Come sono diventato sottomesso a mia moglie Nono episodio - Storia vera
di
DavideSebastiani
genere
dominazione
Ora, detto questo, non crediate che pensavo a queste cose ogni istante. La vita trascorreva in modo normale e se c’era da incazzarmi con lei lo facevo senza problemi. Eravamo una coppia normalissima, anzi, ero io quello che dirigeva la famiglia e a lei la cosa piaceva non poco. Non faceva un passo se prima non chiedeva un mio consiglio, a casa si occupava di tutte le faccende domestiche senza rompermi e senza chiedermi alcun tipo di aiuto e lo faceva con felicità, col piacere di viziare il suo amato maritino. La mattina mi preparava la mia prima colazione e mi osservava come ero vestito, mi sistemava il collo della camicia o il maglioncino e poi mi dava l’ok per andare al lavoro. Mi preparava, ovviamente, anche pranzetti e cenette squisite. Prima di sposarci, non era una cuoca provetta, a dir la verità, ma aveva chiesto consiglio a mia madre che invece era degna di Masterchef, per imparare a preparare le pietanze di cui ero ghiotto. Quasi una donna con caratteristiche e desideri di generazioni passate ma al passo coi tempi per tutto il resto.
A 28 anni smise l’agonismo. Davvero pochi per una judoka. Dopo la gravidanza non era più tornata quella di prima e le soddisfazioni cominciavano a scarseggiare. Forse la delusione per non essere mai riuscita ad andare alle Olimpiadi e ai mondiali fu il motivo principale di quella decisione. Fu purtroppo anche questione di sfortuna. Calando di peso si trovava in una categoria dove c’erano in Italia due atlete formidabili, una delle quali divenne addirittura campionessa del mondo. Se invece passava alla categoria superiore, si scontrava con atlete molto più massicce di lei con ovvie difficoltà. E siccome alle grandi manifestazioni ogni nazione può portare soltanto un’atleta per categoria di peso, le venne sempre preclusa questa grande soddisfazione riuscendo però a vestire la casacca della Nazionale senior in manifestazioni internazionali, sia pur di livello inferiore e naturalmente a partecipare a vari tornei. E si regalò splendide soddisfazioni soprattutto nella categoria a squadre. Chiuse comunque la carriera con una splendida medaglia di bronzo in una manifestazione di interesse mondiale, a dimostrazione che avrebbe potuto ancora competere ad altissimi livelli con le più forti judoka del mondo ma la sua decisione era stata presa e non sarebbe più tornata indietro. Con una bambina di pochi anni non se la sentiva più di girare per il mondo. Ne parlammo a lungo prima di quel torneo e provai anche a dissuaderla chiedendole di posticipare il suo ritiro di almeno un paio d’anni e che alla bambina avrei provveduto io con l’aiuto di mia madre e dei suoi genitori ma non ci fu nulla da fare. Forse la prima volta che non volle ascoltare un mio consiglio. Durante la premiazione di quell’ultimo torneo, pianse a dirotto coinvolgendo anche le altre atlete sul podio che erano al corrente della sua decisione e che l’abbracciarono amorevolmente, proprio come feci io che avevo assistito al suo torneo d’addio. Il judo però ancora l’appassionava e decise di mettersi ad insegnare ai ragazzi ed io la mia campionessa me la sarei comunque potuta ammirare anche in seguito.
Sembra strano ma se fino al momento in cui la sua carriera agonistica era ancora viva io ero riuscito a limitare le mie pulsioni, quando invece smise, il mio desiderio nei suoi confronti, e non parlo di semplice desiderio sessuale ma di QUEL desiderio, quello di sottomettermi a lei dopo essere stato sconfitto, dopo essere stato immobilizzato, dopo insomma che lei mi avesse dimostrato di essere la più forte, aumentò a dismisura. Non ce la facevo più. Mi pesava soprattutto quel segreto che custodivo gelosamente e cominciavo sempre più a desiderare di fare outing, di raccontarle chi fosse veramente l’uomo che aveva sposato, le mie sensazioni e i miei desideri. Prima mezze parole, piccole ammissioni, ad esempio. Quali? Cominciavo a dirle che mi dava fastidio la sua passività e che, malgrado ciò che poteva sembrare, io avevo stima delle donne che si facevano rispettare e non di quelle che accettavano tutto in silenzio come era solita fare lei, che mi piacevano quelle che prendevano in mano la situazione e non quelle che si lasciavano trascinare. Insomma, non le dicevo che mi piacevano quelle dominanti ma ci andavo vicino. Aggiungevo poi che era strano che una donna con quelle capacità non avesse mai avuto il desiderio di farsi rivalere anche in ambito matrimoniale ma lei sembrò non recepire mai questa mia provocazione. Anzi, ci furono anche alcune discussioni. Lei non accettava, ovviamente e giustamente, le mie critiche. Mi diceva che quello era il suo carattere e che l’avevo sposata ben conoscendo le sue caratteristiche psicologiche. Lei insomma era quella e non poteva essere un’altra. Parole sacrosante.
E un bel giorno, anzi, una bruttissima sera, decisi che le avrei confessato le mie sensazioni e i miei bisogni. Cosa volessi in realtà non lo so nemmeno io. Forse, più che aspettarmi che lei mi dicesse che acconsentiva ad accontentarmi, volevo semplicemente dirle chi fossi in realtà, confessarle una volta per tutte le mie sensazioni. In fondo, era intelligente, aperta e avrebbe senz’altro compreso, se non accettato. Si, col cazzo, per usare un altro francesismo. Pianse tutte le lacrime che aveva solo perché le confessai che a me piacevano le donne forti e dominanti, mi disse che ero un falso e che l’avevo sposata solo per le sue caratteristiche atletiche e non per amore. Provai a controbattere ma fu inutile. Mi mise alla porta quella sera stessa.
Non sto a dirvi di come trascorsi quegli otto mesi. Sì, perché la nostra separazione durò otto maledetti mesi. E mezzo, per essere precisi. Terminata la prima fase dove lei mi diede praticamente del pervertito, il nostro rapporto fu improntato sul rispetto e sull’educazione ma non posso nascondere che ce l’avevo con lei. Dove era andato a finire tutto l’amore che diceva di avere nei miei confronti? Mi aveva trattato come se fossi un pedofilo, un violentatore, senza comprendere ciò che veramente avrei voluto, ovvero amarla e adorarla. In modo forse anomalo ma sempre di amore si trattava. Mi chiedevo anche cosa mi aspettassi dopo quella confessione. Davvero credevo che lei avrebbe fatto salti di gioia e il giorno seguente sarebbe diventata la mia padrona severa ed autoritaria? Lei che non alzava mai la voce? Ovvio che no. Io avevo soltanto bisogno di sfogarmi, di confessare una volta per tutte le mie sensazioni. E con chi avrei potuto farlo se non con mia moglie? Mi resi invece conto che avevo completamente sbagliato ma sinceramente non mi sarei mai aspettato una reazione del genere.
A 28 anni smise l’agonismo. Davvero pochi per una judoka. Dopo la gravidanza non era più tornata quella di prima e le soddisfazioni cominciavano a scarseggiare. Forse la delusione per non essere mai riuscita ad andare alle Olimpiadi e ai mondiali fu il motivo principale di quella decisione. Fu purtroppo anche questione di sfortuna. Calando di peso si trovava in una categoria dove c’erano in Italia due atlete formidabili, una delle quali divenne addirittura campionessa del mondo. Se invece passava alla categoria superiore, si scontrava con atlete molto più massicce di lei con ovvie difficoltà. E siccome alle grandi manifestazioni ogni nazione può portare soltanto un’atleta per categoria di peso, le venne sempre preclusa questa grande soddisfazione riuscendo però a vestire la casacca della Nazionale senior in manifestazioni internazionali, sia pur di livello inferiore e naturalmente a partecipare a vari tornei. E si regalò splendide soddisfazioni soprattutto nella categoria a squadre. Chiuse comunque la carriera con una splendida medaglia di bronzo in una manifestazione di interesse mondiale, a dimostrazione che avrebbe potuto ancora competere ad altissimi livelli con le più forti judoka del mondo ma la sua decisione era stata presa e non sarebbe più tornata indietro. Con una bambina di pochi anni non se la sentiva più di girare per il mondo. Ne parlammo a lungo prima di quel torneo e provai anche a dissuaderla chiedendole di posticipare il suo ritiro di almeno un paio d’anni e che alla bambina avrei provveduto io con l’aiuto di mia madre e dei suoi genitori ma non ci fu nulla da fare. Forse la prima volta che non volle ascoltare un mio consiglio. Durante la premiazione di quell’ultimo torneo, pianse a dirotto coinvolgendo anche le altre atlete sul podio che erano al corrente della sua decisione e che l’abbracciarono amorevolmente, proprio come feci io che avevo assistito al suo torneo d’addio. Il judo però ancora l’appassionava e decise di mettersi ad insegnare ai ragazzi ed io la mia campionessa me la sarei comunque potuta ammirare anche in seguito.
Sembra strano ma se fino al momento in cui la sua carriera agonistica era ancora viva io ero riuscito a limitare le mie pulsioni, quando invece smise, il mio desiderio nei suoi confronti, e non parlo di semplice desiderio sessuale ma di QUEL desiderio, quello di sottomettermi a lei dopo essere stato sconfitto, dopo essere stato immobilizzato, dopo insomma che lei mi avesse dimostrato di essere la più forte, aumentò a dismisura. Non ce la facevo più. Mi pesava soprattutto quel segreto che custodivo gelosamente e cominciavo sempre più a desiderare di fare outing, di raccontarle chi fosse veramente l’uomo che aveva sposato, le mie sensazioni e i miei desideri. Prima mezze parole, piccole ammissioni, ad esempio. Quali? Cominciavo a dirle che mi dava fastidio la sua passività e che, malgrado ciò che poteva sembrare, io avevo stima delle donne che si facevano rispettare e non di quelle che accettavano tutto in silenzio come era solita fare lei, che mi piacevano quelle che prendevano in mano la situazione e non quelle che si lasciavano trascinare. Insomma, non le dicevo che mi piacevano quelle dominanti ma ci andavo vicino. Aggiungevo poi che era strano che una donna con quelle capacità non avesse mai avuto il desiderio di farsi rivalere anche in ambito matrimoniale ma lei sembrò non recepire mai questa mia provocazione. Anzi, ci furono anche alcune discussioni. Lei non accettava, ovviamente e giustamente, le mie critiche. Mi diceva che quello era il suo carattere e che l’avevo sposata ben conoscendo le sue caratteristiche psicologiche. Lei insomma era quella e non poteva essere un’altra. Parole sacrosante.
E un bel giorno, anzi, una bruttissima sera, decisi che le avrei confessato le mie sensazioni e i miei bisogni. Cosa volessi in realtà non lo so nemmeno io. Forse, più che aspettarmi che lei mi dicesse che acconsentiva ad accontentarmi, volevo semplicemente dirle chi fossi in realtà, confessarle una volta per tutte le mie sensazioni. In fondo, era intelligente, aperta e avrebbe senz’altro compreso, se non accettato. Si, col cazzo, per usare un altro francesismo. Pianse tutte le lacrime che aveva solo perché le confessai che a me piacevano le donne forti e dominanti, mi disse che ero un falso e che l’avevo sposata solo per le sue caratteristiche atletiche e non per amore. Provai a controbattere ma fu inutile. Mi mise alla porta quella sera stessa.
Non sto a dirvi di come trascorsi quegli otto mesi. Sì, perché la nostra separazione durò otto maledetti mesi. E mezzo, per essere precisi. Terminata la prima fase dove lei mi diede praticamente del pervertito, il nostro rapporto fu improntato sul rispetto e sull’educazione ma non posso nascondere che ce l’avevo con lei. Dove era andato a finire tutto l’amore che diceva di avere nei miei confronti? Mi aveva trattato come se fossi un pedofilo, un violentatore, senza comprendere ciò che veramente avrei voluto, ovvero amarla e adorarla. In modo forse anomalo ma sempre di amore si trattava. Mi chiedevo anche cosa mi aspettassi dopo quella confessione. Davvero credevo che lei avrebbe fatto salti di gioia e il giorno seguente sarebbe diventata la mia padrona severa ed autoritaria? Lei che non alzava mai la voce? Ovvio che no. Io avevo soltanto bisogno di sfogarmi, di confessare una volta per tutte le mie sensazioni. E con chi avrei potuto farlo se non con mia moglie? Mi resi invece conto che avevo completamente sbagliato ma sinceramente non mi sarei mai aspettato una reazione del genere.
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