La passeggiata

di
genere
etero

Non riprenderò la mia storia esattamente da dove l’avevo lasciata, diciamo che dopo quella notte io e Nausica ci rivedemmo e vivemmo qualcosa d’importante.
Vi racconterò qualcosa che forse vi farà rendere conto di ciò che abbiamo provato l’uno per l’altra.
Era cominciato l’anno da qualche settimana, decidemmo di fare una passeggiata per il centro di Roma, chiusi la libreria e mi presi un giorno tutto per noi. Raggiungemmo Porta Flaminia con la metro, e scendemmo per Via di Ripetta, quando giungemmo in prossimità dell’Ara Pacis, risalimmo sulla strada e percorremmo Lungotevere Marzio, eravamo l’uno affianco all’altra, le nostre mani si tenevano strette, dal marciapiedi il fiume sembrava placido, eravamo affascinati dai colori e dalla luce dorata che splendeva sullo specchio d’acqua.
Seguimmo il corso del fiume a ritroso sulla strada, ignorando quanto ci stessimo allontanando dal centro storico.
All’altezza di Lungotevere dei Tebaldi scendemmo verso l’Isola Tiberina, uno dei punti più belli di Roma, con la suggestiva chiesa di San Bartolomeo e la passeggiata fra le rapide del fiume, Trastevere dalla parte opposta della riva.
Il sole calava lentamente, baciando i marmi dei palazzi, le foglie dei Platani, i riverberi del fiume, offrendo una varietà di colori che colmavano i nostri occhi.
Eravamo silenziosi, assorti, poi le parole cominciarono a trovare la strada delle labbra.
Nausica mi disse. Mi è tornata in mente spesso quella sera in campagna, le tue parole, i gesti, la cura che hai avuto di me. Ho conosciuto altri uomini nella mia vita, tutti mi hanno dato qualcosa, ma nessuno ha avuto l’attenzione che hai avuto tu quella volta. Le strinsi più forte la mano, mentre la fissavo negli occhi verdi.
Anche io penso spesso a quella sera Nausica. Le dissi. Ti ho desiderata dalla prima volta che ti ho vista, non immagini che felicità quella sera in libreria, quando ti rividi. La notte trascorsa in campagna, è stata un’esperienza unica, nessuna donna aveva fatto quello che hai fatto tu, con la tua sensibilità hai compreso cose di me, che non ho dovuto neppure spiegarti, abbiamo avuto da subito quell’empatia che a volte s’insegue per una vita, senza mai trovarla. Hai toccato la mia anima Nausica, capisci quello che voglio dire?
Seduti su un pezzo di marmo, con la luce negli occhi, ci stringemmo in un abbraccio ferrigno.
Lei mi disse. Anche tu Curzio, hai capito che non potrei fare a meno di queste attenzioni. Ci baciammo, con trasporto, passione, sentimento.
La sera stava calando, l’enorme palla infuocata era scomparsa dietro i palazzi di stucchi del lungofiume, ci alzammo e notammo che l’aria si era rinfrescata, era scesa l’umidità, attraversammo Ponte Cestio e riprendemmo la nostra passeggiata nel senso opposto, su Lungotevere Sanzio, alcuni gruppi di turisti, scattavano fotografie, sotto, nel fiume, gli ultimi battelli percorrevano il letto fluviale, di ritorno dalle gite panoramiche, la mia Nausica sembrava appagata dal significativo silenzio, colmo di speranze. Non vivevamo insieme, ognuno di noi aveva desiderato mantenere la propria libertà, quasi in un gesto di rispetto nei confronti dell’altro, per non soffocarlo, eppure, quando stavamo insieme, sembravamo una cosa sola, bastava un gesto e ci capivamo, quando ero di malumore lei sapeva sempre come farmi sorridere, io sapevo come quietare la sua rabbia, sapevo che dietro una corazza, c’era una donna che desiderava soltanto essere amata, con le sue virtù ed i suoi vizi.
Lo vuoi bere un buon tè? Le chiesi interrompendo un silenzio protratto per più di mezz’ora. Dove mi porti? Disse sorridendomi. Da Makasar, Guido ci servirà un ottimo infuso e noi ci rilasseremo nel caldo del suo emporio, come ti sembra come idea? Adoro il tè, lo sai, è lontano da qui? Qualche minuto e ci sederemo, ti assicuro che vale la pena di camminare tanto per un tè da Guido.
Svoltammo dopo qualche minuto su Ponte Vittorio Emanuele, e attraversando Via della Conciliazione, arrivammo nel pittoresco Rione di Borgo Pio, proprio a ridosso di San Pietro, quartiere di ristoranti, alberghetti e case vecchie, con stretti vicoli, dove le macchine faticano a passare e sostare.
Era buio ormai, entrammo infreddoliti, salutai Guido e ci accomodammo in un tavolo lontano dalla vetrina, nell’angolo opposto. Mi tolsi il cappotto e Nausica si tolse la giacca lunga che indossava. Sotto aveva una camicetta bianca che la fasciava completamente, aperta sul generoso decolletè, un anello di oro bianco lavorato, forse un ricordo dell’Egitto, impreziosiva la sua estremità.
Guido ci portò un infuso giapponese, con dei biscotti allo zenzero, si allontanò e riprese il suo posto dietro il bancone, la giornata stava per finire, c’erano un paio di avventori che sorseggiavano caffè turco chiacchierando del più e del meno con il proprietario.
Nausica mi prese le mani calde e le chiuse nelle sue gelide estremità, il silenzio ci avvolse di nuovo, ma il tepore di quell’angolo di Roma rendeva l’atmosfera intima e familiare.
Sentii il suo piede strusciarsi contro la mia caviglia, sorrisi, lei ricambiò maliziosamente, mi liberai delle sue mani e feci scivolare la mano destra sotto il corto tavolino, afferrai il suo ginocchio sinistro e lentamente risalii lungo la coscia, fino ad arrivare alla fine delle autoreggenti, toccai con la mano fredda il lembo di carne, Nausica ebbe un brivido, la pelle si fece d’oca, continuai a salire fino al sesso, sfiorai la sottile lingua di stoffa che copriva la fica, era bagnata di umori, la scostai e cercai il clitoride, lo trovai gonfio ed eretto alla sommità delle labbra, feci scendere il dito medio tra la fessura, a disegnare una linea verso il basso, i suoi pugni erano stretti sul tavolo, i capezzoli turgidi spingevano sotto la camicetta.
Con lo sguardo m’implorava di continuare, mentre le guance divenivano purpuree, infilai altre due dita nel sesso rorido, muovevo il polso verso il basso con sempre maggiore energia, Nausica non sapeva come arginare il piacere che la stava travolgendo, chiuse gli occhi e si passò la lingua sulle labbra secche, probabilmente la sua saliva si era asciutta completamente, i seni sembravano dovessero esplodere da un momento all’altro, tanto era tesa la camicetta. L’orgasmo giunse violento, le gambe si strinsero intorno alla mia mano, imprigionandola in una morsa feroce, i pugni batterono sul tavolo con forza ed un singulto sfuggì dalle labbra di Nausica. Guido si sporse dal bancone, mi girai e sorridendo lo rassicurai. Soltanto un biscotto per traverso, niente di grave. Nausica, lasciò che il cuore ritrovasse la normalità del suo battito, lasciò che liberassi la mano ormai calda dalle sue cosce, il colorito del suo volto tornò roseo, mentre tiravo su la mano umida del suo piacere, la catturò e la portò alla bocca, succhiandone e leccandone le dita, prima che potessi farlo io. Sorrisi eccitato.
Pagai il conto e ci accingemmo alla metro, era quasi orario di chiusura. Il viaggio nella vettura semivuota, ci permise di stare in silenzio, abbracciati, a casa avremmo fatto l’amore.
Posteggiai l’auto nel box e salimmo in casa, aprii la porta e ci dirigemmo verso la camera da letto, la feci sedere sul bordo, le tolsi gli stivali, e li riposi in un angolo, Nausica si tolse la giacca e me la porse, l’attaccai dietro la porta della stanza, feci salire le mani sotto la gonna e afferrai le autoreggenti, sfilandole una alla volta, facendo attenzione a non smagliarle, poi le tolsi la camicia bianca, infine la feci stendere sul letto e le slacciai la gonna, adesso indossava soltanto l’intimo.
Liberai i seni e li sfiorai con la punta delle dita, erano colline perfette, Nausica cercò il mio sguardo, era ebbra di amore, io pure.
Feci scivolare il perizoma prima sui fianchi e poi giù, fino alle caviglie, piegato di fronte a lei, poggiai la testa sulle sue ginocchia, lei mi carezzò la testa con le sue lunghe dita, poi infilai la faccia nel suo sesso, leccandola. Sollevò la testa e la lasciò cadere all’indietro, gemendo, il ricordo del piacere provato al negozio la faceva ancora vibrare.
Mi alzai davanti a lei, mi osservò togliermi il cappotto, il maglione, la camicia, quando fu la volta dei pantaloni, fermò le mie mani sulla cintura e continuò lei, quando i pantaloni furono a terra, tirò giù gli slip, il mio sesso svettò, lo guardò per qualche istante, quasi ammirandolo, poi lo afferrò cominciando a leccarlo, poi lo ingoiò completamente, mentre lo succhiava, lo sentivo ingrossarsi all’interno della bocca.
Si stese sul letto, portai le sue lunghe gambe sui miei fianchi, ed entrai dentro di lei, mentre ci baciavamo, nella soffusa luce della stanza.
Vedevo i suoi occhi cercarmi, il suo viso trasfigurare dal piacere, i miei movimenti erano lenti e precisi, sentivo ad ogni colpo il contrarsi dell’addome, mi accoglieva con generosità. Venimmo quasi insieme quella notte, fu molto bello, rimanemmo uno sopra l’altra, abbandonati ai nostri odori ed al sudore.
L’abbracciai da dietro, mentre le nostre gambe s’intrecciavano tra loro, il viso poggiato nell’incavo tra la spalla ed il collo, annusando il profumo dei lunghi capelli, ci addormentammo così, nessuno ci avrebbe potuto fare del male quella notte, Nausica era al sicuro con me. [gennaio 2007]

amanuense@blu.it
scritto il
2024-07-17
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