Il corto circuito di Winnie the Pooh - 3 Lo sfizio
di
RunningRiot
genere
etero
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****** 20 DICEMBRE *****
La sua proposta vabbè, potevo pure aspettarmela, dopo un paio di settimane di saluti in cortile e un paio di inviti a prenderci un caffè alla macchinetta. Sempre accettati. Cazzo, ogni volta che scendo a fumare una sigaretta me lo trovo davanti. E ogni volta che me lo trovo davanti ho un sobbalzo. Ogni volta ho un sorriso un po’ troppo luminoso, ogni volta ho un “buongiorno! come sta?” un po’ troppo squillante. “Non devi darmi del lei”. Sì, ok, starò più attenta.
Aperitivo dopo l'orario di lavoro, al bar dall'altra parte della strada. Senza nasconderci, non abbiamo bisogno di nasconderci. Siamo colleghi, in fondo. Che male c'è. Solo che io alle sei di pomeriggio... beh, per l'aperitivo mi pare un po' presto, no? "Io prendo un tè", gli sorrido. Anche se sarebbe meglio una camomilla. Sono tesa. Sono fisicamente tesa. Non sono confusa e non sono eccitata. Sono comodamente seduta eppure mi sembra di stare in palestra a fare il plank, con tutti i muscoli tirati. Sì, dopo un po' sì, perdo il filo. Non lo seguo, non capisco dove voglia andare a parare. Perché pronunci tanto spesso le parole "mia moglie", perché mi chieda del mio fidanzato. Stavamo parlando tanto bene di lavoro... potevamo continuare con il tempo, gli hobby, l'emergenza ambiente... se a casa abbiamo fatto l'albero o il presepe, i regali di natale...
- Ti va di venire con me?
- Dove?
- A cena, naturalmente.
Infilarsi dentro un taxi ancora incredula di avergli detto di sì e, dentro il taxi, pensare che dovrò chiamare Luca e informarlo che stasera non ci vediamo. Forse aveva dei progetti, forse mi voleva portare da qualche parte. A farci una pizza, a bere qualcosa. Forse mi voleva scopare allo scannatoio. Pensare a tutto questo e scendere dal taxi davanti all'entrata di un grande albergo.
- Qui si mangia niente male.
E dopo che mi sono voltata a guardare, sentirmi la sua mano sulla schiena, il suo alito sul viso, la sua bocca sulla mia. Senza nemmeno rendermi conto di avere socchiuso le labbra per far passare la sua lingua. Lo accolgo, lo accetto. Ma solo per un paio di secondi. Mi irrigidisco, mi divincolo. Ok, ci sono stata, ma solo per un istante, non può essersene accorto.
- No, aspetta... aspetta... scusami...
- Ma aspetta che? Scusa che?
Dio come sorride, come è sicuro. Ma come fa? Io invece sono... sono un tumulto, ecco. Di sensazioni fisiche e mentali. Inerte di fronte a lui, indifesa, in apnea. Mi bacia ancora. E io lo accetto ancora. Tremando. Stavolta lo accetto proprio. E’ il logico epilogo di tutti i sorrisi e di tutti gli sguardi di questi giorni, in fondo. Di tutti i messaggi subliminali che gli avrò mandato con il linguaggio del corpo, con gli occhi. Mi lascio stringere, lo stringo, divento sinuosa. Aspetto la sua mano sulla nuca, tra i capelli, la pressione per stampare meglio la mia bocca sulla sua. Dire la prima cosa che mi viene in testa, una cosa idiota e senza dignità: "Non me l'aspettavo". Ottenere come risposta un altro suo sorriso, sempre più sicuro. Lo seguo mano nella mano alla reception, mentre è come se tutto mi girasse intorno. Lo ascolto che prenota per le nove un tavolo al ristorante del roof. Entro in ascensore con lui che mi dice "adesso però l'aperitivo è ok, no?". Non mi accorgo nemmeno che non so quale pulsante abbia premuto, ma di sicuro non è quello del roof.
- Stamattina ho preso una stanza – mi fa guardandomi dritta negli occhi – ce lo facciamo portare lì.
Se mi avesse dato una bastonata in testa sarebbe stato meglio, sarei più lucida.
- Ma se non potevo? Se avessi fatto tardi al lavoro? - è l'unica cosa che riesco a dire. O meglio, credo di dire così, ma non ci capisco più un cazzo e non ci metterei la mano sul fuoco.
Non ho nemmeno messo in discussione un sì o un no. Non ho nemmeno preso in considerazione l’idea di un rifiuto. Gliel'ho appena confessato con la mia domanda, ma sono certa che lui lo sapesse già. In realtà non so cosa volere. Mi sento stupida, confusa, senza forze. Impaurita e allo stesso tempo quasi felice di essere caduta in questa trappola preparata da chissà quanto tempo. Dio mio, ma lui che cazzo pensa di me?
Non mi risponde nemmeno, mi attira a sé e mi bacia un’altra volta. E quasi con lo stesso movimento mi piazza una mano tra le gambe. Me le forza, mi costringe ad allargare un po’ le cosce per infilarsi in mezzo. Me la stringe, stringe il mio ventre come se volesse appropriarsene. Gli tremo il mio respiro in bocca e non capisco più un cazzo ancora una volta. So solo che se continua così tra un po’ sentirà il bagnato sul cavallo dei miei pantaloni di lana. Sono nel panico. E’ come se una forza sovrannaturale mi spingesse verso di lui, avete presente ste cazzate qua? Beh, mica tanto cazzate. L’unico momento di lucidità ce l’ho mentre lo osservo aprire la porta: sto per entrare in una camera d’albergo con un uomo sposato, sto per tradire il mio ragazzo. Ma forse, più che di lucidità, dovrei parlare di lucida follia.
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Dunque è così che vuoi? Subito-subito? Giusto il tempo di toglierci i cappotti, di lasciare cadere la tua giacca sulla moquette? E così che vuoi? Subito-subito? Spingermi sul letto e rigirarmi? Mettermi a pecora ed abbassarmi lo stretto indispensabile? Subito-subito? Sei così stronzo? Mi tratti come una puttana, non lo vedi? Come una puttana che si scopre giusto quello che serve scoprire perché ha fretta, perché deve tornare il prima possibile ad adescare un altro cliente.
Mi lasci quei pochi secondi ad aspettare, ad ascoltare il tintinnio della cintura che si slaccia, dei tessuti che frusciano giù, a subire le tue grinfie sui fianchi. A pensare che sono pazza, talmente pazza che non riesco nemmeno a pensare che cazzo sto facendo, che cazzo mi sto lasciando fare. A sentire le piccole scosse che dalla fica mi risalgono su fino in pancia mentre per la prima volta sei volgare con me e mi dici “che pezzo di fregna che sei”.
Stronzo, porco, bastardo. Te ne approfitti. Mi hai travolta, non mi hai nemmeno lasciato il tempo di ragionare. Mi hai sistemata così e hai tirato fuori dalle mutande tutta la tua voglia. Pazzo, dissennato. Sei sempre così o è me che desideri così tanto da non poterne più? E’ stato un caso o sapevi che mi avresti eccitata a bestia? Che pezzo di merda che sei. E io? Che zoccola. Mi sembra di leggerli i vostri commenti: “Non fare tanto la santa, hai iniziato ad aprirgli le cosce davanti già da giorni”.
Il colpo, l’affondo dentro il mio stagno caldo, la percussione. Le stelline che mi corrono incontro dentro i miei occhi strizzati. Il dolore e la sensazione netta di essere imbottita, stipata. No anzi, diciamola tutta, sfondata. Pensare come prima cosa “santiddio che cazzo”. Che poi magari è una cosa tutta mia, eh? In realtà nemmeno te l’ho visto, non mi hai dato il tempo. Anche se prima, al tatto, mi era sembrato che... E comunque è proprio santiddio-che-cazzo in questo istante. Non ci sono discussioni. Ma lo penso, non te lo dico. Da me non avrai nessuna parola. Non puoi prenderti le mie parole, adesso, puoi prenderti solo le mie urla.
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Esce da me, si distende. Deve essere ancora gonfio, perché il suo arrivederci l'ho sentito e sono trasalita. E ho sentito anche, tra mille brividi, qualcosa tracimare. Ha goduto così a lungo dentro di me che mi ha farcita. Senza annunciarmelo, senza chiederlo, incurante se potesse o no. L’ha fatto e basta. Sfogandosi con colpi potenti e piccoli grugniti ansimanti. L’ha fatto e io non ho pensato a nulla, mi è piaciuto, punto. Ma ora non ho voglia di guardarmi in mezzo alle gambe. Mi vergogno.
L’ho lasciato fare, ma non è per questo che mi vergogno. E’ vero, ho bruciato tutte le mie chances. Ha avuto quello che voleva e adesso addio. Ed è un pensiero che mi schianta. Sono sorpresa da quanto mi sia intollerabile. Non c’è nemmeno un pizzico di quel sollievo che dovrei provare, tipo “ok, è stata solo la cazzata di una sera da parte di tutti e due, una cazzata da tenere nascosta”. Stupefatta, nonostante sia stato tutto così veloce ed oltraggioso, mi rendo conto che non potrei sopportare che fosse stata solo la cazzata di una sera.
Accanto a questo c’è la mia voglia. Non pensate cose tipo “beh, se deve essere una botta e via almeno godiamocela”. No, a parte il fatto che sarebbe un pensiero sin troppo elaborato per me, in questo momento, è proprio un’altra cosa. Viaggia in parallelo. Mi dico che sono una cretina ma allo stesso tempo ho voglia di voltarmi e raggiungerlo carponi, ho voglia di guardare lui e il suo cazzo, di conoscerlo, di imboccarlo sporco com'è di noi, di gustare un nuovo sapore, di ripulire un nuovo scettro mentre lui sospira e io fisso i suoi occhi. E’ una voglia puramente animale, una bestia dentro di me. E’ di questa bestia che mi vergogno.
- Spogliati, voglio vederti nuda – mi dice iniziando a togliersi tutto anche lui.
Obbedisco. Trenta secondi e siamo entrambi senza vestiti. Percepisco i suoi occhi che mi accarezzano, mi sento esposta al suo giudizio. L’appuntamento con l’estetista è domani, cazzo, questa sì che è sfiga. Questo che mi cola sulla coscia, invece, è sperma.
- Sei un gran pezzo di fregna – ripete guardandomi le tette.
Una mortificazione cui sono abituata. Magari voleva essere gentile, anche nella volgarità. Torno sul letto, accucciata con la testa tra le sue gambe. Gli succhio il cazzo, giusto un po’. In effetti mi sbagliavo, era una mia proiezione oscena. Non è così enorme come pensavo, ma è comunque bello grosso. Scuro. Con le vene evidenti. E io sì, sono troppo magra e ho le tette troppo piccole.
- Devo telefonare al mio ragazzo...
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Aveva ragione, anche se in un altro momento me la sarei goduta di più la cena non era niente male. La scopata, una volta ritornati in stanza, anche meglio. Guardo i miei pantaloni neri abbandonati sulla moquette. Ho sicuramente sporcato la fodera all’interno. Quando siamo saliti al ristorante non ha voluto che mi mettessi né calze, né mutandine, né camicetta, né reggiseno. Stivaletti, pantaloni e maglione, stop. Sfizi da fedifrago, penso. Non credo proprio che a sua moglie lo chiederebbe, lo imporrebbe quasi, come ha fatto con me. L’ho accontentato, mi sentivo senza difese. E una volta tornati mi ha scopata con il maglione ancora indosso. La terza della serata. Disteso al mio fianco, nudo e a pancia in sotto, mi appare esausto. Adesso che si riposa passandomi la mano sulla pancia, sotto la lana, sono talmente folle che mi domando se ce la farebbe a fare la quarta.
Sorrido tra me e me e, quasi all’improvviso, mi rendo conto di essere, ora, molto ma molto presente a me stessa. Come non lo sono stata mai stasera, da quando mi ha invitata al bar vicino all’ufficio.
Quell’insopportabile parlare del più e del meno a tavola. Soprattutto di lavoro. E mentre mangiavamo il suo improvviso apprezzamento volgare e la scarica di adrenalina: “Hai un culo magnifico”. La paura che mi assaliva, i capezzoli che sentivano più di sempre la lana del maglione.
- Ma ti sei reso conto di cosa abbiamo fatto? – gli ho domandato di fronte ai tagliolini alla spigola. L’attimo della resipiscenza.
- Non dirmi che non ti è piaciuto... e che non lo volevi.
Davanti al suo sorrisino ironico mi è venuto da piangere, ho distolto lo sguardo. Avrei voluto non essere lì, riportare indietro il tempo.
Le sue parole sussurrate proprio mentre si aprivano le porte dell’ascensore, proprio mentre mi toglieva la mano dal culo nel caso in cui qualcuno fosse lì.
- Quando mangiavamo ti pensavo sotto al tavolo...
Non riesco a mettere bene a fuoco il momento, quando è stato? Quando siamo scesi dal taxi e mi ha baciata o dopo, quando siamo saliti per la prima volta in ascensore e mi ha detto che aveva preso una stanza qui? In ogni caso, credo che non gli confesserò mai quanto questo passaggio improvviso dalla sua simpatia informale all’essere un figlio di puttana mi abbia trasformata in una cagna in calore. Penso invece che se me lo chiedesse glielo succhierei qui, nel corridoio. E per qualche secondo, finché non raggiungiamo la porta della nostra stanza, ho proprio il terrore che me lo chieda. Per metà mi sento una merda, per l’altra metà sono completamente partita e mi auguro ogni abuso possibile da parte sua. Non va bene, no che non va bene.
L’annunciato e inevitabile pompino una volta entrati. Lui che si spoglia tutto e io che mi tolgo stivaletti e pantaloni stando così, in ginocchio.
Pompino non finito, tra l’altro, svestizione non completata. Quasi scaraventata sul letto a gambe larghe. Lui che mi sale sopra, mi bacia, mi riempie e mi schiaccia. Io che stavolta non ce la faccio più a reprimere le mie oscenità. Che gli urlo “sfondami!” e poi chissà cos’altro. E’ inconcepibile quanto riesca a farmi sua. Con il suo cazzo, con il suo peso, le sue parole, la sua volontà, il suo odore. Semplicemente inconcepibile. Non me ne frega più un cazzo di nulla.
Quella domanda che mi ero fatta dopo che lui mi aveva detto di avere prenotato una stanza qui – cosa cazzo pensa di me? - adesso ha una risposta. Me la sono data da sola dopo che si è svuotato dentro di me, mentre me lo sentivo ancora ansimare addosso e gli passavo le dita tra i capelli. Entrambi che cercavamo di tornare a respirare normalmente.
- Sono la tua troia – gli ho sussurrato.
Vabbè, ne dico tante. Non c’è bisogno di spiegazioni, no? Sono la tua troia, anche se magari mi sono fatta rimorchiare da qualche parte e tra un’ora sarà solo “ciao, è stato bello, grazie di avermi riaccompagnata, addio”. Sono la tua troia. Significa che mi devi scopare forte, mi devi scopare bene. Lo dico spesso, mentre mi scopano. Molto ma molto più raramente dopo. A Luca, per dire, non l’ho mai detto, dopo. E quando lo dico dopo, il sesso non è la cosa più importante.
La sua risposta arriva quasi meccanica. Come se non gli importasse. O come se, in fondo, già lo sapesse. Del resto, uno che prende una stanza prima ancora di sapere se accetterai o no il suo invito a cena cosa deve pensare di te?
- Sei decisamente la mia troia.
Oppure uno sfizio. Chissà se è così anche con sua moglie, o se aspettava una come me per togliersi lo sfizio. Chissà se sono la prima con cui si toglie lo sfizio.
- Come sapevi che saremmo finiti qui?
- Non lo sapevo proprio.
- E la camera?
- Mah... al massimo buttavo qualche euro...
- Non è proprio bellissimo sentirselo dire...
- Perché? Si vede che lo volevamo tutti e due. Non mi dirai che ti sei sentita costretta.
- Sì, ma perché ci hai provato? Cosa ho fatto?
- Non lo so... Nulla, tu non hai fatto nulla. Però sai una cosa?
- No, dimmela.
- Non ci speravo tanto. Ma mica mi dispiace, eh?
CONTINUA
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La sua proposta vabbè, potevo pure aspettarmela, dopo un paio di settimane di saluti in cortile e un paio di inviti a prenderci un caffè alla macchinetta. Sempre accettati. Cazzo, ogni volta che scendo a fumare una sigaretta me lo trovo davanti. E ogni volta che me lo trovo davanti ho un sobbalzo. Ogni volta ho un sorriso un po’ troppo luminoso, ogni volta ho un “buongiorno! come sta?” un po’ troppo squillante. “Non devi darmi del lei”. Sì, ok, starò più attenta.
Aperitivo dopo l'orario di lavoro, al bar dall'altra parte della strada. Senza nasconderci, non abbiamo bisogno di nasconderci. Siamo colleghi, in fondo. Che male c'è. Solo che io alle sei di pomeriggio... beh, per l'aperitivo mi pare un po' presto, no? "Io prendo un tè", gli sorrido. Anche se sarebbe meglio una camomilla. Sono tesa. Sono fisicamente tesa. Non sono confusa e non sono eccitata. Sono comodamente seduta eppure mi sembra di stare in palestra a fare il plank, con tutti i muscoli tirati. Sì, dopo un po' sì, perdo il filo. Non lo seguo, non capisco dove voglia andare a parare. Perché pronunci tanto spesso le parole "mia moglie", perché mi chieda del mio fidanzato. Stavamo parlando tanto bene di lavoro... potevamo continuare con il tempo, gli hobby, l'emergenza ambiente... se a casa abbiamo fatto l'albero o il presepe, i regali di natale...
- Ti va di venire con me?
- Dove?
- A cena, naturalmente.
Infilarsi dentro un taxi ancora incredula di avergli detto di sì e, dentro il taxi, pensare che dovrò chiamare Luca e informarlo che stasera non ci vediamo. Forse aveva dei progetti, forse mi voleva portare da qualche parte. A farci una pizza, a bere qualcosa. Forse mi voleva scopare allo scannatoio. Pensare a tutto questo e scendere dal taxi davanti all'entrata di un grande albergo.
- Qui si mangia niente male.
E dopo che mi sono voltata a guardare, sentirmi la sua mano sulla schiena, il suo alito sul viso, la sua bocca sulla mia. Senza nemmeno rendermi conto di avere socchiuso le labbra per far passare la sua lingua. Lo accolgo, lo accetto. Ma solo per un paio di secondi. Mi irrigidisco, mi divincolo. Ok, ci sono stata, ma solo per un istante, non può essersene accorto.
- No, aspetta... aspetta... scusami...
- Ma aspetta che? Scusa che?
Dio come sorride, come è sicuro. Ma come fa? Io invece sono... sono un tumulto, ecco. Di sensazioni fisiche e mentali. Inerte di fronte a lui, indifesa, in apnea. Mi bacia ancora. E io lo accetto ancora. Tremando. Stavolta lo accetto proprio. E’ il logico epilogo di tutti i sorrisi e di tutti gli sguardi di questi giorni, in fondo. Di tutti i messaggi subliminali che gli avrò mandato con il linguaggio del corpo, con gli occhi. Mi lascio stringere, lo stringo, divento sinuosa. Aspetto la sua mano sulla nuca, tra i capelli, la pressione per stampare meglio la mia bocca sulla sua. Dire la prima cosa che mi viene in testa, una cosa idiota e senza dignità: "Non me l'aspettavo". Ottenere come risposta un altro suo sorriso, sempre più sicuro. Lo seguo mano nella mano alla reception, mentre è come se tutto mi girasse intorno. Lo ascolto che prenota per le nove un tavolo al ristorante del roof. Entro in ascensore con lui che mi dice "adesso però l'aperitivo è ok, no?". Non mi accorgo nemmeno che non so quale pulsante abbia premuto, ma di sicuro non è quello del roof.
- Stamattina ho preso una stanza – mi fa guardandomi dritta negli occhi – ce lo facciamo portare lì.
Se mi avesse dato una bastonata in testa sarebbe stato meglio, sarei più lucida.
- Ma se non potevo? Se avessi fatto tardi al lavoro? - è l'unica cosa che riesco a dire. O meglio, credo di dire così, ma non ci capisco più un cazzo e non ci metterei la mano sul fuoco.
Non ho nemmeno messo in discussione un sì o un no. Non ho nemmeno preso in considerazione l’idea di un rifiuto. Gliel'ho appena confessato con la mia domanda, ma sono certa che lui lo sapesse già. In realtà non so cosa volere. Mi sento stupida, confusa, senza forze. Impaurita e allo stesso tempo quasi felice di essere caduta in questa trappola preparata da chissà quanto tempo. Dio mio, ma lui che cazzo pensa di me?
Non mi risponde nemmeno, mi attira a sé e mi bacia un’altra volta. E quasi con lo stesso movimento mi piazza una mano tra le gambe. Me le forza, mi costringe ad allargare un po’ le cosce per infilarsi in mezzo. Me la stringe, stringe il mio ventre come se volesse appropriarsene. Gli tremo il mio respiro in bocca e non capisco più un cazzo ancora una volta. So solo che se continua così tra un po’ sentirà il bagnato sul cavallo dei miei pantaloni di lana. Sono nel panico. E’ come se una forza sovrannaturale mi spingesse verso di lui, avete presente ste cazzate qua? Beh, mica tanto cazzate. L’unico momento di lucidità ce l’ho mentre lo osservo aprire la porta: sto per entrare in una camera d’albergo con un uomo sposato, sto per tradire il mio ragazzo. Ma forse, più che di lucidità, dovrei parlare di lucida follia.
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Dunque è così che vuoi? Subito-subito? Giusto il tempo di toglierci i cappotti, di lasciare cadere la tua giacca sulla moquette? E così che vuoi? Subito-subito? Spingermi sul letto e rigirarmi? Mettermi a pecora ed abbassarmi lo stretto indispensabile? Subito-subito? Sei così stronzo? Mi tratti come una puttana, non lo vedi? Come una puttana che si scopre giusto quello che serve scoprire perché ha fretta, perché deve tornare il prima possibile ad adescare un altro cliente.
Mi lasci quei pochi secondi ad aspettare, ad ascoltare il tintinnio della cintura che si slaccia, dei tessuti che frusciano giù, a subire le tue grinfie sui fianchi. A pensare che sono pazza, talmente pazza che non riesco nemmeno a pensare che cazzo sto facendo, che cazzo mi sto lasciando fare. A sentire le piccole scosse che dalla fica mi risalgono su fino in pancia mentre per la prima volta sei volgare con me e mi dici “che pezzo di fregna che sei”.
Stronzo, porco, bastardo. Te ne approfitti. Mi hai travolta, non mi hai nemmeno lasciato il tempo di ragionare. Mi hai sistemata così e hai tirato fuori dalle mutande tutta la tua voglia. Pazzo, dissennato. Sei sempre così o è me che desideri così tanto da non poterne più? E’ stato un caso o sapevi che mi avresti eccitata a bestia? Che pezzo di merda che sei. E io? Che zoccola. Mi sembra di leggerli i vostri commenti: “Non fare tanto la santa, hai iniziato ad aprirgli le cosce davanti già da giorni”.
Il colpo, l’affondo dentro il mio stagno caldo, la percussione. Le stelline che mi corrono incontro dentro i miei occhi strizzati. Il dolore e la sensazione netta di essere imbottita, stipata. No anzi, diciamola tutta, sfondata. Pensare come prima cosa “santiddio che cazzo”. Che poi magari è una cosa tutta mia, eh? In realtà nemmeno te l’ho visto, non mi hai dato il tempo. Anche se prima, al tatto, mi era sembrato che... E comunque è proprio santiddio-che-cazzo in questo istante. Non ci sono discussioni. Ma lo penso, non te lo dico. Da me non avrai nessuna parola. Non puoi prenderti le mie parole, adesso, puoi prenderti solo le mie urla.
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Esce da me, si distende. Deve essere ancora gonfio, perché il suo arrivederci l'ho sentito e sono trasalita. E ho sentito anche, tra mille brividi, qualcosa tracimare. Ha goduto così a lungo dentro di me che mi ha farcita. Senza annunciarmelo, senza chiederlo, incurante se potesse o no. L’ha fatto e basta. Sfogandosi con colpi potenti e piccoli grugniti ansimanti. L’ha fatto e io non ho pensato a nulla, mi è piaciuto, punto. Ma ora non ho voglia di guardarmi in mezzo alle gambe. Mi vergogno.
L’ho lasciato fare, ma non è per questo che mi vergogno. E’ vero, ho bruciato tutte le mie chances. Ha avuto quello che voleva e adesso addio. Ed è un pensiero che mi schianta. Sono sorpresa da quanto mi sia intollerabile. Non c’è nemmeno un pizzico di quel sollievo che dovrei provare, tipo “ok, è stata solo la cazzata di una sera da parte di tutti e due, una cazzata da tenere nascosta”. Stupefatta, nonostante sia stato tutto così veloce ed oltraggioso, mi rendo conto che non potrei sopportare che fosse stata solo la cazzata di una sera.
Accanto a questo c’è la mia voglia. Non pensate cose tipo “beh, se deve essere una botta e via almeno godiamocela”. No, a parte il fatto che sarebbe un pensiero sin troppo elaborato per me, in questo momento, è proprio un’altra cosa. Viaggia in parallelo. Mi dico che sono una cretina ma allo stesso tempo ho voglia di voltarmi e raggiungerlo carponi, ho voglia di guardare lui e il suo cazzo, di conoscerlo, di imboccarlo sporco com'è di noi, di gustare un nuovo sapore, di ripulire un nuovo scettro mentre lui sospira e io fisso i suoi occhi. E’ una voglia puramente animale, una bestia dentro di me. E’ di questa bestia che mi vergogno.
- Spogliati, voglio vederti nuda – mi dice iniziando a togliersi tutto anche lui.
Obbedisco. Trenta secondi e siamo entrambi senza vestiti. Percepisco i suoi occhi che mi accarezzano, mi sento esposta al suo giudizio. L’appuntamento con l’estetista è domani, cazzo, questa sì che è sfiga. Questo che mi cola sulla coscia, invece, è sperma.
- Sei un gran pezzo di fregna – ripete guardandomi le tette.
Una mortificazione cui sono abituata. Magari voleva essere gentile, anche nella volgarità. Torno sul letto, accucciata con la testa tra le sue gambe. Gli succhio il cazzo, giusto un po’. In effetti mi sbagliavo, era una mia proiezione oscena. Non è così enorme come pensavo, ma è comunque bello grosso. Scuro. Con le vene evidenti. E io sì, sono troppo magra e ho le tette troppo piccole.
- Devo telefonare al mio ragazzo...
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Aveva ragione, anche se in un altro momento me la sarei goduta di più la cena non era niente male. La scopata, una volta ritornati in stanza, anche meglio. Guardo i miei pantaloni neri abbandonati sulla moquette. Ho sicuramente sporcato la fodera all’interno. Quando siamo saliti al ristorante non ha voluto che mi mettessi né calze, né mutandine, né camicetta, né reggiseno. Stivaletti, pantaloni e maglione, stop. Sfizi da fedifrago, penso. Non credo proprio che a sua moglie lo chiederebbe, lo imporrebbe quasi, come ha fatto con me. L’ho accontentato, mi sentivo senza difese. E una volta tornati mi ha scopata con il maglione ancora indosso. La terza della serata. Disteso al mio fianco, nudo e a pancia in sotto, mi appare esausto. Adesso che si riposa passandomi la mano sulla pancia, sotto la lana, sono talmente folle che mi domando se ce la farebbe a fare la quarta.
Sorrido tra me e me e, quasi all’improvviso, mi rendo conto di essere, ora, molto ma molto presente a me stessa. Come non lo sono stata mai stasera, da quando mi ha invitata al bar vicino all’ufficio.
Quell’insopportabile parlare del più e del meno a tavola. Soprattutto di lavoro. E mentre mangiavamo il suo improvviso apprezzamento volgare e la scarica di adrenalina: “Hai un culo magnifico”. La paura che mi assaliva, i capezzoli che sentivano più di sempre la lana del maglione.
- Ma ti sei reso conto di cosa abbiamo fatto? – gli ho domandato di fronte ai tagliolini alla spigola. L’attimo della resipiscenza.
- Non dirmi che non ti è piaciuto... e che non lo volevi.
Davanti al suo sorrisino ironico mi è venuto da piangere, ho distolto lo sguardo. Avrei voluto non essere lì, riportare indietro il tempo.
Le sue parole sussurrate proprio mentre si aprivano le porte dell’ascensore, proprio mentre mi toglieva la mano dal culo nel caso in cui qualcuno fosse lì.
- Quando mangiavamo ti pensavo sotto al tavolo...
Non riesco a mettere bene a fuoco il momento, quando è stato? Quando siamo scesi dal taxi e mi ha baciata o dopo, quando siamo saliti per la prima volta in ascensore e mi ha detto che aveva preso una stanza qui? In ogni caso, credo che non gli confesserò mai quanto questo passaggio improvviso dalla sua simpatia informale all’essere un figlio di puttana mi abbia trasformata in una cagna in calore. Penso invece che se me lo chiedesse glielo succhierei qui, nel corridoio. E per qualche secondo, finché non raggiungiamo la porta della nostra stanza, ho proprio il terrore che me lo chieda. Per metà mi sento una merda, per l’altra metà sono completamente partita e mi auguro ogni abuso possibile da parte sua. Non va bene, no che non va bene.
L’annunciato e inevitabile pompino una volta entrati. Lui che si spoglia tutto e io che mi tolgo stivaletti e pantaloni stando così, in ginocchio.
Pompino non finito, tra l’altro, svestizione non completata. Quasi scaraventata sul letto a gambe larghe. Lui che mi sale sopra, mi bacia, mi riempie e mi schiaccia. Io che stavolta non ce la faccio più a reprimere le mie oscenità. Che gli urlo “sfondami!” e poi chissà cos’altro. E’ inconcepibile quanto riesca a farmi sua. Con il suo cazzo, con il suo peso, le sue parole, la sua volontà, il suo odore. Semplicemente inconcepibile. Non me ne frega più un cazzo di nulla.
Quella domanda che mi ero fatta dopo che lui mi aveva detto di avere prenotato una stanza qui – cosa cazzo pensa di me? - adesso ha una risposta. Me la sono data da sola dopo che si è svuotato dentro di me, mentre me lo sentivo ancora ansimare addosso e gli passavo le dita tra i capelli. Entrambi che cercavamo di tornare a respirare normalmente.
- Sono la tua troia – gli ho sussurrato.
Vabbè, ne dico tante. Non c’è bisogno di spiegazioni, no? Sono la tua troia, anche se magari mi sono fatta rimorchiare da qualche parte e tra un’ora sarà solo “ciao, è stato bello, grazie di avermi riaccompagnata, addio”. Sono la tua troia. Significa che mi devi scopare forte, mi devi scopare bene. Lo dico spesso, mentre mi scopano. Molto ma molto più raramente dopo. A Luca, per dire, non l’ho mai detto, dopo. E quando lo dico dopo, il sesso non è la cosa più importante.
La sua risposta arriva quasi meccanica. Come se non gli importasse. O come se, in fondo, già lo sapesse. Del resto, uno che prende una stanza prima ancora di sapere se accetterai o no il suo invito a cena cosa deve pensare di te?
- Sei decisamente la mia troia.
Oppure uno sfizio. Chissà se è così anche con sua moglie, o se aspettava una come me per togliersi lo sfizio. Chissà se sono la prima con cui si toglie lo sfizio.
- Come sapevi che saremmo finiti qui?
- Non lo sapevo proprio.
- E la camera?
- Mah... al massimo buttavo qualche euro...
- Non è proprio bellissimo sentirselo dire...
- Perché? Si vede che lo volevamo tutti e due. Non mi dirai che ti sei sentita costretta.
- Sì, ma perché ci hai provato? Cosa ho fatto?
- Non lo so... Nulla, tu non hai fatto nulla. Però sai una cosa?
- No, dimmela.
- Non ci speravo tanto. Ma mica mi dispiace, eh?
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