Intrecci di terza età
di
Judicael Ouango
genere
etero
“Martinaaa...”.
Paolo stava ancora urlando. La sua divisa, una volta bianca, conteneva a malapena la sua pancia. Mal rasato, non aveva di certo una presenza piacevole, distolsi lo sguardo da lui. per non rovinarmi la vista. Ero seduta fuori in un patio che dava su un giardino che sconfinava a sua volta in un boschetto. Dopo la piccola macchia di alberi, il mare... le cui onde si sentivano di tanto in tanto quando il vento soffiava verso di noi. Noi…
“Noi” siamo la pensione per anziani “Dreams Village”. Un nome strano per una struttura di quattro piani, estremamente imponente, situato alla periferia di Scauri.
Io mi chiamo Mara. In realtà, sarei la contessa Mara de Filippo. Perché ero lì? Perché avevo perso la maggior parte dei miei averi. Sperperati in feste, casinò, pellicce, abiti e accessori griffati, fuoriserie e due inutili mariti che erano stati solo delle sanguisughe, ma che almeno furono molto bravi al letto. Rievocare questo particolare mi fece sorridere. Ripensai agli uomini della mia vita non particolarmente saggia. Non ricordo nemmeno quanti ne abbia avuti, di molti non ho mai saputo nemmeno il nome. Non ci si perde in convenevoli a certi festini. Ed io, ovunque ci fosse stato piacere, cercavo di esserci.
La gente comune non immagina quanto il sesso possa essere uno dei passatempi preferiti dell’alta società. Le perversioni sono la prassi, la “normalità” nel bel mondo. Essere ricchi significa avere a disposizione luoghi e persone. Laddove l’uomo comune non arriva, il ricco ci vive. E quindi la bellezza diventa banalità. Non si vive più la meraviglia quando la vivi di continuo. Le isole remote più belle, i tramonti dallo yacht, la vista mare dalla propria villa con piscina, i viaggi verso le destinazioni più esotiche del mondo finivano per diventare null’altro che un’estenuante routine. Il sesso strappa dalla noia, è scommessa di piacere, roulette russa di sensazioni, tavolo verde di speranza.
Non si tratta di perversione. Chi è ricco ha tempo, ha bellezza, ha futuro, vuol vivere emozioni sempre nuove, perché non le prova più nella quotidianità. Il ricco domina, è rispettato, si può permettere qualunque cosa e pochi sanno che tutto ciò che si vuole, può essere racchiuso nel calore di un corpo, in un abbraccio, in un’umanità diversa. Perciò mi sposai due volte. Avevo tutto, ma mi sentivo niente. Pur se i matrimoni non durarono a lungo, ci furono periodi in cui posso dire che, a tratti, fui felice. E per quelle piccole pause di felicità, sarò sempre grata ai miei sposi. Il flusso dei miei pensieri mi portò a Pierre. Un altro ospite del nostro albergo per anziani. Un uomo originario del Senegal; capelli bianchi, alto, non piegato dall’età. Aveva un viso bellissimo e, sorprendentemente, quasi privo di rughe. Aveva settantadue anni, ma davvero ne dimostrava ben di meno. Era l’unico ospite straniero della struttura che, peraltro, aveva una retta molto molto elevata, non certo da pensione minima. Egli aveva ereditato una fortuna dalla famiglia da cui era stato adottato. Come me, anche lui aveva vissuto scialacquando i suoi averi e, all’ultimo, aveva deciso di investire in una vecchiaia sicura. Fortunatamente, la sua rendita era ancora abbastanza alta per potergli permettere di pagare il mensile.
Eravamo, più o meno, nelle medesime condizioni.
Ci eravamo piaciuti sin dall’inizio. Lui, era lì da prima di me. La sera del giorno in cui arrivai, lo notai ad un tavolo durante l’ora di cena. I tavoli erano suddivisi per piccoli gruppi, come in un ristorante. Privilegio della borghesia. I miei capelli erano dello stesso colore dei suoi. Le nostre pelli no. Ci guardammo con uno sguardo ancora pieno di promesse. Non ero venuta a morire. Nemmeno lui a quanto sembrava. Era lo sguardo di un uomo interessato. Vivace e franco.
Il giorno dopo, a pranzo, mi sedetti accanto.
“Mara...”, gli dissi presentandomi con un tono di voce suadente.
“Pierre...”, rispose con un sorriso che svelò i suoi denti bianchissimi.
Da quel momento, ogni occasione era buona per chiacchierare fitto fitto. Per giorni e giorni, ci raccontammo delle nostre esperienze, di come avevamo sperperato fortune nelle spese più eccentriche, ci ridemmo persino su. Nessuno dei due sarebbe voluto tornare indietro. Del resto non potevamo lamentarci, tutto sommato eravamo ancora abbastanza benestanti, certo non più ricchi sfondati, ma tuttavia ancora molto al di sopra dello standard del cittadino medio. Pierre aveva avuto a lungo il vizio delle droghe, cocaina in particolare, e naturalmente delle donne. Più lui andava avanti con gli anni, più giovani erano le sue amanti. Non si era fatto mancare nulla; barche, feste, auto, viaggi... fino a rischiare di perdere tutto, fortunatamente era riuscito a fermarsi appena in tempo. Si era disintossicato, aveva provato a salvare la sua impresa, ma non ci era riuscito, per cui fu costretto a metterla in vendita per assicurarsi un lauto gruzzolo per la vecchiaia. In fondo gli era andata bene, ma si era dovuto enormemente ridimensionare.
Avevamo avuto la stessa vita, gli eccessi rappresentavano la nostra quotidianità, avevamo assaporato tutto ciò che era vietato, avevamo comprato sesso, trasgredito come prassi. Conoscevamo la noia del ricco, quella che ti spinge ad impoverire la tua vita. Ci capivamo così tanto che fu l’inizio di una storia senza fine.
Fu un rapporto diverso da qualunque altro avessimo mai avuto entrambi. Pur essendo piacenti ed attivi, passarono due anni prima che io e Pierre facessimo l’amore.
“Ero all’apice. E lassù siamo ben pochi; una minoranza privilegiata, ma sempre una minoranza. Volerne uscire, è considerato inconcepibile, assolutamente una pazzia. Del resto quali sono le cose permesse in quel mondo? Nel mio ex mondo? Vivere in una sorta di clausura di lusso insieme a coloro che sono nella stessa posizione. Grazie ai soldi, sono riuscito a soddisfare in tutti i modi che desiderassi i miei sensi. Li ho logorati, spinti all’estremo. La gente normale non ha nemmeno il tempo di scopare. I doveri superano qualunque altra cosa. I ricchi possono comprarsi il tempo, lo spazio e anche le persone. E, quindi, ne abusano, ne approfittano, pur se chiusi in quella gabbia da dove hanno paura di uscire. Hanno agi che vogliono mantenere, e quegli agi fanno gola a molti. Ma la noia prima o poi arrivava sempre, fu così che entrai a far parte di diverse sette che compivano rituali macabri. Per me era una specie di gioco. Il gioco dei potenti. I ricchi dominano il mondo, vogliono illudersi di dominare anche le anime e cercano nel mistico la conferma della loro divinità. Non sono mai stato in realtà convolto mentalmente in quelle cose, ma far parte di quell’élite, rappresentava una leva sui propri affari. Uomini e donne ricchi allo schifo, vestiti con rozze tonache e con i volti mascherati. Sceglievano le location più suggestive; vecchie chiese, cimiteri antichi, casolari abbandonati, castelli. I rituali si concludevano quasi sempre nello stesso modo. Dopo le celebrazioni, le formule solenni recitate con tono evocativo dal maestro di cerimonia, ci si saziava ad un raffinato buffet, e poi aveva luogo un orgia. Ovunque c’era gente che scopava. Chi in piedi, chi seduto. E, poi ancora, sesso violento. Sesso tra ragazze, ragazzi, donne, uomini e pure anziani. Champagne, superalcolici e droghe di ogni tipo, rendevano l’atmosfera quasi surreale. C’erano tutti, ma sembrava non ci fosse nessuno. Si sentiva nell’aria un penetrante e bruciante odore di sesso che sovrastava i costosi profumi. Le donne competevano in bellezza. Il languore dell’amore è unico. Non stavi bene, ma stavi bene. Era la via di fuga di chi può avere tutto, l’irrazionalità, l’eccesso”.
Pierre parlava e io mi toccavo.
Eravamo seduti sul tronco di un albero a pochi metri dal mare. Non faceva freddo, le mie spalle erano scoperte, il mio vestito era leggero e sotto non avevo indossato niente.
Pierre parlava e io lo immaginavo in azione durante quei festini. Doveva sicuramente esserne tra i protagonisti, e il suo pene, sicuramente enorme, doveva essere stato conteso da molte. Immaginavo bionde, ricce, piccoline, prosperose, fare a gara per averlo in bocca, nella figa... per farsi riempire da lui, sentire le sue grandi e forti mani sulle natiche, sui seni. Mentre questo film scorreva nella mia mente, la brezza del mare mi accarezzava la pelle, e le mie dita, sul mio clitoride si muovevano lente. Ogni sua parola mi entrava dentro, mi travolgeva. Avevo preso tanti cazzi in vita mia, li sapevo apprezzare. La loro grandezza, la loro consistenza, le vene che li percorrono, la loro potenza, le loro défaillance, ma non era per quello che io e Pierre non avevamo fatto l’amore. In realtà, lo facevamo tutti i giorni, alimentandoci l’uno dell’altro, non paghi di una vita, ma pieni di quella sostanza che allora non sapevo fosse amore.
Ovviamente, Pierre era nell’ala degli uomini ed io in quello delle donne. Il regolamento dell’istituto prevedeva un inquilino per stanza, ma non vietava gli incontri tra persone sane di mente. Ciascuno di noi poteva visitare l’altro nella propria stanza a piacimento. Per oltre due anni le nostre intimità si sfiorarono, si presero cura l’un dell’altro. Mentre mi masturbavo, ripensai ad un paio di giorni prima.
Io e Pierre ci davamo dei compiti. Lui quel giorno mi chiese di rubare una zucchina. “Bella grossa!”, disse ridendo. Naturalmente lo feci. A lui, invece, chiesi di preparare dei sali da bagno e il massaggiatore per piedi che avevo notato nella sua toilette.
Quando raggiunsi la sua stanza, era in vestaglia, nudo sotto, e col membro già eretto.
“Ti pensavo”, mi confessò.
Il nostro gioco consisteva in questo; io gli dicevo come fare per arrivare al piacere e lui dava istruzioni a me. Un gioco che non prevedeva il contatto dei nostri sessi.
Il nostro non era certo un amore platonico, ma, come adolescenti vergini, ci promettevamo a vicenda i nostri corpi intatti o, perlomeno, rigenerati.
Mi aveva chiesto di vestirmi di intimo bianco “molto erotico”, aveva detto laconico. Lo feci. Il mio reggiseno era fatto di flanella. Sotto indossavo uno slip bianco. Ai piedi calzavo un paio di scarpe tacco dodici, candide.
Avrei preferito il nero. Per tutta la vita avevo indossato solo quello. Un paio di volte che provai ad obiettare, lui rispose semplicemente:
“Hai me che sono già nero”.
Mise su un po’ di musica. Mi piaceva come si muoveva... era elegante e possente allo stesso tempo. Era un disco degli anni ottanta, un ritmo soft. Poi, chiuse le tende della stanza e diede un giro di chiavi alla porta. Quando tornò, stavo riempiendo il contenitore del massaggiatore per i piedi. Glieli portai e glielo misi sotto la sedia aggiungendo i sali. Poi attaccai la presa e lo feci partire. C’era un leggero ronzio nella stanza. Con movenze eleganti, vi infilò i piedi, uno dopo l’altro, ed emise un sospiro.
“Masturbati”, gli dissi.
Si mise le mani sul cazzo e cominciò a massaggiarsi piano. Mi alzai ed andai ad aprire il cassetto del suo comodino dove sapevo che avrei trovato una crema. Tornando, trascinai l’altra sedia in modo da star seduta di fronte a lui. Mi tolsi anch’io la vestaglia rivelando il mio candido completino intimo.
“Quanto sei bella...”, disse fissandomi.
Mentre si masturbava, gli misi un po’ di crema sul glande. La bianca sostanza scese lungo il suo membro e raggiunse anche il dorso della sua mano. Il suo movimento era più fluido, mi affascinava. La mano, lentamente, saliva e scendeva, aumentando i miei ardori. Sapevo cosa volesse che facessi con la zucchina. L’avevo lavata accuratamente, ed ora, mentre lo guardavo, ci stavo infilando un preservativo. Cominciai a premerla con la mia vulva gonfissima di desiderio. La mia figa stava colando umori, la zucchina vi entrò e le impressi lo stesso ritmo della mano di Pierre sul suo cazzo. Ci stavamo dando piacere. Ognuno nel proprio mondo, entrambi in un mondo unico.
Guardavo il viso di Pierre, i lineamenti sempre più tesi, il suo movimento si faceva più frenetico, il ronzio del massaggiatore per piedi rendeva il tutto irreale, lontano e vicino al medesimo tempo. La mia mano, a sua volta, spingeva dentro e fuori quell’ortaggio che in quel momento rappresentava la bacchetta magica del piacere. Non potevamo far rumore e ci trattenevamo, ma non abbastanza da non sospirare e gemere.
In una specie di raptus, tolsi la mano di Pierre dal suo membro e la sostituii con la mia. Lo tenni stretto, molto stretto, in modo da sentire il massaggiatore per i piedi che faceva vibrare la sua verga. Così, immobili. Eppure era come se il mare tenesse in pugno il cielo. Avevo smesso anch’io di masturbarmi, riuscendo così a percepire le vibrazioni che passavano dal cazzo di Pierre, lungo la mia mano, fino a tutto il corpo, facendo arrivare a vibrare impercettibilmente anche la zucchina nella mia vagina. Una sensazione straordinaria. Avevo brividi continui, stavo godendo. Molti pensano che godere ed avere un orgasmo siano la stessa cosa. Non lo è. Il godimento può durare per ore, per tutto il tempo, l’orgasmo, istanti.
Cominciai a masturbare Pierre con ritmo regolare. Lo sentivo ansimare, ma mi fermavo ogni volta che sentivo che stava per raggiungere il piacere. Qualunque donna sa riconoscere quelle pulsazioni sul membro di un uomo. Mostrano la sua forza, la sua decisione, il suo coraggio, il suo impeto. Una volta, per scherzo, avevo anche detto ad un’amica che anziché leggere le carte, avrei potuto leggere i cazzi.
Non volevamo prenderci totalmente. Non per il momento. I nostri corpi conoscevano il ludico, il piacere sfrenato, il proibito; eravamo entrambi veterani della perversione, non ci mancava il sesso, c’era di più, molto di più.
Pierre venne con un getto infinito. Il suo sperma gli ricadde addosso lasciando delle chiazze bianche sparse su tutto il suo bellissimo corpo. D’istinto, mi alzai e con la lingua ripulii il suo corpo accuratamente. Dopo, mi prese tra le sue braccia, mi adagiò sul letto, facendomi aprire le gambe e, con la lingua sul clitoride, la zucchina nella vagina, si prese cura di me fino a quando non venni tenendogli la testa premuta contro il pube.
Tutto questo era successo due giorni prima ed ora ricordando e masturbandomi venni di fronte al mare lasciandomi completamente andare. Pierre mi guardò, sorrise e tornammo nella struttura a cenare.
Non ero sazia. La vita non mi aveva mai saziato. Il bello non mi bastava. Il viaggio continuo, a differenza di ciò che pensa la gente, non ti fa godere di nulla. Dubai, Rio De Janeiro, Nizza, Tokyo, Londra... per chi è ricco, la meta non è molto diversa; suite di alto livello, un’auto di lusso, uno yacht, amori sfuggenti, fiumi di alcool, feste dove mostrare i propri costosi gioielli era la priorità di ogni donna ed uomo che vi partecipava. Insomma, era tutto uguale. La ricchezza compra il meglio ovunque, ed il meglio, spesso, ha un nome, un marchio, un’imposizione... in poche parole, il lusso è uguale ovunque.
Come rimpiangere una vita ricca? Cosi come si rimpiange la vita da poveri. Solo vivendo. Fa parte della nostra natura. Presuntuosi, incapaci di accontentarci. Una vita migliore per tutti, avrebbe dato una vita diversa a tutti, tale era la mia percezione, ma era un tipo di illuminazione che era arrivata con l’età. Ero vissuta per me, non per “noi”. Il mondo rappresenta una fetta di torta, ma non è gratis. Ed io, ne ho fatto indigestione, sotto lo sguardo di molti, tanti, troppi che morivano di fame.
Ma la vita è cosi; terribilmente ingiusta. Castiga tutti, forse non nello stesso modo, ma sicuramente nessuno, proprio nessuno, può sottrarsi.
“È una legge di natura. Essa in ogni suo operato, o azione, si bilancia in modo perfetto. Il mondo stesso, formato dal fuoco nel suo centro, dall’aria sopra di esso. Lo stesso succede nell’uomo. Fatto di ossa, di sangue, bilanciato in tutto e per tutto, suda quando ha caldo, ha freddo quando è al gelo, piange e ride, mangia e caga… un equilibrio che l’uomo stesso ha rotto con la persistenza nell’egoismo. Non si può stare bene a discapito del resto del mondo. Qualunque cosa si possieda. Perciò, la cosa più saggia che possa fare il ricco, è operare affinché anche gli altri lo siano, ma l’irrazionalità dovuta ai privilegi prende quasi sempre il sopravvento sul buonsenso.”. Cosi se lo spiegava Pierre, e così mi disse del suo punto di vista.
Mentre mangiavamo, avevo fretta che venisse l’ora in cui sarei potuta intrufolarmi nella sua stanza. Lì, in sala ristoro, non smisi di masturbarlo con il mio piede sotto al tavolo. Mi piaceva che rimanesse impassibile, che non facesse trasparire niente. Una tensione erotica segreta, una muta promessa di piacere. Andammo in stanza mano nella mano, senza nasconderci.
Con i tocchi, le carezze, con le cure l’un verso l’altro, col contrasto delle nostre pelli, la comunione dei nostri cuori.
Facemmo l’amore anni dopo. Ci trasferimmo insieme in una casa discreta a Firenze ed assumemmo un domestico che badò a noi fino agli ultimi giorni della nostra felice vita.
Paolo stava ancora urlando. La sua divisa, una volta bianca, conteneva a malapena la sua pancia. Mal rasato, non aveva di certo una presenza piacevole, distolsi lo sguardo da lui. per non rovinarmi la vista. Ero seduta fuori in un patio che dava su un giardino che sconfinava a sua volta in un boschetto. Dopo la piccola macchia di alberi, il mare... le cui onde si sentivano di tanto in tanto quando il vento soffiava verso di noi. Noi…
“Noi” siamo la pensione per anziani “Dreams Village”. Un nome strano per una struttura di quattro piani, estremamente imponente, situato alla periferia di Scauri.
Io mi chiamo Mara. In realtà, sarei la contessa Mara de Filippo. Perché ero lì? Perché avevo perso la maggior parte dei miei averi. Sperperati in feste, casinò, pellicce, abiti e accessori griffati, fuoriserie e due inutili mariti che erano stati solo delle sanguisughe, ma che almeno furono molto bravi al letto. Rievocare questo particolare mi fece sorridere. Ripensai agli uomini della mia vita non particolarmente saggia. Non ricordo nemmeno quanti ne abbia avuti, di molti non ho mai saputo nemmeno il nome. Non ci si perde in convenevoli a certi festini. Ed io, ovunque ci fosse stato piacere, cercavo di esserci.
La gente comune non immagina quanto il sesso possa essere uno dei passatempi preferiti dell’alta società. Le perversioni sono la prassi, la “normalità” nel bel mondo. Essere ricchi significa avere a disposizione luoghi e persone. Laddove l’uomo comune non arriva, il ricco ci vive. E quindi la bellezza diventa banalità. Non si vive più la meraviglia quando la vivi di continuo. Le isole remote più belle, i tramonti dallo yacht, la vista mare dalla propria villa con piscina, i viaggi verso le destinazioni più esotiche del mondo finivano per diventare null’altro che un’estenuante routine. Il sesso strappa dalla noia, è scommessa di piacere, roulette russa di sensazioni, tavolo verde di speranza.
Non si tratta di perversione. Chi è ricco ha tempo, ha bellezza, ha futuro, vuol vivere emozioni sempre nuove, perché non le prova più nella quotidianità. Il ricco domina, è rispettato, si può permettere qualunque cosa e pochi sanno che tutto ciò che si vuole, può essere racchiuso nel calore di un corpo, in un abbraccio, in un’umanità diversa. Perciò mi sposai due volte. Avevo tutto, ma mi sentivo niente. Pur se i matrimoni non durarono a lungo, ci furono periodi in cui posso dire che, a tratti, fui felice. E per quelle piccole pause di felicità, sarò sempre grata ai miei sposi. Il flusso dei miei pensieri mi portò a Pierre. Un altro ospite del nostro albergo per anziani. Un uomo originario del Senegal; capelli bianchi, alto, non piegato dall’età. Aveva un viso bellissimo e, sorprendentemente, quasi privo di rughe. Aveva settantadue anni, ma davvero ne dimostrava ben di meno. Era l’unico ospite straniero della struttura che, peraltro, aveva una retta molto molto elevata, non certo da pensione minima. Egli aveva ereditato una fortuna dalla famiglia da cui era stato adottato. Come me, anche lui aveva vissuto scialacquando i suoi averi e, all’ultimo, aveva deciso di investire in una vecchiaia sicura. Fortunatamente, la sua rendita era ancora abbastanza alta per potergli permettere di pagare il mensile.
Eravamo, più o meno, nelle medesime condizioni.
Ci eravamo piaciuti sin dall’inizio. Lui, era lì da prima di me. La sera del giorno in cui arrivai, lo notai ad un tavolo durante l’ora di cena. I tavoli erano suddivisi per piccoli gruppi, come in un ristorante. Privilegio della borghesia. I miei capelli erano dello stesso colore dei suoi. Le nostre pelli no. Ci guardammo con uno sguardo ancora pieno di promesse. Non ero venuta a morire. Nemmeno lui a quanto sembrava. Era lo sguardo di un uomo interessato. Vivace e franco.
Il giorno dopo, a pranzo, mi sedetti accanto.
“Mara...”, gli dissi presentandomi con un tono di voce suadente.
“Pierre...”, rispose con un sorriso che svelò i suoi denti bianchissimi.
Da quel momento, ogni occasione era buona per chiacchierare fitto fitto. Per giorni e giorni, ci raccontammo delle nostre esperienze, di come avevamo sperperato fortune nelle spese più eccentriche, ci ridemmo persino su. Nessuno dei due sarebbe voluto tornare indietro. Del resto non potevamo lamentarci, tutto sommato eravamo ancora abbastanza benestanti, certo non più ricchi sfondati, ma tuttavia ancora molto al di sopra dello standard del cittadino medio. Pierre aveva avuto a lungo il vizio delle droghe, cocaina in particolare, e naturalmente delle donne. Più lui andava avanti con gli anni, più giovani erano le sue amanti. Non si era fatto mancare nulla; barche, feste, auto, viaggi... fino a rischiare di perdere tutto, fortunatamente era riuscito a fermarsi appena in tempo. Si era disintossicato, aveva provato a salvare la sua impresa, ma non ci era riuscito, per cui fu costretto a metterla in vendita per assicurarsi un lauto gruzzolo per la vecchiaia. In fondo gli era andata bene, ma si era dovuto enormemente ridimensionare.
Avevamo avuto la stessa vita, gli eccessi rappresentavano la nostra quotidianità, avevamo assaporato tutto ciò che era vietato, avevamo comprato sesso, trasgredito come prassi. Conoscevamo la noia del ricco, quella che ti spinge ad impoverire la tua vita. Ci capivamo così tanto che fu l’inizio di una storia senza fine.
Fu un rapporto diverso da qualunque altro avessimo mai avuto entrambi. Pur essendo piacenti ed attivi, passarono due anni prima che io e Pierre facessimo l’amore.
“Ero all’apice. E lassù siamo ben pochi; una minoranza privilegiata, ma sempre una minoranza. Volerne uscire, è considerato inconcepibile, assolutamente una pazzia. Del resto quali sono le cose permesse in quel mondo? Nel mio ex mondo? Vivere in una sorta di clausura di lusso insieme a coloro che sono nella stessa posizione. Grazie ai soldi, sono riuscito a soddisfare in tutti i modi che desiderassi i miei sensi. Li ho logorati, spinti all’estremo. La gente normale non ha nemmeno il tempo di scopare. I doveri superano qualunque altra cosa. I ricchi possono comprarsi il tempo, lo spazio e anche le persone. E, quindi, ne abusano, ne approfittano, pur se chiusi in quella gabbia da dove hanno paura di uscire. Hanno agi che vogliono mantenere, e quegli agi fanno gola a molti. Ma la noia prima o poi arrivava sempre, fu così che entrai a far parte di diverse sette che compivano rituali macabri. Per me era una specie di gioco. Il gioco dei potenti. I ricchi dominano il mondo, vogliono illudersi di dominare anche le anime e cercano nel mistico la conferma della loro divinità. Non sono mai stato in realtà convolto mentalmente in quelle cose, ma far parte di quell’élite, rappresentava una leva sui propri affari. Uomini e donne ricchi allo schifo, vestiti con rozze tonache e con i volti mascherati. Sceglievano le location più suggestive; vecchie chiese, cimiteri antichi, casolari abbandonati, castelli. I rituali si concludevano quasi sempre nello stesso modo. Dopo le celebrazioni, le formule solenni recitate con tono evocativo dal maestro di cerimonia, ci si saziava ad un raffinato buffet, e poi aveva luogo un orgia. Ovunque c’era gente che scopava. Chi in piedi, chi seduto. E, poi ancora, sesso violento. Sesso tra ragazze, ragazzi, donne, uomini e pure anziani. Champagne, superalcolici e droghe di ogni tipo, rendevano l’atmosfera quasi surreale. C’erano tutti, ma sembrava non ci fosse nessuno. Si sentiva nell’aria un penetrante e bruciante odore di sesso che sovrastava i costosi profumi. Le donne competevano in bellezza. Il languore dell’amore è unico. Non stavi bene, ma stavi bene. Era la via di fuga di chi può avere tutto, l’irrazionalità, l’eccesso”.
Pierre parlava e io mi toccavo.
Eravamo seduti sul tronco di un albero a pochi metri dal mare. Non faceva freddo, le mie spalle erano scoperte, il mio vestito era leggero e sotto non avevo indossato niente.
Pierre parlava e io lo immaginavo in azione durante quei festini. Doveva sicuramente esserne tra i protagonisti, e il suo pene, sicuramente enorme, doveva essere stato conteso da molte. Immaginavo bionde, ricce, piccoline, prosperose, fare a gara per averlo in bocca, nella figa... per farsi riempire da lui, sentire le sue grandi e forti mani sulle natiche, sui seni. Mentre questo film scorreva nella mia mente, la brezza del mare mi accarezzava la pelle, e le mie dita, sul mio clitoride si muovevano lente. Ogni sua parola mi entrava dentro, mi travolgeva. Avevo preso tanti cazzi in vita mia, li sapevo apprezzare. La loro grandezza, la loro consistenza, le vene che li percorrono, la loro potenza, le loro défaillance, ma non era per quello che io e Pierre non avevamo fatto l’amore. In realtà, lo facevamo tutti i giorni, alimentandoci l’uno dell’altro, non paghi di una vita, ma pieni di quella sostanza che allora non sapevo fosse amore.
Ovviamente, Pierre era nell’ala degli uomini ed io in quello delle donne. Il regolamento dell’istituto prevedeva un inquilino per stanza, ma non vietava gli incontri tra persone sane di mente. Ciascuno di noi poteva visitare l’altro nella propria stanza a piacimento. Per oltre due anni le nostre intimità si sfiorarono, si presero cura l’un dell’altro. Mentre mi masturbavo, ripensai ad un paio di giorni prima.
Io e Pierre ci davamo dei compiti. Lui quel giorno mi chiese di rubare una zucchina. “Bella grossa!”, disse ridendo. Naturalmente lo feci. A lui, invece, chiesi di preparare dei sali da bagno e il massaggiatore per piedi che avevo notato nella sua toilette.
Quando raggiunsi la sua stanza, era in vestaglia, nudo sotto, e col membro già eretto.
“Ti pensavo”, mi confessò.
Il nostro gioco consisteva in questo; io gli dicevo come fare per arrivare al piacere e lui dava istruzioni a me. Un gioco che non prevedeva il contatto dei nostri sessi.
Il nostro non era certo un amore platonico, ma, come adolescenti vergini, ci promettevamo a vicenda i nostri corpi intatti o, perlomeno, rigenerati.
Mi aveva chiesto di vestirmi di intimo bianco “molto erotico”, aveva detto laconico. Lo feci. Il mio reggiseno era fatto di flanella. Sotto indossavo uno slip bianco. Ai piedi calzavo un paio di scarpe tacco dodici, candide.
Avrei preferito il nero. Per tutta la vita avevo indossato solo quello. Un paio di volte che provai ad obiettare, lui rispose semplicemente:
“Hai me che sono già nero”.
Mise su un po’ di musica. Mi piaceva come si muoveva... era elegante e possente allo stesso tempo. Era un disco degli anni ottanta, un ritmo soft. Poi, chiuse le tende della stanza e diede un giro di chiavi alla porta. Quando tornò, stavo riempiendo il contenitore del massaggiatore per i piedi. Glieli portai e glielo misi sotto la sedia aggiungendo i sali. Poi attaccai la presa e lo feci partire. C’era un leggero ronzio nella stanza. Con movenze eleganti, vi infilò i piedi, uno dopo l’altro, ed emise un sospiro.
“Masturbati”, gli dissi.
Si mise le mani sul cazzo e cominciò a massaggiarsi piano. Mi alzai ed andai ad aprire il cassetto del suo comodino dove sapevo che avrei trovato una crema. Tornando, trascinai l’altra sedia in modo da star seduta di fronte a lui. Mi tolsi anch’io la vestaglia rivelando il mio candido completino intimo.
“Quanto sei bella...”, disse fissandomi.
Mentre si masturbava, gli misi un po’ di crema sul glande. La bianca sostanza scese lungo il suo membro e raggiunse anche il dorso della sua mano. Il suo movimento era più fluido, mi affascinava. La mano, lentamente, saliva e scendeva, aumentando i miei ardori. Sapevo cosa volesse che facessi con la zucchina. L’avevo lavata accuratamente, ed ora, mentre lo guardavo, ci stavo infilando un preservativo. Cominciai a premerla con la mia vulva gonfissima di desiderio. La mia figa stava colando umori, la zucchina vi entrò e le impressi lo stesso ritmo della mano di Pierre sul suo cazzo. Ci stavamo dando piacere. Ognuno nel proprio mondo, entrambi in un mondo unico.
Guardavo il viso di Pierre, i lineamenti sempre più tesi, il suo movimento si faceva più frenetico, il ronzio del massaggiatore per piedi rendeva il tutto irreale, lontano e vicino al medesimo tempo. La mia mano, a sua volta, spingeva dentro e fuori quell’ortaggio che in quel momento rappresentava la bacchetta magica del piacere. Non potevamo far rumore e ci trattenevamo, ma non abbastanza da non sospirare e gemere.
In una specie di raptus, tolsi la mano di Pierre dal suo membro e la sostituii con la mia. Lo tenni stretto, molto stretto, in modo da sentire il massaggiatore per i piedi che faceva vibrare la sua verga. Così, immobili. Eppure era come se il mare tenesse in pugno il cielo. Avevo smesso anch’io di masturbarmi, riuscendo così a percepire le vibrazioni che passavano dal cazzo di Pierre, lungo la mia mano, fino a tutto il corpo, facendo arrivare a vibrare impercettibilmente anche la zucchina nella mia vagina. Una sensazione straordinaria. Avevo brividi continui, stavo godendo. Molti pensano che godere ed avere un orgasmo siano la stessa cosa. Non lo è. Il godimento può durare per ore, per tutto il tempo, l’orgasmo, istanti.
Cominciai a masturbare Pierre con ritmo regolare. Lo sentivo ansimare, ma mi fermavo ogni volta che sentivo che stava per raggiungere il piacere. Qualunque donna sa riconoscere quelle pulsazioni sul membro di un uomo. Mostrano la sua forza, la sua decisione, il suo coraggio, il suo impeto. Una volta, per scherzo, avevo anche detto ad un’amica che anziché leggere le carte, avrei potuto leggere i cazzi.
Non volevamo prenderci totalmente. Non per il momento. I nostri corpi conoscevano il ludico, il piacere sfrenato, il proibito; eravamo entrambi veterani della perversione, non ci mancava il sesso, c’era di più, molto di più.
Pierre venne con un getto infinito. Il suo sperma gli ricadde addosso lasciando delle chiazze bianche sparse su tutto il suo bellissimo corpo. D’istinto, mi alzai e con la lingua ripulii il suo corpo accuratamente. Dopo, mi prese tra le sue braccia, mi adagiò sul letto, facendomi aprire le gambe e, con la lingua sul clitoride, la zucchina nella vagina, si prese cura di me fino a quando non venni tenendogli la testa premuta contro il pube.
Tutto questo era successo due giorni prima ed ora ricordando e masturbandomi venni di fronte al mare lasciandomi completamente andare. Pierre mi guardò, sorrise e tornammo nella struttura a cenare.
Non ero sazia. La vita non mi aveva mai saziato. Il bello non mi bastava. Il viaggio continuo, a differenza di ciò che pensa la gente, non ti fa godere di nulla. Dubai, Rio De Janeiro, Nizza, Tokyo, Londra... per chi è ricco, la meta non è molto diversa; suite di alto livello, un’auto di lusso, uno yacht, amori sfuggenti, fiumi di alcool, feste dove mostrare i propri costosi gioielli era la priorità di ogni donna ed uomo che vi partecipava. Insomma, era tutto uguale. La ricchezza compra il meglio ovunque, ed il meglio, spesso, ha un nome, un marchio, un’imposizione... in poche parole, il lusso è uguale ovunque.
Come rimpiangere una vita ricca? Cosi come si rimpiange la vita da poveri. Solo vivendo. Fa parte della nostra natura. Presuntuosi, incapaci di accontentarci. Una vita migliore per tutti, avrebbe dato una vita diversa a tutti, tale era la mia percezione, ma era un tipo di illuminazione che era arrivata con l’età. Ero vissuta per me, non per “noi”. Il mondo rappresenta una fetta di torta, ma non è gratis. Ed io, ne ho fatto indigestione, sotto lo sguardo di molti, tanti, troppi che morivano di fame.
Ma la vita è cosi; terribilmente ingiusta. Castiga tutti, forse non nello stesso modo, ma sicuramente nessuno, proprio nessuno, può sottrarsi.
“È una legge di natura. Essa in ogni suo operato, o azione, si bilancia in modo perfetto. Il mondo stesso, formato dal fuoco nel suo centro, dall’aria sopra di esso. Lo stesso succede nell’uomo. Fatto di ossa, di sangue, bilanciato in tutto e per tutto, suda quando ha caldo, ha freddo quando è al gelo, piange e ride, mangia e caga… un equilibrio che l’uomo stesso ha rotto con la persistenza nell’egoismo. Non si può stare bene a discapito del resto del mondo. Qualunque cosa si possieda. Perciò, la cosa più saggia che possa fare il ricco, è operare affinché anche gli altri lo siano, ma l’irrazionalità dovuta ai privilegi prende quasi sempre il sopravvento sul buonsenso.”. Cosi se lo spiegava Pierre, e così mi disse del suo punto di vista.
Mentre mangiavamo, avevo fretta che venisse l’ora in cui sarei potuta intrufolarmi nella sua stanza. Lì, in sala ristoro, non smisi di masturbarlo con il mio piede sotto al tavolo. Mi piaceva che rimanesse impassibile, che non facesse trasparire niente. Una tensione erotica segreta, una muta promessa di piacere. Andammo in stanza mano nella mano, senza nasconderci.
Con i tocchi, le carezze, con le cure l’un verso l’altro, col contrasto delle nostre pelli, la comunione dei nostri cuori.
Facemmo l’amore anni dopo. Ci trasferimmo insieme in una casa discreta a Firenze ed assumemmo un domestico che badò a noi fino agli ultimi giorni della nostra felice vita.
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