Schiava dell'amica e dei suoi genitori (parte 6)
di
Kugher
genere
sadomaso
Ormai la piega era tracciata e nessuno dei tre voleva tornare indietro, trovando piacevole avere chi li servisse, pur sapendo che la ragazza si sentiva in colpa ritenendosi un peso per la famiglia. Pur vero che per l’acquisto i soldi erano stati in precedenza dati dal padre della ragazza.
Tuttavia il mantenimento era a carico della famiglia ospitante. Inoltre, non potendo né studiare né lavorare fuori casa, non avrebbe nemmeno potuto dare un minimo contributo.
Restava anche il fatto che agli occhi della legge lei non era più una persona libera ma una schiava, senza diritti e con solo doveri.
Tutto, quindi, era rimesso al buon cuore di chi la ospitava.
Ciò del quale la famiglia non si accorse, per lo meno non subito, fu il fatto che pensarono, Isabella compresa, sua amica di infanzia, solo al proprio piacere ignorando le sensazioni della ragazza e, anzi, forzando il senso di colpa senza osare ancora far ricorso ai loro diritti di Padroni.
Questo creò anche una crepa che andò via via ad allargarsi e che, come tutte le cose che ad un certo punto compaiono nella vita, non è più possibile tornare indietro.
Non si preoccuparono mai di capire se Erica si sentisse sminuita o meno da queste delicate richieste di servizio. Non tanto per la paura di sentirsi rispondere in senso negativo, quanto perché non interessava, essendo tutti e tre maggiormente concentrati sul proprio piacere, sulla scoperta del potere su altra persona cercando un punto di equilibrio con le proprie precedenti convinzioni ed il fatto che la ragazza era figlia di amici di lunga data.
Tuttavia, il piacere di poter pretendere da lei ciò che andava oltre i suoi desideri era come una calamita dalla quale non riuscivano a prendere le distanze.
L’eccitazione rappresentava la corsa e la loro coscienza la palla al piede che li frenava.
Si aggrapparono a questa via di mezzo, senza coscientemente rendersi conto che il peso della palla al piede della coscienza diveniva sempre più leggero per una corsa sempre più veloce.
Di questo egoismo non si resero inizialmente conto. Questo dettaglio avrebbe dovuto farli pensare ma, evidentemente, il tarlo stava lavorando bene, sentendosi assolti dalla gentilezza, seppur sentita, dimostrata verso chi, in ogni caso, agli occhi della legge era una schiava.
La spaccatura, pur con l’affetto che li legava, era quindi tra i serviti e colei che, gradatamente, era divenuta la serva.
Da troppe settimana Erica non usciva.
La famiglia che la ospitava non se ne era resa conto, semplicemente non aveva pensato quando fosse stata l’ultima volta che era uscita.
Erano ormai tutti assuefatti alla nuova situazione che aveva sempre più preso i connotati della normalità, nella quale il servizio di Erica si era esteso sempre più e, soprattutto, veniva dato come cosa scontata ed acquisita.
La normalità nella anormalità può creare alibi, falsi ma alibi sempre sono.
“Tesorina, vieni qui”.
Noemi ed Isabella erano sedute in poltrona.
Erica era alta e, stando in piedi, incombeva eccessivamente sull’interlocutore.
Avevano preso l’abitudine che, chiamandola, col dito indicavano lo spazio a terra ai loro piedi, dove la ragazza, ricambiando il sorriso, si accovacciava per prendersi quelle carezze e dolcezze che tanto la facevano stare bene e alimentavano l’alibi nella famiglia.
Noemi le accarezzò il capo.
“Tesorina, Isa ed io vorremmo andare a fare shopping, a distrarci un po’. Torneremo per cena. Ti ho lasciato i panni lavati in bagno. Dovresti stirarli. Occorre anche lavare tutti i pavimenti. Dovresti farcela entro il nostro rientro”.
Le sorrise e la fece destinataria di una carezza che terminò, come ormai era solito, con un bacio alla mano.
Avevano detto alla donna che le pulizie, di non venire più. Ne avevano parlato la sera prima al termine del telegiornale, quando erano tutti in sala e la ragazza era seduta sul tappeto davanti a loro.
Nessuno disse se ne avrebbero presa un’altra. Semplicemente decisero di non farla venire più.
Nemmeno ne avevano parlato prima tra di loro. La proposta era stata avanzata da Giulio dopo che Erica lo aveva servito alla richiesta di un bicchiere di vino.
La ragazza ascoltò ma non disse nulla, mai essendo coinvolta nelle scelte della famiglia.
I tre non si chiesero cosa stesse pensando ma tutti stavano dando per scontato che i lavori sarebbero stati svolti dalla ragazza.
“Sì Noemi, volentieri. Sarà tutto fatto per quando rientrerete”.
“Vieni qui tesorina”.
Erica rispose subito all’invito della sua amica Isabella e, spostandosi a terra, raggiunse colei con la quale aveva trascorso gli anni dalle medie attraverso il periodo da teenager.
Le si accovacciò a fianco e pose il viso sulle sue gambe.
“Tesorina, voglio comperarmi un nuovo paio di scarpe tacco 12 ed una gonna che farà impazzire Andrea, questa sera andremo ad una festa e voglio essere bellissima”.
Provò un inaspettato piacere nel comunicare un evento gioioso a colei che mai avrebbe potuto viverlo, ormai relegata in quella casa, ignorata dal mondo esterno del quale, sapeva, non ne faceva parte o, almeno, in riferimento al mondo libero.
A lei erano precluse feste, tacchi, fidanzati. Isabella lo sapeva e, senza averlo pensato prima, non riuscì a non dirle cosa avrebbe fatto quella sera, come sarebbe uscita vestita, chi avrebbe visto, lasciandole immaginare come sarebbe finita la serata.
Provò piacere nella differenza sociale tra loro, ormai un baratro irrecuperabile. Si sentì eccitata nel pensare che mentre lei andava a fare shopping per una serata di divertimento e di sesso, la sua amica di infanzia sarebbe stata costretta a stare a casa a pulire pavimenti e a stirare i vestiti che lei quella sera avrebbe indossato.
“Sarai bellissima, Isabella”.
La ragazza pensò esclusivamente al proprio piacere, immaginando la mortificazione dell’amica e provando, da questo suo pensiero, ulteriore eccitazione.
Prima di alzarsi le porse la mano da baciare. Le sembrò di vedere un’ombra sul viso della ragazza accucciata a terra, seppur mascherato da un sorriso. A seguito di questa sensazione le porse nuovamente la mano, pensando, però, che quell’ulteriore bacio lo avrebbe voluto sul suo piede.
“Dai tesorina mia, dammi ancora un bacetto”.
Anche Noemi percepì l’ombra nell’espressione di Erica.
“Vieni tesorina, bacia anche la mia e poi vai a lavorare, noi dobbiamo andare a prepararci”.
Nessuno delle due confessò all’altra di avere provato eccitazione ed umido tra le cosce, aumentato quando, per andare a dare l’ultimo bacio a Noemi, Erica si spostò a 4 zampe.
La piega era ormai presa.
Nessuno di loro ammise agli altri ciò che in realtà si era fatto strada sempre più prepotentemente nelle loro viscere, circolando sottopelle fino a raggiungere quell’area indefinita del piacere e dell’eccitazione.
Sapevano, ricordavano, che Erica stava in quella casa grazie agli stessi soldi della famiglia della ragazza, ma l’egoismo ed il perseguimento del piacere che ottenebra quella lucidità della quale erano sempre stati fieri, erano sempre più forti.
Si allontanava sempre più il loro originario pensiero di contrarietà alla schiavitù ogni qual volta Erica li serviva, o si accucciava a terra tra le poltrone, o puliva a terra e stirava mentre loro andavano in palestra, o ritirava in cucina dopo che Noemi aveva sporcato anche appositamente pensando alla ragazza che tanto poi avrebbe pulito.
Non pensavano e non vedevano Erica quale loro schiava, la pensavano sempre ospite ed amica, quale adempimento all’accordo coi suoi genitori, tuttavia non solo non si facevano scrupoli nel farsi servire, ma ne traevano piacere.
Sempre col sorriso e con una carezza al capo, dissero ad Erica che avrebbe dovuto andare ad accoglierli ad ogni loro rientro in casa, così da prendere eventuali pacchi, borsette, soprabiti.
Alla famiglia non sembrò che la ragazza avesse gradito questo nuovo incombente che creava sempre più una distanza tra loro.
Erica avanzò qualche piccola resistenza ma Noemi la abbracciò forte e le disse che avrebbe gradito tanto tanto tanto questa sua delicatezza e attenzione. La accarezzò delicatamente passandole la mano tra i capelli, con una dolcezza tipica di un genitore.
“Vero che faresti questo gesto gentile per tutti noi?”.
L’incertezza sul viso fu in contrasto con la risposta.
“Certo Noemi, sarà un piacere per me”.
Erica iniziò così ad accorrere ogni qual volta sentisse aprirsi la porta di casa, interrompendo ogni attività.
Riceveva un saluto caloroso e tanti sorrisi, sempre sinceri e sentiti. Tutti e tre veramente provavano affetto per lei, per la sua storia, per la vicinanza tra le famiglie, ma era irresistibile avere una serva in casa che, come una cagnolina, correva a salutarli e a baciar loro la mano.
Tuttavia il mantenimento era a carico della famiglia ospitante. Inoltre, non potendo né studiare né lavorare fuori casa, non avrebbe nemmeno potuto dare un minimo contributo.
Restava anche il fatto che agli occhi della legge lei non era più una persona libera ma una schiava, senza diritti e con solo doveri.
Tutto, quindi, era rimesso al buon cuore di chi la ospitava.
Ciò del quale la famiglia non si accorse, per lo meno non subito, fu il fatto che pensarono, Isabella compresa, sua amica di infanzia, solo al proprio piacere ignorando le sensazioni della ragazza e, anzi, forzando il senso di colpa senza osare ancora far ricorso ai loro diritti di Padroni.
Questo creò anche una crepa che andò via via ad allargarsi e che, come tutte le cose che ad un certo punto compaiono nella vita, non è più possibile tornare indietro.
Non si preoccuparono mai di capire se Erica si sentisse sminuita o meno da queste delicate richieste di servizio. Non tanto per la paura di sentirsi rispondere in senso negativo, quanto perché non interessava, essendo tutti e tre maggiormente concentrati sul proprio piacere, sulla scoperta del potere su altra persona cercando un punto di equilibrio con le proprie precedenti convinzioni ed il fatto che la ragazza era figlia di amici di lunga data.
Tuttavia, il piacere di poter pretendere da lei ciò che andava oltre i suoi desideri era come una calamita dalla quale non riuscivano a prendere le distanze.
L’eccitazione rappresentava la corsa e la loro coscienza la palla al piede che li frenava.
Si aggrapparono a questa via di mezzo, senza coscientemente rendersi conto che il peso della palla al piede della coscienza diveniva sempre più leggero per una corsa sempre più veloce.
Di questo egoismo non si resero inizialmente conto. Questo dettaglio avrebbe dovuto farli pensare ma, evidentemente, il tarlo stava lavorando bene, sentendosi assolti dalla gentilezza, seppur sentita, dimostrata verso chi, in ogni caso, agli occhi della legge era una schiava.
La spaccatura, pur con l’affetto che li legava, era quindi tra i serviti e colei che, gradatamente, era divenuta la serva.
Da troppe settimana Erica non usciva.
La famiglia che la ospitava non se ne era resa conto, semplicemente non aveva pensato quando fosse stata l’ultima volta che era uscita.
Erano ormai tutti assuefatti alla nuova situazione che aveva sempre più preso i connotati della normalità, nella quale il servizio di Erica si era esteso sempre più e, soprattutto, veniva dato come cosa scontata ed acquisita.
La normalità nella anormalità può creare alibi, falsi ma alibi sempre sono.
“Tesorina, vieni qui”.
Noemi ed Isabella erano sedute in poltrona.
Erica era alta e, stando in piedi, incombeva eccessivamente sull’interlocutore.
Avevano preso l’abitudine che, chiamandola, col dito indicavano lo spazio a terra ai loro piedi, dove la ragazza, ricambiando il sorriso, si accovacciava per prendersi quelle carezze e dolcezze che tanto la facevano stare bene e alimentavano l’alibi nella famiglia.
Noemi le accarezzò il capo.
“Tesorina, Isa ed io vorremmo andare a fare shopping, a distrarci un po’. Torneremo per cena. Ti ho lasciato i panni lavati in bagno. Dovresti stirarli. Occorre anche lavare tutti i pavimenti. Dovresti farcela entro il nostro rientro”.
Le sorrise e la fece destinataria di una carezza che terminò, come ormai era solito, con un bacio alla mano.
Avevano detto alla donna che le pulizie, di non venire più. Ne avevano parlato la sera prima al termine del telegiornale, quando erano tutti in sala e la ragazza era seduta sul tappeto davanti a loro.
Nessuno disse se ne avrebbero presa un’altra. Semplicemente decisero di non farla venire più.
Nemmeno ne avevano parlato prima tra di loro. La proposta era stata avanzata da Giulio dopo che Erica lo aveva servito alla richiesta di un bicchiere di vino.
La ragazza ascoltò ma non disse nulla, mai essendo coinvolta nelle scelte della famiglia.
I tre non si chiesero cosa stesse pensando ma tutti stavano dando per scontato che i lavori sarebbero stati svolti dalla ragazza.
“Sì Noemi, volentieri. Sarà tutto fatto per quando rientrerete”.
“Vieni qui tesorina”.
Erica rispose subito all’invito della sua amica Isabella e, spostandosi a terra, raggiunse colei con la quale aveva trascorso gli anni dalle medie attraverso il periodo da teenager.
Le si accovacciò a fianco e pose il viso sulle sue gambe.
“Tesorina, voglio comperarmi un nuovo paio di scarpe tacco 12 ed una gonna che farà impazzire Andrea, questa sera andremo ad una festa e voglio essere bellissima”.
Provò un inaspettato piacere nel comunicare un evento gioioso a colei che mai avrebbe potuto viverlo, ormai relegata in quella casa, ignorata dal mondo esterno del quale, sapeva, non ne faceva parte o, almeno, in riferimento al mondo libero.
A lei erano precluse feste, tacchi, fidanzati. Isabella lo sapeva e, senza averlo pensato prima, non riuscì a non dirle cosa avrebbe fatto quella sera, come sarebbe uscita vestita, chi avrebbe visto, lasciandole immaginare come sarebbe finita la serata.
Provò piacere nella differenza sociale tra loro, ormai un baratro irrecuperabile. Si sentì eccitata nel pensare che mentre lei andava a fare shopping per una serata di divertimento e di sesso, la sua amica di infanzia sarebbe stata costretta a stare a casa a pulire pavimenti e a stirare i vestiti che lei quella sera avrebbe indossato.
“Sarai bellissima, Isabella”.
La ragazza pensò esclusivamente al proprio piacere, immaginando la mortificazione dell’amica e provando, da questo suo pensiero, ulteriore eccitazione.
Prima di alzarsi le porse la mano da baciare. Le sembrò di vedere un’ombra sul viso della ragazza accucciata a terra, seppur mascherato da un sorriso. A seguito di questa sensazione le porse nuovamente la mano, pensando, però, che quell’ulteriore bacio lo avrebbe voluto sul suo piede.
“Dai tesorina mia, dammi ancora un bacetto”.
Anche Noemi percepì l’ombra nell’espressione di Erica.
“Vieni tesorina, bacia anche la mia e poi vai a lavorare, noi dobbiamo andare a prepararci”.
Nessuno delle due confessò all’altra di avere provato eccitazione ed umido tra le cosce, aumentato quando, per andare a dare l’ultimo bacio a Noemi, Erica si spostò a 4 zampe.
La piega era ormai presa.
Nessuno di loro ammise agli altri ciò che in realtà si era fatto strada sempre più prepotentemente nelle loro viscere, circolando sottopelle fino a raggiungere quell’area indefinita del piacere e dell’eccitazione.
Sapevano, ricordavano, che Erica stava in quella casa grazie agli stessi soldi della famiglia della ragazza, ma l’egoismo ed il perseguimento del piacere che ottenebra quella lucidità della quale erano sempre stati fieri, erano sempre più forti.
Si allontanava sempre più il loro originario pensiero di contrarietà alla schiavitù ogni qual volta Erica li serviva, o si accucciava a terra tra le poltrone, o puliva a terra e stirava mentre loro andavano in palestra, o ritirava in cucina dopo che Noemi aveva sporcato anche appositamente pensando alla ragazza che tanto poi avrebbe pulito.
Non pensavano e non vedevano Erica quale loro schiava, la pensavano sempre ospite ed amica, quale adempimento all’accordo coi suoi genitori, tuttavia non solo non si facevano scrupoli nel farsi servire, ma ne traevano piacere.
Sempre col sorriso e con una carezza al capo, dissero ad Erica che avrebbe dovuto andare ad accoglierli ad ogni loro rientro in casa, così da prendere eventuali pacchi, borsette, soprabiti.
Alla famiglia non sembrò che la ragazza avesse gradito questo nuovo incombente che creava sempre più una distanza tra loro.
Erica avanzò qualche piccola resistenza ma Noemi la abbracciò forte e le disse che avrebbe gradito tanto tanto tanto questa sua delicatezza e attenzione. La accarezzò delicatamente passandole la mano tra i capelli, con una dolcezza tipica di un genitore.
“Vero che faresti questo gesto gentile per tutti noi?”.
L’incertezza sul viso fu in contrasto con la risposta.
“Certo Noemi, sarà un piacere per me”.
Erica iniziò così ad accorrere ogni qual volta sentisse aprirsi la porta di casa, interrompendo ogni attività.
Riceveva un saluto caloroso e tanti sorrisi, sempre sinceri e sentiti. Tutti e tre veramente provavano affetto per lei, per la sua storia, per la vicinanza tra le famiglie, ma era irresistibile avere una serva in casa che, come una cagnolina, correva a salutarli e a baciar loro la mano.
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