Ragazzina

di
genere
etero

Erano le sette di un sabato sera, e tra le cose che avrei desiderato fare non rientravano certo una pasta ai quattro formaggi, delle bruschettine variamente condite e del polpettone.
Cosa avrei preferito?
Senz’altro uscire… oppure leggere un libro (ma non quello di Diritto Civile), o starmene semplicemente sdraiata davanti alla televisione senza far niente. Invece no, dovevo dilettarmi in cucina perché quella sera a casa avremmo avuto un ospite.
Si trattava di un caro amico di mio padre; aveva divorziato da poco e così, per tirargli su il morale, lui lo aveva invitato ad una allegra cenetta nella «famiglia Brambilla»… così l'abbiamo sempre soprannominata. Mia madre era partita per far visita ai miei nonni e aveva portato con se, per fortuna, quelle piccole pesti dei miei due fratellini, Filippo di 13 anni ed Emanuele di 16.

Mio padre quella sera era insopportabile, continuava a riprendermi su ogni cosa senza concedersi neanche un attimo di respiro: "…nella pasta c'è poco formaggio, te l'ho detto che a Sandro piace molto il formaggio…"; "…ma la tavola l'hai apparecchiata? Metti del vino rosso, quello che ho portato da Latina, te l'ho detto che a Sandro piace…".
Sandro di qua, Sandro di là… ma che mene fregava a me di 'sto Sandro, sicuramente qualche ultraquarantenne calvo e con la faccia da pesce lesso… e magari pure mezzo sdentato. Altrimenti perché la moglie l'avrebbe dovuto lasciare per un trentenne??

Erano le 20 quando suonò il citofono. Io ero in bagno e mio padre non si decideva ad andare ad aprire, così ci andai io. «Speriamo che almeno non sia diventato mezzo sordo come mio padre, altrimenti sai che seratina…», dissi tra me e me. Già me le immaginavo, le urla spropositate e la gente affacciata nella parte interna del cortile, per non perdersi una parola… come del resto già era accaduto altre volte.

"Chi è?" risposi con un tono scocciato.
"Sono Sandro", una voce bassa e calda dall'altra parte mi lasciò attonita, tanto che dopo un po' dovette ripetersi: "Son Sandro… scusa, potresti aprirmi?".
"Oh! Già! Scusami tu. Quinto piano", risposi tutto d'un fiato.
La voce era sicuramente molto affascinante… ma il resto? Avevo grossi dubbi. Invece…
Invece mi ritrovai davanti alla porta di casa un uomo con la "U" maiuscola: piuttosto alto, ben messo, accompagnato fedelmente da tutti i suoi capelli scuri, solo vagamente brizzolati qua e là, che gli scendevano sui due lati della fronte formando due piccole onde. Indossava una camicia bianca che metteva in risalto la carnagione e gli occhi scuri. E aveva anche tutti i denti, perfettamente allineati e bianchi.
Tutti questi pensieri mi balenarono nella mente solo per qualche secondo, il tempo di fargli la radiografia ed invitarlo ad entrare.

Dopo aver dato un grande abbraccio a mio padre e aver parlato un po', si accomodarono a tavola, ed io cominciai a servire le mie succulente pietanze… oddio, in realtà la pasta non era molto condita, ed il polpettone se lo si tirava a terra sarebbe sicuramente rimbalzato. Tutte cose che mio padre mi puntualizzò perfettamente, nonostante Sandro replicasse in mio favore.
"Ma non è vero, Bruno, tua figlia è stata bravissima! Magari ce ne fossero di ragazze che a 20 anni, invece che andare in discoteca, il sabato sera preferiscono restare a cena e dedicarsi ai fornelli".
Io accennai un sorriso.
"Veramente non è esattamente così, non mi sarebbe dispiaciuto uscire…" risposi.
"Ma che sei idiota?…" replicò mio padre. "Ma come te ne esci?! Tu sai solo dire battutine per far rimanere male la gente. Scusala, Sandro…".
"Non c'è niente per cui scusarsi, Bruno. I giovani in fondo non hanno molto in comune con noi matusa…", sorrise, "…e lei è giovane… e anche carina".
Mio padre sottolineò subito la cosa con un tono esterrefatto.
"E cosa vuol dire che è carina, che può fare come le pare?".
Mi chiesi cosa volesse significare, con quel «carina»? Come se ne era uscito?!
Ma mentre mio padre mi ringhiava contro, i nostri occhi si incontrarono e cominciammo a fissarci con insistenza. Aveva uno sguardo da mozzare il fiato. Gli occhi erano leggermente affossati, dal taglio incredibilmente penetrante.

Il suo divorzio fu argomento tabù per tutta la serata; in compenso discutemmo della mia facoltà, ossia giurisprudenza e il tutto sfociò dal discorso ormai stradibattutto della legge "ex-Cirielli". Scoprii che oltre ad essere un uomo affascinante era anche molto intelligente, colto, uno che non apriva bocca solo per dargli fiato, ma rifletteva prima di parlare… e quelle pause tra un frase ed un'altra, oltre ad infondermi una grande serenità, me lo rendevano ancora più affascinante.
Ma la cosa che mi sconvolse di più fu la sensazione di sentirmi le mutandine bagnate… ero eccitata, un uomo di quarantasette anni mi stava eccitando… se mio padre avesse potuto leggermi nel pensiero, credo che mi avrebbe diseredata.
Con una scusa mi precipitai in bagno, mi sbottonai i jeans, mi abbassai le mutandine e… accidenti sì! Mi ero senza dubbio eccitata.
Mi guardai allo specchio, e mi ripetei a bassa voce: "…Non è possibile, Alessia, datti una calmata… potrebbe essere tuo padre".
Ma le mie dita si precipitarono sotto le mutandine. Socchiusi gli occhi e poggiando la schiena contro la porta continuai a toccarmi, finché non sentii bussare. Era mio padre.
"Hai finito lì nel bagno? Sempre chiusa lì dentro, ma che dovrai fare mai".
Tornai a sedermi e mi sentii il suo sguadro addosso finchè non terminò la cena.

Arrivata l'ora di congedarsi, mio padre ingenuamente lo invitò a fermarsi in casa per la notte, con frasi del tipo: "Ma ora che vai a fare a casa tutto solo, resta qui per stasera. Domani ti accompagno io al lavoro. Tanto sei venuto con i mezzi, no?".
"Ma no, Bruno, non è il caso. Se poi non te la senti di accompagnarmi a quest'ora, allora è un altro discorso".
E mio padre, con la sua solita delicatezza:
"No, infatti non mi va, quindi tu stasera ti fermi a dormire qui. Alessia, vai a prendere le lenzuola!".
Sissignore signorsì, sull'attenti!

Rimasero a chiacchierare per un po' in salotto e poi si congedarono, visto che entrambi si sarebbero dovuti svegliare presto la mattina dopo. Io nel frattempo ero in cucina a lavare i piatti, quando me lo ritrovai alle spalle.
"Alessia… posso aiutarti? Vorrei sdebitarmi per la magnifica cena… e scusarmi con te per averti costretta a rimanere in casa".
Voltai leggermente la testa verso di lui e gli accennai con la testa un «no», sorridendo.
Si mise seduto dietro di me.
"Allora ti farò compagnia, tanto non ho sonno, ormai per me è un optional dormire".
"È per via di tua moglie?" risposi, continuando a lavare i piatti.
"No, è per via della mia ex-moglie".
"Ah! Già. Scusa…".
"Figurati, non c'è problema…", sorrise.
Una volta finito di lavare i piatti feci nuovamente il caffè, ci sedemmo e cominciammo a parlare di tutto: dei miei studi, del suo lavoro, della pesca, di musica e di tante altre cose. Ogni scusa era buona per fissarci e per regalarci dei sorrisini.

Si erano ormai fatte le 2 di notte.
"Ti sto facendo fare tardi… e poi probabilmente ti annoierà parlare così tanto con uno dell'età di tuo padre…", mi disse sorridendo.
Senza guardarlo, fissai il pavimento.
"Probabilmente… ma non è così".
Alzai lo sguardo verso di lui, che, evidentemente imbarazzato, lo abbassò. Ma subito dopo si avvicinò verso di me, guardandomi a cinque dita dal viso.
"Sono onorato", mi sussurrò. "Ti confesso che se non avessi avuto l'età che hai, e soprattutto non fossi stata la figlia del mio migliore amico… o se io avessi avuto una ventina d'anni di meno… beh!… No, niente… lasciamo perdere" e tornò al suo posto.
Ma io sottolineai con una vocina suadente.
"Ci sono troppi «se», non ti pare? E ce ne sarebbe pure un altro…".
"Quale?", chiese lui.
"…E se mettessimo da parte tutti questi «se»?".
Accennò un sorriso.
"Hai degli occhi bellissimi, oltre a tutto il resto naturalmente… non riesco a fare a meno di fissarli, ti dà fastidio?".
Avrei voluto rispondere: «No, anzi, mi eccita», ma preferii contenermi con un: "Ma no, figurati…".

Lo accompagnai nella stanza degli ospiti, e mentre gli sistemavo il letto lui se n'era rimasto seduto in poltrona a fissarmi, con un gomito poggiato sul bracciolo e l'indice tra le labbra. Sentivo il suo sguardo su tutto il corpo, e mi piaceva… contribuiva a far crescere ancora di più la mia eccitazione. Così, mentre stendevo le lenzuola, cercavo di inarcarmi con la schiena in modo che potesse ammirare il mio fondoschiena, oppure quando gli ero di fronte mi abbassavo in modo che la mia maglia semiaderente potesse mostrargli meglio la mia scollatura.
Una volta finito lo spettacolino accesi una lampada e spensi la luce della camera. Tutto d'un tratto l'atmosfera si fece surreale… lo guardai, era bellissimo, e la penombra lo rendeva ancora più irresistibile.
Sarebbe stato meglio andarsene via immediatamente… la situazione mi stava, anzi, ci stava sfuggendo di mano.
Così spezzai il silenzio dicendo: "Allora mi congedo e ti lascio alla tua insonnia".

Mentre mi voltai verso la porta mi sentii afferrare la mano. Ebbi immediatamente un tonfo allo stomaco, il cuore mi batteva all'impazzata, e avvertivo che aveva avuto inizio dentro di me una spaventosa tempesta ormonale.
Mi voltai verso di lui senza dire una parola. Mi liberai dalla presa. Andai verso la porta. Lui, con una smorfia d'imbarazzo, aveva abbassato il viso a guardare il pavimento.
"Senti, Alessia… forse il mio è stato un colpo di testa, facciamo finta di niente…", disse con tono dubbioso, "…non so che diavolo mi sta succedendo… io… io ti posso assicurare che…".
Ma io avevo già chiuso a chiave la porta; tornai verso di lui e lo interruppi posandogli l'indice sulle labbra. Non poteva farmi eccitare in quel modo e poi tirarsi indietro. No, non glielo avrei assolutamente permesso.
"Stai zitto…!" gli sussurrai solo, con un tono molto caldo. "Non pensare. Stai zitto".

Mi tolsi la maglia, mi sfilai i jeans e rimasi in mutandine e reggiseno. In quel momento avevo solo un desiderio: che mi toccasse, che mi baciasse. Ovunque.
Gli montai sopra.
"Se vuoi tirarti indietro devi farlo ora…" gli sussurrai, con la bocca ad un millimetro dalla sua.
Ma lui mi afferrò con decisione da dietro la nuca e mi baciò ardentemente… aveva una lingua morbidissima, e delle labbra calde e piene. Poi mi sfilò le bretelle del reggiseno e cominciò a mordicchiarmi i capezzoli, a leccarli.
Cominciai a muovermi e a strofinarmi sopra di lui, carezzava la schiena con le mani.
Poi mi alzai improvvisamente, mi inginocchiai davanti alle sue gambe aperte e fissandolo negli occhi con uno sguardo biricchino gli tirai giù la lampo. Lui con qualche manovra riuscì a sfilarsi i pantaloni ed io gli calai i boxer… un vero lavoro di squadra, oserei dire.
Mi ritrovai davanti un pene maestoso, turgido… di marmo! Sorrisi estasiata e poi, con la lingua, presi a leccargli la punta formando dei piccoli cerchi, poi delle pennellate dal basso verso l'alto… finché decisi di alzare lo sguardo per godermi la sua espressione. Aveva la testa all'indietro, gli occhi socchiusi e la bocca semiaperta, dalla quale uscivano suoni smorzati, respiri pesanti, mugolii. Allora decisi di farlo soffrire ancora un po'; aprii la bocca, lo feci affondare dentro per qualche secondo lavorandolo di lingua, glielo succhiai intensamente un'ultima volta, prima di tornare sopra di lui.

Senza dire una parola, presi la sua mano e la infilai sotto le mie mutandine. Non ce la faceva più, si vedeva benissimo, temevo che scoppiasse da un momento all'altro e cominciasse ad urlare come un pazzo… sai che scena, con mio padre a pochi metri.
"Sei un maiale…" gli dissi.
Lui fece un'espessione stupita, come chi si sveglia all'improvviso nel cuore della notte.
"Cosa?", rispose.
"Fartela con una ragazzina di diciannove anni… oltretutto figlia del tuo amico… ti eccita l'idea, non è vero?".
Lui rimase un attimo in silenzio, poi alzò il sopraccigno sinistro.
"Sì, ma… tu non mi sembri poi molto… ragazzina…" rispose, con aria seria.
"Forse no, ma lo sono… o te lo sei scordato?".
Dopo qualche attimo di silenzio, visibilmente eccitato, premette con più forza le sue dita tra le mie gambe.
"Cosa ti sto toccando?" mi sussurrò all'orecchio.
"Che…?".
"Ti ho chiesto cosa ti sto toccando…".
"Mi stai toccando lì…".
"«Lì» dove?".
"Sotto…".
"«Sotto» dove?".
Bastardo. Adesso iniziava a giocare anche lui, ed aveva sicuramente molta più esperienza di me.
"La… vagina…" bisbigliai, per non fare la parte di quella che si tira indietro.
"Cosa? La vagina?".
Che aveva da ridere…?
"Vuoi dirmi che una ragazza grande e disinibita come te la chiama «vagina»?".
Respirai profondo e farfugliai nuovamente qualcosa.
"Cosa? Non ho capito bene…".
"Ho detto fica!".
"Ora va già meglio". Poi prese la mia mano e se la portò tra le gambe, aggiungendo con malizia: "Ed ora?… Cosa mi stai toccando ora?".
Bastardo. Ancora?
"Il… cazzo".
"Li sai fare bene, i pompini, sai? Ed hai un bel culetto… alzati, fammelo guardare".

Mi alzai in piedi, mi voltai di schiena e mi lasciai ammirare.
Sentivo le sue dita sfiorami il buchino e poi scivolare verso la «fica», ero bagnatissima… mi fece divaricare le gambe, si inginocchiò sotto di me ed iniziò a giocare con il mio clitoride, poi con la lingua si fece largo tra le labbra, mi affondò dentro… e mentre mi leccava, un suo dito si era fatto strada dentro il mio buchino. Non rispondevo più di me, avevo voglia di urlare, non riuscii a fare a meno di emettere qualche mugolìo, stavo godendo da morire.
Mi fece sedere sulla poltrona, mi liberò delle mutandine e mentre mi leccava la «fica» mi infilò l'indice della mano destra, lo stesso con il quale mi aveva penetrata dietro, in bocca. Lo iniziai a succhiare con avidità, a leccarlo o morderlo.
"Scopami… voglio che mi scopi…! Adesso…!".
Ma lui, con il viso bagnato dei miei umori, mi guardò negli occhi con un'espressione maledettamente ironica.
"Eh no! Io non le scopo, le ragazzine".
CHE GRAN BASTARDO!!!

Lo spinsi sul letto, lui nel frattempo sorrideva (cavolo quant'era bello); gli saltai addosso e montai sopra di lui, gli afferrai il «cazzo» spingendolo verso la mia «fica»… ma lui allungò le mani e mi afferrò per i fianchi, bloccandomi.
"Queste ragazzine di oggi… non si sanno proprio controllare…".
"Ti prego, non ce la faccio più… SCOPAMI… SCOPAMI… SCOPAMIIIIIII".
Ero determinata; con forza gli afferrai i polsi, liberandomi dalla sua resa sui miei fianchi, e mi impalai sul suo «cazzo» in un colpo solo; lo sentii affondare dentro di me in tutto il suo turgore, ed emisi un gemito di sorpresa e di soddisfazione. Quindi lasciai cadere di peso il mio corpo sopra il suo, e gli portai le braccia sopra la testa, immobilizzandolo. Rimasi per un po' così, il mio petto appiccicato sul suo, la mia bocca a pochi millimetri dalla sua, ne avvertivo il respiro affannoso sulle labbra. Resistetti alla tentazione di baciarlo, mi sentivo indispettita; mi risollevai, e, posandogli le mie mani sul petto, per tenerlo ben fermo contro il materasso, cominciai a muovermi, strusciando il mio pube sul suo in un movimento ondulatorio; non permettevo al suo «cazzo» di entrare e uscire da me, e intanto il mio clitoride, solleticato dallo sfregamento con la sua peluria pubica, mi trasmetteva sensazioni fantastiche… stavo godendo come una matta.
Non volevo però dare a Sandro la soddisfazione di sapere di essere riuscito a mandarmi in estasi, dopo avermi trattata come una principiante in fatto di sesso.
"Te la faccio vedere io, la ragazzina… vedrai cosa ti combino adesso…".
Continuando a lavorarmelo di bacino, cominciai a sussultare piano su di lui; lo feci molto lentamente, assaporando tutto il piacere di quel suo «cazzo» meraviglioso che mi riempiva alla perfezione; intanto ritmicamente contraevo e rilassavo i muscoli della mia «fica» sul suo membro intrappolato dentro di me, così potevo sentirlo ancora di più e gli strappavo gemiti di piacere… ma anch'io stavo ormai godendo senza ritegno… sentivo crescere in me la voglia di sentir scivolare il suo «cazzo» nella mia «fica» sempre di più… oltre a quella di dimostrare al caro Sandro come una ragazzina potesse dargli la cavalcata della sua vita.
Presi a sbattermi su di lui come una furia. La nostra immagine era riflessa in uno specchio proprio di fronte al letto… vedevo me stessa sussultare sul suo corpo, vedevo il mio seno ballare una danza impazzita, vedevo il suo «cazzo» entrare e uscire, entrare e uscire…

Sentivo l'orgasmo montare dentro di me come uno tsunami.
"VIENI CON ME…" lo supplicavo, "…VIENI CON ME… VIENI CON ME…". Ero ormai prossima a godere.
Avvertii un calore esplodermi dentro, mentre il mio corpo cominciò a tremare e a scuotersi scompostamente… mi gettai esausta sopra il suo petto sudato… lo sentivo vibrare, e sicuramente lui sentiva me…!
"Accidenti… scopi davvero bene, ragazzina…" seppe solo dire con un filo di voce. Subito dopo lo sentii gemere, e un'ondata di calore, stavolta più liquida, invase il mio basso ventre mentre lui si reggeva disperatamente ai miei fianchi, tenendomi incollata a sé.
Quando mi sfilai da lui, ero un bagno di sudore. Il suo sperma mi colava tra le cosce, mescolato ai miei umori. Fu l'esperienza più eccitante della mia vita. Sapevo che non avrei mai più dimenticato quella notte.

La mattina dopo lo ritrovai in cucina mentre faceva colazione con mio padre.
"Alessia… Sandro è sceso al bar ed ha comprato dei cornetti; ne abbiamo lasciati un paio per te, ne vuoi?".
Non riuscivo a guardarlo in faccia, così risposi in fretta: "Sì… grazie Sandro".
Dopo poco si alzarono per avviarsi a lavoro, mio padre andò in camera per prendere la sua 24 ore, ed io mi ritrovai sola con lui nel corridoio.
Non potevo lasciarlo andare via così, senza dirgli niente.
"Io… io volevo dirti che… beh, è stato bellissimo stanotte…".
Mi afferrò il mento con la mano destra e mi diede un dolcissimo bacio sulle labbra.
"Lo è stato anche per me… non dimenticherò mai questa notte, né il piacere immenso che mi hai regalato… «ragazzina»!". Lo disse sorridendo, senza volermi denigrare in nessun modo.
Poi arrivò mio padre e si avviarono verso la porta; subito prima di uscire, Sandro mi fece un occhiolino, quindi richiuse la porta alle sue spalle.
Chissà se sarebbe più tornato a farci visita… e a fermarsi da noi per la notte…
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scritto il
2024-08-01
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