La terrazza

di
genere
tradimenti

Ho cambiato più volte idee politiche nella mia vita, ho votato a destra quando era sconveniente farlo, a sinistra quando stava per emettere lo straziante canto del cigno; quello che non ho mai voluto fare è stare al centro, amo l’equilibrio ma in politica mi sono sempre piaciute le posizioni nette, voglio regole certe, non dogmi che si spostano continuamente a seconda delle circostanze.
Parlavo di politica con Eugenia in cima al suo terrazzo, l’estate sopravanzava la primavera in quella notte di maggio e lei mi ascoltava silente sorseggiando un ottimo Pinot grigio, senza darmi la gioia di una contraddizione, ero seduto scomposto su quella sedia comodissima e continuavo ad elencare situazioni che nel tempo con la fine delle ideologie durate oltre cento anni, mi avevano indotto a scelte più razionali, d’altra parte era ciò che ero, razionale.
Lei invece era più sregolata, sposata da circa quindici anni, aveva un figlio maggiorenne. Ci eravamo incontrati in una kermesse enogastronomica, entrambi semplici appassionati ed avevamo stretto una simpatica amicizia, niente di assiduo ma una frequentazione cordiale e sincera, di quelle che crescono di volta in volta senza diventare invadenti.
Spesso suo marito era fuori o aveva altri interessi, così ci accompagnavamo.
La cena di quella sera era arrivata dopo circa otto mesi, una circostanza favorevole per trascorrere del tempo insieme, senza troppa gente tra noi.
Mi ero lasciato prendere la mano dalla politica, l’elezioni erano imminenti ed io ero confuso come mai nella mia vita, troppe cose che non tornavano, troppe promesse non mantenute, coi politici di destra che citavano Pasolini a sostegno delle loro tesi, ecco, un intellettuale come lui ci mancava, un lucido pensatore non salottiero ma uomo di mondo, con le sue debolezze e le sue ricchezze, ce l’avevano portato via troppo presto e in un modo oscuro che ancora oggi puzzava di marcio.
Eugenia aveva allungato le sue splendide gambe rosee sulla sedia accanto a me, il passato da ballerina si evidenziava nella sua fisicità.
Il seno ridotto a minuscole coppe sormontate da rigidi capezzoli, che in quel momento facevano capolino attraverso il tessuto leggero del vestito primaverile, una vita sottile nonostante la gravidanza, fianchi asciutti e gambe robuste e tornite.
Mi disse che forse non sarebbe neppure andata a votare, la sua posizione le aveva sempre consigliato di parteggiare per una parte politica, in fondo il suo benessere la rendeva distante dalla povertà quotidiana, ovviamente ci lessi lo snobismo tipico della sua classe sociale ma quasi lo preferii a quell’ipocrisia strisciante tipica di certi salotti radical-chic.
Almeno era sincera.
Lei ricca e gli altri, che si fottessero.
Allungai la mano sinistra sul suo piede carezzandolo, non disse nulla, se lo aspettava, mi fissò cogli occhi liquidi e azzurri, sorridendo mi fece cenno di entrare in casa.
Il sistema di areazione teneva la temperatura in perfetto equilibrio, Eugenia mi prese per mano facendomi strada verso la camera da letto, dallo stile essenziale, rigoroso e bianco.
Cominciammo a spogliarci dei pochi vestiti che ci coprivano, senza dire una parola, come se quel momento fosse la meta alla quale entrambi sapevamo saremmo giunti prima o poi.
Ci sdraiammo sul letto e le nostre bocche si incontrarono, intrecciando le lingue fameliche ed ebbre di vino.
Le mie mani scivolarono sul corpo nudo, scesi sui capezzoli turgidi succhiandoli come cioccolatini gustosi e sapidi, li sentii diventare ancora più duri sotto il palato, le sue labbra s’impadronirono del mio collo, suggendolo e mordendolo, scendendo lungo la linea dell’ombelico giunsi in prossimità del Monte di Venere, ornato da piccoli riccioli biondi, come una corona di rose su un altare, mi spinsi tra le labbra rosee e umide di quel nettare a cui solo agli Dei è permesso cibarsi, la mia lingua ne bevve con avidità.
Le succhiai il clitoride con dolce veemenza riempiendomi le orecchie dei suoi caldi gemiti, fra quelle cosce stavo conoscendo il suo piacere.
Mi trascinai su di lei, poggiando la testa del fungo scarlatto all’entrata del suo fodero, poi cominciai a muovermi, guardando le sue rughe distendersi dal godimento.
Le gambe mi strinsero i fianchi, mentre i colpi aumentavano, l’onda dell’orgasmo la trascinò sulla mia riva, sentii gli spasmi del suo sesso avvolgere il mio. Dopo essersi sciolta, scivolò tra le mie gambe afferrando con dolcezza il membro che fino a poco prima era dentro di lei, lo condusse alla sua lingua, solleticandolo e attraversandolo per tutta la lunghezza con morbide leccate, poi lo fece scomparire nella bocca, succhiandolo con passione, il mio rantolo anticipò il fiotto di sperma che la colpì in fondo alla gola, poi arrivarono gli altri.
Rimanemmo distesi sul candore di quel lenzuolo per ore, fino all’alba, quando la luce entrò obliqua nella stanza, accogliendo il nostro riposo. (2018)

amanuense@blu.it







scritto il
2024-07-24
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