole che sapeva: "…au fìderze…", ma niente; quella continuava a stare lì ferma come una statua… e che statua, minchia! Guardandola meglio Salvatore si accorse che non poteva essere una di quelle slavate tedesche che piacevano tanto al suo unico figlio maschio, che con tante belle figliole del posto proprio con una tedesca si era dovuto sposare… e a lui gli toccava pure tenersela in casa e sopportare le sfuriate delle sue donne. No, con quella carnagione scura e quel po' po' di tette che si ritrovava, e quegli occhi piccoli e lucidi e scuri e i capelli nerissimi… di sicuro questa era del paese.
«Ma come ho fatto a non vederla mai questo schianto di ragazza?», pensò. «…Che in paese sono tutti amici miei e parenti miei, e pure tutte quelle brasiliane che quel disgraziato di mio cognato da parte di madre si è portato dal Messico, le conosco bene ormai!».
Lei nel frattempo continuava a fissarlo, tanto che Salvatore cominciava a essere un po' turbato. Stava quasi per chiederle come si chiamava, quando lei parlò.
E fu come se il mare stesso fosse racchiuso fra quelle labbra. Il mare, quello azzurro striato del verde delle correnti fredde che gli ricordava quando era giovane e portava Michelina a vederlo dalla sua capanna degli attrezzi, dietro il verde dei pini. Che poi ci finivano sempre dentro a quella capanna, a strofinarsi uno sull'altra in una confusione di mani e di sudore estivo; lui sollevandole la gonna e il grembiule ancora umido di piatti lavati e cercando a tentoni fra le cosce generose quel pertugio che lei non gli aveva mai negato. Quel mare, proprio quello, ora sciabordava a destra e sinistra nella grotta della bocca di quella statua di carne, aggirando la lingua e spumeggiandovi intorno.
"Vieni con me?" disse il mare.
E Salvatore, che non aveva neanche la quinta elementare, come poteva dirle di no?

La seguì fra gli ulivi, su per un sentiero impervio di rocce e capperi, ammaliato da un sedere abbondante come una porzione di orecchiette (…che a Michelina tutto ci potevi dire, ma non che non sapesse cucinare e che non lo viziasse con delle porzioni generose), ammaliato, dicevamo, dai lunghi capelli neri che si agitavano al vento, anche se vento non ce n'era, sfiorando le chiappe grandi e morbide che sembravano ripetergli: "…vieni, Salvatore, vieni…".
La seguì fino a una casupola che non aveva mai visto, bianca bianca con il tetto a cupola, come quella di suo nonno. Entrò dopo di lei, e non si stupì della porta che si chiudeva dietro le sue spalle, né che lei fosse già nuda di fronte a lui. Niente poteva stupirlo, perché lei stava di nuovo parlando in un sussurro pacato che andava e veniva. Come le onde.
"Vieni, Salvatore, vieni!".

- - -

Quando uscì dalla casupola, qualche ora dopo, era nudo. Rimase un po' a pensare, fermo sulla soglia, che lui a pensare non lo batteva nessuno, poi decise che la cosa migliore da fare era rientrare e riprendersi i suoi vestiti, che se Michelina vedeva che aveva perso la sua camicia buona lo ammazzava davvero, questa volta. Così riaprì la porta.
"Permesso…" disse gentilmente perché se lui era nudo era probabile che anche la signorina lo fosse, "…mi riprendo la camicia, signorina, che me l'ha regalata mia mo…", quindi si bloccò con la mano sulla maniglia arrugginita dal sale. Dentro, qualcosa si agitava nel buio, e non era certo la signorina di prima; sembrava più un grosso cane che sbavava, e a lui i cani non piacevano neanche un po'.
Comunque si fece forza e avanzò piano piano verso il mucchietto dei suoi vestiti. L'animale si girò di scatto guardandolo con occhietti feroci, e lui, la camicia ben stretta in mano, arretrò piano piano fino alla porta e se la svignò con il culo ancora al vento. Che lui solo di due cose aveva paura: dei cani e di sua moglie; ma più di sua moglie che dei cani…

Salvatore non vide più la ragazza per molto tempo, anche se andava più spesso del solito ad innaffiare le sue zucchine e i suoi pomodori.
Qualche volta aveva anche provato a raggiungere la casa da solo, ma si era perso nella macchia; e quando aveva ritrovato la via di casa si era vergognato così tanto, che lui li conosce come casa sua questi boschi e lui a ogni albero ci dà un nome, che aveva preferito raccontare che l'avevano fermato i Carabinieri per degli accertamenti.
Pazienza se non gli aveva creduto nessuno, visto che i Carabinieri non fermavano quelli del posto dal lontano '65, quando un cugino di Salvatore, buonanima, aveva dato di matto e ammazzato di pugni il malcapitato appuntato gridando: "…non vi dovete permettere!".

Comunque, proprio quando si era ormai rassegnato, lei comparve di nuovo. Sempre misteriosamente dal nulla, sempre guardandolo muta.
"Uè, signori', mi volete far morire di spavento voi…! E meno male che c'ho il cuore buono io, che mangio un limone al giorno che addolcisce il sangue, e…".
"Vieni con me", disse lei.
"Agli ordini… madamme…" bofonchiò Salvatore arrossendo per quell'uso azzardato del francese. Poi non riuscì a dire altro: lei lo aveva avvolto con delle braccia lunghe chilometri, e lo baciava rigurgitandogli in bocca una poltiglia che sapeva di sanguinaccio.
La cosa non gli dispiaceva neanche tanto, realizzò Salvatore in qualche remoto angolo del cervello mentre si faceva fare docilmente; anzi, era bello sentirsi così stretto e avvolto, protetto, e poi tutta quella roba che gli colava addosso dopotutto lo rinfrescava dalla calura del giorno. Non che avesse modo di ribellarsi, comunque, realizzò poco dopo in un altro remoto angolo del cervello…

- - -

«Certo che è strana questa signorina…" rifletteva Salvatore due ore dopo, sdraiato sotto un ulivo, i vestiti appoggiati sulla pancia prominente, che il venticello a quest'ora si faceva fastidioso, "…e quanto è bella; assomiglia alla mia Michelina da giovane".
Ma Michelina parlava di più, benedetto il cielo se parlava. Questa era muta come un pesce, era; e in fondo era meglio così, che a lui quella voce gli metteva i brividi.
E pensando e ripensando, che a lui quella cosa del riflettere con una mano nelle mutande gli veniva proprio bene, decise di chiedere a qualcuno se l'avevano mai vista, quella signorina. Non doveva essere difficile, con quella specie di cane feroce che compariva proprio quando non te l'aspettavi… che poi, a ben pensare, non era neanche un cane. Salvatore lo aveva visto bene, stavolta: aveva delle zampe lunghe lunghe e piene di ventose, come quelle dei polipetti, ma più grosse, e litri di bava puzzolente gli uscivano dalla bocca. Che poi avesse dovuto giurare, Salvatore, che quella era la bocca, non l'avrebbe mai giurato: non si capiva tanto bene dov'era l'avanti e dov'era il dietro, di quel coso lì. Di una cosa era sicuro, però: c'aveva una mazza tanta!

Oggi era lì sul letto, a gambe e braccia aperte, che galleggiava in un mondo tutto morbido e caldo e si sentiva così bene e rilassato, tanto rilassato, quando a un certo punto aveva sentito un urlo disumano e, riaperti gli occhi, aveva visto quell'accidente sopra di lui. Era stato come se l'avessero svegliato con una secchiata di acqua gelida: quella specie di polpo gigante gli pesava addosso, la puzza di sanguinaccio era tremenda e si sentiva il buco del culo profanato da qualcosa.
Davanti alla sua faccia c'era la mazza del cane, o quello che era, grossa come il suo braccio, rossa come un salame piccante di quelli buoni, e solcata da orribili vene nere. Davanti agli occhi ce l'aveva, a' voglia se l'aveva vista bene!
Era saltato giù dal letto e si era precipitato fuori con il cuore in tumulto; lei non l'aveva vista da nessuna parte, né in casa né fuori. Strano però: era lì con il suo pisello in bocca, subito prima che arrivasse il cane, semisdraiata su di lui con quei capelli lunghi e pesanti che gli si riversavano sulla pancia, molto lunghi e molto pesanti…
Insomma, si era preso un bello spavento; ma adesso, lì sdraiato all'ombra con il sole che faceva capolino fra le foglie, si sentiva tranquillo e in pace con tutto. Alla fine non era successo nulla, lui stava bene e anche la pancia, constatò, stava diminuendo: forse era tutta quell'attività sessuale… ridacchiò Salvatore.
Si, avrebbe provato a chiedere a Mariolino, il suo compare, se la conosceva: quello conosceva tutti.

Da quel giorno la ragazza si fece vedere spesso, quasi ogni settimana. Gli compariva davanti senza una parola, sempre più bella ("…UÈ, non mi sembravate così bella ieri, signorina; ma che vi mangiate, il propolo? Quella cosa che cagano le api?…"), le forme che quasi le uscivano dai vestiti per quanto erano floride, i capelli neri lunghi fino alle caviglie e la pelle leggermente luminosa… anche se quello poteva essere il limoncello del pranzo, che gli faceva sempre vedere le cose un po' strane.
Non diceva niente; si limitava a guardarlo fisso per qualche minuto con due occhi tondi e neri, che Salvatore si sentiva sempre un po' imbarazzato; poi si girava e si avviava, con la gonna stretta e nera che le stringeva le gambe fin sotto le ginocchia e la faceva ondeggiare tutta mentre saliva.
Lui la seguiva senza chiederle nulla, ormai; solo delle volte, quando lei si girava di scatto e tirava fuori velocemente una bella linguetta lunga (…che, poverina, doveva avere un tic), le faceva qualche complimento. Entrava nella casetta buia, si stendeva sul letto e si abbandonava. Quella casa, quel soffitto tondo sopra di lui, il letto rosso e morbido e i veli che scendevano dall'alto e lo racchiudevano, quel profumo di sabbia bagnata… tutto lo rilassava, moltissimo: si sentiva appagato ancora prima che cominciasse qualcosa; poi lei si stendeva su di lui ed era il paradiso.
Lo massaggiava tutto con il suo corpo, sfregandogli i seni abbondanti sui piedi, sulle gambe, salendo su fino alla faccia e ficcandogli in bocca il capezzolo e mezza tetta da succhiare, e dopo, molto dopo, lo graffiava sul torace con le dita aguzze, gli prendeva l'uccello in bocca con dolcezza, anche se era piccolo e morbido, e lo succhiava fino a farglielo indurire, anche se proprio di marmo non gli diventava più.

Era allora che Salvatore cominciava a vedere delle luci e dei colori dentro gli occhi chiusi, qualche volta sentiva delle musiche persino, musiche che gli ricordavano i rumori sommersi del mare di quando era giovane e si immergeva in apnea a cercare le ostriche.
Quando la musica nelle orecchie si faceva assordante e le luci negli occhi sembravano i fuochi d'artificio della notte di Sant'Elia, allora saltava fuori quella stupida bestia a rovinare tutto.
Ormai Salvatore ci aveva fatto il callo, e, pur di non far smettere quel piacere immenso, si lasciava leccare e stringere ogni giorno un po' di più, fino a quando sentiva l'orrore risalirgli le gambe come un serpe schifoso e, nonostante tutta la sua pazienza, la scaraventava via.
Lui infatti cercava di essere gentile più che poteva con l'animale per far piacere alla padrona, ma qualche volta si era ritrovato in bocca quella verga rossa e nera, e questo gli pareva un po' troppo… bisognava che glielo dicesse, alla signorina, che tenesse a bada il suo cane.

Un giorno, dopo una lotta particolarmente cruenta in cui si era sentito il buco del culo infilato da qualcosa, e per un bel pezzo, si decise a fare chiarezza, ovvero a chiedere al suo compare se avesse mai visto una signorina molto bella con i capelli neri e un grosso cane anche lui nero, che aveva conosciuto vicino a dove lui aveva l'orto ("…ma no, non in campagna, su nel bosco… macché, non so dove di preciso, mica ci sono mai stato, l'ho vista di passaggio…").
Quello lo guardò strano per un minuto buono, poi gli disse, spegnendosi la cicca sotto la scarpa: "…Oi Salvato', non avrai mica incontrato la strega?".
"Quale strega?" chiese Salvatore.
"Quella puttana che stava in paese, quella con la voce che a sentirla ti si rizzavano i peli in testa e il cazzo ti diventava di pietra!". Salvatore dovette riconoscere che la descrizione calzava a pennello. "Non ti ricordi?".
"No, veramente no…".
"Salvato', ma ti sei rincoglionito?".
"E dev'essere tutto il sole che ho preso in campagna, non mi ricordo mica di questa… ma se era una puttana pure io ci sono andato?".
Il compare si batté una manata sulla fronte, sgranando gli occhi.
"Ma che dici, Salvato'! Se ti dico che era 'na megera! Era arrivata in paese con la guerra e faceva la magia nera dentro quella catapecchia proprio vicino alla fontana… madonna santa, possibile che non te la ricordi? Bella era bella, ma da quando era arrivata avevano cominciato a morire i neonati e neanche la pesca andava più tanto bene… ci faceva la magia nera contro, quella schifosa!".
"Eeeeh… vabbè, adesso stai esagerando, certo è strana ma…".
"Salvato', dai retta a me, lasciala stare, quella c'ha il cuore nero. Dice Giovanni, quello del frantoio, che l'ha vista qualche anno fa nel bosco e che è spiccicata identica a quando stava in paese, cinquanta anni fa! Sembra ancora giovane! Come fai a non ricordarti? L'hanno cacciata dal paese tuo padre e mio padre e tutti gli uomini… sono entrati in casa e l'hanno presa a bastonate, lei e quella puttanella della figlia, fino a ché non se ne è andata urlando qualcosa… pure 'na maledizione c'avrà mandato, quella zoccola!".
"E la figlia?".
"È scappata anche lei, ma deve essere morta di polmonite… quella, la madre, sta ancora là che vaga come una dannata per la macchia e si divora tutti quelli che passano! Oi Salvato', io ti voglio bene come a un fratello e ti dico: lasciala perdere, non cercarla più. Nessuno è tornato tutto intero, da quella casa…".
E qui Salvatore, che aveva ascoltato tutta la tiritera in un alternarsi di emozioni, sbottò con quello che non avrebbe mai voluto dire al suo compare, l'uomo che non sapeva mantenere neanche l'acqua in bocca, figuriamoci qualcosa di quella portata.
"Non è vero, bugiardo! Io ci sono stato tante volte, e sono ancora tutto intero e sto benone!".
Il compare si bloccò.
"Tu sei tutto scemo… quella si nutre di uomini, l'ha sempre fatto, lo vuoi capire? Come pensi che campi là da sola in mezzo alle pietre?? Te l'ho detto, c'ha il cuore nero, quella puttana!".
Salvatore non si era mai sentito così offeso in vita sua. Forse perché ormai si era affezionato alla signorina misteriosa, ma lo urtava sentirne parlare così male. Anzi di più, gli saliva proprio il sangue al cervello, e prima di fare qualcosa di cui si sarebbe poi pentito girò sui tacchi e se ne andò.

Da allora, e per mesi, Salvatore vide la donna quasi tutti i giorni. Arrivava con l'Ape fino al capanno degli attrezzi, poi su a piedi fino alle zucchine. Quando lei arrivava, la seguiva inerpicandosi per la montagna brulla, sotto il sole cocente interrotto solo da qualche ulivo coraggioso e contorto.
Camminava per parecchio, non avrebbe saputo dire quanto, fino alla casupola. Lì poi, succedeva quello che doveva succedere. Salvatore non si sentiva così bene da molto, molto tempo.

- - -

Un giorno era seduto a pranzo davanti alle sue orecchiette al sugo, e Michelina uscì dalla cucina, si sfregò le mani sul grembiule e si sedette proprio di fronte a lui, guardandolo fisso.
"Che c'hai, Micheli'? Che vuoi?".
"Dobbiamo parlare di una cosa importante…".
"Importante? Allora quando ho finito…".
"No! Adesso!".
Salvatore alzò lo sguardo dal piatto, che con quel tono c'era poco da scherzare.
"So tutto…" disse lei guardandolo con disprezzo.
"Tutto cosa?".
"Della strega".
"Non è una strega".
"È una strega, Salvato', lo dicono tutti. Vive lassù da sempre, isolata dal mondo, e si mangia quelli come a te in un solo boccone. Me lo diceva pure mia madre, tutte le donne la temono perché si consuma i mariti. Ma non ti vedi?".
"Vedere cosa?" disse Salvatore.
"Non vedi come ti sei dimagrito? Non sei più tu, sei tutto sciupato… asciutto come un'alice affumicata, non c'hai più la pancia…".
"E non sei contenta? Mi hai scassato la minchia per anni con la storia della pancia…".
"Salvato', tu te ne stai andando al Creatore, te lo dico io. Se continui a vedere quella zoccola, di te ci rimane solo la buccia, come i peperoni!".
"Micheli', mo' ti ci metti pure tu con questa storia? Lasciami stare, va bene? Vado in campagna…". E si alzò.
Michelina rimase seduta ad ascoltare il rumoraccio dell'Ape che si allontanava; quando sentì solo lo stridìo delle cicale si asciugò una lacrima solitaria con il grembiule bianco e tornò in cucina a testa alta.

La storia andò avanti ancora per mesi.

- - -

Il giorno in cui Salvatore tornò in sé era una sera di un martedì di agosto. I turisti affollavano il locale, e lui era come al solito seduto nel suo tavolo d'angolo accanto alla «bara», da solo. Le figlie ormai lo evitavano come la peste, limitandosi a portargli a tavola da mangiare, senza una parola: avevano fatto fronte compatto con la madre, come sempre, tutte a dire come e quando sarebbe schiattato.
In realtà non c'era villeggiante che non dicesse a Michelina: "Madonna come è dimagrito, ma sta a dieta? Ma come sta bene…", e lei alzava il mento e socchiudeva gli occhi in una smorfia di fiero dolore, che scoraggiava chiunque dal chiedere altro.

Quella sera, però, mentre si portava alla bocca una forchettata di peperoni verdi, Salvatore ebbe la sensazione che qualcuno lo stesse imboccando… si guardò la mano e non la riconobbe. Lasciò cadere la forchetta e si guardò prima le braccia asciutte e muscolose, poi lo stomaco dritto e duro come se c'avesse avuto delle corde tese nella pancia.
Quello lì lui non lo sapeva chi era: di certo non era lui. Per una volta rinunciò a pensare e cercò con lo sguardo smarrito sua moglie, non capendoci niente.
Michelina lo intercettò al volo, che a lei non sfuggiva niente di quello che succedeva nel suo ristorante, e capì che finalmente era finita: gli fece portare subito un piatto di troccoli alle veraci e sospirò di sollievo.

Il giorno dopo venne ritrovato il cadavere della ragazza in spiaggia, riverso a faccia in giù sulla battigia come una medusa morente. Picole onde la facevano muovere avanti e indietro dolcemente, e i capelli, lunghissimi e neri, galleggiavano in acqua come tentacoli di una piovra.
Il giornale disse che era stata violentata e picchiata, entrambe le cose da viva e da morta.

- - -

Salvatore pianse giorni e giorni di seguito. Non poteva credere che fossero stati fatti quegli affronti a quella amica sua. Non poteva credere che non avrebbe più rivisto quegli occhi tondi e neri, e, soprattutto, non poteva credere che non avrebbe più sentito la voce del mare.
Piangeva e dormiva, agitato da incubi, rifiutandosi di uscire dalla sua camera; Michelina gli appoggiava sul comodino, con lo sguardo severo e triste insieme, piatti di minestrone alti come montagnette e risotti alla pescatora che cucinava da sola, cacciando rabbiosamente chiunque dalla cucina. Non gli rivolgeva mai la parola.

Ci mise un mese e mezzo per uscire da quella disperazione, e in quel tempo passato a letto, nella stanza tenuta fresca degli scuri accostati, aveva avuto tanto tempo per pensare. E pensare, modestamente, gli era riuscito sempre bene.
Aveva pensato che c'erano diverse cose che non gli quadravano, in quella storia… ma aveva anche deciso che ci avrebbe pensato più in là, che ora c'erano cose più importanti a cui pensare. Per esempio a quanto era stato stronzo e a quanto aveva trattato male Michelina, la sua Michelina. Gli spiaceva averla trascurata per tanto tempo, averle fatto vedere i sorci verdi per quasi un anno.
Sdraiato nel letto immacolato che lei gli rifaceva tutti i giorni, aveva capito che era davvero una buona moglie: era stata accanto a lui quando non c'erano soldi neanche per comprare le patate, aveva tirato su sei figli borbottando spesso e urlando ancora più spesso; aveva gestito, praticamente da sola, una famiglia e un ristorante con piglio di ferro e con quella voce forte da soprano… che l'unica volta nella sua vita che aveva intonato: "Vissi d'arte, vissi d'amore…", lui aveva pianto come un bambino.
Avevano litigato tante volte, quello sì, e Salvatore aveva pure provato a picchiarla ogni tanto, perché gli faceva venire il sangue al cervello, gli faceva, ma ce le aveva prese più spesso di quanto non fosse riuscito a dargliele. Certo stavolta lui l'aveva combinata proprio bella, e conoscendola ci avrebbe messo tanto a perdonarlo.

E insomma, aveva pensato e ripensato; ma poi un giorno, senza pensarci, quando la moglie gli portò la sua sogliola, la tirò per un braccio e la baciò sulla bocca: un bacio breve, appena appoggiato, quasi timido.
"Salvato'…" si schernì lei.
"Stasera vieni da me…" le disse lui con una voce bassa e seria, la stessa che aveva quando le aveva chiesto di sposarlo, tantissimi anni prima.
"Mo' vado, che mi si fredda il capretto nel forno…" fece lei allontanandosi di fretta ma fermandosi sulla soglia, "…la cucina mica va avanti da sola, sa'?".
"Micheli'…" ripeté lui, "…vieni da me stasera, te ne prego".
Michelina ci aveva pensato un po' prima di rispondere, poi aveva parlato senza tanti fronzoli, come era sua abitudine.
"Io sono ancora incazzata con te, Salvatore! Ti sei fatto quella sgualdrinella per mesi, e vabbé, ma la cosa più grave è che tutto il paese l'ha saputo! Neanche più al mercato riesco a andare che tutti mi guardano… non potevi essere più discreto, diosanto? Pure le tue figlie hai messo in imbarazzo!". E poi si era fermata un attimo, osservandolo seria seria. "Non lo so se vengo", concluse.

Invece qualche sera dopo era venuta: aveva spento la luce e si era fatta avanti, rimanendo ferma davanti al letto, le forme generose appena visibili nella debole luce della luna. Salvatore si era alzato in piedi e l'aveva abbracciata, solo abbracciata.


Epilogo

Salvatore è seduto al suo solito tavolo con la tovaglia di carta. Molti anni sono passati da quell'esperienza, e la pancetta è tornata più o meno ai suoi vecchi sfarzi. Anche la «bara» è ancora in funzione, cigola anche un po' più di prima e gli ricorda sempre di più quel vecchio film.

Seduta davanti a lui, il mento appoggiato sulle mani, c'è una bambinetta di dieci anni, lo sguardo vispo e i capelli riccissimi e lunghi: è la nipote di una delle sue clienti più affezionate, e hanno pranzato lì come tutti i giorni.
A Salvatore piace stare con quella bambina: ha un'intelligenza vispa e adora parlare con lui, ascoltare gli aneddoti di quando era giovane, come quello di quando si era mangiato un intero piatto di peperoncini piccanti, o quello di quando era rimasto bloccato per tre giorni su uno scoglio.
E poi è istruita, sa tante cose e ogni giorno, chiacchierandoci, impara qualcosa sulle diavolerie moderne, che lui è rimasto un po' indietro. È tanto sveglia e curiosa che quel giorno a Salvatore torna in mente quella vecchia storia, e tutte quelle domande che aveva rimandato a dopo ma che ancora gli girano in testa.
"Marianna, secondo te esistono le streghe?".
"Ma no che non esistono!" dice lei scuotendo i riccioli.
"Ma sei proprio sicura sicura?".
"Certo!".
"Io penso di averne conosciuta una, anni fa…".
"Impossibile, le streghe non esistono…" fa la bambina alzando le spalle.
"Era una ragazza che viveva con la figlia in paese, una un po' strana… poi a un certo punto se ne è andata su per i boschi a vivere da sola; cinquant'anni dopo era ancora giovane come prima, l'ho vista io con i miei occhi! Giovane e carina come prima! Come lo spieghi, tu, sentiamo?".
Lei riflette solo un attimo, come se avesse davanti un problema di aritmetica.
"Sei sicuro che non era la figlia, quella che hai visto? O la nipote! Se hai detto che era cinquant'anni dopo, forse era la nipote…".
Salvatore rimane per un attimo folgorato dalla semplicità della cosa. Non ci aveva mai pensato, invece era possibile; certo che lo era.

Molte cose sembrano chiarirsi, finalmente, trovare una spiegazione logica. Molte altre ancora no, ma Salvatore decide che va bene così; che alla sua età va bene anche così.
scritto il
2024-08-08
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