La fabbrica della pasta

di
genere
etero

Le pale meccaniche degli escavatori si abbattevano sulle mura dell'opificio, rovesciando intere pareti al suolo. Gli strati di malta degli intonaci si staccavano dai cumuli di mattoni rosso cupo, proiettando verso l'alto dense nuvole di polvere. Le tenaglie meccaniche tranciavano le armature di ferro, che servivano a tenere insieme i blocchi di cemento, riducendole in magri frammenti. Nel contempo, i bulldozer si spostavano da una parte all'altra del cantiere, scaricando sui camion ammassi di detriti, con i conducenti degli automezzi incolonnati in febbrile attesa del carico da spostare.
Operai, tecnici e mezzi meccanici si muovevano nel cantiere in perfetta sincronia, controllati dagli occhi vigili di gruppi di pensionati assiepati oltre la recinzione del cantiere, attenti nello scambiarsi commenti sull'andamento dei lavori. Ai più sembrava un'assurdità che lo stabilimento fosse demolito. Prima della chiusura l'azienda dava lavoro a trecento maestranze. Il marchio della pasta, di antica tradizione, era lodato e celebrato in Europa e nel mondo per la qualità, ma il marchio era stato venduto ad una multinazionale, e lo stabilimento chiuso.

La fabbrica per la produzione della pasta stava dissolvendosi nel nulla, insieme al suo glorioso passato. Lo stesso era accaduto, qualche mese addietro, all'imponente stabilimento per la lavorazione del vetro che si trovava dall'altra parte della città, lungo la strada che conduceva al mare, i cui altiforni erano stati spenti e abbattuti nel volgere di pochi mesi, insieme alle ciminiere e fumaioli simbolo della fabbrica. Una delle più antiche manifatture per la lavorazione del pomodoro, vanto dell'industria alimentare della città, aveva chiuso anch'essa i battenti. Il «nuovo che avanza» dava l'impressione di non avere rispetto per le tradizioni, portandosi via tutto, anche l'anima delle persone che in quelle fabbriche avevano consumato la vita lavorandovi giorno e notte. Al posto degli stabilimenti industriali erano sorti, o stavano sorgendo, condomini e moderni centri commerciali.

Dalla finestra della sua abitazione, posta al secondo piano del palazzo, dirimpetto all'ex-fabbrica della pasta, Claudia trascorreva molte ore della giornata ad osservare i lavori che si svolgevano nel cantiere, fissando lo sguardo sui visi delle persone assiepate dietro le transenne ai bordi del cantiere. Molti di quegli uomini avevano lavorato con lei nel pastificio, e con qualcuno c'era pure andata a letto. Non si meravigliò di scorgere, su quei volti, malinconia e contrarietà per lo stabilimento che scompariva insieme ai ricordi della loro giovinezza.
Claudia era stata collocata a riposo poco prima che la fabbrica della pasta chiudesse i battenti. Trentacinque anni aveva lavorato alla catena di montaggio, inscatolando confezioni di pasta tutte uguali. Raggiunta l'età della pensione, aveva lasciato la fabbrica, incentivata da una cospicua buonuscita in denaro.
Ora che entrambi i figli si erano sposati, lasciandola sola dentro l'enorme casa, si sentiva persa e abbandonata a sé stessa. Alla solitudine ci aveva fatto l'abitudine dopo che era rimasta vedova parecchi anni prima. Seguire i lavori di demolizione dello stabilimento la distraeva più di qualunque reality show alla televisione.
La mattina, uscendo da casa per recarsi a fare la spesa al vicino supermercato, aveva preso l'abitudine di fermarsi a conversare con gli ex-compagni di lavoro fermi dinanzi al cantiere. Ma col trascorrere dei giorni incominciò ad osservare quello che restava della fabbrica anche la sera, dopo che gli operai se n'erano andati via e il cantiere restava privo di vita, ma illuminato a giorno da un potente faro incastonato sulla trave di una gru, messo lì per scoraggiare l'incursione dei ladri.

Un'intrigante presenza notturna giunse a turbare la vita di Claudia. Un uomo, ogni sera, a una certa ora, raggiungeva lo scavo e s'intratteneva dinanzi alla recinzione a osservare il cantiere spoglio. Un cagnolino bianco, chiazzato di nero, gli faceva compagnia. L'animale, al guinzaglio, restava per tutto il tempo accucciato al fianco del padrone, scodinzolando nervosamente.
Claudia era incuriosita dalla figura solitaria di quell'uomo. Avrebbe desiderato conoscerlo, conversare con lui, scambiando le emozioni che ad entrambi suggerivano le macerie della fabbrica della pasta.
Visto da lontano, seminascosto dal buio delle tenebre, l'uomo non le suggeriva niente di particolare. Claudia avrebbe desiderato scorgere da vicino i lineamenti del viso di lui, ma non poteva scendere in strada ed avvicinarglisi. Cosa gli avrebbe detto? Che si sentiva sola e aveva bisogno di compagnia?
Erano trascorsi tre anni dall'ultima volta che aveva scopato, ed ormai non si ricordava nemmeno più come si faceva. Era capitato con un tizio, davvero non male, incontrato per caso al Marisol, una balera alla periferia della città frequentata da gente sola come lei. In sua compagnia aveva ballato per tutta la sera, intrattenendosi sulla pedana al ritmo delle musiche caraibiche, poi aveva accettato di essere accompagnata a casa, mollando le amiche con cui era andata nel locale. Lungo il tragitto si erano appartati in macchina nel parcheggio prospiciente il diamante di baseball, vicino al ponte che in quel punto attraversa fiume, e lì si era concessa al suo spasimante.

Un temporale estivo colse impreparati l'uomo e il cane dinanzi alla recinzione dell'ex-fabbrica della pasta. I lavori d'abbattimento delle mura avevano subito una repentina accelerazione col sopraggiungere della stagione estiva. La tettoia della fermata del bus, posta sul ciglio della strada a poca distanza dal cantiere, si rivelò un ottimo rifugio per l'uomo e l'animale, riparandoli dalla pioggia insistente. Trascorse parecchio tempo, tuttavia; il temporale sembrava non dovesse mai terminare, ed il livello dell'acqua in strada si stava alzando. Claudia rimase ad osservarli dalla finestra, poi decise di uscire in loro soccorso. Afferrò due ombrelli dal mucchio nel ripostiglio, indossò un paio di ciabatte da mare e si precipitò in strada.
Fuori la pioggia cresceva di intensità. Claudia, muovendosi con disinvoltura fra le pozzanghere, raggiunse la tettoia alla fermata dei bus, che a quell'ora avevano già terminato le corse notturne. Quando giunse alla pensilina si rivolse all'uomo, porgendogli il parapioggia.
- Tenga, quest'ombrello è per lei, la prego.
- Ma… veramente… - disse l'uomo, sorpreso dal gesto della donna.
- Non si preoccupi, me lo renderà.
- Ma… non la conosco, e neppure so dove abita.
- Abito là… -disse indicando col braccio esteso il condominio dalle tinte bianche e celesti dove risiedeva.
- Grazie, glielo renderò.
- Non si preoccupi.
Claudia ritornò sui propri passi e stavolta non risalì a piedi le scale di casa, ma usufruì dell'ascensore. Quando si affacciò alla finestra, l'uomo era scomparso da sotto la pensilina.

Per qualche giorno l'uomo non si fece vedere al cantiere. Poi, una sera, poco prima dell'ora di cena, si presentò davanti all'uscio dell'appartamento di Claudia.
- Buonasera… sono venuto a riportarle l'ombrello che mi ha prestato! -disse, stupendola non poco.
Claudia era andata ad aprire la porta con indosso il solo accappatoio di spugna. Attorno al capo teneva avvolta una salvietta messa lì ad asciugare i capelli ancora bagnati. Era uscita dal box doccia immaginando di trovarsi al cospetto di Rosa, un'inquilina del condominio che spesso veniva a farle visita a quell'ora. Rimase sorpresa nell'imbattersi nell'uomo, e restò muta.
- È stata molto gentile… -disse il visitatore, colmando l'imbarazzante vuoto che si era venuto a creare fra loro.
- Accidenti! Scusi se sono venuta ad aprirle conciata così… -rispose Claudia, indicando l'accappatoio- …non immaginavo di trovarmi lei alla porta.
- Aspettava qualcun altro?
- No… no, nessuno in particolare…! -ribatté con un certo imbarazzo.
Claudia non si era accorta d'avere l'accappatoio di spugna abbondantemente scollato, e il solco delle tette abbondantemente esposto, fin quasi ai capezzoli; quando se ne accorse socchiuse il bavero dell'indumento nascondendo le forme del corpo.
- Ma non vorrà rimanere sulla porta! Si accomodi… -disse, invitandolo ad entrare.
- Ma veramente… non vorrei disturbare. È tardi, dovrei andare.
- Qualcuno l'aspetta?
- No, ma…
- Entri allora, non si faccia pregare… -disse scostandosi dall’uscio e indicando il corridoio che conduceva al salotto.
- Beh, se insiste…
Finalmente poté vedere da vicino i lineamenti dell'uomo, e a dire il vero non le sembrarono per nulla eccezionali. Si meravigliò di non trovarlo in compagnia del cane, e questo le sembrò un indizio da non sottovalutare; evidentemente era venuto lì con la speranza d'intrattenersi con lei, pensò, altrimenti se lo sarebbe tirato dietro com'era solito fare tutte le sere.
Notò che non portava la vera matrimoniale al dito. L'uomo dimostrava un'età attorno ai cinquant'anni, come lei. Portava una barba curata, incanutita a tratti; i capelli erano leggermente brizzolati, e la pelle era brunita.
- Da questa parte, si accomodi… -disse, introducendolo nel salotto.
- Carino… -disse lui quando si trovò nella stanza.

Il locale sembrava raccontare poco di chi l'abitava, ma non era così. Le suppellettili, di bassa qualità, erano state acquistate al «Mercato del Legno», un grande centro commerciale ubicato sulla tangenziale a nord della città, e anche le altre parti dell'arredo erano di poco prezzo.
Presero posto uno di fronte all'altra sulle poltrone in pelle, accanto ad un tavolino con appoggiato un abat-jour. Restarono a chiacchierare, per nulla imbarazzati dalla loro estraneità, e quasi subito cominciarono a darsi del tu. Claudia era eccitata, da tempo non si trovava sola in compagnia di un uomo, e non sapeva bene come comportarsi. Gli offrì da bere una bibita, l'uomo non accettò alcoolici e nemmeno birra… ma non rifiutò un thè alla menta, che lei si affrettò a ritirare dal frigorifero.

La serata era calda, e continuarono a bere thè freddo per tutto il tempo. Claudia non si cambiò d'abito, rimanendo con indosso l'accappatoio di spugna, liberandosi però del turbante che aveva messo sul capo nell'istante in cui era uscita da sotto la doccia. Si meravigliò quando l'uomo decise di alzarsi dal divano e si avvicinò alla balaustra della finestra che si affacciava sulla strada. Da lì si poteva vedere il cantiere dell'ex-fabbrica della pasta avvolta nel buio delle tenebre, riflettore a parte. Claudia lo seguì dappresso, e si mise accanto a lui. Entrambi appoggiarono i gomiti sul parapetto e rimasero a fissare l'area del cantiere.
- Ho passato trentacinque anni della mia vita fra quelle mura… -disse lei.
- Che lavoro facevi?
- Operaia addetta all'inscatolamento della pasta.
- Lavoro duro?
- Sì, certo.
- Hai nostalgia?
- Di che?
- Del luogo di lavoro, delle compagne…
- No, affatto.
- E di cosa allora?
- Dell'odore di sfoglia.
- Anche tu?
- Come sarebbe a dire?
- Niente, pensavo a una cosa mia.
- È strano, lo so, ma l'odore della pasta all'uovo ancora umida aveva su di me degli effetti piacevoli…
- Ti eccitava?
- Sì, ma come fai a saperlo?
- Lo so. Succedeva anche a me… - disse, lasciando cadere il palmo della mano sul fondoschiena della donna.
Claudia non si sottrasse alla stretta, e nemmeno biasimò l'uomo per l'audacia con cui le aveva carezzato il culo. Aveva voglia di qualcuno che si accorgesse di lei toccandola in quel modo; per questo non si ribellò, lasciando che lui la palpasse.
Entrambi continuarono a guardare ciò che restava dello stabilimento prossimo alla completa demolizione.

- Cos'è che ti affascina in quell'edificio? -chiese lei.
L'uomo non rispose, si staccò dal davanzale e si portò dietro di lei. Sollevò la stoffa dell'accappatoio rovesciandoglielo sulla schiena. Nella penombra della stanza, illuminata dalla luce dell'abat-jour, il culo della donna doveva apparirgli attraente, perlomeno questo pensò Claudia dal momento che non indossava le mutandine. Aveva la fica bagnata, non le succedeva da parecchio tempo, specie in quel modo. Lasciò che le cingesse le braccia intorno alla vita e accolse con piacere il cazzo dentro di sé quando lui glielo spinse dentro, poi serrò con forza i muscoli per trattenerlo. Nemmeno si preoccupò d'imporgli il preservativo, come un tempo era solita fare quando si accoppiava con estranei. L'uomo abbandonò le mani dai fianchi della donna e le abbrancò le tette, voluminose ma mollicce, carezzandole delicatamente i capezzoli, seguitando a scoparla senza mai fermarsi.
La gru col lungo braccio girevole, che tanto le ricordava il collo dell'omonimo uccello, stava davanti a loro con una carrucola unita a dei cavi cui stava agganciato un contrappeso. Claudia osservava l'ondeggiare della zavorra, sospinta da una parte all'altra dal vento, agitando il culo in sincronia con i movimenti dell'uomo che la scopava.
Godeva, dopo tanto tempo era tornata ad appagare i sensi. Il cazzo strusciava la parete interna della fica, provocandole fremiti di piacere.
Teneva il respiro in affanno e il cuore le pulsava in maniera disordinata. Sentiva il pulsare del sangue alle vene delle tempie. La testa le scoppiava di calore e sudava in maniera esagerata. Il pube dell'uomo le martellava le natiche, spingendola in avanti contro il davanzale della finestra aperta.
Claudia avrebbe voluto urlargli che stava godendo, ma non lo fece, contenendo l'emozione per sé. Lui si mostrò a suo agio nel prenderla da dietro, e continuò a lungo a penetrarla, poi si scostò e si mise in ginocchio col muso affondato nella fica divaricandole le gambe. Immerse la bocca fra le pareti umide della passera e cominciò a leccarla, gustandosi il prelibato liquido secreto dalla fessura. Lei ebbe dei sussulti e prese ad ansimare con maggiore intensità. Posò le dita sul clitoride e cominciò a carezzarselo, mentre la lingua dell'occasionale partner continuava a leccarla, solleticandola per la presenza della barbetta contro la pelle.
L'orgasmo sopraggiunse prepotente, squassandola in tutto il corpo.

Subito dopo la lingua dell'uomo risalì verso l'apertura del culo, e diede inizio alla sua opera di ammorbidimento attorno lo sfintere dell'ano.
Raramente Claudia aveva permesso a qualcuno di ispezionarle in quel modo il culo; stavolta però non si sentiva per niente imbarazzata, e recepì con piacere il solletico che le provocava la lingua dell'uomo mentre si agitava attorno lo spiraglio. L'uomo le depose una grande quantità di saliva sull'ano, poi la penetrò delicatamente con un dito, dilatandole i tessuti dello sfintere anale.
Claudia intuì quali fossero le intenzioni dell'uomo, ma non si scostò. Attese che si sollevasse in piedi, e sporse il culo all'indietro, preparandosi a ricevere il cazzo di lui dentro le proprie viscere. Sentì la cappella posarsi sullo sfintere e incunearsi con forza contro di esso, faticando ad entrare. Il buco si dilatò al passaggio dell'uccello, provocandole un intenso dolore attutito dal piacere d'essere fonte di godimento per l'uomo. Claudia rimase immobile, ancorata al davanzale della finestra, lasciando che lui le spingesse il cazzo con veemenza dentro il culo. L'uomo le aveva posato le mani sui fianchi tenendola ancorata a sè, evitando che potesse fuggire via.
Il movimento dell'uccello le provocò un intenso bruciore all'ano per la tensione dei tessuti dello sfintere, ma lei non si lamentò, digrignò i denti e tenne duro, desiderando che lui eiaculasse al più presto dentro di lei. L'uomo tardava a venire, e proseguì a incularla mentre, grondando sudore, lei sembrava perdere in brillantezza, disabituata com'era a fare sesso.
Quando finalmente le sborrò nell'ano, Claudia avvertì il peso del corpo dell'uomo rovesciarsi sulla sua schiena. Lui la strinse forte, fintanto che cessarono i tremori che gli attraversavano lo scheletro.

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La fabbrica della pasta ormai non esiste più; sulle sue ceneri è sorto un moderno complesso edilizio. Claudia vive sola nell'appartamento, e nel tempo libero si diletta a fare la sfoglia e cuocere il pane.
L'uomo col cane continua a farle visita.
di
scritto il
2024-08-29
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