Queen Deborah. II Parte.
di
Sir Wilfred
genere
etero
Era passata, all'incirca, una decina di giorni dal mio primo, assolutamente indimenticabile, incontro con "Deborah".
In quel primo pomeriggio di metà novembre, incredibilmente quasi primaverile, ottemperato ai miei doveri forensi, avevo deciso di raggiungere la metropolitana mediante una certa linea di autobus transitante nelle immediate vicinanze del luogo di lavoro "ufficiale" di "Deborah".
Sceso dal mezzo, entrai in un piccolo bar, sito proprio accanto alla palina della fermata, con lo scopo di rifocillarmi con un buon caffè d'orzo.
L'intimità del locale, era abbondantemente sottolineata da un' illuminazione talmente fioca da urtare, quasi, il sistema nervoso degli avventori. Nonostante ciò, la vidi, seduta ad un tavolo in fondo alla sala, intenta, anche lei, a sorseggiare un caffè.
Mi riconobbe, e subito, guardatomi in volto, occhi negli occhi, socchiuse le labbra ed, invero con la più totale discrezione, senza estrarla dalla bocca, mosse la lingua in orizzontale più volte.
Nel contempo, si girò di novanta gradi verso di me, ed accavallò le splendide gambe, avvolte in un "collant" di un velato color carne, ma leggermente più scuro.
Correttamente, lo interpretai come un segnale di "via libera", ed infatti, avvicinatomi al suo tavolo, ed assunta una leggera posizione di "attenti", le dissi:
- Signora, avete nulla in contrario che io mi sieda al vostro tavolo?
- Ma per carità...
Una volta sedutomi, "Deborah" con voce bassa mi disse:
- Non sei più venuto a trovarmi!
Eppure...non puoi proprio dire di esserti annoiato...
- Tutt'altro - replicai, sempre a bassa voce - tuttavia, è l'ambiente che mi frena, capisci?
Se ci fossimo incontrati altrove, ad esempio in una..."normale casa", per intenderci, sarei stato molto più "diligente" nel venirti a far visita...
- Capisco...- rispose - conosci, per caso, l'"Hotel ***"?
E nominò il medesimo albergo ove, a suo tempo, mi ero incontrato con Donna Rebecca e dove, in un futuro non troppo remoto, avrei incontrato la "Wandissima".
- Certo!
- Bene, potremmo incontrarci lì; la tenutaria mi conosce da un bel po'...Segnati il mio numero, così potremo accordarci...
Passo' una settimana scarsa, ed io e "Deborah" facemmo ingresso nel "noto albergo".
Eravamo giunti sul posto insieme, dopo esserci incontrati in un piccolo bar, poco lontano, raggiunto separatamente.
Debbo, a questo punto, sottolineare come, a prima vista, quasi non la riconobbi. La donna, infatti, aveva indossato un tailleur pantalone "pied de poule", di colore verde marrone; sotto la giacca, faceva bella mostra di sé un maglioncino a collo alto, anch'esso di colore verde scuro.
Quando ci trovammo di fronte alla tenutaria, la stessa di qualche anno prima e la stessa di qualche anno dopo, assunsi un atteggiamento del tutto indifferente.
Questa, a sua volta, ci gettò uno sguardo assolutamente epidermico, pronunziando il numero della camera, il piano di ubicazione della stessa e consegnandoci la chiave, con un tono di voce, ed un fare, quasi da automa.
Oso presumere di avere esattamente interpretato, tale "modus operandi", come un chiaro segnale di "professionalità": la tenutaria o, se il Lettore preferisce, la "maitresse", badava, nel modo più egregio, ai casi propri.
Il tutto, si noti, nella più assoluta osservanza delle normative vigenti e del sacrosanto principio del "pecunia non olet".
Entrati nella camera, e chiusa a dovere la porta, entrambi ci guardammo, a lungo, negli occhi, per poi unire le nostre bocche in un lunghissimo, e profondo, bacio.
Subito, il mio scettro scattò, pronto al dovere; sentivo, come al solito, il "frenulum" dolermi, a causa dell'improvvisa erezione.
Intorno a noi, tutto era silenzio. Dopo pochi secondi dal primo contatto delle nostre labbra, gli echi dei vicini impianti ferroviari, invero tutt'altro che impercettibili, ci sembravano provenire da siderali distanze: sentivamo, soltanto, i rumori delle nostre labbra ed il battito dei nostri cuori.
Feci per spogliarmi, quando "Deborah", del tutto inaspettatamente, mi disse:
- Ti dispiacerebbe andare di là?
Acconsentii, anche perché, entrando, avevo potuto vedere un attaccapanni far capolino dal piccolo bagno.
Indossato il "costume di Adamo", feci per entrare nella stanza, quando "Deborah" mi disse:
- Attendi un minuto...
Mi accorsi, subito, che il tono della sua voce era cambiato: leggermente roco, e più profondo: indice di incipiente orgasmo.
Quando, poco dopo, ottenni il "via libera", entrato nella stanza credetti, veramente, di sognare.
Una luce soffusa, dolcissima, permeava l'ambiente ed, al centro del talamo, distesa sul fianco sinistro, "Deborah": nelle sue nudità trionfali.
La sua pelle, grazie anche al tipo di luce, aveva un colore simile a quello del miele ed i suoi capelli, come sempre accuratamente mechati, sembravano formare come una corona che troneggiava sulla sua testa, sino a scendere ad incorniciarle il volto.
Intorno alla sua vita, una catena d'oro completava l'insieme, portando, alla massima potenza, l' oggettiva, regale, sensualità della donna.
Una sovrana, un'antica regina di stirpe divina, era di fronte a me e, con il suo sorriso smagliante, ma, allo stesso tempo, remotamente materno, mi invitava al piacere.
Debbo, a questo punto, e prima di addentrarmi, ulteriormente, nella narrazione, sottolineare quanto segue.
Il mio maestro nella professione, il compianto Avv. ***, siciliano di sangue purissimo e, pertanto, gran "sottaniere", un giorno mi fece una confidenza extra professionale.
Mi disse che ciò che lo attraeva di più in una donna, e che consisteva nell'elemento dirimente circa l'intrapresa, o meno, di un corteggiamento destinato, il più delle volte, a terminare tra lenzuola di bucato, era il volto.
E per volto, egli intendeva anche e, forse, soprattutto, lo sguardo e la "espressione".
A tutta prima, e per lunga pezza, non detti peso alcuno alle sue parole: fu proprio "Deborah" a convincermi della loro assoluta esattezza.
Considerata in modo "acefalo", e fatta eccezione per le sue splendide gambe, "Deborah" altri non era che una delle tantissime ultraquarantenni che, sentendo non più lontanissimo l'imboccare del fatidico "Viale del Tramonto", desiderano, e desiderano non poco, vivere appieno la propria sessualità.
Era il suo volto a fare la differenza: il suo sguardo, la sua espressione, avrebbero fatto erigere una statua, in quanto suggerivano, al fortunato, di essere stato scelto da una femmina eccezionale e che, presto, avrebbe avuto un'esperienza assolutamente indimenticabile, il cui ricordo meritava di essere tramandato alle generazioni a venire.
Io e "Deborah" ci guardammo, a lungo, negli occhi, poi, con una spontaneità, assoluta, mormorai:
- Mia sovrana...
Tendemmo le mani l'uno verso l'altra e, nel contempo, con movenze improntate alla più totale eleganza, la donna si alzò in piedi.
Riprendemmo a baciarci; le nostre lingue si intrecciarono, a mo' di caduceo, mentre le mie mani si beavano di carezzarle le natiche, sode, come quelle di una ventenne.
"Deborah", intanto, con le sue unghie, passava a sfiorarmi il torace, scendendo sino all'addome.
Passarono diversi minuti, sino a quando la donna, senza alcun invito o costrizione da parte mia, andò a sedersi sui talloni e prese in bocca il mio scettro.
In tale atteggiamento, la schiava che, "bon gre' mal gre'", soddisfa le voglie del suo padrone o, peggio ancora, la meretrice che, per denaro, dà un "saggio" della propria "professionalità", erano del tutto assenti.
Era, invece, la "Femmina Regina" che, donando al "partner" un'esperienza sessuale da sogno, veniva, una volta di più, ad affermare il suo potere sul maschio.
Mi accorsi, col mio più totale piacere, che aveva, a differenza della volta precedente, adottato una tattica "mista" ove, al succhiare, avido, delle labbra, si alternava il lieve sfarfallio della lingua, più "intenso" quando giungeva al meato.
Resistevo, resistevo "a più non posso", in una dimensione senza spazio né tempo, ove l'unica e sola realtà era il piacere, portato al parossismo, alla "massa critica" della fissione nucleare.
Esplosi: la secrezione di sperma mi sembrò lunghissima, quasi infinita; temevo che, emessa l'ultima goccia, sarei stramazzato, morto, sul pavimento.
Ma non fu così: con la testa che girava come una trottola, riuscii ad inerpicarmi sul letto.
"Deborah" mi raggiunse, immediatamente; quando il capogiro si fermò, mi accorsi del permanere dell'erezione. Presi, nuovamente, ad accarezzare tutto il suo corpo dopo averla abbracciata e dopo aver ricominciato a baciarla.
La sua pelle, resa leggermente umida da una lieve sudorazione, sembrava, al tatto, come di seta. Dopo aver succhiato, a lungo, il miele stillante dalla sula bocca, le mie labbra scesero sul suo corpo, omaggiarono i capezzoli rosa scuro, baciarono il suo addome per fermarsi, infine, al limitare del suo giardino intimo.
"Deborah", in vero, non si era depilata, ma si era limitata a sfoltire il suo pube, prevedendo, ovviamente, la mia adorazione.
Al passaggio della mia lingua, le sue labbra si aprirono, come i petali di un fiore, un fiore fatto di carne, un'orchidea palpitante al cui centro regnava, già in totale erezione, il suo clitoride.
Subito la mia lingua si diresse sulla sua gemma e, dalle pareti della sua vagina, iniziò, immediatamente, a stillare la sua crema di donna, dal sapore leggermente salato.
Si contorceva, mugolando di piacere; fu allora che l'indice ed il medio della mia mano destra andarono ad esplorare il suo sfintere.
Sorse, dalla sua bocca un prolungato OOOOhhh, seguito da una vera e propria raffica di sospiri.
Debbo dire, in tutta franchezza, che mi aspettavo di trovare una maggiore "dilatazione" dell'oggetto della mia esplorazione...ma tant'è.
Passarono altri, lunghissimi minuti, trascorsi i quali, "Deborah" mormorò:
- Ti voglio, ti voglio ancora...nella mia bocca...
Assumemmo la posizione del "sessantanove" e la donna riprese a farmi impazzire con le sue labbra e la sua lingua fatate.
Poi, di colpo, si staccò da me e mi disse;
- Dai, mettiti supino...
In verità, fin dal primo incontro, mi ero aspettato che, prima o poi, la "Posizione di Andromaca" sarebbe entrata in scena, in quanto assolutamente "a la page" col suo carattere, rivelato, appieno, dal suo "modus copulandi".
Obbedii, e "Deborah" si impalò sul mio scettro che scivolò nelle sue carni come sul velluto.
Rimase assolutamente ferma per un lungo istante poi, inspirato ed espirato più volte, prese a cavalcarmi.
La donna muoveva il suo bacino una volta a destra ed a sinistra ed una volta avanti ed indietro variando, sempre, la velocità ed abbassandosi, alternativamente, verso il mio torace e verso i miei piedi.
Ancora oggi, a più di venti anni di distanza, nel ricordare quei momenti, non sono in grado di descrivere, compiutamente, le sensazioni che, l'avere rapporti sessuali con "Deborah", dava alla mia mente ad al mio corpo.
Posso, tuttavia, dire che, il congiungermi a lei, dapprima mi portava ad una sensazione di annientamento quasi totale, per scaraventarmi, immediatamente dopo, alla più completa estasi dei sensi.
Tuttavia, ero ben deciso a prendere il sopravvento e, con uno sforzo supremo, capovolsi, letteralmente, la situazione, assumendo la posizione detta "del missionario".
"Deborah" non fece obiezione alcuna e, dopo qualche altro colpo, facendo perno sul mio scettro, le feci assumere la posizione "a la levrette".
Finalmente ero padrone della situazione e, raggiunto, con il medio della mia mano destra, il suo clitoride, ripresi a galoppare nel suo corpo.
Le sue secrezioni vaginali scorrevano, abbondantissimamente, all'interno delle sue splendide cosce, dopo aver irrorato, a profusione, il mio organo.
Uscii, pertanto dalla sua vagina ed andai a violare il suo orifizio anale.
Il suo sfintere si aprì come al passaggio di un ospite a lungo atteso, e quando il mio scroto toccò il suo corpo mi arrestai.
- Siiiii - gridò "Deborah" - non ti fermare, non ti fermare, continua, continua...
In verità, non me lo feci dire due volte.
La carica durò ancora per diversi minuti, sino a quando, accortasi dall'aumentata velocità del coito, e dal modo in cui stringevo le sue natiche, che stavo, nuovamente, per esplodere, gridò:
- Ancora, ancora, ti voglio bere ancora, ti prego...
"Ti prego"! Furono queste parole a sconvolgermi: la "Sovrana", la "Semidea", pregava il "commoner" di eiaculare nella sua bocca.
Era, dunque, necessario, che "Deborah" si fosse abbassata a quell'infima implorazione, per poter, ancora una volta, trionfare definitivamente sul maschio?
Uscii, e subito mi prese nella sua bocca ed iniziò a succhiarmi con la più totale avidità.
Fu a questo punto che iniziò l'ultima fase della battaglia.
La "Regina", la nobilissima "femmina", signora e padrona delle terre ed, ancor più, degli esseri umani, lottava, con tutte le sue forze per strappare, alle chiuse del mio corpo, il loro prezioso liquore.
Io, quasi sadicamente, mi trattenevo, reso ancor più orgoglioso della larga macchia di secrezioni vaginali che andava allargandosi sul lenzuolo.
Quando, finalmente, giunse l'eiaculazione, mi parve, dapprima, di trovarmi su di un'astronave prossima a raggiungere la velocità della luce poi, di essere io, io stesso, divenuto un fiume in piena che, con la massima impetuosità, scorreva nella sua bocca.
Con estrema difficoltà, mi arrampicai sul letto e mi coricai accanto a "Deborah", sempre bellissima, ma disfatta dopo la battaglia d'amore.
Quando mi destai, un'ora abbondante dopo, la donna era in piedi, nuda, accanto al letto, sorridente.
Prendendomi per mano, con una voce sororale mi disse:
- Dai, prendiamo una doccia...
E così fu, in totale castità.
Quando tornammo in camera da letto, ci sdraiammo di nuovo.
Fu allora che "Deborah" mi disse:
- Ti hanno mai detto che sei un vero uomo?
- Per la verità si...E che tu sei una vera dea del sesso?
- No...
- Strano...
Mentre ci rivestivamo, mi parlò, un poco, di sé, della sua trascorsa vita di moglie, della sua vita di madre e di altre cose.
Giunti in strada, al momento del commiato, ci guardammo negli occhi e mi disse:
- A presto?
- A presto.
E dopo avermi gratificato di un ultimo sorriso, velato di malinconia, si allontanò.
In quel primo pomeriggio di metà novembre, incredibilmente quasi primaverile, ottemperato ai miei doveri forensi, avevo deciso di raggiungere la metropolitana mediante una certa linea di autobus transitante nelle immediate vicinanze del luogo di lavoro "ufficiale" di "Deborah".
Sceso dal mezzo, entrai in un piccolo bar, sito proprio accanto alla palina della fermata, con lo scopo di rifocillarmi con un buon caffè d'orzo.
L'intimità del locale, era abbondantemente sottolineata da un' illuminazione talmente fioca da urtare, quasi, il sistema nervoso degli avventori. Nonostante ciò, la vidi, seduta ad un tavolo in fondo alla sala, intenta, anche lei, a sorseggiare un caffè.
Mi riconobbe, e subito, guardatomi in volto, occhi negli occhi, socchiuse le labbra ed, invero con la più totale discrezione, senza estrarla dalla bocca, mosse la lingua in orizzontale più volte.
Nel contempo, si girò di novanta gradi verso di me, ed accavallò le splendide gambe, avvolte in un "collant" di un velato color carne, ma leggermente più scuro.
Correttamente, lo interpretai come un segnale di "via libera", ed infatti, avvicinatomi al suo tavolo, ed assunta una leggera posizione di "attenti", le dissi:
- Signora, avete nulla in contrario che io mi sieda al vostro tavolo?
- Ma per carità...
Una volta sedutomi, "Deborah" con voce bassa mi disse:
- Non sei più venuto a trovarmi!
Eppure...non puoi proprio dire di esserti annoiato...
- Tutt'altro - replicai, sempre a bassa voce - tuttavia, è l'ambiente che mi frena, capisci?
Se ci fossimo incontrati altrove, ad esempio in una..."normale casa", per intenderci, sarei stato molto più "diligente" nel venirti a far visita...
- Capisco...- rispose - conosci, per caso, l'"Hotel ***"?
E nominò il medesimo albergo ove, a suo tempo, mi ero incontrato con Donna Rebecca e dove, in un futuro non troppo remoto, avrei incontrato la "Wandissima".
- Certo!
- Bene, potremmo incontrarci lì; la tenutaria mi conosce da un bel po'...Segnati il mio numero, così potremo accordarci...
Passo' una settimana scarsa, ed io e "Deborah" facemmo ingresso nel "noto albergo".
Eravamo giunti sul posto insieme, dopo esserci incontrati in un piccolo bar, poco lontano, raggiunto separatamente.
Debbo, a questo punto, sottolineare come, a prima vista, quasi non la riconobbi. La donna, infatti, aveva indossato un tailleur pantalone "pied de poule", di colore verde marrone; sotto la giacca, faceva bella mostra di sé un maglioncino a collo alto, anch'esso di colore verde scuro.
Quando ci trovammo di fronte alla tenutaria, la stessa di qualche anno prima e la stessa di qualche anno dopo, assunsi un atteggiamento del tutto indifferente.
Questa, a sua volta, ci gettò uno sguardo assolutamente epidermico, pronunziando il numero della camera, il piano di ubicazione della stessa e consegnandoci la chiave, con un tono di voce, ed un fare, quasi da automa.
Oso presumere di avere esattamente interpretato, tale "modus operandi", come un chiaro segnale di "professionalità": la tenutaria o, se il Lettore preferisce, la "maitresse", badava, nel modo più egregio, ai casi propri.
Il tutto, si noti, nella più assoluta osservanza delle normative vigenti e del sacrosanto principio del "pecunia non olet".
Entrati nella camera, e chiusa a dovere la porta, entrambi ci guardammo, a lungo, negli occhi, per poi unire le nostre bocche in un lunghissimo, e profondo, bacio.
Subito, il mio scettro scattò, pronto al dovere; sentivo, come al solito, il "frenulum" dolermi, a causa dell'improvvisa erezione.
Intorno a noi, tutto era silenzio. Dopo pochi secondi dal primo contatto delle nostre labbra, gli echi dei vicini impianti ferroviari, invero tutt'altro che impercettibili, ci sembravano provenire da siderali distanze: sentivamo, soltanto, i rumori delle nostre labbra ed il battito dei nostri cuori.
Feci per spogliarmi, quando "Deborah", del tutto inaspettatamente, mi disse:
- Ti dispiacerebbe andare di là?
Acconsentii, anche perché, entrando, avevo potuto vedere un attaccapanni far capolino dal piccolo bagno.
Indossato il "costume di Adamo", feci per entrare nella stanza, quando "Deborah" mi disse:
- Attendi un minuto...
Mi accorsi, subito, che il tono della sua voce era cambiato: leggermente roco, e più profondo: indice di incipiente orgasmo.
Quando, poco dopo, ottenni il "via libera", entrato nella stanza credetti, veramente, di sognare.
Una luce soffusa, dolcissima, permeava l'ambiente ed, al centro del talamo, distesa sul fianco sinistro, "Deborah": nelle sue nudità trionfali.
La sua pelle, grazie anche al tipo di luce, aveva un colore simile a quello del miele ed i suoi capelli, come sempre accuratamente mechati, sembravano formare come una corona che troneggiava sulla sua testa, sino a scendere ad incorniciarle il volto.
Intorno alla sua vita, una catena d'oro completava l'insieme, portando, alla massima potenza, l' oggettiva, regale, sensualità della donna.
Una sovrana, un'antica regina di stirpe divina, era di fronte a me e, con il suo sorriso smagliante, ma, allo stesso tempo, remotamente materno, mi invitava al piacere.
Debbo, a questo punto, e prima di addentrarmi, ulteriormente, nella narrazione, sottolineare quanto segue.
Il mio maestro nella professione, il compianto Avv. ***, siciliano di sangue purissimo e, pertanto, gran "sottaniere", un giorno mi fece una confidenza extra professionale.
Mi disse che ciò che lo attraeva di più in una donna, e che consisteva nell'elemento dirimente circa l'intrapresa, o meno, di un corteggiamento destinato, il più delle volte, a terminare tra lenzuola di bucato, era il volto.
E per volto, egli intendeva anche e, forse, soprattutto, lo sguardo e la "espressione".
A tutta prima, e per lunga pezza, non detti peso alcuno alle sue parole: fu proprio "Deborah" a convincermi della loro assoluta esattezza.
Considerata in modo "acefalo", e fatta eccezione per le sue splendide gambe, "Deborah" altri non era che una delle tantissime ultraquarantenni che, sentendo non più lontanissimo l'imboccare del fatidico "Viale del Tramonto", desiderano, e desiderano non poco, vivere appieno la propria sessualità.
Era il suo volto a fare la differenza: il suo sguardo, la sua espressione, avrebbero fatto erigere una statua, in quanto suggerivano, al fortunato, di essere stato scelto da una femmina eccezionale e che, presto, avrebbe avuto un'esperienza assolutamente indimenticabile, il cui ricordo meritava di essere tramandato alle generazioni a venire.
Io e "Deborah" ci guardammo, a lungo, negli occhi, poi, con una spontaneità, assoluta, mormorai:
- Mia sovrana...
Tendemmo le mani l'uno verso l'altra e, nel contempo, con movenze improntate alla più totale eleganza, la donna si alzò in piedi.
Riprendemmo a baciarci; le nostre lingue si intrecciarono, a mo' di caduceo, mentre le mie mani si beavano di carezzarle le natiche, sode, come quelle di una ventenne.
"Deborah", intanto, con le sue unghie, passava a sfiorarmi il torace, scendendo sino all'addome.
Passarono diversi minuti, sino a quando la donna, senza alcun invito o costrizione da parte mia, andò a sedersi sui talloni e prese in bocca il mio scettro.
In tale atteggiamento, la schiava che, "bon gre' mal gre'", soddisfa le voglie del suo padrone o, peggio ancora, la meretrice che, per denaro, dà un "saggio" della propria "professionalità", erano del tutto assenti.
Era, invece, la "Femmina Regina" che, donando al "partner" un'esperienza sessuale da sogno, veniva, una volta di più, ad affermare il suo potere sul maschio.
Mi accorsi, col mio più totale piacere, che aveva, a differenza della volta precedente, adottato una tattica "mista" ove, al succhiare, avido, delle labbra, si alternava il lieve sfarfallio della lingua, più "intenso" quando giungeva al meato.
Resistevo, resistevo "a più non posso", in una dimensione senza spazio né tempo, ove l'unica e sola realtà era il piacere, portato al parossismo, alla "massa critica" della fissione nucleare.
Esplosi: la secrezione di sperma mi sembrò lunghissima, quasi infinita; temevo che, emessa l'ultima goccia, sarei stramazzato, morto, sul pavimento.
Ma non fu così: con la testa che girava come una trottola, riuscii ad inerpicarmi sul letto.
"Deborah" mi raggiunse, immediatamente; quando il capogiro si fermò, mi accorsi del permanere dell'erezione. Presi, nuovamente, ad accarezzare tutto il suo corpo dopo averla abbracciata e dopo aver ricominciato a baciarla.
La sua pelle, resa leggermente umida da una lieve sudorazione, sembrava, al tatto, come di seta. Dopo aver succhiato, a lungo, il miele stillante dalla sula bocca, le mie labbra scesero sul suo corpo, omaggiarono i capezzoli rosa scuro, baciarono il suo addome per fermarsi, infine, al limitare del suo giardino intimo.
"Deborah", in vero, non si era depilata, ma si era limitata a sfoltire il suo pube, prevedendo, ovviamente, la mia adorazione.
Al passaggio della mia lingua, le sue labbra si aprirono, come i petali di un fiore, un fiore fatto di carne, un'orchidea palpitante al cui centro regnava, già in totale erezione, il suo clitoride.
Subito la mia lingua si diresse sulla sua gemma e, dalle pareti della sua vagina, iniziò, immediatamente, a stillare la sua crema di donna, dal sapore leggermente salato.
Si contorceva, mugolando di piacere; fu allora che l'indice ed il medio della mia mano destra andarono ad esplorare il suo sfintere.
Sorse, dalla sua bocca un prolungato OOOOhhh, seguito da una vera e propria raffica di sospiri.
Debbo dire, in tutta franchezza, che mi aspettavo di trovare una maggiore "dilatazione" dell'oggetto della mia esplorazione...ma tant'è.
Passarono altri, lunghissimi minuti, trascorsi i quali, "Deborah" mormorò:
- Ti voglio, ti voglio ancora...nella mia bocca...
Assumemmo la posizione del "sessantanove" e la donna riprese a farmi impazzire con le sue labbra e la sua lingua fatate.
Poi, di colpo, si staccò da me e mi disse;
- Dai, mettiti supino...
In verità, fin dal primo incontro, mi ero aspettato che, prima o poi, la "Posizione di Andromaca" sarebbe entrata in scena, in quanto assolutamente "a la page" col suo carattere, rivelato, appieno, dal suo "modus copulandi".
Obbedii, e "Deborah" si impalò sul mio scettro che scivolò nelle sue carni come sul velluto.
Rimase assolutamente ferma per un lungo istante poi, inspirato ed espirato più volte, prese a cavalcarmi.
La donna muoveva il suo bacino una volta a destra ed a sinistra ed una volta avanti ed indietro variando, sempre, la velocità ed abbassandosi, alternativamente, verso il mio torace e verso i miei piedi.
Ancora oggi, a più di venti anni di distanza, nel ricordare quei momenti, non sono in grado di descrivere, compiutamente, le sensazioni che, l'avere rapporti sessuali con "Deborah", dava alla mia mente ad al mio corpo.
Posso, tuttavia, dire che, il congiungermi a lei, dapprima mi portava ad una sensazione di annientamento quasi totale, per scaraventarmi, immediatamente dopo, alla più completa estasi dei sensi.
Tuttavia, ero ben deciso a prendere il sopravvento e, con uno sforzo supremo, capovolsi, letteralmente, la situazione, assumendo la posizione detta "del missionario".
"Deborah" non fece obiezione alcuna e, dopo qualche altro colpo, facendo perno sul mio scettro, le feci assumere la posizione "a la levrette".
Finalmente ero padrone della situazione e, raggiunto, con il medio della mia mano destra, il suo clitoride, ripresi a galoppare nel suo corpo.
Le sue secrezioni vaginali scorrevano, abbondantissimamente, all'interno delle sue splendide cosce, dopo aver irrorato, a profusione, il mio organo.
Uscii, pertanto dalla sua vagina ed andai a violare il suo orifizio anale.
Il suo sfintere si aprì come al passaggio di un ospite a lungo atteso, e quando il mio scroto toccò il suo corpo mi arrestai.
- Siiiii - gridò "Deborah" - non ti fermare, non ti fermare, continua, continua...
In verità, non me lo feci dire due volte.
La carica durò ancora per diversi minuti, sino a quando, accortasi dall'aumentata velocità del coito, e dal modo in cui stringevo le sue natiche, che stavo, nuovamente, per esplodere, gridò:
- Ancora, ancora, ti voglio bere ancora, ti prego...
"Ti prego"! Furono queste parole a sconvolgermi: la "Sovrana", la "Semidea", pregava il "commoner" di eiaculare nella sua bocca.
Era, dunque, necessario, che "Deborah" si fosse abbassata a quell'infima implorazione, per poter, ancora una volta, trionfare definitivamente sul maschio?
Uscii, e subito mi prese nella sua bocca ed iniziò a succhiarmi con la più totale avidità.
Fu a questo punto che iniziò l'ultima fase della battaglia.
La "Regina", la nobilissima "femmina", signora e padrona delle terre ed, ancor più, degli esseri umani, lottava, con tutte le sue forze per strappare, alle chiuse del mio corpo, il loro prezioso liquore.
Io, quasi sadicamente, mi trattenevo, reso ancor più orgoglioso della larga macchia di secrezioni vaginali che andava allargandosi sul lenzuolo.
Quando, finalmente, giunse l'eiaculazione, mi parve, dapprima, di trovarmi su di un'astronave prossima a raggiungere la velocità della luce poi, di essere io, io stesso, divenuto un fiume in piena che, con la massima impetuosità, scorreva nella sua bocca.
Con estrema difficoltà, mi arrampicai sul letto e mi coricai accanto a "Deborah", sempre bellissima, ma disfatta dopo la battaglia d'amore.
Quando mi destai, un'ora abbondante dopo, la donna era in piedi, nuda, accanto al letto, sorridente.
Prendendomi per mano, con una voce sororale mi disse:
- Dai, prendiamo una doccia...
E così fu, in totale castità.
Quando tornammo in camera da letto, ci sdraiammo di nuovo.
Fu allora che "Deborah" mi disse:
- Ti hanno mai detto che sei un vero uomo?
- Per la verità si...E che tu sei una vera dea del sesso?
- No...
- Strano...
Mentre ci rivestivamo, mi parlò, un poco, di sé, della sua trascorsa vita di moglie, della sua vita di madre e di altre cose.
Giunti in strada, al momento del commiato, ci guardammo negli occhi e mi disse:
- A presto?
- A presto.
E dopo avermi gratificato di un ultimo sorriso, velato di malinconia, si allontanò.
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