La stagione della cicala

di
genere
saffico

Conosciuta non era la parola adatta. Ci eravamo urtate, così come capita passeggiando per la città, scendendo dal bus o salendo sulla metro.
Claudia era impiegata in un'azienda di servizi, quelle che nell'ultimo decennio sono comparse come funghi all'indomani di un temporale.
Nel bar sotto il suo ufficio, io trascorrevo le mie giornate lavorative, tra un cappuccino, un marocchino ed un caffè al vetro, di qua da un bancone a volte troppo basso per evitare che la vita delle persone ti stesse proprio in faccia.
Gli occhi s'incontrarono tra un sorriso ed una battuta e in quell'attimo sembrarono volersi dire qualcosa, ma lei era sposata ed io troppo vile per spingermi oltre quei paletti che la società c'impone.
Finchè una sera ci trovammo entrambe fuori del lavoro. Io avevo un'automobile, Claudia no.
Le chiesi da che parte andasse e scoprimmo che la distanza delle nostre vite domestiche era breve come il tragitto della tazzina al bancone del bar.
Accesi la radio tenendo il volume basso, volevo cogliere quell'occasione per conoscerci, creare un filo da poter riprendere quando mi fossi sentita più coraggiosa e meno vulnerabile.
Ricordo che sorrideva, luminosa, mentre il vestito coi disegni stampati frusciava sulle cosce nude dell'estate.
Trattenni la mano prima di cedere e poggiarla sul ginocchio, rimase un po' sorpresa e fece una battuta, non capii più nulla, svoltai per una via interna affacciata sui campi, parcheggiai in una radura, sotto un salice.
Mi gettai col corpo sul suo, sentivo distintamente il profumo dei suoi capelli, la pelle sudata sapeva di gelsomino, le mie labbra trovarono le sue, carnose e sensuali, avvolgendole con un calore che non sapevo di avere, le mani si aggrapparono ai piccoli seni puntuti.
Claudia era eccitata, adesso sentivo l'odore del suo sesso bagnato in quella torrida giornata di luglio, stringevo tra le dita il cotone degli slip intrisi di umori.
Immersi il dito dentro di lei, ricavandone un grido liberatorio, mentre il muscolo pelvico si contraeva in uno spasmo di piacere; il suo corpo scivolò in un oblìo tra il calore soffocante della mia due cavalli ed il canto di una cicala.
Le sue mani annasparono nell'aria stringendo il nulla, prima di raggiungere i miei seni turgidi sotto la linda camicia da barista. Rovesciate l'una sull'altra rincorremmo un orgasmo che diluisse il primitivo languore nel quale eravamo precipitate.
Quando girai la chiave nel blocchetto e sentii il motore avviarsi dovevano essere trascorse un paio d'ore, il sole tramontava dietro i campi, una lieve brezza aveva preso a soffiare da est, carezzando i capelli spettinati di entrambe.
Ci guardammo in silenzio, complici.
Sapevamo che non sarebbe accaduto ancora, morto appena lei fosse scesa.
La riaccompagnai a casa e durante il viaggio lei scoppiò a ridere, senza motivo, prima la guardai stupita, poi iniziai a ridere anche io e man mano che il mio stomaco sobbalzava, mi sentii più leggera e felice. [marzo 2012]

amanuense@blu.it

scritto il
2024-07-24
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