La ragazza troppo bella - Parte 4
di
Judicael Ouango
genere
etero
Mi svegliai molto prima di Elena. Erano forse le nove di mattina. Attraverso le tende fiorite, filtrava quel tanto di luce che pur non aggredendo le palpebre chiuse, cercava di portare luce nelle tenebre degli occhi serrati. Non era l'alba, non c'era magia, era sveglia, dopo una notte di baldoria, l'ennesima. Rimasi comunque al letto per un quarto d'ora gli occhi aperti, gli occhi rivolti al soffitto coperto da un enorme specchio circolare. Guardavo Elena che dormiva scomposta. Aveva il pollice in bocca... Mi venne une tenerezza incredibile nei suoi confronti. La tendenza che abbiamo noi umani a porci come salvatori delle persone amate stava prendendo il sopravvento su di me. Chissà cosa aveva vissuto da piccola. Mi immaginavo un gran numero di orrori... L'opinione pubblica non era molto tenera con i russi. Se non fosse per la loro recente ricchezza e riconversione al capitalismo, sarebbero considerati pressoché alla pari con gli africani. Senza togliere nulla agli africani, ma si sa che sono capaci di inaudite violenze. Sarà per la Tv, i media, ma ciò che arriva dal mondo non sono le cose belle ma quelle orrende. Anche dalla storia, sbuca il marcio, viene ricordato l'olocausto, il dolore resta nella scia del tempo, la paura ovviamente ne nasce. I russi erano ricchi, ma violenti. Immaginavo cosa avessero fatto alla mia amica. Mi commossi e due lacrime mi scesero sulle guance. Posai la mano sul suo fianco e la accarezzi dolcemente. Elene face un suono strana, si raggomitolo su di lei, e riprese a dormire. Sorrisi e mi alzai.
Un ora dopo, stavamo facendo colazione al bar. Avevo costretto Elena ad uscire, la giornata era meravigliosa. Era stanca, abituata a dormire fino al pomeriggio, e non voleva assolutamente uscire ma alla fine cedette quando le promisi un vestito che aveva adocchiato su di me tempo fa. In segno di protesta, si mise una mia vecchia felpa e degli occhiali che le coprivano tutto il viso. Si truccò comunque e non smisi di mandarmi a quel paese sino a che arrivammo in piazza e ci sedemmo. La conoscevo e non smettevo di ridere. Mi diede tregua e se la prese con chiunque stesse seduto al bar. " Guarda quello" diceva, "sono sicuro che è impotente, vedi come cammina? È ovvio!". Non so come cammini un uomo impotente ma le battute di Elena mi facevano morire dalle risate. "Vedi questa tipa? Saranno passati almeno cinque anni che non fa l'amore. Dalle sue rughe si vede che non sorride mai!". Ed io ridevo.
"Perché non vieni a Napoli con me il fine settimana?" le chiesi poi. "Perché ho un sacco di appuntamenti il fine settimana tesoro" mi rispose. "Va bene" dissi, " ma non siamo mai andate da nessuna parte assieme, cosi ti faccio conoscere la città dove sono nata.". Elena mi promise di pensarci e finimmo di fare colazione. Glielo avevo proposto cosi, senza pensarci. Napoli per me era diventata una città molto difficile. I miei genitori oramai avevano smesso di parlare con me. Per loro, io ero "la zoccola", nemmeno più la loro figlia. L'altro mio fratello che non era a Roma invece aveva il dente avvelenato nei miei confronti. Entrambe le due volte in cui tornai a casa da quando mi trasferisco a Roma, mi picchiò selvaggiamente. Entrambe le volte dovetti andare in ospedale. Una piccola cicatrice sopra l'occhio sinistro mi ricordava l'abuso di cui ero vittima e la frontiera di odio dai miei tracciata. Mio padre c'era in entrambe le volte, ed in entrambe le volte, impedire a mia madre di aiutarmi. Nemmeno mia madre era tenera nei miei confronti. Avrebbero preferito che facessi la donna delle pulizie, che mi sposassi con un umile ragazzo dei quartieri e che facessi la casalinga, mi volevano come loro, parte della tradizione, pretendevano che fossi felice nell'infelicità, o che facessi finta. Ero bella, e non avevo fatto nulla per sfruttarlo, mi era capitato, punto. Non facevo la prostituta cercai di spiegare loro, ma in fondo, non accettavo questo termine, ma ammetto che non era tanto lontana dalla realtà. Per pudore forse, o per il lavaggio mentale di cui siamo soggetti da tempi andati, per un infinità di ragioni che fanno passare la dignità oltre la morte, per due parole di elogio sulla tomba che dicono che hai vissuto una vita degna. Io non volevo di questa dignità. Ero caduta nella trappola della lussuria. Ero una di quelle che criticavano la ricchezza, che non capivano come sia possibile che qualcuno possa permettersi un certo tipo di lusso a discapito degli altri, trovavo sempre da ridire su quelle donne ricche che passeggiavano tra le strade chic della città sfoggiando gioielli e costosi vestiti. Come si può amare il lusso senza averlo mai vissuto? Come si può conoscere la povertà senza mai averla sperimentata? Il mondo che frequentavo ora invece era l'opposto. Considerava la povertà come una malattia, l'ignoranza come una pandemia, era un mondo che non si considerava privilegiato, si lamentava del troppo casino dei poveri, del loro numero eccessivo, della loro puzza e delle loro incapacità. Erano a capo del gregge, imprenditori, uomini politici, ricchi ereditieri, persone che guidavano il sistema, che erano li grazie a ciò, ma che disprezzavano profondamente gli altri. Poi in mezzo, c'è chi non è ne ricco ne povero. Brama alla ricchezza e teme la povertà. Anche loro scontenti. Comunque, Napoli per me era un ritorno a casa, anche se in hotel. Avevo amici ed ero ancora fortemente legata a loro oltre che alla mia terra.
A casa, mi accorsi di avere delle macchie. Il ciclo mi stava arrivando. Misi un assorbente ed aiutai la signora delle pulizie a fare i servizi. Katia era una signora delle Bielorussia da pochi anni in Italia. Aveva un dente d'oro e sorrideva sempre. Aveva una cinquantina di anni ed era abbastanza robusta ma piacente. Non parlava bene italiano, e anche se sorrideva spesso, non era incline a parlare. Era breve nelle sue risposte e tornava subito poi a fare qualcosa. Mi piaceva pulire. A Napoli le donne crescono con un valore aggiunto. La polvere e lo sporco sono i suoi più grandi nemici. I suoi amici invece sono gli ingredienti per cucinare. Da piccola, molto piccola, mentre i miei fratelli andavano a giocare a calcio o stavano i soggiorno a giocare a playstation, io rammendavo, pulivo, cucinavo, lavavo. Non recriminavo, è inutile fare retorica. Di questa educazione mi era rimasta la fissazione del pulito e l'amore per il buon cibo. Non ringraziavo, ma nemmeno disprezzavo.
Fu un pomeriggio noioso. Declinai l'invito di un spasimante per la sera. Con l'inizio del ciclo provavo forti dolori e preferivo restare a casa, magari a leggere un buon libro. Avevo la passione per i libri, cosa peraltro strana nella mia famiglia, ma appena avevo un pò di tempo, ne approfittavo. Il resto del giorno fu tranquillo. Qualche messaggio, qualche film, un buon libro. Ebbi difficoltà ad addormentarmi per i dolori. Dovetti prendere qualcosa.
Il giorno dopo ero nervosa. Usci la mattina per un appuntamento in banca. Intendevo comprare casa. Mi piaceva poco il mondo in cui vivevo, ne capivo l'illusione e non volevo rimanere scottata. Donne come me, belle, molto belle, ancora ogni tanto si vedevano nelle feste. Fantasmi in cerca di un ultima occasione. I loro vestiti non più alla moda erano oggetto di malizia per entrambe noi e le moglie. Non so perché sia cosi, ma è cosi.
Passò la settimana cosi, velocemente, tra mille cose, quasi tutte inutili. Il fine settimana, sabato mattina, dopo una notte brava, prendemmo il treno ad alta velocità per Napoli. Quando arrivammo in hotel andammo immediatamente a dormire. Ci svegliammo verso le tre ed andammo a mangiare qualcosa. Maurizio, un mio amico, stava venendo con un mio suo a prenderci per portarci in costiera dopo aver fatto un pò di shopping. Elena impazzi sia per l'amico di Maurizio che si chiamava Johnny, credo che in realtà fosse Gennaro, e per i negozi dove trovava tutto molto meno caro. Maurizio e Johnny erano due giocatori di pallavolo. Entrambi erano figli di imprenditori, presi in un meccanismo che li aveva portati a matrimoni da giovanissimi, responsabilità che ora pesava loro come macigni. Se si dovesse parlare di amore, per me, Maurizio era l'uomo che vi si avvicinava di più. Non per il fisico potente e statuario. Per la sua dolcezza.
Passammo un pomeriggio piacevole e tornammo verso le dieci a casa. I ragazzi sarebbero venuti a prenderci poi. Elena era eccitatissima. Il suo nuovo amico le aveva comprato qualunque cosa volesse e non vedeva l'ora di indossare il tutto. Andai in bagno e controllai che il ciclo mi fosse passato del tutto. Sospirai di contentezza non vedendo alcuna macchia sul salva slip. Ci lavammo insieme ridendo come delle matte. Elena cantava e faceva battute di continuo. Mi insaponò la schiena e quando mi girai fece la sua classica battuta sui miei ristretti gusti sessuali. "Demodè" i disse ridendo. La insaponai a mia volta, provando una deliziosa sensazione nel passarle la mano sulla schiena, i fianchi, il sedere, fui anche turbata quando ebbe i suoi seni tra le mani. Lei cantava con gli occhi chiusi mentre l'acqua le scorreva in faccia. Fui contento di uscire da li. Poi ci asciugammo e ci vestimmo. Eravamo due schianti.
I ragazzi ci portarono a mangiare a Vietri su una terrazza che dava sul mare. Mangiammo veloce e bevemmo tanto. Poi, ci dissero che avevano prenotato due stanze in quel stesso albergo. Guardai Elena per essere certa che le andava, ma gia stava baciando Johnny appassionatamente.
I brividi. Maurizio coglieva i brividi sula mia pelle col dito. Li seguiva, quasi li disegnava, li portava su ogni superficie del mio corpo. Eravamo entrambi nudi. Senza fretta. Ci conoscevamo, il desiderio aveva fatto posto alla certezza del piacere, Maurizio sfiorava il mio corpo mentre avevo gli occhi chiusi e la testa verso il soffitto. "Hai un corpo bellissimo, sei un opera d'arte" disse con la sua voce resa rauca dall'eccitazione. Apri gli occhi ad un certo punto e mi protesi verso di lui. Gli presi la testa tra le mani e lo baciai appassionatamente. Il bacio con Maurizio mi donava emozioni, mi causava un effetto incredibile. Mi sentivo completa. Semplicemente. Le sue labbra coprivano le mie, la sua lingua delicatamente si poggiava su ogni angolo delle mie labbra, poi mi entrava dentro, mi invadeva dolcemente, con foga, era un ballo d'amore. Presi il suo membro tra le mani. Era poderoso. Lo volevo subito. E quindi mi alzai un pò, e mi sedetti su di lui Pian piano. Lo senti sin dall'inizio. Il pulsar del suo cazzo che mi penetrava. Era frenetico, come una vibrazione, ed essa si trasmetteva alla mia figa creando un stato di piacere meraviglioso. Ci vollero minuti prima che arrivassi a sedermi completamente su di lui. Mi guardava e sorrideva. Un sorriso di felicità. Cominciai a muovermi in modo circolare sopra di lui, senza fretta, gli occhi negli occhi, le mani nella mani, lui in me, me sopra di lui. C'era musica in sottofondo. Pino Daniele cantava di amore, noi, in quel momento, eravamo amore. Maurizio mi fece abboccare e mi apri le gambe alzandole. Entrambi, guardammo il suo membro entrare ed uscire da me con regolarità. Un spettacolo affascinante che in breve mi portò all'orgasmo. Continuavo a guardare mentre godevo e vedevo il cazzo di Maurizio faticare ad entrare nella mia figa percorsa da brividi. Ebbi un lungo orgasmo.
Eravamo sotto la doccia. Io le mani appoggiate contro il muro, Maurizio dietro di me. Mi prendeva in modo possente. Con bruschi colpi. Era gia venuto due volte, ma mi desiderava quanto io desideravo lui. Lui per me era una scelta, io per lui anche. Non sempre, si può scegliere.
Elena fu profusa in dettagli il giorno dopo. "Ti rendi conto che si era portato lo strap on! Gli ho lasciato il buco del culo largo come la mia mano!" E rideva. E diceva della frustra, di cose che nemmeno volevo minimamente pensare. Contenta lei...
Passammo la domenica ad oziare. Poi, verso la sera, andammo alla stazione. Mentre facevamo i biglietti, notai Elena che guardava fissa in una direzione. Stava impellendo. Si tolse addirittura gli occhiali per meglio vedere, e poi si girò agitata verso di me. "Dobbiamo andare!" mi disse. "Aspetta, stanno facendo i biglietti" le risposi. Era agitata. "Cosa succede?" le chiesi. Non rispose, ma si girava di continuo. Presi i biglietti ed il resto e ci avviammo verso i binari. O meglio Elena corse verso i binari. Continuava a guardarsi nervosa attorno anche nel treno. Poi, a metà percorso, crollò e mi disse... "Sai, quegli uomini da cui sono scappata.... credo di averne visto uno alla stazione di Napoli....". Immediatamente senti il sangue refluire nel mio corpo. Sapeva cosa significasse.
Un ora dopo, stavamo facendo colazione al bar. Avevo costretto Elena ad uscire, la giornata era meravigliosa. Era stanca, abituata a dormire fino al pomeriggio, e non voleva assolutamente uscire ma alla fine cedette quando le promisi un vestito che aveva adocchiato su di me tempo fa. In segno di protesta, si mise una mia vecchia felpa e degli occhiali che le coprivano tutto il viso. Si truccò comunque e non smisi di mandarmi a quel paese sino a che arrivammo in piazza e ci sedemmo. La conoscevo e non smettevo di ridere. Mi diede tregua e se la prese con chiunque stesse seduto al bar. " Guarda quello" diceva, "sono sicuro che è impotente, vedi come cammina? È ovvio!". Non so come cammini un uomo impotente ma le battute di Elena mi facevano morire dalle risate. "Vedi questa tipa? Saranno passati almeno cinque anni che non fa l'amore. Dalle sue rughe si vede che non sorride mai!". Ed io ridevo.
"Perché non vieni a Napoli con me il fine settimana?" le chiesi poi. "Perché ho un sacco di appuntamenti il fine settimana tesoro" mi rispose. "Va bene" dissi, " ma non siamo mai andate da nessuna parte assieme, cosi ti faccio conoscere la città dove sono nata.". Elena mi promise di pensarci e finimmo di fare colazione. Glielo avevo proposto cosi, senza pensarci. Napoli per me era diventata una città molto difficile. I miei genitori oramai avevano smesso di parlare con me. Per loro, io ero "la zoccola", nemmeno più la loro figlia. L'altro mio fratello che non era a Roma invece aveva il dente avvelenato nei miei confronti. Entrambe le due volte in cui tornai a casa da quando mi trasferisco a Roma, mi picchiò selvaggiamente. Entrambe le volte dovetti andare in ospedale. Una piccola cicatrice sopra l'occhio sinistro mi ricordava l'abuso di cui ero vittima e la frontiera di odio dai miei tracciata. Mio padre c'era in entrambe le volte, ed in entrambe le volte, impedire a mia madre di aiutarmi. Nemmeno mia madre era tenera nei miei confronti. Avrebbero preferito che facessi la donna delle pulizie, che mi sposassi con un umile ragazzo dei quartieri e che facessi la casalinga, mi volevano come loro, parte della tradizione, pretendevano che fossi felice nell'infelicità, o che facessi finta. Ero bella, e non avevo fatto nulla per sfruttarlo, mi era capitato, punto. Non facevo la prostituta cercai di spiegare loro, ma in fondo, non accettavo questo termine, ma ammetto che non era tanto lontana dalla realtà. Per pudore forse, o per il lavaggio mentale di cui siamo soggetti da tempi andati, per un infinità di ragioni che fanno passare la dignità oltre la morte, per due parole di elogio sulla tomba che dicono che hai vissuto una vita degna. Io non volevo di questa dignità. Ero caduta nella trappola della lussuria. Ero una di quelle che criticavano la ricchezza, che non capivano come sia possibile che qualcuno possa permettersi un certo tipo di lusso a discapito degli altri, trovavo sempre da ridire su quelle donne ricche che passeggiavano tra le strade chic della città sfoggiando gioielli e costosi vestiti. Come si può amare il lusso senza averlo mai vissuto? Come si può conoscere la povertà senza mai averla sperimentata? Il mondo che frequentavo ora invece era l'opposto. Considerava la povertà come una malattia, l'ignoranza come una pandemia, era un mondo che non si considerava privilegiato, si lamentava del troppo casino dei poveri, del loro numero eccessivo, della loro puzza e delle loro incapacità. Erano a capo del gregge, imprenditori, uomini politici, ricchi ereditieri, persone che guidavano il sistema, che erano li grazie a ciò, ma che disprezzavano profondamente gli altri. Poi in mezzo, c'è chi non è ne ricco ne povero. Brama alla ricchezza e teme la povertà. Anche loro scontenti. Comunque, Napoli per me era un ritorno a casa, anche se in hotel. Avevo amici ed ero ancora fortemente legata a loro oltre che alla mia terra.
A casa, mi accorsi di avere delle macchie. Il ciclo mi stava arrivando. Misi un assorbente ed aiutai la signora delle pulizie a fare i servizi. Katia era una signora delle Bielorussia da pochi anni in Italia. Aveva un dente d'oro e sorrideva sempre. Aveva una cinquantina di anni ed era abbastanza robusta ma piacente. Non parlava bene italiano, e anche se sorrideva spesso, non era incline a parlare. Era breve nelle sue risposte e tornava subito poi a fare qualcosa. Mi piaceva pulire. A Napoli le donne crescono con un valore aggiunto. La polvere e lo sporco sono i suoi più grandi nemici. I suoi amici invece sono gli ingredienti per cucinare. Da piccola, molto piccola, mentre i miei fratelli andavano a giocare a calcio o stavano i soggiorno a giocare a playstation, io rammendavo, pulivo, cucinavo, lavavo. Non recriminavo, è inutile fare retorica. Di questa educazione mi era rimasta la fissazione del pulito e l'amore per il buon cibo. Non ringraziavo, ma nemmeno disprezzavo.
Fu un pomeriggio noioso. Declinai l'invito di un spasimante per la sera. Con l'inizio del ciclo provavo forti dolori e preferivo restare a casa, magari a leggere un buon libro. Avevo la passione per i libri, cosa peraltro strana nella mia famiglia, ma appena avevo un pò di tempo, ne approfittavo. Il resto del giorno fu tranquillo. Qualche messaggio, qualche film, un buon libro. Ebbi difficoltà ad addormentarmi per i dolori. Dovetti prendere qualcosa.
Il giorno dopo ero nervosa. Usci la mattina per un appuntamento in banca. Intendevo comprare casa. Mi piaceva poco il mondo in cui vivevo, ne capivo l'illusione e non volevo rimanere scottata. Donne come me, belle, molto belle, ancora ogni tanto si vedevano nelle feste. Fantasmi in cerca di un ultima occasione. I loro vestiti non più alla moda erano oggetto di malizia per entrambe noi e le moglie. Non so perché sia cosi, ma è cosi.
Passò la settimana cosi, velocemente, tra mille cose, quasi tutte inutili. Il fine settimana, sabato mattina, dopo una notte brava, prendemmo il treno ad alta velocità per Napoli. Quando arrivammo in hotel andammo immediatamente a dormire. Ci svegliammo verso le tre ed andammo a mangiare qualcosa. Maurizio, un mio amico, stava venendo con un mio suo a prenderci per portarci in costiera dopo aver fatto un pò di shopping. Elena impazzi sia per l'amico di Maurizio che si chiamava Johnny, credo che in realtà fosse Gennaro, e per i negozi dove trovava tutto molto meno caro. Maurizio e Johnny erano due giocatori di pallavolo. Entrambi erano figli di imprenditori, presi in un meccanismo che li aveva portati a matrimoni da giovanissimi, responsabilità che ora pesava loro come macigni. Se si dovesse parlare di amore, per me, Maurizio era l'uomo che vi si avvicinava di più. Non per il fisico potente e statuario. Per la sua dolcezza.
Passammo un pomeriggio piacevole e tornammo verso le dieci a casa. I ragazzi sarebbero venuti a prenderci poi. Elena era eccitatissima. Il suo nuovo amico le aveva comprato qualunque cosa volesse e non vedeva l'ora di indossare il tutto. Andai in bagno e controllai che il ciclo mi fosse passato del tutto. Sospirai di contentezza non vedendo alcuna macchia sul salva slip. Ci lavammo insieme ridendo come delle matte. Elena cantava e faceva battute di continuo. Mi insaponò la schiena e quando mi girai fece la sua classica battuta sui miei ristretti gusti sessuali. "Demodè" i disse ridendo. La insaponai a mia volta, provando una deliziosa sensazione nel passarle la mano sulla schiena, i fianchi, il sedere, fui anche turbata quando ebbe i suoi seni tra le mani. Lei cantava con gli occhi chiusi mentre l'acqua le scorreva in faccia. Fui contento di uscire da li. Poi ci asciugammo e ci vestimmo. Eravamo due schianti.
I ragazzi ci portarono a mangiare a Vietri su una terrazza che dava sul mare. Mangiammo veloce e bevemmo tanto. Poi, ci dissero che avevano prenotato due stanze in quel stesso albergo. Guardai Elena per essere certa che le andava, ma gia stava baciando Johnny appassionatamente.
I brividi. Maurizio coglieva i brividi sula mia pelle col dito. Li seguiva, quasi li disegnava, li portava su ogni superficie del mio corpo. Eravamo entrambi nudi. Senza fretta. Ci conoscevamo, il desiderio aveva fatto posto alla certezza del piacere, Maurizio sfiorava il mio corpo mentre avevo gli occhi chiusi e la testa verso il soffitto. "Hai un corpo bellissimo, sei un opera d'arte" disse con la sua voce resa rauca dall'eccitazione. Apri gli occhi ad un certo punto e mi protesi verso di lui. Gli presi la testa tra le mani e lo baciai appassionatamente. Il bacio con Maurizio mi donava emozioni, mi causava un effetto incredibile. Mi sentivo completa. Semplicemente. Le sue labbra coprivano le mie, la sua lingua delicatamente si poggiava su ogni angolo delle mie labbra, poi mi entrava dentro, mi invadeva dolcemente, con foga, era un ballo d'amore. Presi il suo membro tra le mani. Era poderoso. Lo volevo subito. E quindi mi alzai un pò, e mi sedetti su di lui Pian piano. Lo senti sin dall'inizio. Il pulsar del suo cazzo che mi penetrava. Era frenetico, come una vibrazione, ed essa si trasmetteva alla mia figa creando un stato di piacere meraviglioso. Ci vollero minuti prima che arrivassi a sedermi completamente su di lui. Mi guardava e sorrideva. Un sorriso di felicità. Cominciai a muovermi in modo circolare sopra di lui, senza fretta, gli occhi negli occhi, le mani nella mani, lui in me, me sopra di lui. C'era musica in sottofondo. Pino Daniele cantava di amore, noi, in quel momento, eravamo amore. Maurizio mi fece abboccare e mi apri le gambe alzandole. Entrambi, guardammo il suo membro entrare ed uscire da me con regolarità. Un spettacolo affascinante che in breve mi portò all'orgasmo. Continuavo a guardare mentre godevo e vedevo il cazzo di Maurizio faticare ad entrare nella mia figa percorsa da brividi. Ebbi un lungo orgasmo.
Eravamo sotto la doccia. Io le mani appoggiate contro il muro, Maurizio dietro di me. Mi prendeva in modo possente. Con bruschi colpi. Era gia venuto due volte, ma mi desiderava quanto io desideravo lui. Lui per me era una scelta, io per lui anche. Non sempre, si può scegliere.
Elena fu profusa in dettagli il giorno dopo. "Ti rendi conto che si era portato lo strap on! Gli ho lasciato il buco del culo largo come la mia mano!" E rideva. E diceva della frustra, di cose che nemmeno volevo minimamente pensare. Contenta lei...
Passammo la domenica ad oziare. Poi, verso la sera, andammo alla stazione. Mentre facevamo i biglietti, notai Elena che guardava fissa in una direzione. Stava impellendo. Si tolse addirittura gli occhiali per meglio vedere, e poi si girò agitata verso di me. "Dobbiamo andare!" mi disse. "Aspetta, stanno facendo i biglietti" le risposi. Era agitata. "Cosa succede?" le chiesi. Non rispose, ma si girava di continuo. Presi i biglietti ed il resto e ci avviammo verso i binari. O meglio Elena corse verso i binari. Continuava a guardarsi nervosa attorno anche nel treno. Poi, a metà percorso, crollò e mi disse... "Sai, quegli uomini da cui sono scappata.... credo di averne visto uno alla stazione di Napoli....". Immediatamente senti il sangue refluire nel mio corpo. Sapeva cosa significasse.
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