La Signora Claudia - Capitolo 4
di
duke69
genere
dominazione
Era già trascorsa un’ora da quando mi ero seduta sulla panchina e Loris non era ancora arrivato. Ci vollero altri venti minuti prima che si facesse vivo, quindi arrivò e si sedette di fianco a me con un sorriso sadico e beffardo.
“Te la sei lavorata bene?”
“Mi sono masturbata come hai chiesto, come puoi vedere la panchina è bagnata e forse ha colato anche sotto!”
“Brava! Fammi vedere le dita!”
Portai la mano sotto i suoi occhi.
“Wow!! Non ci posso credere!!! Hai i polpastrelli aggrinziti!!! Porca vacca quanto sei troia!”
Loris rideva incredulo ma soddisfatto di quanto aveva visto.
“Succhiati le dita! Continua a masturbarti e succhiale! Mi piace sapere che la tua bocca sa di fica…così dopo ti scopo indifferentemente l’una e l’altra!”
Rimanemmo altri dieci minuti su quella panchina e nel frattempo la mia mano passava dalla passera, impiastricciata di umori rappresi e linfa fresca, alla mia bocca che man mano si riempiva del nuovo aroma. Accanto a me Loris continuava a darmi della zoccola descrivendomi in dettaglio tutte le posizioni nelle quali mi avrebbe scopato in fica e in gola. E così fu! Quella sera Loris venne travolto da una esaltazione sessuale mai vista prima, considerata la foga con cui mi prese. A metà serata potei osservarmi allo specchio: ero quasi irriconoscibile, con il viso gonfio, gli occhi rossi e una patina di saliva che si era asciugata sul viso. Benché fossi soddisfatta degli orgasmi raggiunti ero estremamente spossata, infatti accolsi la pausa con piacere senza ancora sapere che sarebbe arrivata la punizione che Loris aveva precedentemente annunciato al telefono. Mi aveva fatta mettere a novanta gradi, facendomi chinare sopra il tavolo, con i seni pressati in un foglio di carta vetrata di grana grossa incollato sul piano, e con le braccia tese che andavano all’estremità opposta del tavolo, tirate da corde che, passando sotto il tavolo, andavano a congiungersi ben tese alle caviglie.
Un ulteriore cinghia passava trasversalmente sopra la schiena, quasi immobilizzandomi e consentendo solo piccoli movimenti e schiacciandomi i seni, che andavano maggiormente a contatto con la carta abrasiva.
“Questo ti servirà a ricordare che la puntualità è importante…”
Le cinghiate sul sedere furono venti, tutte violente e senza interruzioni. Alla ventesima stavo sbavando dal dolore e pregando che il supplizio terminasse, anche perché quando Loris iniziò a frustare non rivelò quante me ne dovesse dare. Dopo l’ultima cinghiata Loris si lasciò andare sopra di me, schiacciandomi con tutto il peso del suo possente fisico e muovendosi avanti e indietro con il solo scopo di arrossare i miei poveri seni a causa dello sfregamento sulla carta vetrata. Il dolore era pungente e pareggiava quello proveniente dalle natiche.
“Hai proprio un bel culone, troiona! Ed ora, così segnato, è ancora più bello!”
La pelle bruciava, ma nonostante tutto, sentire quell’apprezzamento mi aveva come inorgoglito.
Le settimane successive trascorsero in modo routinario e il mio livello di sottomissione aumentava gradualmente insieme al mio godimento sessuale: ogni due giorni Loris mi faceva visita nel tardo pomeriggio, mi scopava duramente alternando sonore sculacciate. Il mio sedere era continuamente in fiamme e in ogni momento della giornata mi ricordava quello che stavo diventando: il suo oggetto del piacere. Ma le perversioni più impensabili dovevano ancora arrivare: un venerdì sera Loris venne a cena presso il mio appartamento e dopo l’aperitivo prese il mio smartphone e chiamò Marco porgendomi il telefono. Durante quella telefonata mi fece di tutto, arrivai perfino all’orgasmo mentre rispondevo a mio figlio e dovetti improvvisare facendo girare a mille il mio cervello nel tentativo di mascherare quanto stava realmente accadendo. Parte della conversazione la feci seminuda con un dito nel sedere e l’altra mano di Loris che era quasi del tutto entrata nella mia passera. Al termine della telefonata ero completamente sudata, eccitata e ancora terrorizzata dal rischio di essere scoperta da mio figlio: sua madre sottomessa dal suo amico!
Ma l’umiliazione maggiore sopraggiunse quando mi fece andare a fare la spesa in un supermercato, fortunatamente presso una cittadina lontana dalle nostre residenze in cui nessuno mi conosceva. Quel pomeriggio indossavo un paio di scarpette nere con tacco dodici, delle calze a rete collant e un tubino nero estremamente sexy; era cortissimo, attillatissimo, con una scollatura vertiginosa e con delle aperture laterali all’altezza dei fianchi. Come se non bastasse Loris mi aveva messo dei piccoli elastici nei capezzoli che li teneva allungati e in rilievo sul tessuto nero: l’applicazione di quegli elastici fu dolorosissima.
L’abbigliamento “da zoccola”, come lo definiva Loris, era di per sé imbarazzante, anche perché le mie curve non erano proprio da modella e lo rendevano ancora più volgare. Ma l’imbarazzo maggiore venne per quello che fui costretta a fare dopo: se ci penso mi vengono ancora i brividi, avrei voluto sotterrarmi!
Presi una confezione di profilattici, cercai la fila più lunga con due, tre carrelli e ….
“Scusate mi fareste passare ho solo questi…!”
Ricordo ancora lo sguardo di quelle donne in parte schifate e in parte divertite dalla mia presenza e gli occhi di libidine degli uomini, per non parlare della cassiera quando passava l’articolo sul lettore e faceva la stampa dello scontrino con un ghigno che a fatica tratteneva una risata… Chiaramente mi fecero passare avanti e andai via quasi volteggiando pur di uscire rapidamente da quel supermercato; all’uscita in prossimità della porta scorrevole c’era Loris che con il telefonino aveva ripreso tutta la scena. Quella sera Loris mi aveva umiliato ulteriormente battendomi il sedere e contemporaneamente costringendomi a vedere e rivedere tutto il filmato girato qualche ora prima. Non saprei dire il perché, ma quello stato di sottomissione mi piaceva e mi faceva sentire soddisfatta come raramente mi era capitato in passato.
Nei mesi successivi il rapporto tra me e Loris si fece più stretto, spesso passava la notte a casa mia ed io mi sentivo sempre più succube della sua forte personalità: riusciva a farmi fare tutto quello che voleva!
Poi, di punto in bianco cambiò il suo atteggiamento, si fece più serio e più distaccato come se fosse accaduto qualcosa di cui non voleva parlare. Proprio in quel momento in cui riuscii a vederlo da un altro aspetto, più debole e quindi inconsueto, mi resi conto che nonostante fossi sottomessa e spesso umiliata, ci tenevo e non volevo staccarmi da lui.
Dopo qualche giorno di silenzio si presentò al mio appartamento scuro in volto.
“Claudia, ho un problema serio…”
“Cosa è successo?”
Finalmente Loris stava vuotando il sacco, inizialmente la mia paura era stata quella di sentirmi dire che la nostra storia sarebbe finita, perché aveva conosciuto una donna più giovane, poi senza troppi giri di parole mi disse:
“Mi sono messo in un brutto guaio, devo pagare dei debiti di gioco, ma non ho più denaro in banca!”
“Oddio!!! E quanti soldi devi?”
“ehm…tanti e purtroppo ho tempo fino a lunedì prossimo!”
“Ma io non ho molti soldi da parte…”
Subito Loris mi interruppe:
“No, non sono i soldi che voglio da te!”
“…e allora cosa pensi di fare?”
“Ho bisogno del tuo supporto per convincere il mio creditore, domani dovrei incontrarlo e ho necessità che tu venga con me!”
“Va bene! Non so se sarò di aiuto ma avrai il mio sostegno”
Ero preoccupata perché sapevo che certamente sarei stata molto più di un supporto psicologico e probabilmente avrei rappresentato la sua forma di pagamento. Un brivido misto tra eccitazione dettata dalla curiosità di ciò che sarebbe successo e la relativa paura che stava montando percorreva il mio corpo.
La sera successiva Loris venne a prendermi in auto. Indossai una camicetta color lilla, una gonna nera aderente e lunga fino alle ginocchia, un paio di scarpette nere con tacco dieci e sotto uno splendido completino intimo viola e nero costituito da uno slip a brasiliana in pizzo trasparente e un reggiseno a balconcino. La vicenda un po’ mi intimoriva, tuttavia non riuscivo a sottrarmi e sentivo la necessità di aiutare Loris, benché non me lo avesse mai ordinato.
Trascorsi venti minuti di auto arrivammo presso una villa fuori città. Era completamente immersa nel verde e per arrivarci dovemmo attraversare un bellissimo e curatissimo parco interno. All’interno del parco riuscii a scorgere almeno tre giardinieri intenti a radere il prato e a fare potature, mentre in prossimità del grosso portone di ingresso della villa c’era un maggiordomo, un signore distinto vestito in giacca e cravatta pronto ad accoglierci e a farci entrare all’interno dell’abitazione. La struttura di tre piani assomigliava ad un castello, completamente realizzata in pietra e tipicamente medievale. Fummo accompagnati presso uno studio del piano terra in cui ci accolse un tizio enorme, probabilmente una guardia del corpo, che ci lasciò ad un signore di nome Roberto:
“Buongiorno, il dottor S. arriverà a breve, accomodatevi”
Lo studio si sviluppava in un’ampia stanza caratterizzata da un arredamento in stile rustico con una grande scrivania in legno massello collocata al centro. Ci sedemmo su un divano a tre posti, dove rimanemmo per altri dieci minuti prima che una porta laterale interna allo studio si aprisse.
“Eccolo…quello è il dottor Carlo S.!”
Il dottor S. era il proprietario di quella splendida tenuta e di quella magnifica villa, nonché la persona alla quale Loris doveva una grossa somma di denaro persa al gioco, gioco del quale il dottor S. era appassionato e con il quale aveva accresciuto le sue ricchezze.
Il dottor S. era un uomo sui sessant’anni, di statura e corporatura media con capelli castani corti e occhi di colore verde. L’eredità di famiglia benestante gli aveva consentito di vivere di rendita e di investire parte dei propri soldi in attività poco lecite.
Entrò in sala indossando una canottiera bianca, con in mano una camicia, mentre tirava su la zip dei pantaloni. Durante l’intervallo in cui la porta rimase aperta sentimmo chiaramente che da quella stanza provenivano gemiti, cigolii e suoni cadenzati che facevano intuire che qualcuno stesse facendo sesso.
“Buongiorno Loris! E…questa deve essere la nostra signora Claudia! Benvenuta nella mia villa! Io sono Carlo S.!”
Continua…
“Te la sei lavorata bene?”
“Mi sono masturbata come hai chiesto, come puoi vedere la panchina è bagnata e forse ha colato anche sotto!”
“Brava! Fammi vedere le dita!”
Portai la mano sotto i suoi occhi.
“Wow!! Non ci posso credere!!! Hai i polpastrelli aggrinziti!!! Porca vacca quanto sei troia!”
Loris rideva incredulo ma soddisfatto di quanto aveva visto.
“Succhiati le dita! Continua a masturbarti e succhiale! Mi piace sapere che la tua bocca sa di fica…così dopo ti scopo indifferentemente l’una e l’altra!”
Rimanemmo altri dieci minuti su quella panchina e nel frattempo la mia mano passava dalla passera, impiastricciata di umori rappresi e linfa fresca, alla mia bocca che man mano si riempiva del nuovo aroma. Accanto a me Loris continuava a darmi della zoccola descrivendomi in dettaglio tutte le posizioni nelle quali mi avrebbe scopato in fica e in gola. E così fu! Quella sera Loris venne travolto da una esaltazione sessuale mai vista prima, considerata la foga con cui mi prese. A metà serata potei osservarmi allo specchio: ero quasi irriconoscibile, con il viso gonfio, gli occhi rossi e una patina di saliva che si era asciugata sul viso. Benché fossi soddisfatta degli orgasmi raggiunti ero estremamente spossata, infatti accolsi la pausa con piacere senza ancora sapere che sarebbe arrivata la punizione che Loris aveva precedentemente annunciato al telefono. Mi aveva fatta mettere a novanta gradi, facendomi chinare sopra il tavolo, con i seni pressati in un foglio di carta vetrata di grana grossa incollato sul piano, e con le braccia tese che andavano all’estremità opposta del tavolo, tirate da corde che, passando sotto il tavolo, andavano a congiungersi ben tese alle caviglie.
Un ulteriore cinghia passava trasversalmente sopra la schiena, quasi immobilizzandomi e consentendo solo piccoli movimenti e schiacciandomi i seni, che andavano maggiormente a contatto con la carta abrasiva.
“Questo ti servirà a ricordare che la puntualità è importante…”
Le cinghiate sul sedere furono venti, tutte violente e senza interruzioni. Alla ventesima stavo sbavando dal dolore e pregando che il supplizio terminasse, anche perché quando Loris iniziò a frustare non rivelò quante me ne dovesse dare. Dopo l’ultima cinghiata Loris si lasciò andare sopra di me, schiacciandomi con tutto il peso del suo possente fisico e muovendosi avanti e indietro con il solo scopo di arrossare i miei poveri seni a causa dello sfregamento sulla carta vetrata. Il dolore era pungente e pareggiava quello proveniente dalle natiche.
“Hai proprio un bel culone, troiona! Ed ora, così segnato, è ancora più bello!”
La pelle bruciava, ma nonostante tutto, sentire quell’apprezzamento mi aveva come inorgoglito.
Le settimane successive trascorsero in modo routinario e il mio livello di sottomissione aumentava gradualmente insieme al mio godimento sessuale: ogni due giorni Loris mi faceva visita nel tardo pomeriggio, mi scopava duramente alternando sonore sculacciate. Il mio sedere era continuamente in fiamme e in ogni momento della giornata mi ricordava quello che stavo diventando: il suo oggetto del piacere. Ma le perversioni più impensabili dovevano ancora arrivare: un venerdì sera Loris venne a cena presso il mio appartamento e dopo l’aperitivo prese il mio smartphone e chiamò Marco porgendomi il telefono. Durante quella telefonata mi fece di tutto, arrivai perfino all’orgasmo mentre rispondevo a mio figlio e dovetti improvvisare facendo girare a mille il mio cervello nel tentativo di mascherare quanto stava realmente accadendo. Parte della conversazione la feci seminuda con un dito nel sedere e l’altra mano di Loris che era quasi del tutto entrata nella mia passera. Al termine della telefonata ero completamente sudata, eccitata e ancora terrorizzata dal rischio di essere scoperta da mio figlio: sua madre sottomessa dal suo amico!
Ma l’umiliazione maggiore sopraggiunse quando mi fece andare a fare la spesa in un supermercato, fortunatamente presso una cittadina lontana dalle nostre residenze in cui nessuno mi conosceva. Quel pomeriggio indossavo un paio di scarpette nere con tacco dodici, delle calze a rete collant e un tubino nero estremamente sexy; era cortissimo, attillatissimo, con una scollatura vertiginosa e con delle aperture laterali all’altezza dei fianchi. Come se non bastasse Loris mi aveva messo dei piccoli elastici nei capezzoli che li teneva allungati e in rilievo sul tessuto nero: l’applicazione di quegli elastici fu dolorosissima.
L’abbigliamento “da zoccola”, come lo definiva Loris, era di per sé imbarazzante, anche perché le mie curve non erano proprio da modella e lo rendevano ancora più volgare. Ma l’imbarazzo maggiore venne per quello che fui costretta a fare dopo: se ci penso mi vengono ancora i brividi, avrei voluto sotterrarmi!
Presi una confezione di profilattici, cercai la fila più lunga con due, tre carrelli e ….
“Scusate mi fareste passare ho solo questi…!”
Ricordo ancora lo sguardo di quelle donne in parte schifate e in parte divertite dalla mia presenza e gli occhi di libidine degli uomini, per non parlare della cassiera quando passava l’articolo sul lettore e faceva la stampa dello scontrino con un ghigno che a fatica tratteneva una risata… Chiaramente mi fecero passare avanti e andai via quasi volteggiando pur di uscire rapidamente da quel supermercato; all’uscita in prossimità della porta scorrevole c’era Loris che con il telefonino aveva ripreso tutta la scena. Quella sera Loris mi aveva umiliato ulteriormente battendomi il sedere e contemporaneamente costringendomi a vedere e rivedere tutto il filmato girato qualche ora prima. Non saprei dire il perché, ma quello stato di sottomissione mi piaceva e mi faceva sentire soddisfatta come raramente mi era capitato in passato.
Nei mesi successivi il rapporto tra me e Loris si fece più stretto, spesso passava la notte a casa mia ed io mi sentivo sempre più succube della sua forte personalità: riusciva a farmi fare tutto quello che voleva!
Poi, di punto in bianco cambiò il suo atteggiamento, si fece più serio e più distaccato come se fosse accaduto qualcosa di cui non voleva parlare. Proprio in quel momento in cui riuscii a vederlo da un altro aspetto, più debole e quindi inconsueto, mi resi conto che nonostante fossi sottomessa e spesso umiliata, ci tenevo e non volevo staccarmi da lui.
Dopo qualche giorno di silenzio si presentò al mio appartamento scuro in volto.
“Claudia, ho un problema serio…”
“Cosa è successo?”
Finalmente Loris stava vuotando il sacco, inizialmente la mia paura era stata quella di sentirmi dire che la nostra storia sarebbe finita, perché aveva conosciuto una donna più giovane, poi senza troppi giri di parole mi disse:
“Mi sono messo in un brutto guaio, devo pagare dei debiti di gioco, ma non ho più denaro in banca!”
“Oddio!!! E quanti soldi devi?”
“ehm…tanti e purtroppo ho tempo fino a lunedì prossimo!”
“Ma io non ho molti soldi da parte…”
Subito Loris mi interruppe:
“No, non sono i soldi che voglio da te!”
“…e allora cosa pensi di fare?”
“Ho bisogno del tuo supporto per convincere il mio creditore, domani dovrei incontrarlo e ho necessità che tu venga con me!”
“Va bene! Non so se sarò di aiuto ma avrai il mio sostegno”
Ero preoccupata perché sapevo che certamente sarei stata molto più di un supporto psicologico e probabilmente avrei rappresentato la sua forma di pagamento. Un brivido misto tra eccitazione dettata dalla curiosità di ciò che sarebbe successo e la relativa paura che stava montando percorreva il mio corpo.
La sera successiva Loris venne a prendermi in auto. Indossai una camicetta color lilla, una gonna nera aderente e lunga fino alle ginocchia, un paio di scarpette nere con tacco dieci e sotto uno splendido completino intimo viola e nero costituito da uno slip a brasiliana in pizzo trasparente e un reggiseno a balconcino. La vicenda un po’ mi intimoriva, tuttavia non riuscivo a sottrarmi e sentivo la necessità di aiutare Loris, benché non me lo avesse mai ordinato.
Trascorsi venti minuti di auto arrivammo presso una villa fuori città. Era completamente immersa nel verde e per arrivarci dovemmo attraversare un bellissimo e curatissimo parco interno. All’interno del parco riuscii a scorgere almeno tre giardinieri intenti a radere il prato e a fare potature, mentre in prossimità del grosso portone di ingresso della villa c’era un maggiordomo, un signore distinto vestito in giacca e cravatta pronto ad accoglierci e a farci entrare all’interno dell’abitazione. La struttura di tre piani assomigliava ad un castello, completamente realizzata in pietra e tipicamente medievale. Fummo accompagnati presso uno studio del piano terra in cui ci accolse un tizio enorme, probabilmente una guardia del corpo, che ci lasciò ad un signore di nome Roberto:
“Buongiorno, il dottor S. arriverà a breve, accomodatevi”
Lo studio si sviluppava in un’ampia stanza caratterizzata da un arredamento in stile rustico con una grande scrivania in legno massello collocata al centro. Ci sedemmo su un divano a tre posti, dove rimanemmo per altri dieci minuti prima che una porta laterale interna allo studio si aprisse.
“Eccolo…quello è il dottor Carlo S.!”
Il dottor S. era il proprietario di quella splendida tenuta e di quella magnifica villa, nonché la persona alla quale Loris doveva una grossa somma di denaro persa al gioco, gioco del quale il dottor S. era appassionato e con il quale aveva accresciuto le sue ricchezze.
Il dottor S. era un uomo sui sessant’anni, di statura e corporatura media con capelli castani corti e occhi di colore verde. L’eredità di famiglia benestante gli aveva consentito di vivere di rendita e di investire parte dei propri soldi in attività poco lecite.
Entrò in sala indossando una canottiera bianca, con in mano una camicia, mentre tirava su la zip dei pantaloni. Durante l’intervallo in cui la porta rimase aperta sentimmo chiaramente che da quella stanza provenivano gemiti, cigolii e suoni cadenzati che facevano intuire che qualcuno stesse facendo sesso.
“Buongiorno Loris! E…questa deve essere la nostra signora Claudia! Benvenuta nella mia villa! Io sono Carlo S.!”
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