Pigmei - schiava della tribu' (parte 7)
di
Kugher
genere
sadomaso
La sera nella quale era programmata la fuga di Chanel e le sue colleghe di schiavitù, ci fu l’evento che coinvolgeva tutta la tribù.
La mattina fu dedicata alla normale attività del campo.
La cena richiese invece il lavoro di tutti per l’intero pomeriggio.
Le schiave nella loro totalità vennero coinvolte per la preparazione sotto la direzione delle persone incaricate che ormai da tempo svolgevano quell’incarico.
Chanel non temeva quell’evento poiché sapeva che sarebbe giusto stata chiamata a servire il suo Padrone. In quanto schiava del capo non sarebbe stata coinvolta nei giochi di fine serata e, sperava, quella sarebbe stata l’ultima festa della tribù alla quale avrebbe assistito.
Anche le ultime tre schiave appena catturate furono costrette a prestare il loro servizio. Ancora non conoscevano gli usi e le abitudini e le donne della tribù le assegnarono ad attività semplici, quali gli spostamenti degli oggetti, l’approvvigionamento di legna per cucinare all’aperto, la predisposizione dei supporti sui quali sarebbero stati poggiati i cibi preparati.
Un paio di pigmee erano a cavallo delle schiave e giravano per il campo a controllare l’attività nel suo insieme. Avevano in mano l’immancabile scudiscio con il quale incitavano o correggevano le schiave.
Chanel notò che non vennero mai picchiate le nuove arrivate. La cosa non la sorprese in quanto avrebbero dovuto ancora essere testate dal capo villaggio e dovevano essergli presentate intonse.
Le nuove schiave erano spaesate, impaurite. Ovviamente loro non capirono il motivo per il quale furono risparmiate e, paradossalmente, la cosa sembrò preoccuparle in quanto si pensavano destinate a qualcosa di grave.
Elena, la probabile futura cavalla del capo, cercava di fare domande. Si avvicinò anche a Chanel, ma nessuna ebbe il tempo di rispondere in quanto controllate dalle pigmee.
Finalmente tutto fu pronto.
Le schiave si inginocchiarono intorno allo spiazzo che avrebbe ospitato l’evento. Non ci fu bisogno di nessun ordine in quanto tutte sapevano cosa e come fare.
Attesero l’arrivo di tutti. Il tempo passò e le ginocchia facevano loro male, ma sapevano che non avrebbero potuto muoversi o alzarsi, sempre sotto il controllo di un paio di donne della tribù munite dell’immancabile scudiscio.
Una delle schiave, la tedesca Helga, ebbe una crisi e si lasciò cadere a terra. Non venne frustata, ma ricevette un calcio e fu tirata per i capelli per essere rimessa al posto.
Tutte le schiave, prima di prendere posizione, avevano fatto i loro bisogni in quanto sapevano che da quel momento in poi non avrebbero più avuto tempo per loro stesse.
L’arrivo del capo a cavallo di Camille diede il via ai festeggiamenti.
Le schiave si alzarono e iniziarono a servire i presenti. Portarono loro il cibo e si inginocchiavano subito dopo in attesa del prossimo servizio. Tenevano la testa china senza però perdere di vista i gesti dei Padroni.
Una schiava doveva continuamente andare a riempire le sacche per l’acqua. Non si fermava mai e il peso che doveva portare era notevole. Nessun tempo per il riposo.
Continuava a fare avanti e indietro senza che i Padroni si interessassero della sua stanchezza. Verso la fine della serata era sfinita. Inciampò e fece rovinare a terra la sacca dalla quale uscì tutta l’acqua. Chanel osservò divertita il pigmeo che, spazientito, subito la frustò. Ormai guardava quelle scene con il distacco tipico di chi sa che sta per partire e non si sente più coinvolta in quel mondo che già non le appartiene più.
Tutti i componenti della tribù sedevano a terra. Unica eccezione era costituita dal capo villaggio che fece mettere accucciata la cavalla per sedersi sopra.
Chanel si accucciò ai suoi piedi. Monique poco distante, sempre accucciata a terra, in attesa di essere chiamata a servire il Padrone.
Non era nemmeno servito l’ordine. La schiava sapeva cosa avrebbe dovuto fare e i mesi trascorsi le avevano anche insegnato quale sarebbe stato il posto scelto dal Padrone per la cena.
Le nuove schiave, incapaci ancora di servire a dovere, vennero legate ai bordi del campo, in modo che vedessero tutto quanto sarebbe accaduto. Per i pigmei era un modo per educare le schiave a capire le esigenze e le abitudini dei Padroni.
Nessuno le toccò, nemmeno per soddisfare i bisogni sessuali che i festeggiamenti generavano. Per questo servizio venivano utilizzate la schiave che in quel momento non stavano servendo nessuno.
Le nuove arrivate erano allibite. Una pianse tutto il tempo ma lo fece in maniera tale da non essere sentita.
Chanel era terrorizzata invece che qualcosa potesse andare male. Il Padrone avrebbe potuto cambiarla quella sera stessa, oppure, per divertirsi, usarla e poi legarla o rinchiuderla da qualche parte. Qualche volta era successo.
Quella sera non si divertì nemmeno al momento del gioco serale dei Padroni. Solitamente osservava quanto avveniva alla fine della cena con distacco e piacere, sapendo che non ne sarebbe stata coinvolta finchè avrebbe avuto il ruolo di schiava del capo.
Ogni volta cambiavano il gioco.
Quella sera decisero di fare la corsa delle cavalle.
Qualche volta avevano già fatto quel gioco. Qualsiasi attività avessero deciso di fare sarebbe costata dolore e fatica alle schiave che, in quegli eventi, venivano coinvolte nella loro totalità.
Furono radunate tutte, ad eccezione delle nuove, e fatte mettere a 4 zampe. Sopra le loro schiene venne messa una piccola sella che avrebbe impedito al fantino o alla fantina di scivolare a causa del sudore dell’animale. Le munirono anche di protezioni a mani e ginocchia.
I pigmei e le pigmee che avrebbero partecipato alla corsa furono estratti a sorte. Non conoscendo soldi, non vi erano scommesse, se non il piacere del tifo ed il divertimento.
Il fantino (o fantina) vincitore avrebbe avuto una schiava dedicata fino alla successiva serata della tribù.
Le schiave vennero montate e messe tutte in fila. Il percorso era noto a tutte e sarebbe consistito nel giro all’estremità dell’area dedicata alla cena, consentendo a tutti di vedere il passaggio della corsa più volte da qualsiasi posizione avessero scelto.
Vinceva il fantino la cui schiava cavalla avrebbe ceduto per ultima. Non vi erano premi per la schiava vittoriosa.
Le schiave nuove erano atterrite e guardavano la scena come se facesse parte di un altro mondo del quale loro erano solo spettatrici invece che attrici.
La corsa ebbe inizio. Ciascun fantino o fantina aveva a disposizione un piccolo bastone per frustare la cavalla e nessuno si faceva scrupoli ad usarlo.
Picchiavano per incitare, così come guidavano la cavalla stando appoggiati con le mani sulle loro spalle, anche per tenere l’equilibrio, ma tenendo stretti i capelli lunghi delle bestie che spesso tiravano per dare maggior vigore.
Le cavalle davano il meglio perché avevano paura delle reazioni di chi le stava cavalcando in caso di sconfitta.
Le prime che cedevano solitamente per tutto il tempo tra quella serata e la successiva, venivano destinate ai lavori più faticosi ed umilianti.
Le cavalle facevano fatica anche se, ormai, erano abituate a quel modo di procedere. In tante erano schiave da molto tempo.
In seconda posizione c’era una pigmea nota per le sue preferenze sessuali verso le donne. Era molto esigente con le schiave e spesso le usava per godere o altri giochi erotici sempre a sfondo dominante.
Non era mai riuscita ad avere una schiava a lei dedicata.
Aveva anche provato ad allenare una cavalla ma, al momento opportuno, la scelta dell’animale da montare era stata imposta ad estrazione. Fu molto contrariata anche perché la cavalla che aveva allenato aveva vinto la corsa.
La pigmea aveva anche capito che più lei fosse stata leggera, maggiore sarebbe stata la possibilità di vincere. Così aveva cercato di perdere peso, a fatica, in quanto non era più giovanissima.
Non ebbe pietà verso la cavalla che spronò, stando però attenta a non commettere l’errore delle altre volte, cioè di sfinire l’animale col dolore delle frustate. Così decise di dare colpi frequenti ma non fortissimi, in modo da stimolare la corsa senza sottrarre attenzioni ed energie alla bestia.
Dosò con attenzione colpi e tirate per i capelli. Nel corso degli anni aveva anche studiato il modo di cavalcare e le traiettorie.
Intanto dietro di lei molte schiave cedevano, facendo cadere il fantino o la fantina. Aveva davanti un’altra pigmea che, però, stava picchiando troppo la cavalla, così decise di starle dietro senza spingere eccessivamente, in attesa e continuando a controllare la distanza ancora da percorrere.
Quella in testa si sentiva pressata dalla sua presenza e picchiava la cavalla fino a che non accadde ciò che la pigmea in seconda posizione si aspettava, cioè che l’animale cedette.
Si guardò dietro ed ebbe la conferma di essere l’unica rimasta in competizione.
Tirò i capelli della cavalla come se fossero delle briglie per farla fermare. Ancora eccitata per la vittoria, lasciò la schiava a 4 zampe e le salì in piedi sulla schiena a braccia levate al cielo, tra risate e urla di gioia.
La vincitrice, sotto le risate di tutti, non aspettò nemmeno la fine della cena. Legò una corda al collo della schiava e, facendosi seguire a 4 zampe, se la portò nella sua capanna.
La mattina fu dedicata alla normale attività del campo.
La cena richiese invece il lavoro di tutti per l’intero pomeriggio.
Le schiave nella loro totalità vennero coinvolte per la preparazione sotto la direzione delle persone incaricate che ormai da tempo svolgevano quell’incarico.
Chanel non temeva quell’evento poiché sapeva che sarebbe giusto stata chiamata a servire il suo Padrone. In quanto schiava del capo non sarebbe stata coinvolta nei giochi di fine serata e, sperava, quella sarebbe stata l’ultima festa della tribù alla quale avrebbe assistito.
Anche le ultime tre schiave appena catturate furono costrette a prestare il loro servizio. Ancora non conoscevano gli usi e le abitudini e le donne della tribù le assegnarono ad attività semplici, quali gli spostamenti degli oggetti, l’approvvigionamento di legna per cucinare all’aperto, la predisposizione dei supporti sui quali sarebbero stati poggiati i cibi preparati.
Un paio di pigmee erano a cavallo delle schiave e giravano per il campo a controllare l’attività nel suo insieme. Avevano in mano l’immancabile scudiscio con il quale incitavano o correggevano le schiave.
Chanel notò che non vennero mai picchiate le nuove arrivate. La cosa non la sorprese in quanto avrebbero dovuto ancora essere testate dal capo villaggio e dovevano essergli presentate intonse.
Le nuove schiave erano spaesate, impaurite. Ovviamente loro non capirono il motivo per il quale furono risparmiate e, paradossalmente, la cosa sembrò preoccuparle in quanto si pensavano destinate a qualcosa di grave.
Elena, la probabile futura cavalla del capo, cercava di fare domande. Si avvicinò anche a Chanel, ma nessuna ebbe il tempo di rispondere in quanto controllate dalle pigmee.
Finalmente tutto fu pronto.
Le schiave si inginocchiarono intorno allo spiazzo che avrebbe ospitato l’evento. Non ci fu bisogno di nessun ordine in quanto tutte sapevano cosa e come fare.
Attesero l’arrivo di tutti. Il tempo passò e le ginocchia facevano loro male, ma sapevano che non avrebbero potuto muoversi o alzarsi, sempre sotto il controllo di un paio di donne della tribù munite dell’immancabile scudiscio.
Una delle schiave, la tedesca Helga, ebbe una crisi e si lasciò cadere a terra. Non venne frustata, ma ricevette un calcio e fu tirata per i capelli per essere rimessa al posto.
Tutte le schiave, prima di prendere posizione, avevano fatto i loro bisogni in quanto sapevano che da quel momento in poi non avrebbero più avuto tempo per loro stesse.
L’arrivo del capo a cavallo di Camille diede il via ai festeggiamenti.
Le schiave si alzarono e iniziarono a servire i presenti. Portarono loro il cibo e si inginocchiavano subito dopo in attesa del prossimo servizio. Tenevano la testa china senza però perdere di vista i gesti dei Padroni.
Una schiava doveva continuamente andare a riempire le sacche per l’acqua. Non si fermava mai e il peso che doveva portare era notevole. Nessun tempo per il riposo.
Continuava a fare avanti e indietro senza che i Padroni si interessassero della sua stanchezza. Verso la fine della serata era sfinita. Inciampò e fece rovinare a terra la sacca dalla quale uscì tutta l’acqua. Chanel osservò divertita il pigmeo che, spazientito, subito la frustò. Ormai guardava quelle scene con il distacco tipico di chi sa che sta per partire e non si sente più coinvolta in quel mondo che già non le appartiene più.
Tutti i componenti della tribù sedevano a terra. Unica eccezione era costituita dal capo villaggio che fece mettere accucciata la cavalla per sedersi sopra.
Chanel si accucciò ai suoi piedi. Monique poco distante, sempre accucciata a terra, in attesa di essere chiamata a servire il Padrone.
Non era nemmeno servito l’ordine. La schiava sapeva cosa avrebbe dovuto fare e i mesi trascorsi le avevano anche insegnato quale sarebbe stato il posto scelto dal Padrone per la cena.
Le nuove schiave, incapaci ancora di servire a dovere, vennero legate ai bordi del campo, in modo che vedessero tutto quanto sarebbe accaduto. Per i pigmei era un modo per educare le schiave a capire le esigenze e le abitudini dei Padroni.
Nessuno le toccò, nemmeno per soddisfare i bisogni sessuali che i festeggiamenti generavano. Per questo servizio venivano utilizzate la schiave che in quel momento non stavano servendo nessuno.
Le nuove arrivate erano allibite. Una pianse tutto il tempo ma lo fece in maniera tale da non essere sentita.
Chanel era terrorizzata invece che qualcosa potesse andare male. Il Padrone avrebbe potuto cambiarla quella sera stessa, oppure, per divertirsi, usarla e poi legarla o rinchiuderla da qualche parte. Qualche volta era successo.
Quella sera non si divertì nemmeno al momento del gioco serale dei Padroni. Solitamente osservava quanto avveniva alla fine della cena con distacco e piacere, sapendo che non ne sarebbe stata coinvolta finchè avrebbe avuto il ruolo di schiava del capo.
Ogni volta cambiavano il gioco.
Quella sera decisero di fare la corsa delle cavalle.
Qualche volta avevano già fatto quel gioco. Qualsiasi attività avessero deciso di fare sarebbe costata dolore e fatica alle schiave che, in quegli eventi, venivano coinvolte nella loro totalità.
Furono radunate tutte, ad eccezione delle nuove, e fatte mettere a 4 zampe. Sopra le loro schiene venne messa una piccola sella che avrebbe impedito al fantino o alla fantina di scivolare a causa del sudore dell’animale. Le munirono anche di protezioni a mani e ginocchia.
I pigmei e le pigmee che avrebbero partecipato alla corsa furono estratti a sorte. Non conoscendo soldi, non vi erano scommesse, se non il piacere del tifo ed il divertimento.
Il fantino (o fantina) vincitore avrebbe avuto una schiava dedicata fino alla successiva serata della tribù.
Le schiave vennero montate e messe tutte in fila. Il percorso era noto a tutte e sarebbe consistito nel giro all’estremità dell’area dedicata alla cena, consentendo a tutti di vedere il passaggio della corsa più volte da qualsiasi posizione avessero scelto.
Vinceva il fantino la cui schiava cavalla avrebbe ceduto per ultima. Non vi erano premi per la schiava vittoriosa.
Le schiave nuove erano atterrite e guardavano la scena come se facesse parte di un altro mondo del quale loro erano solo spettatrici invece che attrici.
La corsa ebbe inizio. Ciascun fantino o fantina aveva a disposizione un piccolo bastone per frustare la cavalla e nessuno si faceva scrupoli ad usarlo.
Picchiavano per incitare, così come guidavano la cavalla stando appoggiati con le mani sulle loro spalle, anche per tenere l’equilibrio, ma tenendo stretti i capelli lunghi delle bestie che spesso tiravano per dare maggior vigore.
Le cavalle davano il meglio perché avevano paura delle reazioni di chi le stava cavalcando in caso di sconfitta.
Le prime che cedevano solitamente per tutto il tempo tra quella serata e la successiva, venivano destinate ai lavori più faticosi ed umilianti.
Le cavalle facevano fatica anche se, ormai, erano abituate a quel modo di procedere. In tante erano schiave da molto tempo.
In seconda posizione c’era una pigmea nota per le sue preferenze sessuali verso le donne. Era molto esigente con le schiave e spesso le usava per godere o altri giochi erotici sempre a sfondo dominante.
Non era mai riuscita ad avere una schiava a lei dedicata.
Aveva anche provato ad allenare una cavalla ma, al momento opportuno, la scelta dell’animale da montare era stata imposta ad estrazione. Fu molto contrariata anche perché la cavalla che aveva allenato aveva vinto la corsa.
La pigmea aveva anche capito che più lei fosse stata leggera, maggiore sarebbe stata la possibilità di vincere. Così aveva cercato di perdere peso, a fatica, in quanto non era più giovanissima.
Non ebbe pietà verso la cavalla che spronò, stando però attenta a non commettere l’errore delle altre volte, cioè di sfinire l’animale col dolore delle frustate. Così decise di dare colpi frequenti ma non fortissimi, in modo da stimolare la corsa senza sottrarre attenzioni ed energie alla bestia.
Dosò con attenzione colpi e tirate per i capelli. Nel corso degli anni aveva anche studiato il modo di cavalcare e le traiettorie.
Intanto dietro di lei molte schiave cedevano, facendo cadere il fantino o la fantina. Aveva davanti un’altra pigmea che, però, stava picchiando troppo la cavalla, così decise di starle dietro senza spingere eccessivamente, in attesa e continuando a controllare la distanza ancora da percorrere.
Quella in testa si sentiva pressata dalla sua presenza e picchiava la cavalla fino a che non accadde ciò che la pigmea in seconda posizione si aspettava, cioè che l’animale cedette.
Si guardò dietro ed ebbe la conferma di essere l’unica rimasta in competizione.
Tirò i capelli della cavalla come se fossero delle briglie per farla fermare. Ancora eccitata per la vittoria, lasciò la schiava a 4 zampe e le salì in piedi sulla schiena a braccia levate al cielo, tra risate e urla di gioia.
La vincitrice, sotto le risate di tutti, non aspettò nemmeno la fine della cena. Legò una corda al collo della schiava e, facendosi seguire a 4 zampe, se la portò nella sua capanna.
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