Il prezzo della sottomissione (parte 5)

di
genere
sadomaso

Arrivarono a teatro.
All’interno trovarono un uomo il cui viso riconobbe subito, per averlo visto in televisione accanto ad un Ministro.
Luigi si presentò per cortesia, ben sapendo di essere stato riconosciuto. Era accompagnato dalla moglie, una donna che qualche anno addietro doveva essere stata molto bella. Ora emanava classe e ricchezza, col suo abito di firma e con i gioielli che brillavano ad ogni movimento.
Con il suo vestito che a lei era sembrato elegante, Simona si sentì nuda.
Era particolare la sensazione nello stare tra quei due uomini, salutati da alcuni con deferenza, e alla pari da altri volti noti per il grande pubblico.
Niccolò ed i suoi amici la fecero sentire al picco di quelle montagne russe, salutata con deferenza o importanza da coloro che si avvicinavano. Loro stessi la fecero sentire una gran donna, trattandola con gentilezza anche se, percepiva, con distacco, senza farla sentire “dei loro”.
Lo capiva, si erano appena conosciuti.
Arrivati a casa di Niccolò lui la volle usare e lei, così come aveva allargato le cosce al suo arrivo per farsi controllare le mutandine, si offrì e lo soddisfò eseguendo ogni sua richiesta.
Lui la usò a piacimento, pensando solo al proprio piacere senza curarsi del suo. Nemmeno si accorse che lei ebbe due orgasmi.
Le fece male, volutamente, per eccitarsi più di quanto già non lo fosse.
Le torse i capezzoli e le sputò sul viso ed in bocca al momento dell’orgasmo, prendendo possesso della sua vagina al momento del proprio piacere.
Lei subì. Era il suo Padrone.
La eccitava questo dover essere a totale disposizione, una bambolina, una schiava da sesso.
Si stese sul letto, ignorandola. Voleva riprendersi dallo sforzo fisico. Dopotutto non era più giovanissimo e quella puledra lo sfiancava sessualmente con le sue forme, la sua “ospitalità” e la sua offerta sottomessa.
“Devo andare, Niccolò”.
“No”.
“Mio marito mi aspetta”.
Era strana la voce di Simona. Quasi combattuta e spiaciuta, in colpa.
Lui la guardò e non le rispose.
Ero lo sguardo che lei conosceva, di colui che non ammette di non essere ubbidito.
“Va bene, gli mando un messaggio”.
La sua voce era sottomessa e, nonostante l’orgasmo appena avuto, lui provò calore alla bocca dello stomaco.
“No”.
Lei restò col telefono a mezz’aria guardandolo.
Non sapeva cosa fare.
Spense il telefono e lo posò sul comodino. Non osò nemmeno a pensare di vestirsi. Si mise sotto le lenzuola accanto al Padrone che già pareva dormisse, dopo averle dato un ordine senza avere aspettato l’esecuzione.
Montagne russe.
Da tanto importante a teatro, a oggetto, schiava da letto.
Lei la visse come un atto di dominio.
Niccolò, pur provando eccitazione, invece aveva compiuto una mossa studiata.
Voleva vedere se poteva inserirsi con sempre maggior decisione nella coppia, staccandola dal marito e facendola propria.
Avuta la conferma, provò piacere per l’idea del possesso, del dominio di quella giovane donna che si avviava ad essere sua, come lui voleva.
Lei avrebbe scoperto più avanti, quando non sarebbe più riuscita a fare a fermarsi, che non poteva fare meno della montagna russa, del piacere della sottomissione in privato dopo essere stata lanciata in alto ed esaltata in pubblico, anche se, al suo fianco, si sentiva sempre una bambolina sottomessa.
Cominciava a pensarsi in catene ai piedi di quell’uomo maturo, a sua disposizione.
Giorgio la aspettava a casa, un misto tra preoccupazione ed eccitazione, nell’immaginarla coinvolta in quella sottomissione eccitante per tutti.
Non la aspettò più per scaricare la tensione con il suo corpo, e si masturbò.
La mattina dopo, quando lei rientrò, non disse nulla per non avere avvisato. Lui si limitò a guardarla.
Col tempo, Simona smise di cercare Niccolò ed iniziò ad aspettarlo, ad attendere le sue chiamate.
Il Padrone la chiamava quando aveva voglia di divertirsi e non si aspettava un rifiuto. In privato la trattava sempre più come una schiava, usandola per soddisfarsi sessualmente a piacimento.
Aveva iniziato anche a picchiarla quando non eseguiva correttamente gli ordini o sbagliava il modo di dargli piacere come lui le aveva insegnato.
I primi tempi restava basita ma poi accettò questa cosa come parte della sua sottomissione, come dovere di schiava e la eccitò.
Le creava tensione il non sapere se stesse eseguendo bene, restando in attesa sempre di uno schiaffo o altro perché aveva sbagliato.
Questa insicurezza la soggiogava ed eccitava al tempo stesso.
Una sera Simona e Giorgio avevano appena iniziato a cenare, quando suonò il telefono. Lei aveva associato al Padrone una suoneria particolare e, sentendola, cominciò ad andare in agitazione, prendendo in mano il telefono dal quale, ultimamente, non si staccava mai.
La convocava sempre con sms, come se ordinasse una pizza. Doveva andare da lui subito. Simona non terminò la cena, ma si cambiò e lo raggiunse.
Come al solito, appena entrata in casa lui non la salutò.
“Mettiti davanti alla poltrona”.
Non ci fu bisogno alcuno di darle ulteriori direttive. Ormai si frequentavano da tempo e lei aveva imparato ciò che a lui piaceva. Era stata educata a servirlo.
Il Padrone andò a farsi una doccia mentre la schiava andava a mettersi in posizione.
Uscito dal bagno passò nella stessa stanza dove era lei in attesa, senza degnarla di uno sguardo, sicuro che la sua proprietà fosse lì, come lui le aveva ordinato.
Andò in cucina e si prese qualcosa da mangiare che, in un vassoio, si portò in sala.
La schiava, nuda, era inginocchiata, testa china, davanti alla poltrona Padronale.
I polsi erano volontariamente uniti dietro alla schiena. Sapeva che lui glieli avrebbe ammanettati, cosa che accadde.
Senza parlarle si sedette in poltrona, accese la televisione sintonizzando il canale sulla partita appena iniziata.
Mentre mangiava dal vassoio tenuto sulle gambe, pretese che la giovane donna gli leccasse i piedi, peraltro senza interessarsi al suo umiliante lavoro mentre lui era concentrato sulla tv.
Terminato il pasto, con un movimento del piede, le fece capire che era il momento di dedicarsi a ben altra attività.
Ormai le aveva insegnato ad agire con piccoli comandi, gestuali o vocali, come le cagne.
La schiava si dedicò ai testicoli, leccandoli come lui le aveva insegnato.
Ogni tanto, preso dalla partita, si muoveva. Lei aspettava che riacquistasse la posizione e ricominciava a leccarlo, dandogli piacere.
Doveva stare attenta a non farlo attendere troppo.
“Muoviti puttana”.
Frase molto spesso accompagnata da uno schiaffo.
In privato non aveva rispetto per lei e la trattava sempre più come un schiava.
Questa cosa la eccitava, così come quella continua tensione nell’attesa della punizione per averlo servito male.
Il peggio, o il meglio, a seconda del punto di vista, iniziò quando pretese che glielo prendesse in bocca.
Il meglio ed il peggio coincidevano e trovavano origine nella stessa tensione.
Sapeva che doveva dargli abbastanza piacere da lasciarlo soddisfatto e con il pene bello duro, ma non tanto da farlo godere senza che lui glielo avesse ordinato.
Era una cosa difficile, perchè se avesse esagerato lui avrebbe potuto godere, soprattutto dopo tanto tempo che lo aveva in bocca. Se invece avesse rallentato troppo, avrebbe potuto ammosciarsi e, conseguentemente, lui la picchiava o le tirava i capelli o torceva i capezzoli.
Terminata la punizione, senza che lui glielo avesse insegnato, si sentiva sempre dire:
“Scusa, Padrone”.
Questa tensione aveva il potere di bagnarla tra le cosce e, alla fine, si ritrovava sfinita.
Quella sera sbagliò e lui le venne in bocca.
Non appena ingoiato si gettò ai suoi piedi per chiedere scusa.
Il Padrone fece terminare l’azione di gioco e la punì. Le diede schiaffi e le torse fortemente i capezzoli.
“Puttana, in tutti questi mesi ancora non hai imparato a farmi i pompini?”.
Gli uomini che aveva avuto prima le erano grati, quando li faceva venire con la bocca.
Il Padrone le aveva capovolto il mondo. Questa cosa la eccitava, si sentiva debole, sottomessa, soggiogata, in pieno potere altrui.
Per il resto della serata la costrinse a stare in ginocchio accanto a lui, immobile.
Ogni volta che si muoveva per cambiare posizione, la picchiava.
La tensione la fece piangere e lui ne godette, perché lo fece in silenzio e senza muoversi.
Per Niccolò non era solo piacere e divertimento. La stava educando all’ubbidienza sempre più cieca e al dolore, in vista di ben altri usi futuri.
Al termine della partita era nuovamente eccitato e decise di usarla ancora per godere, questa volta penetrandola mentre era a 4 zampe, come una cagna.
di
scritto il
2021-11-24
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