I racconti di Angelica. - La storia di Adela -

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dominazione

18. Adela
Ho sposato tuo padre che avevo solo sedici anni e tu sei nata poco dopo.
La prima cosa che devi sapere che quello che tu chiami papà, in realtà è tuo zio.
Il tuo vero padre era suo fratello Ernesto che è morto per una caduta da cavallo.
Ernesto era un bellissimo uomo.
Alto, forte e coraggioso.
Cavalcava giumente e donne come se fossero la stessa cosa ed io mi innamorai di lui anche se avevo solo dodici anni.
Quando lo vidi per la prima volta, era in groppa al suo bel cavallo nero che guidava una piccola carovana fatta di carri malandati.
La sua famiglia stava prendendo possesso di queste terre.
Io abitavo nel villaggio vicino.
Vivevo con mia mamma e mia sorella.
Mio padre era sparito dopo che ero nata.
Mia sorella che era più grande di me era a servizio del padre di Don Jose.
Faceva la cameriera e spesso finiva nel letto del padrone.
Anche il padre di Don Jose aveva l’abitudine di molestare le mogli e le figlie dei suoi contadini.

Ernesto aveva portato con sé la sua famiglia che era composta soltanto dalla vecchia madre e da suo fratello Adolfo che aveva la mia stessa età.
Si sistemarono in questa casa e la rimisero a posto in pochissimo tempo.
Poi cominciarono a coltivare le terre che il padre di Don Jose gli aveva affidato.
Ernesto all’epoca aveva già compiuto quarant’anni, ma ne dimostrava qualcuno in meno.
Appena i vicini di casa capirono che Ernesto era un uomo capace e intelligente gli chiesero di aiutarli a coltivare meglio le loro terre.
Ernesto, generoso per natura ma anche lungimirante, accettò consigliandoli ed istruendoli.
Il padre di Don Jose venuto a sapere della cosa, lo mando a chiamare e gli propose di diventare il suo uomo di fiducia.
Ernesto ambizioso accettò.
Gli altri contadini presero di buon auspicio l’incarico ma ben presto si accorsero che Ernesto non era per niente un brav’uomo.

Con la scusa di controllare l’andamento delle attività agricole si presentava ad ogni ora del giorno ed anche della notte a casa dei contadini.

La povera gente, non volendo fargli uno sgarbo, lo accoglievano in casa chi in mutande, chi in camicia da notte, ed egli poteva gustarsi le forme delle mogli e delle figlie dei contadini.

Quando trovava una ragazza o una donna che valesse la pena di essere corteggiata, si presentava alla loro casa mentre i mariti e i padri erano nei campi.
Si faceva servire da bere ed anche da mangiare e qualche volta apprezzava con le parole e con le mani la bellezza delle padrone di casa.
I mariti e i padri seppur contrariati da questo comportamento poco potevano fare per impedirlo ed Ernesto diventò ogni giorno sempre più sfacciato ed insolente.

Un giorno uno dei mariti offesi ebbe il coraggio di affrontarlo e lui per punizione lo fece cacciare dalle terre che aveva in affitto.

Da quel momento nessun altro si lamentò dei modi di Ernesto.

Anche mio padre suo malgrado sopportava i soprusi di Ernesto che fortunatamente riguardavano solo mia mamma.
Io ero troppo piccola e mia sorella era già impegnata con il padre di Don Jose.

I problemi cominciarono quando cominciai a diventare donna.
Il mio seno si ingrossò e i miei fianchi si fecero sinuosi e sensuali.

La mia infatuazione di bambina era ovviamente finita ed ora lo vedevo più come un orco cattivo che come un uomo.
Quando arrivava a casa dei miei genitori, mia madre si doveva mettere a sua disposizione, preparargli da mangiare e servigli da bere e infine alzare le gonne per consentirgli una veloce scopata.
Un pomeriggio, quando Ernesto arrivò trovò mia madre ammalata, e quindi toccò a me servirgli da bere.

Fino a quel momento mi aveva sempre considerato come una bambina, ma quel giorno cominciò a farmi apprezzamenti prima gentili poi sempre più spinti che mi fecero diventare rossa dalla vergogna.
Per fortuna arrivò a casa mia sorella ed Ernesto dopo aver bevuto il suo vino tornò alle sue faccende.
La sera parlai con mio padre di quanto era accaduto e il pover’uomo non sapendo cosa fare, decise di andare a chiedere consiglio dal padre di Don Jose.
Mai decisione fu così funesta.
L’uomo non solo, prese a male parole mio padre ma gli intimò di portarmi al suo cospetto.
Mio padre tornò a casa con la testa bassa e un’ombra nel cuore.
Non mi disse ciò che il padrone gli aveva detto, ma mi comunicò che il giorno dopo saremo andati a casa sua.
Mia sorella quando seppe che il giorno sarei dovuta andare a casa del padrone, mi raccontò cosa mi aspettava.
L’idea di essere toccata da quel viscido mi dava i brividi e avrei preferito di gran lunga essere presa da Ernesto.

Ero convinta che sarebbe stato più semplice concedermi a Ernesto piuttosto che a quel laido del padrone.
Fu così che il giorno seguente quando Ernesto tornò a casa mia, fui io a servirlo. Ma non avevo fatto bene i miei conti.
Il padre di don Jose aveva già parlato con Ernesto ed egli intendeva rispettare il diritto di prelazione del padrone.
Quindi, nonostante io fossi più svestita del solito lui non mi toccò nemmeno con un dito.
Il mio piano sembrava destinato al fallimento, quando ebbi l’intuizione e la malizia di puntare sull’amor proprio di Ernesto.
Con la scusa di andare a prendere da bere in cucina, finsi di parlare con mia sorella e feci in modo che Ernesto ascoltasse le mie parole.
“Te l’avevo detto che era finocchio pauroso. È bastato che il suo padrone gli dicesse di non importunarmi e lui ha obbedito come un cane”.
Volli anche calcare la mano.
“ del resto l’uccello del padrone è sicuramente più grosso del suo”.
Attesi qualche secondo e poi rientrai con la brocca del vino.
Ad attendermi c’era Ernesto rosso in volto e con lo sguardo furioso e cattivo.
“Vieni un po’ qua puttanella” urlo.
“Vediamo se sono un finocchio”.
Io finsi di volermi sottrarre provando a scappare, e mi feci afferrare.
Un paio di schiaffi pesanti mi arrivarono sul volto che gettarono in terra.
Ero in ginocchio davanti a lui.
La mia faccia all’altezza del suo pube.
Si tolse la cintura e slacciò i pantaloni facendoseli cadere sulle gambe.
Non portava mutande e il suo cazzo emerse grosso e duro proprio davanti alla mia bocca.
Mi prese la testa, appoggiò la sua cappella sulle mie labbra e si spinse in avanti.
Io non opposi resistenza, aprii la bocca e lo accolsi dentro.
La violenza dei suoi colpi stava per essermi fatale.
La punta del suo cazzo sembrava potesse soffocarmi.
Riuscii a divincolarmi tirandomi indietro e caddi a terra.
Lui si gettò addosso a me con tutto il suo peso e dopo avermi sollevato la gonna mise la punta del suo cazzo sulla mia fessura ancora inviolata e si spinse con violenza dentro di me.
Non posso dire che provai piacere da quella barbara penetrazione, ma ero contenta di essermi risparmiata le attenzioni del padrone.
Venne dentro di me in fretta, riempendomi del suo abbondante sperma.
Credevo o almeno speravo che fosse finita.
Ma l’orgasmo non placò la sua rabbia.
Scivolò fuori e si alzò.
Fece schioccare la cintura e mi colpì sulle cosce nude facendomi urlare dal dolore.
Mi prese per i capelli costringendomi ad alzarmi.
Mi spinse sul tavolo e sollevò la mia gonna lasciando nude le mie natiche.
I colpi di cintura le raggiunsero lasciando una striscia rossa.
Poi sentii il suo membro ancora duro appoggiarsi sul mio culo.
Le sue mani allargarono le mie natiche e la sua cappella si appoggiò al mio ano.
Non feci in tempo a comprendere ciò che mi stava accadendo che il suo uccello già mi stava lacerando le viscere.
Lui mi urlava addosso i peggiori insulti.
Sembrava dovessi perdere i sensi, ma il dolore sempre più lancinante provocato dalla sua penetrazione mi tenne sveglia.
Quando comprese che stava per venire, uscì dal mio culo, mi tirò con violenza i capelli costringendomi prima in piedi e poi di nuovo in ginocchio.
I suoi occhi erano così pieni di rabbia che temetti per la mia vita.
Per fortuna si limitò a mettermi in bocca il suo cazzo sporco dei miei umori e della mia merda.
Lo schifo che provai mi provocò un conato di vomito che sporcò i suoi stivali.
“Puttana” urlò.
“ puliscili subito”.
Mi rifiutai e solo l’idea mi provocò un altro getto di vomito.
La sua furia si abbatté su di me.
La sua cintura mi colpì molte volte sulla schiena e non smise finché non persi i sensi.

Dopo la violenza, Ernesto andò via e non si trovò più per giorni.
Il padrone venne subito a sapere di ciò che era accaduto.
Mia sorella lo aveva volutamente confidato ad un’altra serva e dopo poche ore il padrone era a conoscenza di tutto.
Mandò a cercare Ernesto e non trovandolo mandò a chiamare mia madre.
La povera donna, da tempo malata, si presentò al cospetto del padrone pallida ed emaciata e questi per paura che avesse una malattia contagiosa la cacciò via.
Purtroppo, cacciò via anche mia sorella che rimase senza lavoro.
Ernesto nel frattempo non si trovava.
Era sparito nel nulla.
Molti pensavano fosse scappato per non subire la punizione del padrone.
Il mistero fu risolto dopo una settimana.
Il suo corpo senza vita fu trovato nei pressi di un ruscello.
Era caduto da cavallo ed aveva battuto la testa.
Solo la madre e Adolfo lo piansero.
Il padrone dimenticò presto tutto e la vita sembrò riprendere il suo corso.
Quello che non sapevo ancora e che scoprii tre mesi dopo e che ero rimasta incinta.
Sapevo che era figlio di Ernesto perché, dopo di lui io non avevo avuto rapporti con altri.
Lo confessai a Adolfo.
Adolfo, l’uomo che tu chiami papà è un uomo particolare.
Completamente diverso dal fratello, con un animo gentile e sempre premuroso. Purtroppo, non gli piacciono le donne.
Preferisce essere inculato che inculare.
Essendo compagni di giochi sapevo dell’indole di Adolfo e lo consideravo un amico fedele e sincero.
Quando seppe che aspettavo un figlio dal fratello mi propose di sposarlo ed io non volendo passare la vita con il marchio di signorina con il culo di signora accettai.
L’unico dubbio che avevo era per il sesso.
Quelle rare volte che Adolfo mi aveva vista nuda il suo sesso era rimasto inerme, mentre sapevo che di fronte ad un bel maschio prendeva immediatamente vita.
Niente di eccezionale intendiamoci ma quanto bastava per penetrare il culo di un uomo.
Adolfo comprese i miei dubbi in proposito e acconsentì che io mi sollazzassi con altri uccelli in mancanza del suo.
L’unica condizione che mi pose fu quella di non restare mai gravida.
Comunicammo alle famiglie la nostra intenzione di sposarci e ottenuto il loro benestare ci unimmo in matrimonio.
Dopo pochi mesi sei nata tu.
I tuoi tratti somatici sono quelli di Ernesto ma anche gli stessi di Adolfo e a nessuno venne mai il dubbio di chi fosse tuo padre.
La nonna morì prima che tu venissi al mondo ed è per questo motivo che porti il suo nome.
La nostra vita è proseguita serena e felice.
Adolfo ogni tanto si faceva inculare da uno dei contadini che gradiva, mentre io quasi tutti i giorni trovavo la giusta mazza da infilarmi dentro restando quasi sempre soddisfatta.
Negli ultimi tempi adopero solo quella di Bastiano.
Il ragazzo è un po' indietro di cervello ma ha un cazzo che non mi lascia mai delusa.
Continua
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2024-07-06
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