Atomic red

di
genere
etero

Tra tutti i cazzi che aveva succhiato nella sua vita, quello che invadeva con prepotenza la sua bocca in questo momento era certamente il migliore. Tra i 16 e i 18 centimetri di risoluta e imperturbabile lunghezza, un diametro abbastanza ampio da conferire una sensazione di pienezza ma non così esagerato da impedire le necessarie operazioni di labbra e di lingua attorno ad esso. Delle venature sufficientemente discrete ma al tempo stesso decise, tanto da trasmettere alla bocca una sensazione di linfa vitale senza creare quell'eccessiva e un po' scabrosa idea di corpo venoso. Una consistenza quasi granitica intuibile al suo interno, ma avvolta da un'epidermide morbida e quasi vellutata che rendeva il suo compito più agevole.
Eh sì, Viviana era decisamente contenta e orgogliosa della sua scelta: proprio un cazzo come si deve!
Si sentiva soddisfatta ma anche percorsa da un eccitante senso di meraviglia. Era meravigliata di sé stessa. Di vedere le cose per la prima volta in quella maniera.

«Un cazzo come si deve…». Non aveva mai pensato in quei termini. Non era per la volgarità dell'espressione, o per moralismo. La sua vita sessuale era stata fino a quel momento normalmente ricca di esperienze e non aveva stupidi pudori a pronunciare la parola «cazzo». Ma ogni membro maschile nel quale si era imbattuta era stato per lei solo una «parte del tutto»; un'appendice a cui ci stava necessariamente attaccato qualcosa di «principale»: un ragazzo conosciuto al mare che giocava bene a tennis, un fidanzato che frequentava il suo stesso liceo, quell'uomo sposato e 15 anni più grande di lei che conobbe durante un viaggio aereo, un impertinente collega di lavoro che si era scopato quasi tutte le colleghe di ufficio, e molti altri. E, soprattutto, suo marito. Ad ogni cazzo corrispondeva un viso, uno sguardo, un modo di fare, dei gesti, una personalità, un uomo nel suo complesso, insomma.
Questa volta invece i suoi pensieri erano concentrati solo sull'oggetto di carne che le stava in bocca. Poco le importava di questo ragazzo riccioluto incontrato appena da un paio di ore. Anche quando lui l'aveva abbordata in una strada del centro con impacciata spavalderia, il suo pensiero era stato immediatamente quello. L'aveva guardato intensamente negli occhi, ma subito per cercare nel suo sguardo un indizio di potenza virile, il riflesso di un muscolo carnoso. Uno sguardo rapido sotto la cintura le aveva fatto intuire di essere probabilmente sulla buona strada.
Si fermò un attimo per deglutire. Presa dalla foga non aveva fatto caso che stava per ingozzarsi, quasi per vomitare. Ma fu solo un attimo. Sentiva veramente l'impulso di succhiarselo tutto e per bene, quel cazzo. Ora aveva recuperato un po' di lucidità e quindi avrebbe cercato di applicare più metodo a quello che stava facendo. Si posizionò meglio, sistemandosi un cuscino sotto le ginocchia.

Vrr vrr vrr… vrr vrr vrr…
Il cellulare in modalità silenziata le vibrava nella borsetta. Suo marito, ci avrebbe scommesso. Lei non ci fece caso più di tanto, ma sentì che l'affare che aveva in bocca aveva perso un tantino di vigore e ci rimase male. Possibile che un cellulare che suona riesce a interferire sempre con i nostri pensieri, qualsiasi essi siano? Ma ora non aveva tempo di andare a spegnerlo, né tantomeno di rispondere. Cercava di tenere le narici più aperte possibile per garantire una buona respirazione anche quando il cazzo le arrivava fino in fondo alla gola.
"Come lo succhi bene…!" fu tutto quello che il ragazzo riuscì a pronunciare in conseguenza di tanta perizia.
"Peccato che sia soltanto uno!". Ora fu lei a parlare. La frase le risuonò strana, come se fosse stata pronunciata da un'altra persona. Ma come le era uscita? Non si riconobbe, no, non era lei quella che parlava! Si sentiva diversa, e al tempo stesso incredibilmente eccitata.
Riprese subito a succhiare, quasi per scacciare il pensiero di una sé stessa ninfomane, così lontano dal vero e che le dava ovviamente fastidio.
Ora era ancora più duro di prima, certamente per l'effetto rinvigorente creato dalle sue ultime parole. Come erano diverse le cose da questa nuova prospettiva. In quel momento ad interessarla era solo la rappresentazione oggettiva e materiale della virilità maschile che le invadeva la gola e gli effetti delle proprie azioni su di essa. Una sensazione energizzante, ma soprattutto di potenza, di controllo.

Si fermò di nuovo, questa volta per scelta, seguendo il flusso dei suoi pensieri.
"Non è che hai un amico con un cazzo bello duro come questo? Se lo chiami vi faccio vedere cosa so fare…".
Pensò che anche questo non era assolutamente da lei. Nessuno che la conoscesse avrebbe mai creduto che lei, Viviana, la mogliettina perfetta, potesse pronunciare una simile frase. Ma ora sentiva che faceva parte di una sequenza tutto sommato naturale e logica. Un compito ormai iniziato e da completare fino in fondo.

Mentre era nel bagno per rifarsi il trucco ascoltava con distrazione il sottofondo del ragazzo che parlottava al cellulare in maniera concitata con qualche suo amico. Cercava di convincerlo che la storia che gli raccontava era tutta vera, e che doveva mollare quello che stava facendo per precipitarsi lì.
"…Minchia ti giuro, non ti prendo per il culo… in centro, stamattina… ma no… da paura!…".
Vrr vrr vrr… vrr vrr vrr. Ancora la petulante vibrazione del suo cellulare. Guardò con distrazione il display. Due chiamate senza risposta: «1. Carlo 2. Carlo».
Prese il rossetto dalla borsetta e tornò allo specchio. E mentre lo apriva e faceva il gesto di rotazione per farne uscire il corpo dall'involucro, fu come fosse colpita da un'improvvisa folgorazione. Il rossetto… ma sì, certo! Ora quello che le stava avvenendo pareva trovare una sua spiegazione: QUEL rossetto!

Era stato circa una settimana prima, lei e suo marito erano in giro per compere. Era molto tempo che non lo facevano insieme e lei era contenta della cosa.
"Dai, che mi prendo un rossetto nuovo!".
Lo aveva detto (o almeno le sembrava) con il tono di una proposta vagamente coinvolgente, che forse poteva sottintendere qualche sviluppo eccitante per il resto della serata. Ma suo marito Carlo aveva appena inarcato le sopracciglia e fatto un cenno di approvazione indifferente, rassegnato al fatto di dover sprecare un'altra decina di minuti in quel negozio di cosmetici in attesa della sua scelta.
I suoi occhi erano caduti su un rossetto che non aveva mai visto. Un colore tra l'arancio e il rosso scuro, satinato, ma la cui pasta era resa luccicante dalla presenza di minuscoli brillantini argentei.
"Cosa dici di questo?". Gli lesse il nome stampato in corsivo sullo sticker: «ATOMIC RED»! Lo aveva detto con le labbra socchiuse e leggermente protese, con aria scanzonata, come una ragazzina che vuole iniziare un gioco un po' malizioso con il proprio amichetto.
Lui aveva gettato un furtivo sguardo intorno a sé e le si era avvicinato con aria imbarazzata, quasi che quel nome fosse sconveniente da dire in un luogo pubblico.
"Ma dai, Viviana, quello ti fa una bocca da pompini!" le aveva replicato con un tono di sufficienza.
Perché quella frase le aveva dato così fastidio? Certo, era rimasta delusa del fatto che lui non avesse condiviso un suo gusto, e che non avesse neanche colto quel suo desiderio di tornare a giocare tra loro come quando erano fidanzati. Aveva anche concluso, tra sé e sé, che il liquidare con un epiteto così volgare quel suo desiderio fosse un gesto rude e irrispettoso nei suoi riguardi.
Fatto sta che quella mattina si era trovata di nuovo davanti a quel negozio di cosmetici, e non aveva saputo resistere all'impulso di entrare. Aveva pensato di aver fatto una cosa scema, e di non sapere che farsene di quel rossetto nella borsetta. Quando lo avrebbe messo? Cosa avrebbe detto Carlo? Mah, forse non avrebbe neanche fatto caso a quel nuovo colore sulle labbra, e comunque non lo avrebbe ricollegato a quell'episodio per lui probabilmente insignificante. E quindi, a che pro?

Ora, davanti allo specchio, ripensava all'episodio.
No, a renderla così furiosa era stato qualcos'altro.
"Una bocca da pompini"… e se anche fosse stato? Che c'era che non andava? Forse che la parola «pompino» non le si addiceva più? Solo perché ora erano sposati da tre anni, la sua bocca non poteva più essere per lui, almeno per un momento, semplicemente ed unicamente associata all'atto di infilarci dentro il proprio cazzo?!
Trovava strano come questo primordiale desiderio che sembrava fornire così forte motivazione ad ogni maschio in caccia si potesse appannare una volta che l'amore e l'abitudine fossero entrati nel gioco del rapporto.
E se lei l'avesse voluta una bocca da pompini, quel sabato sera?

"…Ma quale cesso?! Guarda che è una gnocca che non te la vedi neanche col binocolo!… Sui 35 direi… non me l'ha detto, ma penso di sì, ha la fede al dito… ma che ti frega, scusa? … Certo che non vuole soldi… sì, sono sicuro!… Ora è in bagno… ma che cazzo ne so?… Oh, ma ti decidi o no?".
La cosa sembrava andare per le lunghe tra i due studenti, e lei aveva fretta di portare a termine il suo compito. Aveva anche altre cose da fare nel pomeriggio! Appoggiò per un attimo il rossetto sulla mensola della specchiera IKEA da squattrinato studente universitario e tornò nella stanza.
"Passamelo…" disse, col tono perentorio di chi ha le idee ben chiare e sa cosa vuole.
Più avanti cercò di ricordare quello che aveva detto al telefono per convincere l'amico a venire. Ma fu difficile. Ci sono certe cose che puoi dire solo in determinate circostanze, e che la tua memoria poi coscienziosamente accantona. Per proteggerti dall'imbarazzo e dalla vergogna, o forse per impedirti di prendere strade sbagliate in certi momenti della vita. Ma qualsiasi cosa avesse detto, era stata molto convincente.
Era tornata in bagno; di nuovo il chiacchiericcio in sottofondo.
"Okay, dai allora ti aspetto… no, no… 5 minuti… ma non puoi prendere la moto?… Vabbè, dai, ciau-ciau-ciau…".
Ecco fatto!
Vrr vrr vrr… vrr vrr vrr…
Pensò che forse tra un'oretta lo avrebbe richiamato, Carlo. Non lo avrebbe trattato con freddezza, anzi. Non era più arrabbiata. Ma adesso aveva una cosa da portare a termine.

Iniziò dal centro del labbro superiore per definire prima il dettaglio della forma a "V". Riempì poi il resto del labbro partendo dagli angoli esterni.
Passò poi al labbro inferiore, sempre avendo cura di partire dagli angoli esterni e andando verso l'interno. Ci mise tutto il tempo necessario e la massima perizia, cercando di evitare anche la più piccola sbavatura, quasi fosse una consumata attrice che nel camerino si trucca prima di uno spettacolo importante.
Sentì il campanello dell'appartamento suonare. Si ritrasse un attimo per contemplare allo specchio il risultato ottenuto.
Nella sua mente un pensiero di soddisfazione.
«Atomic red… già, proprio una bocca da pompini!».
di
scritto il
2024-08-26
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