La ragazza troppo bella - Parte 5

di
genere
etero

Andammo a casa mia appena scese dal treno. Elena tremava tutta. Il suo trucco era un disastro per via delle lacrime. Di corsa e guardandoci sempre indietro, corremmo verso i tassi appena scese e gli chiedemmo di andar un pò più veloce. Nessuno ci seguiva, ma eravamo impaurite. Il terrore di Elena mi aveva guadagnata. Avevo associato la mafia russa a quella che conoscevo: la camorra. E giustamente, ero terrorizzata. Non immaginavo assolutamente che quegli uomini erano se si può dire ancor peggio di ciò che immaginavo...
In silenzio, ci lavammo a turno, e poi, Elena si mise sul divano con una mia vestaglia trasparente. Portava anche le mie mutande che a loro volte erano trasparenti. Si vedeva perfettamente il suo pube delineato finemente, rigonfio, bello... Teneva il telecomando in mano e sembrava scocciata. "Vuoi mangiare?" le chiesi. "Non ho fame, grazie" mi rispose. Tuttavia tirai fuori dal frigo un insalata di pollo ed apparecchiai per due. Elena si alzò, prese il suo piatto dal tavolo, e tornò sul divano. "Non sporcare" le dissi. "Sporcaccione tu!" ribadisco per la prima volta sorridendo da quell'accaduto. La raggiunsi sul divano e mangiammo in silenzio guardando un vecchio film romantico in bianco e nero. Ci tenevamo la mano. Poi, dopo il film, Elena cominciò a parlare...
"Mio padre mi violentava da quando avevo otto anni. A quattordici, mi vendette. Forse, ero diventata troppo grande per i suoi gusti..." Rimase in silenzio apparentemente concentrata. "Tua madre non faceva niente?" chiesi ricordando della mia esperienza casalinga. Dopo alcuni minuti, rispose. "Mia madre non contava per lui. Non aveva valore. Era solo utile per lui. Per tenere la casa in ordine, per cucinare, per rammendargli i calzini ed i pantaloni, per tutta una serie di cose che non voleva fare. Mia madre era una schiava. Pare che sia morto un anno dopo che sia andata via. Allora.... le mie sorelline gemelle avevano cinque anni...". Due lacrime le parlarono sulla guancia. Continuò a parlare. "Mio padre mi vendette a degli uomini crudeli. Come lui. Uomini che non esistevano per dare l'esempio ad uccidere crudelmente. Per loro, eravamo merce e basta. Ci usavano per tutto. Dalla semplice prostituzione al ricatto o al furto. Complicità a tutti i livelli. I loro clienti, che erano spesso i nostra gioia, erano tutti uomini importanti, facoltosi, erano persone al potere. Qualche volte, qualche ragazza è scappata ed ha denunciato in polizia. Furono non solo violentate da quasi tutti gli uomini della caserma, ma inoltre, gli si infilava in bocca un tubo mentre aera appesa per le mani e si apriva l'acqua finché non esplodeva gonfia di liquidi. E dovevamo assistere a queste punizioni... Ma il peggio non è quello.... Sono i clienti stesso. Tutto ciò che desideravano, eravamo costrette a farlo. Chi si rifiutava, veniva semplicemente torturata, umiliata, violentata dagli uomini piu in basso dell'organizzazione che non vedevano l'ora, c'era una vera e propria guerra psicologica per dimostrarci che non potevamo fare nulla per cambiare la nostra condizione. I clienti, a volte, sapevano essere crudeli... Non di rado, qualche ragazza ci è rimasta... Comunque, chiunque scappa da loro è morto. È per loro un punto d'onore, un esempio negativo da non dare... Ed io oggi, alla stazione, e ne sono certa, l'uomo che ho visto era uno di quelli che ci sorvegliavano. E sono sicura che mi abbia riconosciuta... Mammamia, non finirà mai questo orrore...". Si mise a piangere tanto da singhiozzare. Le presi la testa tra i seni e le accarezzai i cappelli tutto il tempo. Si sfogò per una mezzora ed andò in bagno poi a lavarsi il viso. Quando tornò, aveva gli occhi arrossiti e teneva in mano un rotolo di carta igienica. Mi sorrise e si sedette di nuovo affianco a me. Questa volta, prese il cellulare e cominciò a trafficare con i tasti. Mi concentrai sulla Tv ed iniziai a cambiare i canali cercando un documentario o qualcosa del genere. "Guarda qua" mi disse ad un certo punto Elena. Sullo schermo del suo cellulare c'era un video in corso. Mi incuriosì e mi avvicinai. Una donna vestita e mascherata tipo Catwoman, un uomo legato ad un arnese che sembrava una gogna. Lei che gli sussurrava delle parole china sull'uomo legato le braccia sotto graffiandogli la schiena con le unghie. L'Uomo aveva le natiche esposte, striate di rosso, la sua schiena completava il quadro delle strisce. Riconobbi Elena quando la donna si rialzò e guardò verso la telecamera. Poi, si mise in posa, e cominciò a frustrare l'uomo. Ogni volta che calava la frustra, 'uomo sussultava. Stringeva le chiappe ed aveva un lungo brivido. Il suo cazzo che era molto piccolo era turgido e viola. Sembrava una piccola palla. Palla che esplose dopo poche altre frustrate e si vide lo sperma dell'uomo schizzare diritto verso il pavimento. Poi, Elena lo slegò, e gli intimò di leccare la sua "sporcizia" da terra. Cosa che fece l'uomo. Anche l'uomo aveva una maschera... Ma mi parve di riconoscerlo... Un arcivescovo. Arrivò un messaggio mentre stavamo guardando insieme il video. Elena subito andò a leggerlo. Quando era fuggita, aveva messo fine ad una specie di storia che aveva con uno dei loro guardiani. Quasi tutte loro lo facevano. Ovviamente per avere sia favori che più libertà. Pietro che era "l'amante" di Elena si era veramente innamorato di lei. Non aveva colpe nella fuga di Elena, il cliente l'aveva prenotata per una festa in aereo, e quindi non aveva avuto problemi quando lei andò via. Altrimenti... avrebbe ripagato con la vita. Elena dopo un anno dalla sua fuga si era arrischiata a scrivergli. Alla fine, gli voleva bene. Non gli disse mai dove stava. Usava una scheda svizzera che uno dei suoi amanti che non aveva mai sim italiane gli aveva dato per rintracciarla. Ma di tanto in tanto si sentivano per salutarsi via messaggi. Il messaggio di Pietro era scritto in cirillico. Elena dopo averlo letto andò in panico. Dovetti abbracciarla forte per calmare la sua agitazione. Tremava tutta. "Mi hanno trovata.. Sono morta" non smetteva di dire.
Dopo un pò e dopo averla calmata, mi tradusse il messaggio. L'amico suo diceva che si parlava nel loro covo del fatto che uno degli uomini mandati a Napoli per trattare un affare di armi era incappato su di lei e l'aveva seguita fino a Roma prima di perderla. Elena sapeva che quegli uomini avevano il potere di rivoltare la capitale italiana per trovarla. Negli lunghi anni in cui era la loro proprietà, aveva visto gente di tutto il mondo venire a rendere visita ai suoi boia. Vendevano armi, droghe, uomini donne e bambini, vendevano qualunque cosa potesse fare il loro profitto. Elena aveva visto più italiani nel corso della sua vita prima di scappare. "Ma forse non se ne fregano di te" tentai di dirle. "Non li conosci" fu la sua risposta.
Fu una notte più che agitata per entrambe. Dormimmo poco e male. Ed il giorno dopo, Elena molto presto la mattina se ne andò. Aveva un espressione di una tristezza unica. Mi dispiaceva non poter fare niente per lei.
Quando usci in tarda mattinata, incontrai il ragazzo di cui non ricordavo il nome che mi aveva aggiustato lo specchio. Gli sorrise. Lui arrossi subito.
La giornata non era proprio bella. Grigia come il mio umore. Camminavo senza voglia, preoccupata per Elena. Provai a chiamarla verso le tre ma non rispose. Poi, risposi a più persone che mi chiedevano di vederci. Non avevo voglia. Tornai a casa verso le sette. Mi gettai subito sotto la doccia e poi andai a sdraiarmi sul divano il telecomando in mano. Chiamai Anna e chiacchierammo raccontandoci i fatti nostri per un pò. Quella sera in particolare, mi venne un pò di nostalgia di mia madre. Si possono dire mille cose, spiegare il suo atteggiamento in modo scientifico, razionale, logico, si poteva colpevolizzare mia madre, di ignoranza, di sottomissione, di cieca persistenza nell'infelicità. Ma non è cosi. Tutti hanno i proprio limiti, il problema è quando si tenta di allargarlo agli altri. Quella sera, avrei voluto chiamare mia madre e raccontarle.
Il giorno dopo fu uguale al giorno di prima. Chiamai Elena piu volte ma non rispose. Cominciavo ad essere seriamente preoccupato. Decisi di andare a casa sua. Bussai per dieci minuti ma nessuno apri. Me ne andai scocciata. Ma anche preoccupata il doppio.
Era mezzanotte. Stavo dormendo quando senti dei colpi alla porta. Mi alzai nel panico e senti la voce di Elena. "Sono io Monica, apri". Mi alzai ed andai ad aprire. Elena stava con delle valigie, struccata, gli occhi gonfi e rossi. La feci entrare e lei andò subito a chiudersi in bagno. Nel frattempo, misi l'acqua sul fuco e feci due doppie camomilla. Elena usci dal bagno e venne a sedersi affianco a me. Guardò la mia tazza di camomilla, si infilò la mano nelle teste, e ne tirò fuori un spinello. Mi alzai ed andai ad aprire la finestra. Oggi, non l'avrei obbligata a fumare fuori sul balcone. Dopo aver fumato in silenzio almeno la metà della sua canna, cominciò a parlare senza girarsi verso di me. "Ci sono due uomini fuori la strada del palazzo dove vivo... Sono li da ieri.". "Sei sicura?" le chiesi. Mi guardò e sorrise in modo stanco. " Da piccola sono abituata a vivere sul viglio tra la vita e la morte... so prendere le mie precauzioni, è istinto.... e credimi, c'erano davvero due uomini li fuori". La crebbi. Conoscevo gente a Roma... Gente che poteva far sentire la propria voce... nella curia, polizia, politica, alla fine, la gran bellezza ti porta ovunque. Lo dissi ad Elena. "Sono tropi potenti..." continuava a ripetere. Tuttavia, insistetti costano che alla fine uscirono tre persone che potevano aiutarci. Il procuratore di Roma, un capitano dei carabinieri, ed un losco uomo d'affari siciliano che aveva interessi in tutto. Avremmo aspettato il giorno dopo per chiedere loro un appuntamento. Quelle come noi non mandano mai messaggi di sera ai loro amanti. È una regola non scritta. Elena si addormentò sul divano quella notte. La televisione rimase accesa tutta la notte. Fummo svegliate dalla luce che filtrava in stanza. Eravamo ancora in debito di sonno. Verso le dieci, riscrivendo mille volte il messaggio da mandare, contattato i tre uomini. Due di loro ci risposero immediatamente, il etero nel pomeriggio. Riuscimmo ad avere un appuntamento con tutti i e tre il giorno dopo. Questa cosa ci rassicurò alto. Decidemmo di uscire e di mangiare al ristorante. La tensione si era allentata anche se non del tutto sparita. Fui io ad accorgermi dell'uomo che ci stava seguendo. Dapprima non ci feci caso quando scendemmo e lo vidi all'angolo col cellulare in mano. Fumava una sigaretta camminando. Poi lo rividi al bar. Si era seduto dall'altra parte, il piu lontano di noi. Trafficava col cellulare in mano, gli occhi coperti da occhiali scuri. Fece parte del mio dubbio ad Elena che subito si agitò. Ci alzammo senza finire la nostra colazione ed andammo via di fretta. L'uomo deve lo stesso. Ci segui. Elena andò allora in panico. "Andiamo alla polizia" mi supplicava. Ed andammo. Una volta li, Elena coppia in un pianto che durò mezz'ora. I poliziotti si erano raggruppati attorno a noi, ognuno di loro cercando di essere piu gentile che potesse. Eravamo ragazze fuori dalla loro portata, troppo belle per loro. Le nostre borse valevano il loro stipendio. Lo sapevano, ma come ogni uomo, ci provavano quando sentivano minimamente di avere una chance. In quel momento eravamo li, da loro, in cerca di aiuto. "Sono Alberto" si presentò il comandante della polizia. Solo Alberto, non comandante. Elena si riprese e si convinse a fare una deuncia contro ignoti. Per tre ore, raccontò tutta la sua storia
scritto il
2022-01-25
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