La verità nascosta (1 di 2)
di
Bernardo GUY
genere
tradimenti
Sto cercando di capirci qualcosa, sono perso nel labirinto del Fauno, non riesco più a raddrizzare la rotta dei miei pensieri, non so proprio cosa fare. In ogni caso, a livello interiore ne uscirò sconfitto, si è assurdo sapere di avere perso senza neanche aver giocato la partita, senza neppure essere felice per la tua vittoria. Quello che per me dovrebbe essere l'alba e già un tramonto di una giornata non vissuta. Devo ragionare, trovare una via che sia la meno impervia, quella che lascerà alla mia vita meno stanchezza mentale, meno stress, meno sensi di colpa.
Io ti amo e ti ho amata dal primo momento che ti ho vista, dalla prima domanda che mi hai fatto: « hai una sigaretta? », ma il mio è un combattimento tra quello che provo per te e quello che sono io: quello che sono diventato attraverso gli anni, non sempre semplici della mia vita, quello che ha formato la mia essenza, il mio carattere, le mie ragioni, i miei principi. Non so davvero cosa fare, ed il fatto che tu, non mi abbia neppure accennato a 'quella' possibilità, spezza molto di quello che credevo per noi, per il nostro futuro. Qui non servono le briciole di Pollicino o il filo di Arianna per aiutarmi a trovare un espediente per uscire da questa situazione particolarmente complicata. Non c'è via d'uscita per me, sono condannato in contumacia, senza aver compiuto il fatto. Una sorte di Sacra Inquisizione ha destinato a me delle enormi colpe per qualsiasi cosa scelga di fare.
Oggi abbiamo 40 anni, abbiamo passato gli ultimi 10 anni, da marito e moglie, da coppia perfetta, "belli come due semidei", così ci prendevano in giro i nostri amici, ed è stato tutto meraviglioso, io soddisfatto della mia, seppur piccola, Casa Editrice; tu antropologa riconosciuta nel mondo, stimata.
Poi, 2 anni fa, la tua rincorsa affannosa alla ricerca della maternità, destabilizzando equilibri e la solidità del nostro mondo. Il rapporto, tra noi, è diventato un incontro di pugilato: io in un angolo, tu nell'altro. Tutto quello che era attrazione, sensualità e fusione dei nostri corpi si sono sfaldate in meccanicismi trascinati da un solo scopo: un bambino. Analisi su analisi, la mia spermatogenesi diceva che non avevo una massiccia produzione di seme fertile, ma nulla contrastava una possibile fecondazione. I cinque giorni prima dell'ovulazione, come evidenziato nel nostro calendario, con scritte cubitali, per me erano una via crucis, un tormento, un'odissea di scopate, tre volte al giorno: mattina presto, pausa pranzo, sera. La cosa, detta così, può sembrare positiva, invece no, era una palestra alla ricerca dell'inseminazione: zero erotismo, zero baci, zero carezze. Il mio cazzo dritto dentro te, dovevo venire e poi alzarti le gambe per far fruire meglio i miei spermatozoi, per potenziare la riuscita del, possibile, lieto evento. Il mio studio dove lavoro è a casa e non avevo scampo. Una volta sono mancato, perché ero dal meccanico e mi ha catechizzato così: « Ecco, quando bisogna fare le cose importanti tu non ci sei mai, non sai prenderti le tue responsabilità. Così non possiamo andare avanti. ». Insomma, ne hai fatto un dramma di dimensioni bibliche, anche quando ti ho ricordato che avevo: già la mattina provato a 'ingravidarti', e che dopo cena c'era un'altra puntata delle nostre 15/16 'scopate' in 5 giorni, ma tu avevi continuato con le sue litanie, con le tue accuse, non capendo che già mi colpevolizzavo per tutti quei test 'negativi' di gravidanza. Ero io quello difettato, quello imperfetto, che non riusciva a farti vivere quel sogno che smaniavi più del nostro rapporto, più del nostro futuro.
Eppure è un ricordo lucente, vivido il 'quello' che era prima, il tuo caldo e morbido corpo, il cercare di non dimenticare o trascurare ogni centimetro della tua pelle dai miei baci. E quando arrivavo 'lì' la piccola palude tiepida, i tuoi viscosi e odorosi liquidi mi dicevano che mi desideravi, che mi volevi. E io baciavo e leccavo il tuo piccolo bottone rosa, nascosto solo in parte, dai tuoi soffici peletti scuri, e lo sentivo indurirsi, irrigidirsi al calore dei miei baci mentre fremevi e sospiravi. E quando entravo dentro te, i tuoi occhi si illuminavano, per poi schermarsi di una lieve patina traslucida, quando irrompendo ti cingeva tutto il corpo l'arrivo dell'estasi dell'orgasmo, e tu gridavi, ti agitavi.. fremevi sotto di me. Dove è finito tutto questo? Dove sono finite le mie mattine di risvegli con le gambe dolenti e i pensieri ancora su di te, sul tuo perfetto corpo. Dove siamo finiti noi?
Dove c'era dialogo e comprensione si era insinuato in noi il silenzio, la sopraffazione torbida di pensieri ostili, e come un iceberg staccatosi dal ghiacciaio prende sempre più la via del mare aperto, ci siamo allontanati anche noi, ognuno certo ed al riparo delle proprie convinzioni, delle proprie idee.
Poi la proposta di un interessante lavoro, per te, un viaggio di un mese in India, per studiare la scoperta delle radici dei Bondo o Bonda, "è un gruppo etnico e linguistico di origine austroasiatica che vive sulle colline isolate del distretto del Malkangiri, nel sud ovest dello stato di Orissa", così me l'avevi spiegato, dicendo che però era meglio restare con me, e continuare, nella speranza che quel benedetto test indicasse: 'positivo'. Ho cercato di convincerti che, forse, un mese di pausa, stemperare un po' di quella tensione, di quelle piccole, forse grandi, sconfitte per ad ogni rimando della tua gravidanza, ci sarebbe servito; perlomeno per ritrovare un po' di noi stessi, un po' di quello che si era smarrito.
E così, i primi di giugno, ti accompagno all'aeroporto e ci salutiamo con uno strano sentore, quasi a odorare, che potrebbe anche farci male quel periodo di distacco, quel mese dove respirando senza l'oppressione dell'altro potrebbero cambiare molte cose.
Quel mese vola via come un temporale estivo, mille pensieri, mille domande che vanno a dissolversi quando, i primi di luglio, torni a casa. Arrivi con un'aria rilassata, sei sorridente, sembri tornata quella di prima. La stessa sera vuoi fare l'amore, e spregiudicata e maliziosa ti presenti in cucine completamente nuda, abbronzata dal sole orientale, bella come un dipinto, come un'opera d'arte. E mi spogli, mi abbassi i pantaloni della tuta ed i boxer in un colpo solo, quasi a forza, e prendi in mio pene rilassato nella tua bocca, e lo senti irrorarsi di sangue, divenire duro dentro il caldo delle tue labbra. E, spiazzato da quel 'tuo ritorno al prima' della tua maniacale ricerca di un figlio', mi diventa davvero grosso, marmoreo, inflessibile da farmi quasi male, e tu ti metti con la pancia appoggiata al tavolo, sposti indietro il tuo culetto, apri le tue gambe quasi ad invitarmi, e io entro, i miei 22 cm scompaiono dentro a quell'antro caldo e meraviglioso. Spingo forte, tu respiri convulsamente e trattieni le grida, io con le dita di una mano strizzo, quasi a volerti far male, il tuo capezzolo, e l'altra la faccio roteare sul clitoride, mentre continuo a pompare sempre più intensamente. Poi, dopo che hai appoggiato, sfinita, la testa sul tavolo, ti prendo per i fianchi, affondo gli ultimi colpi decisi, e sento il mio corpo svuotarsi, la mia mente librarsi in cielo, una beatitudine mi avvolge e ti vengo dentro. Quando esco, alcune gocce del nostro godere cadono sul marmo del pavimento della cucina. Mi guardi e ci sorridiamo, sembriamo quelli di un tempo, quelli pronti, insieme, ad affrontare il mondo, a combattere come Don Chisciotte tutti i mulini a vento.
Torniamo alla nostra vita, mi racconti poco dell'India e di quella tribù, non è da te, di solito al ritorno di un viaggio mi fai un dettagliatissimo resoconto, che potrei andarci io a illustrare ai tuoi capi le tue deduzioni e quello che hai scoperto. Ogni tanto ti vedo distante, più silenziosa, immersa nei tuoi pensieri. Poi, i primi di agosto, mi accenni ad un ritardo del ciclo, dicendomi che questa è la volta buona, il figlio di quella sera in cucina, mi dici, di quell'inebriante e splendido rapporto, che così intenso era da tempo che non riuscivamo ad avere. Una settimana dopo, apri la porta di casa, con il respiro accelerato, e quasi piangendo mi dici di essere incinta, e che sei certa, sei sicura tutto andrà bene . I giorni e i mesi successivi ad ogni tua visita ginecologica ci sembra di toccare le vette del paradiso, felici di ogni piccolo millimetro di crescita di quel fagiolino che è lì protetto nel tuo corpo. Le sere, a tele spenta, viaggiamo con la mente di possibile nomi, di quello che sarà: maschietto o femminuccia?, immaginandoci il suo futuro, inventandoci storie e sognando per quell'esserino, che tra qualche mese spazzerà via la nostra vecchia vita, donandocene un'altra, tutta nuova di zecca. La notte faccio fatica a prendere sonno, preso dallo smaniare, dal desiderare che il tempo corra via veloce e senza intoppi, a volte mi ritrovo a pregare, cosa mai fatta in vita mia. Mi rendo conto, con incredulità, che spesso chi non crede, o non è abituato a farlo, si trova lì, a mettersi nelle mani di un Dio che ti aiuti a risolvere tutte le cose che noi, esseri umani anche volendo, non potremmo mai fare: e allora prego e spero nella sua benedizione e mi dico: "Dio fai che vada tutto bene, che nasca sano e forte, e che abbia una vita serena e piena di soddisfazioni.", e lentamente cedo al sonno. Ma anche quando cado nelle mani di Morfeo, dio dei sogni: figlio di Ipno e di Notte, entro in una visione onirica in cui il bambino è protagonista di immagini che mi sembrano reali anche se sto dormendo. Insomma, quel piccolo cuore che batte ha già cambiato la mia vita, e conto i minuti e le ore per poterlo accarezzare, baciare, con la paura ed il timore di potergli far male, magari stringendo troppo quel corpicino di neonato, così malleabile e delicato. E tutto prosegue per il meglio, la gravidanza scorre lineare, ovvio, con i soliti acciacchi e affanni che una donna vive in quel periodo.
Di colpo siamo in macchina, corro all'impazzata, si sono rotte le acque, il momento è arrivato. Entriamo in ospedale, ti distendono su una barella e scompari via lungo il corridoio verde chiaro, io resto lì, con i caldo ed il sudore della tua mano che ho appena tenuto tra le mie, e ti dico che andrà tutto bene e un sacco di altre stupide frasi di circostanza, dettate dall'emozione e dalla trepidazione di quegli istanti. Ho chiamato i tuoi, mia madre e tutti, ora, sono con me fuori, ognuno con il suo modo per nascondere l'agitazione e la speranza nei propri cuori. Non me la sono sentita di assistere al parto, ritenendolo un momento solo tuo, credendo, con assoluta umiltà, che i primi secondi in cui vedrai il suo viso, il suo corpicino spettino solo a te, a sua mamma. Mi fanno entrare nella tua stanza, sei stanca, pallida dal parto, allunghi le mani verso di me e piangi, piangi e singhiozzi. Cerco di pensare a cosa possa dire per te, so che sono lacrime di gioia, di sfogo e mi commuovo anch'io. Il bimbo, al momento, non c'è: è un maschietto di 3 chili, in piena salute; ora è con un'infermiera che lo sta lavando. Poi la ragazza in bianco entra, con un fagottino in mano, sembra esitare, avanza a piccoli passi, tu piangi più forte, io non capisco. Mi da in mano quel piccolo asciugamano con dentro un visino che non vedo, alzo un lembo di quella bianca stoffa spugnosa e vedo, osservo, scruto... Il colore del viso di quella meravigliosa creatura si stacca nitidamente dal chiarore che lo avvolge, è di pelle scura, non è figlio mio. Il tuo singhiozzare aumenta, io istintivamente ritorno all'infermiera quel corpicino, e lei mi guarda con occhi tristi, velati dalla compassione. Non riesco a respirare e mentre tu mi chiami, quasi gridando, io esco dalla stanza.
( --- continua con la seconda e ultima parte..)
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