Schiava dell'amica e dei suoi genitori (parte 5)

di
genere
sadomaso

La finzione di una vita normale si scontra, prima o poi, con la realtà cruda.
Giorni dopo, Erica rientrò nell’abitazione che la ospitava piangendo e tremando. L’università non l’aveva accettata in quanto schiava, esclusa dagli studi che, quindi, non avrebbe potuto finire nemmeno con il consenso dei suoi Padroni.
Si vedeva sfuggire, ad un soffio dall’arrivo, il traguardo dei sogni giovanili e dei suoi genitori, sul quale avevano fatto affidamento quando chiesero ai loro amici di comperare la figlia.
Quell’avvenimento venne vissuto come un investimento da un treno in corsa, tale era la forza devastante del colpo ricevuto, non solo per la mancata laurea, ma per ciò che avrebbe significato per qualsiasi cosa Erica avesse voluto fare e che, in quel momento, venne vanificato ancor prima di poter essere pensato.
In lei creò forte turbamento e si vide, di fatto, relegata in quella casa non prigioniera ma ospite, senza alcuna prospettiva.
Vi sono momenti in cui le cose prendono una piega che, poi, avrà effetti sulla vita e dalle quali ne prenderanno vita altre, le quali, sommate alle prime, diverranno macigni enormi che, in quanto esistenti, non possono essere ignorati e nemmeno spostati, ma coi quali occorrerà fare i conti.
La prima piega venne presa quella sera. Anzi, col senno di poi, i primi stropicciamenti, non ancora classificabili come piega, avvennero quando Erica fu acquistata, non tanto nei fatti quanto nelle emozioni degli acquirenti nell’averla ai loro piedi.
Questi ultimi, però, avevano cercato di dimenticare quelle sensazioni, di rimuoverle e pensarle mai accadute ma che, la piega degli eventi, piano piano fece riaffiorare.
Così, la sera stessa, dopo una giornata nella quale Erica si chiese cosa avrebbe potuto fare della vita e nella vita, la piega prese forma.
All’inizio fu una cosa sottile, quasi invisibile e nessuno se ne accorse, non nell’immediato, almeno.
Era sempre stata una ragazza attiva e reattiva, sportiva ed energica. In casa, quando ne aveva una da donna libera, aveva raggiunto un equilibrio con i suoi genitori secondo il quale ciascuno contribuiva alla gestione dell’abitazione e delle esigenze quotidiane.
Così, al fine di non sentirsi un peso, quella sera stessa, dopo cena, si offrì di essere l’unica a ritirare.
Incontrò le resistenze della famiglia ma fu ferma ed insistette.
Non aveva voluto nemmeno che Noemi facesse il caffè, offrendosi di servirglielo in sala.
Così, mentre lei lavorava, gli altri tre si recarono a guardare il telegiornale.
Poco dopo arrivò Erica recando, su un vassoio, tre tazzine fumanti. Fu lei a fare il giro delle uniche tre poltrone in stanza, tutte piene dai componenti della famiglia. La ragazza era più alta della media e, per agevolare i presenti, si chinò offrendo il vassoio.
Al termine tornò in sala, trovandola illuminata dalla sola luce del televisore per assistere ad una scena apparentemente familiare, molto simile alla sua fino a qualche mese addietro.
Provò smarrimento ma poi pensò che fortunatamente aveva trovato accoglienza tra amici che l’avrebbero fatta sentire a casa.
Non volle disturbare e si abbassò sulle gambe accanto al bracciolo della poltrona di Noemi per annunciare di avere finito, conservando qualche dubbio sulla corretta esecuzione in quanto non conosceva bene la disposizione degli oggetti.
Il tarlo è qualcosa di terribile. Una volta che si insinua lo si avverte ancor prima che inizi a farsi strada nella coscienza e nei pensieri.
Alla donna era piaciuto sapere che qualcuna stesse lavorando in cucina al posto suo mentre lei era rilassata in poltrona, essere servita e, ora, le piaceva quella ragazza abbassata accanto a lei.
Più per istinto che per ragionamento, fingendosi attratta da una notizia, le disse di aspettare lì la fine del telegiornale e, solo dopo, sarebbe andata a controllare.
Intanto le accarezzò il viso a mano piena, sulla quale la ragazza, ancora sconfortata dagli accadimenti mattutini, appoggiò delicatamente la guancia lasciando un bacio sul palmo.
Erica, riscaldata dal gesto, si sedette a terra e appoggiò il viso sul bracciolo offrendo il capo alla carezza che si stava prolungando.
Noemi era donna abitudinaria e gelosa di come era tenuta la cucina.
Rilevò un lavoro ben fatto ma non conforme ai suoi usi.
Inaspettatamente, più a sé stessa che ad altri, si sentì dire che era soddisfatta ma la sistemazione non era quella cui era abituata. Uscendo dalla cucine, le disse di sistemare meglio.
“Sì, subito”.
Quelle semplici parole le diedero piacere e avvertì distintamente il tarlo procedere nel suo lavoro.
Il successivo controllo diede esito positivo e soddisfacente.
La carezza al viso della ragazza venne data col dorso della mano che Erica bloccò con le sue e sulla quale pose un bacio.
La piega degli eventi ormai aveva preso forma e, quando qualcosa ha preso vita, è impossibile ignorarla e qualche segno lo lascia.
Così, ciò che era nato come un offerta per essere utile, divenne un’abitudine ed un dato acquisito.
Venne ormai dato per scontato che, al termine dei pasti, toccasse ad Erica ritirare, lavare, sistemare e pulire, ancor prima di potersi sedere.
Non c’era nemmeno più bisogno di precisarlo. Con l’ultimo boccone tutti e tre si alzavano dando per scontato che ora toccasse a lei lavorare.
Scoprirono il piacere nel pronunciare la frase “sistema tu, Erica”, che aveva sempre più il tono dell’ordine.
Anche il caffè servito divenne un rito, a pranzo come a cena.
Se qualcuno si trovava in un locale diverso dalla sala, Erica doveva raggiungerlo.
Fu Giulio, anch’egli colpito dal tarlo, che diede ulteriore piega a quella già esistente.
“Tesorina, è inutile che torni in cucina per venire ancora a prendere le tazzine vuote. Potresti aspettare qui che finiamo di berlo”.
Noemi e Isabella annuirono.
Così Erica, alla quale mai venne offerto di condividere il caffè con loro, non essendoci altre poltrone, iniziò ad aspettare in piedi che tutti e tre terminassero. Poichè solitamente dopo il pasto guardavano il telegiornale, l’attesa era caratterizzata dal silenzio.
Se parlavano lo facevano tra di loro, escludendo la ragazza in attesa.
Noemi prese l’abitudine di andare a controllare il lavoro di Erica.
Il tarlo ormai si era fatto molta strada in lei. Così, nel confermare la correttezza dell’esecuzione, smise di dare la carezza ma si limitava ad offrire il dorso della mano da baciare. Inizialmente era lei a portare la mano alle labbra della ragazza che, prendendolo come gesto d’affetto, stringeva e baciava.
Poi si limitò ad alzarla appena attendendo che fosse Erica a prenderla e, abbassatasi, a posare sopra il bacio.
Ad Erica comunque piaceva, era un gesto affettuoso e Noemi sorrideva sempre, confermandole quanto fosse stata brava nel lavoro.
Divenne una loro abitudine, ogni qual volta Noemi facesse un apprezzamento sul lavoro fatto.
Evidentemente il tarlo cominciò a farsi strada anche in Isabella, posto che lei stessa cominciò a dare per scontato che dovesse essere servita, nel caffè come in tante altre cose.
Le piacque anche il bacio alla mano visto che anche lei e suo padre cominciarono a pretenderlo ogni qual volta si rendesse secondo loro opportuno, opportunità che iniziò a diventare frequente.
Pur con l’amicizia che li univa, anche facendo leva sul senso di colpa di Erica che si riteneva un peso, divenne cosa solita che, ritenutolo opportuno, ciascuno dei tre alzasse appena la mano per godere dell’inchino e del bacio sul dorso.
Contando sul fatto che ci fosse comunque qualcuna che ritirava e lavava, Noemi, che adorava cucinare, iniziò a non farsi scrupoli nell’usare più pentole o attrezzi di quelli effettivamente necessari.
Nemmeno si preoccupava se lasciava sporco in terra.
Iniziò con un errore. Girandosi, fece cadere farina ai suoi piedi.
“Lascia Noemi, pulisco io”.
Fu velocissima Erica ad offrirsi dopo avere sentito Noemi lamentarsi per quanto accaduto.
La donna continuò a lavorare e la ragazza pulì con l’aspirapolvere. Purtroppo un po’ di farina era finita nell’angolo e, per levarlo, la ragazza inumidì una spugnetta e si inginocchiò vicino a Noemi.
Quel maledetto tarlo, che non aveva mai smesso di farsi strada, in quel momento trovò una parete sottile e in breve tempo fece molta strada all’interno della mente e della coscienza della donna che sentì umido tra le cosce.
“Brava, Erica”.
Mentre la ragazza era ancora inginocchiata le diede una carezza e le offrì la mano da baciare.
La ragazza la strinse a sé e, dopo averla baciata, se la accostò alla guancia, con un gesto affettuoso.
Da allora, Noemi non si curò più di prestare attenzione se qualcosa cadeva accidentalmente, sapeva che poi ci avrebbe pensato la ragazza, oppure la chiamava.
“Erica, scusa, tesorina, vieni ad aiutarmi, è caduta un po’ di roba ai miei piedi”.
Capitava che tutti e tre, dopo cena, guardassero la televisione. Le poltrone erano tre. Invitarono Erica a stare con loro dandole un cuscino per sedersi a terra, sul tappeto davanti a loro.
Tutti e quattro si abituarono a quella nuova posizione che vedeva seduta a terra la giovane Erica ma anche, quando avessero avuto bisogno di qualcosa, di farsi servire, per acqua o qualcosa da sgranocchiare.
Nel far questo il punto di domanda alla fine della frase svanì quasi subito.
“Tesorina, portami un bicchiere d’acqua”.
Giulio la faceva attendere per riconsegnare il bicchiere da portare via. Beveva lentamente e la ragazza era costretta a stare in piedi accanto, sempre più come una serva.
Spesso Noemi la chiamava accanto a sé, chiedendole di appoggiare il capo sulla sua gamba così da poterlo accarezzare dolcemente.
La delicatezza dei gesti non mancava mai, anche quando si facevano servire.
Anche Isabella la teneva volentieri accucciata a terra accanto alla sua poltrona e la accarezzava. Piaceva ad entrambe.
“Tesorina, portami uno snack”.
Il sorriso accompagnava sempre quelle che avrebbero potuto sembrare richieste di cortesia ma che, nella mente di chi parlava, sempre più venivano avvertiti come ordini.
“Aspetta qui in piedi, tesorina”.
A tutti e tre piaceva averla in piedi accanto a loro mentre, con maggior calma di quanto sarebbe stata necessaria, consumavano quanto ordinato.
“Porta via e torna qui da me, tesorina”.
Sempre il sorriso accompagnava l’esecuzione dell’ordine e l’accoglienza di Erica al ritorno, invitata dal dito che indicava a terra ai propri piedi. Nemmeno mancava la carezza al capo una volta che la ragazza si fosse accucciata né la mano offerta per il consueto bacio.
A loro sembrava che Erica gradisse i sorrisi ed il tono caldo della voce che, comunque, non era finto, anzi, era sentito, volevano bene a quella ragazza, ma sempre più amavano essere serviti, pur conservando inalterati i loro affetti.
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2022-12-01
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