Infermeria

di
genere
etero

Sei ore di lavoro, e poi sarà l'alba. Il telefono trilla all'improvviso, mettendo fine al silenzio della notte. Interrompo la lettura delle pagine patinate di «Novella 2000» e avvicino la cornetta all'orecchio.
- Pronto, reparto Urologia… -dico, con voce assonnata.
- Sono il dottor Gobetti, del Pronto Soccorso… -mi risponde la voce maschile all'altro capo del telefono- Abbiamo un'urgenza per il vostro reparto. Avete disponibilità di letti?
- Sì, due… -rispondo, dopo aver dato una rapida occhiata al tabellone.
- Bene. Fra pochi minuti i portantini saranno lì con un paziente.
La comunicazione s'interrompe senza che il medico si degni di concedermi nessun'altra informazione.

Il reparto in cui presto servizio è una clinica chirurgica ad alta specializzazione. È qui che confluiscono i pazienti con problemi uro-genitali ricoverati al Pronto Soccorso.
Sempre più spesso, specie di notte, diamo ospitalità a soggetti affetti da patologie indotte da pratiche sessuali devianti… come nel caso accadutomi un mese fa, quando un uomo, alla ricerca di un piacere solitario, si presentò al P.S. con infilato nell'uretra un metro di sottile filo elettrico. Il chirurgo, superando non poche difficoltà, fu in grado d'estrarlo per intero dalla vescica dove si era raggomitolato. Non più tardi di quindici giorni fa, poi, è giunto in clinica un paziente con il pene completamente scorticato. Una porta sospinta dal vento gli aveva schiacciato il pene contro lo stipite procurandogli quel tipo di abrasioni mentre girava nudo per casa. Perlomeno questa fu la versione che il paziente dichiarò al medico che lo visitò al P.S., ma dopo gli accertamenti fu appurato che le cause delle lesioni erano da attribuirsi a morsi di animale, probabilmente un cane: il suo. Alla luce di questi precedenti esperienze, ogni volta che mi appresto ad accogliere un paziente ricoverato d'urgenza, patisco una certa apprensione, specie quando nel reparto sono l'unica infermiera in servizio.

Due portantini escono dal vano mobile dell'ascensore. Spingono una barella con sopra un uomo, e vengono diritti nella mia direzione. Impazienti di sbrigare il servizio nel minore tempo possibile, mi chiedono dove possono sistemare lo sgradito ospite. Il viso dell'uomo è segnato dalla sofferenza e dal dolore. Faccio cenno ai due di seguirmi e li conduco nell'ambulatorio delle emergenze. Poco dopo sopraggiunge il medico di guardia, alzatosi di malavoglia dal lettino dove stava appisolato. Legge il foglio d'accompagnamento rilasciato dai medici del Pronto Soccorso, poi si rivolge a me.
- È un caso di priapismo…
Rimasta sola col medico incominciamo a spogliare il paziente dei suoi indumenti. Ogni movimento è accompagnato da gemiti di sofferenza.

Impieghiamo parecchio tempo per liberarlo delle mutande. Quello che appare ai nostri occhi non è un gran bello spettacolo. Il pene, di dimensioni superiori ai 15 cm, si erge dritto come un birillo. Il colorito è bluastro per il persistere di sangue venoso all'interno dei corpi cavernosi. Il tessuto ematico, non riuscendo a defluire correttamente nel circolo venoso, gli sta causando la tumefazione dell'organo sessuale.
- Mi spieghi, con calma, cosa le è accaduto -chiede il medico.
Intimorito e imbarazzato dall'inusuale situazione l'uomo inizia a raccontare.
- Dottore… anche lei è un uomo, può bene immaginare come vanno a finire certe cose. Stavo facendo l'amore, ed avevo il pene duro come poche altre volte, ma purtroppo non riuscivo a venire. Ho continuato per mezz'ora a montare la mia donna, anche se avvertivo qualche dolore al pene; poi gliel'ho tirato fuori. Solo allora mi sono accorto che mi era diventato blu. Ho fatto passare un po' di tempo, sperando che si sgonfiasse, ma non c'è stato verso. Più tempo passava, più mi si scuriva e mi faceva male; così mi sono recato al Pronto Soccorso…
- Ha fatto uso di sostanze eccitanti?
- Beh… un'ora prima del rapporto ho preso alcune compresse di Viagra.
- Alcune? Quante? Spero che sia a conoscenza che esistono confezioni con dosaggi diversificati, da 25-50-100 mg. Una dose massiccia potrebbe originare gravi disturbi alla salute.
- Credo di averne ingerite quattro, o forse cinque compresse da 50 mg. Ci tenevo a fare bella figura con questa donna…
L'uomo, sulla cinquantina, ha capelli vagamente brizzolati sulle tempie. Gli abiti accartocciati ai piedi del letto sono eleganti. Il viso spigoloso e asciutto si coniuga alla perfezione con il corpo vigoroso e all'apparenza agile. Distratta dai miei pensieri vengo riportata alla realtà dalle parole del medico.
- Si rende conto che ha ingerito una dose molto pericolosa? E nonostante tutto lei è fortunato! I danni avrebbero potuto essere ben più gravi di questo… ma chi glielo ha fatto fare?!
Il paziente resta muto, una lacrima gli riga la guancia. Gira il capo sul cuscino per nascondere il volto rigato dal pianto.
- Lo mettiamo a letto… -ordina il medico, rivolgendosi a me- …possibilmente in una camera singola. Somministragli 10 gocce di Contramal ogni 12 ore; poi fagli un impacco di pomata Voltaren attorno al pene. Fai attenzione a non depositare la pomata sul glande. La mucosa è sottile e delicata, il farmaco potrebbe provocargli delle irritazioni. Ah, e mettigli anche una borsa di ghiaccio sulla parte dolente. Domani il primario deciderà cosa è meglio fare.

Provvedo a fare indossare al paziente un camicie di carta e lo trasbordo sulla barella, dopodiché lo conduco in camera. Per evitare che il pene venga a contatto con le lenzuola inserisco un archetto metallico a livello del bacino, in modo da lasciarlo libero nei movimenti. Avvolgo attorno al pene alcune garze impregnate di pomata Voltaren e deposito la borsa di ghiaccio sopra il pube. Prima di uscire dalla stanza mi viene spontaneo porgergli un bacio sulla guancia, per consolarlo della sua sofferenza.
Quando sono sulla porta mi sento chiamare.
- Lei è un angelo…
- No. Mi chiamo Erika, ma qui tutti mi chiamano Farfalla; se vuole, può chiamarmi così anche lei. Arrivederci, e buonanotte.

* * * * * *

Sono di ritorno in clinica, a distanza di due giorni. Ho goduto del riposo settimanale e riprendo il mio solito lavoro.
- Tutto bene? -chiedo a Sandra, una delle colleghe che trovo seduta nella guardiola quando prendo servizio.
- Sì, Farfalla, nessun nuovo arrivo.
- A proposito… quel paziente affetto da priapismo, come sta? È tornato a casa?
- Purtroppo no! Non sta bene, anzi…! Lo vedrai di persona quando ti capiterà di medicarlo.
Ci scambiamo le consegne. Dopo che Sandra se n'è andata a casa eseguo un giro del reparto per verificare se i pazienti hanno problemi.
- Come sta, signor Cervetti? -dico appena metto piede nella stanza dell'uomo che ho accolto in reparto alcune notti prima.
Il viso del paziente non è dei più allegri. Se al momento del ricovero mi aveva dato l'impressione di essere preoccupato, adesso mi appare terrorizzato. Le lacrime gli scendono copiose sul volto e disegnano rivoli gemmati sulle guance. La scena mi commuove. Mi siedo al bordo del letto e gli accarezzo il viso, asportando le lacrime con le dita della mano.
- Sono contento che lei sia tornata. Sto male, molto male…
- Le cambio la medicazione e vedrà che starà subito meglio.
Scopro il lenzuola e tolgo l'archetto metallico che serve a evitare che il pene venga a contatto con la coperta. Asporto le garze con cautela. Il pene appare di un colorito più violaceo rispetto a quando l'ho visto l'ultima volta. Sostituisco la medicazione incontrando non poche difficoltà, e provocandogli anche dolore.
- Signor Cervetti, non deve preoccuparsi. Ho letto nel libro delle consegne che nel pomeriggio la sottoporranno ad un piccolo intervento chirurgico. Lo farà in anestesia locale e non sentirà nessun dolore, dopodiché il suo pene tornerà ad essere normale.
- Dice così per incoraggiarmi, so bene che non sarò più come prima…
- Di certo non potrà sostenere la stessa attività che l'abuso di Viagra le consentiva, ma ritornerà ad essere una persona normale, glielo assicuro. Ho già assistito pazienti con patologie simili alla sua…
- Lei è molto dolce, ma come posso crederle…?
- Deve avere fiducia, vedrà che tutto si risolverà per il meglio. La saluto, in bocca al lupo per l'intervento!
Imprimo un bacio sulla fronte dell'uomo e, sorridendogli, esco dalla stanza.

* * * * * * *

Sono trascorsi sei giorni dall'intervento chirurgico che ha rimosso l'ostruzione meccanica dei corpi cavernosi. Il rapporto d'amicizia che intrattengo col signor Cervetti si è fatto più confidenziale. Quando ho un attimo di tempo libero mi reco nella sua stanza per tenergli compagnia e scambiare quattro chiacchiere insieme a lui.
Sfogliando il libro delle consegne ho appreso che le sue dimissioni sono ormai prossime.
- Allora ci siamo. Domani è il gran giorno! Finalmente te ne torni a casa, sarai felice no?!
Roberto, questo è il suo nome, sta supino sul letto e mi guarda con gli occhi lucidi. Non sono più abituata a vederlo triste. Tutt'a un tratto inizia a piangere come un bambino.
- Scusami, non dovrei farmi vedere così… non è bello veder piangere un uomo, lo so… ma… il fatto è che… che… che sono un fallimento totale… ho fatto una cazzata, e forse… forse non riuscirò mai più ad avere rapporti con una donna…
Presa da sentimenti materni mi siedo al lato del letto, e inizio ad accarezzargli il dorso della mano stesa sopra il copriletto. Appoggio la guancia sulla mano e inizio a sfiorarla con le labbra. Afferro l'elastico dei pantaloni del pigiama e li abbasso, facendoli scivolare ai suoi piedi. Ha le gambe pelose, come piacciono a me. Mi getto a capofitto con la bocca sulle cosce e inizio a leccarle. Stuzzico la sua virilità con dei morsi alla radice dei peli.
Il gonfiore sotto gli slip non mi trova impreparata. Mi alzo in piedi e con disinvoltura gli abbasso il tessuto delle mutande verso le ginocchia. L'uccello, che solo pochi giorni prima mi aveva impressionato per la deformità, appare ora pieno di grazia.

Mi fermo e osservo le forme di colorito bruno e immacolato che lo caratterizzano. L'intervento chirurgico lo ha rimesso a nuovo. La mia bocca, golosa ed avida, piena di saliva, anela ad assaporare il rotolo di carne che mi sta davanti. Inizio a strofinare le dita sullo scroto, e ne soppeso la consistenza. D'impulso incomincio a leccargli le palle, poi senza fretta risalgo alla radice dell'uccello e proseguo fino alla cappella. Ad ogni leccata sento il corpo di Roberto vibrare di piacere, accrescendo il mio desiderio di mordergli la cappella. Stringo il cazzo fra le dita e inizio a farle scorrere attorno alla superficie del cazzo. Inumidisco la cappella con la saliva per facilitare lo scorrere della mano. Quando la punta della lingua sfiora la cappella, l'uomo emette dei gemiti di piacere.
- Sì… oh sì… mi piace… mmmm… mi stai facendo godere…
Lecco l'uccello e nel contempo gli massaggio le palle come una forsennata. Estasiata, ho l'impressione di perdere i sensi e sto per smarrire il lume della ragione. Sono preda di un delirio d'irresistibile piacere, ma non riesco a trattenermi.

Le pulsazioni dell'uccello paiono accelerarsi a contatto con le mie dita. Infilo nella bocca la cappella e la succhio. Un movimento sussultorio del bacino accompagna la penetrazione dell'uccello nella gola. Mani e labbra entrano in simbiosi con il movimento delle sue anche. Il cazzo entra ed esce dalle mia bocca in maniera rapida. Con la lingua sfioro l'orifizio uretrale, solleticandolo di nuovi piaceri. Tengo fermo l'uccello con la mano e inizio a leccare il frenulo. L'uccello si contrae in spasmi di piacere. Lo ingoio fino a spingerlo contro le adenoidi nel fondo della gola.
Con le labbra posso sfiorarne la radice, tanto l'ho spinto giù. È un piacere assaporare il profumo che emana un cazzo quando è sfregato, ha un flagranza particolare che sprigiona solo negli attimi che precedono l'eiaculazione. Lo sento contrarsi e subito dopo sborrarmi nella bocca. L'uomo irrigidisce il corpo trascinandomi in un vortice di piacere. Sento che ho un orgasmo e, mentre gusto il seme, ne ho un altro. Dopo avermi sborrato in bocca non estraggo l'uccello, lasciando che possa godere fino all'ultimo delle sue pulsazioni. Non lascio disperdere alcuna goccia del prezioso nettare. Lecco con cura quel poco che è fuoriuscito dalle labbra. Infine l'uccello perde di consistenza e si ammoscia nella mia bocca.

Roberto è perfettamente guarito. Mi rialzo dal letto ed apro i bottoni del camice. Prendo da una tasca una forbice e abbasso il bordo delle mutandine. Taglio un ciuffo di peli attorno la fica, li metto in una bustina trasparente e glieli porgo. Lo saluto, piuttosto sicura che non lo rivedrò più.

Noi infermiere viviamo costantemente circondate dalla sofferenza e dal dolore, ma non riusciamo a farci l'abitudine. Ecco perché abbiamo tanto bisogno d'amore.
di
scritto il
2024-09-20
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