Calcoli

di
genere
confessioni

Due notti passate a soffrire le pene dell'inferno a causa di un paio di coliche renali m'hanno convinta a fiondarmi dove non volevo finire: al Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile per essere ricoverata in urologia.
Visite, analisi, ecografie, flebo, litri d'acqua da bere ed i primi calcoletti segnano col dolore il loro percorso dal rene sinistro al meato urinario, fino al «ting» dei sassolini espulsi e contati nella pala di controllo delle urine.
In questo reparto ormai ho conosciuto un po' tutti, e tutti mi trattano bene.
Con le mie tre compagne di sventura e di stanza entro subito in confidenza, anche per merito del mio carattere socievole e, dicono, simpatico.
La cerchia delle mie amicizie ospedaliere si espande velocemente e a macchia d'olio, e dopo tre giorni di ricovero mi trovo talmente a mio agio che quasi mi dispiacerà guarire e farmi dimettere!

Tra le tante «amicizie ospedaliere» si caratterizzano un paio d'esse.
Quella di un signore della mia età (quarant[***] anni) che mi trovo tra i piedi ogni qualvolta metto il muso fuori dalla cameretta, pronto ad offrirmi i suoi servigi non richiesti. Persino quando devo andare al bagno a far pipì portandomi dietro il trampolo che sostiene il flacone della flebo che mi sto facendo; o ancora, pronto ad attaccar bottone o a farmi compagnia nelle «passeggiate» lungo i corridoi. Ma io lo so dove vuoi arrivare, cocco: ho gli anni che ho, e che non ho avuto il coraggio di confessarvi, e non ho bisogno di troppi indizi per arrivare a capire certe intenzioni che a questa età non concepisco e mi dànno persino fastidio. E poi il mio spasimante ospedaliero è anche bruttarello, perciò le sue chance son proprio nulle! Glielo faccio intendere e capire, a muso duro, la mattina; ma nel pomeriggio eccolo «buttare l'occhio» in medicheria proprio mentre ne esce l'infermiera (il medico mi ha appena liberato il meato dove s'era inceppato un calcoletto) e io sono sul lettino, in posizione ostetrica, con la bernarda esposta alla vista casuale ma interessata del mio spasimante-guardone di passaggio nel corridoio (…ma che organizzazione intelligente, questi ospedali: il lettino delle visite volto verso la porta e senza uno straccio di separè che protegga il paziente da eventuali occhi indiscreti!), e tanto basta per fargli dimenticare ciò che ha sentito quella mattina stessa; cosicché, mezz'ora dopo, me «la» richiede balbettando. Gli dico di no con fermezza ancora più decisa!!!

Che differenza col giovanotto tutto educazione e tatto che m'ha eletta «mamma» adottiva e sua confidente; questi vecchi porci avrebbero molto da imparare dai giovani così dabbene!
Lui, il giovanotto, è ricoverato nella stanza accanto alla mia, e mi sta attorno come il pulcino alla chioccia, ma mai a meno di un metro, e sempre con il dovuto rispetto, quasi con soggezione, anche quando il luogo, le occasioni fortuite e l'abbigliamento «da camera» favoriscono particolari visioni.
Il «pulcino» viene notato persino da mio marito, che interpreta quel suo starmi sempre attorno con intento malizioso… ma io so bene che così non è, che così non può essere.



Mi dimettono dopo circa una settimana; prima di andare via scambio con le mie nuove amiche e con il giovane «pulcino» (che proprio giovanissimo però non è, avendo tra i venti e i trent'anni) numeri di telefono e indirizzi. So tuttavia che, more solito, nessuno si farà vivo con nessuno; è prassi.
Invece trascorrono dieci giorni e m'arriva una telefonata da una voce e da un tale che dapprima non conosco; ma poi… ma sì, è lui! Il «pulcino»! Mi tiene al telefono circa venti minuti, con rossori quasi visibili e balbettii che mi arrivano attraverso il filo: che ragazzo educato e rispettoso, che carino nella sua timidezza!
"Di solito scendo a Piazza del Duomo dal bus delle dieci…" gli dico, incidentalmente, durante la nostra conversazione telefonica.

Ed il giorno dopo, scendendo dal bus, lo vedo: è lì che m'aspetta. Mi fa piacere, mi intenerisce, ma mi lascia anche un po' perplessa.
E il giorno dopo, alla mia discesa, lo vedo di nuovo, e poi ancora il giorno successivo… ahem, allora forse aveva ragione mio marito, quando mi diceva che lo vedeva guardarmi non con gli occhi del figlio educato e buono, ma con quelli della voglia. Sarà mai possibile che si sia infatuato di una «tardona» come me?… Ma no, dai, non diciamo sciocchezze!! Ci rido su, tra me e me.
Fatto sta che ormai è una settimana che lui mi aspetta alla discesa del bus, ed è una settimana che mi offre l'aperitivo al bar, e ne approfittiamo per chiacchierare del più e del meno, con discorsi che spaziano dal generico all'intimo e personale… fino a ché, un giorno, decido di non prendere il bus per tornare a casa, accettando di farmi accompagnare da lui con la macchina.
Durante il tragitto, tuttavia, accade quello che non so se volessi o non volessi: il mio giovane amico si «dichiara», e la cosa mi lascia piuttosto sorpresa… tanto che, quando lui allunga la mano fra le mie cosce, intrufolandola sotto la gonna, e pigia sulla prugna tentando di raggiungerla direttamente «dal vivo» (meno male che indosso un collant che non permette certi contatti reali!) non ho nemmeno la forza di chiuderle o di reagire, e lo lascio armeggiare affannosamente fin sotto casa.

Resto inebetita per tre giorni, durante i quali mi guardo bene dal prendere il bus delle dieci.
Durante quei tre giorni, tuttavia, rifletto con insistenza sulla mia vita sessuale… anche se in gioventù sono stata molto attiva da quel punto di vista, se mi fossi resa conto di quanto il tempo fugga via veloce, portandosi con sé tutte le occasioni perdute e che non si potranno più recuperare, mi sarei fatta cento maschi in più prima di mio marito… e magari altri cento «durante»! Ed è cominciata a maturare in me l'idea che, se non si vogliono perdere anche gli ultimi possibili fuochi della passione, che scaldino la passera col calore di «infuocate saette», occorre darsi da fare subito, sennò ti piangerai addosso un oceano di lacrime amare!!

Scendo dal bus delle dieci a Piazza del Duomo: eccolo lì…! Gli si gonfia il petto, gli si spalancano gli occhi, si illumina di un sorriso candido, mi saluta con deferenza.
"Posso permettermi di accompagnarla?", mi dice, porgendomi educatamente il braccio.
"Ma certo!", gli rispondo.
"Potremmo?…" aggiunge lui, in tono interrogativo di trepida attesa.
"Possiamo!".
Arriviamo dove lui ha parcheggiato l'auto, passeggiando con calma e chiacchierando placidamente. Saliamo in auto, partiamo… si dirige verso la pinetina, vi si addentra, si ferma in uno spiazzetto ben isolato e nascosto, dove non c'è nessuno.
Mi si scaraventa addosso, io abbatto il mio sedile, lui il suo; mi «spara» una mano sulla gnocca. Stavolta non ho i collant, solo calze autoreggenti e un leggerissimo slip, che lui mi tira via con foga, esponendo il mio ciuffetto di peli, le mie «quattro labbra», il grilletto, un culo ancora bello da vedere e da toccare e le cosce spalancate all'assalto dell'invasore. Mi guarda e mi palpa «la cosa ed il coso» come un forsennato, me li lecca come un invasato, con una lingua lunga, guizzante e dura come mi aspettavo da un giovane come lui. Si tira su, ha il volto lavato nel mio piacere, mi guarda con occhi traboccanti riconoscenza.
Ho tirato fuori dalla mia camicetta le mie tettone ancora toniche (in realtà sono rifatte, ma molto bene, e comunque non glielo dico…), gli ho aperto la patta ed estratto da essa un bel membro da… giovane!
Si abbatte mani e lingua sulle mie tette, lo libero da calzoni e slip, gli faccio un inizio da «single» violenta, come quando ero ragazzetta alle prime armi; si stacca dalle mie tette, pianta i suoi occhioni sognanti nei miei, poi ancora sulle tette, sulla mia «cocca» che m'ha così giovanilmente palpata e leccata… punta il suo uccello sulla mia topina, ve lo annega, e mi lascia riscoprire la durezza, la grossezza, il turgore della gioventù. Mi sta montando come un vero toro, e dopo un po' lo sento schizzare il suo piacere dentro di me con la forza tipica di un cazzo giovane, ed io risento il gusto sfrenato della mia «amica intima», tornata d'incanto anche lei giovane. Era un gusto che ormai avevo dimenticato.
Crolla su di me, toro straziato, soffiando da narici infuocate gli affanni di un piacere che l'ha sconvolto.
Mi adagio il suo volto fra le tette, accarezzo la sua schiena, le sue natiche, la sua borsa con le palline, giocherellando con essa e saggiandone una consistenza possente e «giovane», con i suoi peli ricci-ricci e scuri-scuri, duri come le setole di un pennello, impregnati degli umori della mia «cocca» e del succo del suo «randello»; palpeggio il suo membro turgido, che si fa sempre meno turgido… di già? Eh sì, questo è un membro giovane ed è già semiduro; anzi, sta tornando duro proprio ora, sotto la carezza ritmica della mia mano!

Armeggiamo un po', baciandoci con passione; sento che i miei baci fanno effetto sulla sua arma che è lì tra le gambe… poi mi calo e la raggiungo con le labbra, la bocca e la lingua… e gli faccio un «peccato di gola» da vecchia troia, a questo arnese di durezza impossibile, che lo faccio quasi morire lì dal piacere, e con esso il giovane possessore dello stesso.
E quando viene ancora, quando mi spara in gola i proiettili del suo nuovo orgasmo, mi sembra di essere colpita da schioppettate vere, e non liquide e mielose. Com'è buono il seme di un giovane!
Il mio furioso stallone sembra imbufalito; il suo membro resta duro, tale e quale com'era prima del mio peccatuccio, e subito lui mi gira e me lo rifionda dentro la «cocca» alla pecorina. Mi dice che vuole montarmi ed intanto ammirarmi il culo, palparmelo, goderne alla vista ed al tatto.
Ad un tratto sento un rivolo di saliva calarmi dall'alto lungo le natiche, ungendomi il buchino fino alla mia «cocca», e penso: «…Ci siamo…». Ma d'un tratto sento che lui mi pianta la lucida capocchia nel… nel didietro, insomma.
"No, no, no…!" gli strillo, e non ne so neanche il perché; me ne sono subito pentita, ma lui, ubbidiente ed educato, m'estrae subito il suo birillo da «lì» e si rimette a montarmi nella «sede naturale».

La mia fragola è ormai un fragolone (felicemente) sbrindellato.
"Incosami!…" …non ho il coraggio di dire come si dice.
"Come…?" mi dice lui.
"Fammi il…" prendo coraggio "…fammi il culo! Inculami!".
Sento il suo membro che, famelico, punta il mio didietro, vi si impronta, lo slarga poco a poco… entra, tutto, così giovane, forte, grosso, duro! «Oddio, adesso mi squarta…», penso!
Mi dà un'inculata terribile e magnifica allo stesso tempo, mi fa godere come una pazza! Mi pompa a lungo, fino a ché viene e mi scaraventa «là» uno spruzzo veemente, con mio gran sollievo e tanto piacere per entrambi.
E in quel momento mi sento la troiona più svergognata, palpata, leccata, felicemente montata ed ora anche inculata del mondo!
Avrò la «cocca» rosolata per un paio di giorni, il buchino didietro per una settimana buona, ma mi ribolle già dentro la voglia matta di lui. Erano anni che non mi sentivo la prugna così ben ripiena, ed il culo così ben fatto, che non mi ubriacavo di tanto seme con un solo «peccato orale», che non mi si palpava e leccava con tanta genuina veemenza! E il mio eroe meritava un premio, per quel delizioso trattamento.



Dopo qualche giorno, tornatemi normali sia la «lei» che il «lui» (anche perché, per fortuna, mio marito non ha preteso da me alcuna prestazione particolare in quei giorni), mi feci portare dal mio «cucciolo» in un albergo che so io: quanti ricordi «belli duri», ormai lontani, mi legano a quel posto.

Il vecchio portiere, che ha circa vent'anni più di me, quando mi vede quasi mi abbraccia, con gli occhi lucidi, si fa venire il magone, non la smette più di stringermi la mano e mi sussurra nell'orecchio l'immenso piacere che prova per il mio… ritorno, che lo fa, mi dice, «ringiovanire» e gli ricorda le tante belle seghe che s'era fatte guardandomi e godendo della mia carica erotica (più vera di quella delle puttane di mestiere, più sensuale di quella delle troie per voglia, più scatenata di quella delle ninfomani) guardando e godendo della mia abilità sessuale con i miei «stalloni» di allora (purtroppo non molti, tuttavia…), e mi confessa la speranza «di poter ancora guardare e di godere» di me e del giovane cavaliere che mi sta accompagnando oggi, promettendomi, per ciò, gratitudine eterna.
Mi dà la chiave della «mia» stanza, l'ultima del terzo piano dopo il deposito della biancheria, posta in un corridoietto cieco a destra, dove io ed i miei sempre ben scelti partners potevamo tranquillamente ululare al cielo il piacere che ci scambiavamo, mentre lui, nel frattempo, ci guardava dal deposito attraverso uno spioncino galeotto per farsi una delle sue seghe.

Stanza numero trentasei.
A letto, con il mio giovane stallone finalmente tutto nudo, finalmente comodi come si deve e conviene. Lui mi assalta con gli occhi, con le mani, con la lingua, con il suo sempre duro birillo.
Mi palpeggia tutta. Mi lecca tette, ombelico, ventre, gnocca e culo; gli palpo uccello, borsa e palline, gli faccio un «peccato di gola», un «quel numero»… insomma, quando si infila fino in gola coi controfiocchi; mi lavo la faccia con il mix di saliva e suoi umori, gli lavo la faccia coi miei. Poi lo scavallo e lo monto, cavalcandolo.
Dietro il «falso» armadio a muro, segreta spia tra la stanza e il deposito, immagino gli occhi strabuzzati del vecchio portiere e la sua mano che va su e giù sul suo affare… ma sarà ancora in grado di farsele? Chissà cosa starà facendo, trascinato dalla sensualità che mi domina e che trasmetto, dal gusto che provo e che dono, dall'amplesso focoso che si sta consumando tra una matura ma sempre valida femmina da letto e un giovane stallone, mentre mi muovo sinuosa a cavalcioni della sua poderosa virilità… fino a ché ad un tratto mi ribalta e mi si spinge dentro con veemenza, scopandomi ben bene. Ruzzoliamo ancora, lo rimetto sotto, lo monto come so io, mentre lui mi palpa e mi lecca; ma sì, mio giovane stallone, vivifichiamo la libidine «imperitura» dell'anziano portiere.
Ci scambiamo botte e risposte che fanno cigolare e sobbalzare il vecchio e robusto letto, fino a ché lui mi scaglia a schizzi nella micia, sulla pancia, fra le tette, lungo il collo, sul volto e forse fin sui capelli, un litro del suo «miele».
Avevo voglia di sentirmi posseduta con ardore, come tanti anni fa, nello stesso posto dove facevo impazzire i miei amanti, e mi scappa da piangere per il gran piacere che questa sensazione mi provoca…!

Ad un tratto lui mi rigira con violenza, quasi in malo modo; mi schianta il piolo nel culo, mi da un'inculata che vorrei non finisse mai e che in effetti sembra eterna, tanto che il mio culo si sente veramente «una capanna», pienamente «abitata» dal giovane e sfrontato «inquilino», contro le cui pareti di carne preme e impazza un «datore di piacere» senza nome e senza aggettivi. E tu intanto godi, vecchio portiere…!
Cala la sera, ma l'«inquilino» no, lui non cala, lui è un duro, e resta ancora felicemente rintanato nella mia gaudente «capanna», che alla fine riempie con il latteo e gustoso succo del suo terzo orgasmo… ooohhh… ed io intanto mi godo il mio centesimo. E lì accanto, ben nascosto ma presente, il vecchio portiere voyeur… chissà se è ancora vivo, poveraccio, o se gli è venuto un infarto a guardare le nostre evoluzioni erotiche?!
Mi ha stracciata, il mio «cucciolo». Mi lavo e mi rivesto di malavoglia, a fatica; ma è tardi, devo pur tornare nel mondo cane della realtà.
Questo educato, gentile e rispettoso giovanotto, questo scatenato mandrillo, m'ha miracolata e portata indietro nel tempo, m'ha fatta incontrare con la mia dimenticata e lontana gioventù, m'ha fatta ritornare ai miei vent'anni, l'età della sessualità più sfrenata, totale! Un miracolo vero, il mio, ed è merito suo! Grazie!

Nella hall ci attendono le mani tremanti del vecchio portiere che non riescono a non farsi sfuggire la chiave che gli allungo, e i lacrimoni di gioia e di gratitudine che, silenti, gli bagnano il volto incartapecorito. Mi tira in disparte e mi ringrazia di aver sempre saputo e di aver fatto finta di nulla, e di avergli permesso ogni volta di godere della mia carica erotica, come ancora questa volta!



A casa trovo mio marito; è nudo, ha appena finito di fare la doccia e si sta ancora asciugando. Devo anch'io fare la doccia; così vado in camera, mi spoglio nuda e mi reco in bagno.
Noto che lui mi guarda stupito, a bocca aperta, con una faccia che… ma perché?
Lo specchio! Mi guardo, mi vedo!… Oddio, adesso anch'io sono allocchita, quasi «surgelata»: ho le tette marchiate da certi segni, come la pancia e le cosce, il grilletto è ancora gonfio, le mucose delle grandi e delle piccole labbra sono tumefatte dal rapporto, impregnate di gusto misto! La mia figa è irriconoscibile, arrossata, gonfia, tanto da costringermi a girarmi per non vederla. La mia schiena, le mie natiche sono segnate in rosso per i colpi ricevuti. E meno male che non mi si vede il buchino!
Sono costernata… lo sento tirare su con il naso, e mi annuso: oddio, so di miele di toro e di vacca, molto chiaramente! Non c'è via di scampo per una bugia!
"Ma… ma sei finita sotto un treno!?" mi fa, stralunato come non lo avevo visto mai.
Non posso certo negare tanta evidenza, e allora mi lancio in una ammissione di verità oltre il limite della follìa, conturbante, coinvolgente, «rapinosa».
"Sotto un treno… sopra un treno… un treno in mano… un treno fra le tette… un treno in bocca… un treno nella figa… un treno nel culo… vagonate di sborra… carrozze di piacere di prima classe…" sussurro nell'orecchio del mio consorte assai stranito, avvinghiata a lui con le spire animalesche delle mie braccia e cosce, blandendo con la mia «galleria» ben usata la sua «locomotiva», peli pubici, borsa, palle e dintorni facendola scivolare, rotolare, strusciare, boccheggiare su di essi. Il mio erotismo è senza freni, osceno, pazzesco; gli sto lavando il pube nel «succo» del piacere provato, coinvolgendolo, rendendolo complice, forse addirittura partecipe di esso, quasi costringendolo a perdonare i «peccati della carne» da me consumati istigandolo a peccare a sua volta!
"Un treno… vagoni, carrozzeee… ooohhh sììì…" esala il mio maritino, ormai rapidamente persuaso a peccare anche lui.
"Sono una puttana, vero?".
"Sì, sei una puttana… sei una troia…".
"Me lo dai lo stesso un bacio?".
"Sì…".
"Mmmm… mmm… leccami le tette…! Ti piacciono, così «travolte»?".
"Sssììì, che buone che sono! Mmmm…".
"Oooooohhhh… ora chinati, leccami la figa… così, sììì… di cosa sa?".
"Di buono… »lap lap« …mmmhhh…".
Meno male! Dev'essere proprio preso da me, perché pare non essersi accorto del sapore maschile che mi pervade tutta. Quasi quasi ne approfitto!
"Ooohhh… ora lasciami girare! Dai, leccami il buchino del culetto! Mmmm… di cosa sa, amore mio?".
"Di bel culo… mmmm…".
"Dì la verità, di cosa sanno le mie chiappe?".
"Di… treno…".
"E… aaaahhh… ti piace il sapore di treno???".
"Mmmm… sei tu che mi piaci…!!!!".
"Portami a letto in braccio…" gli dico.

Mi solleva e mi porta sul nostro lettone; è veramente eccitatissimo, per non essersi accorto proprio di nulla; o forse no, forse ha capito tutto, chissà…??!!
"Ci scambiamo un bel bacione, amore?”.
"Sì, mia dolce stazione ferroviaria…".
"Posami sul letto… ecco, così… voglio spalancare la mia «galleria», il mio «tunnel» alle carezze delle tue mani, ai tragitti della tua vogliosa lingua, e la mia preparerà il tuo treno per un luuuungo viaggiooo…ooohhh sììì… cosììì… ancora, non fermarti…".
La sua lingua, morbida e rasposa, indugia sulla mia «galleria dell'amore» e raccoglie tutti i miei umori, facendomi trasalire.
"Mmmmmhhh… ooooohhhh… ora voglio sentire il tuo treno nella mia galleria… aaahhh… il tuo treno nel mio tunnel… mmmm… finchè «deragliamoooooooo»…".
"Mmmmhhh… eccomi, amore…".
"Sììì, amore, spingi… spingi… di più… di più…".
"Oooohhh… ooooohhh… ooooooooohhh… ooooooaaaaaaaahhh!".

Grazie al «cucciolo», ora oltre a lui ho di nuovo il mio toro in casa. Che vita! E anche se nulla di tutto questo era calcolato, è avvenuto tutto… grazie ai calcoli.
di
scritto il
2024-09-08
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