Faccio schifo
di
cagnetta rottainculo
genere
dominazione
A culo ben esposto i modi di presentarlo possono essere tanti. Spianato a 90 sul tavolo di cucina con i piedi ben piantati sul pavimento, o all'aperto in luoghi appartati dove si nascondono i guardoni, nel fresco e nel buio della notte, riverso nudo sul cofano ancora caldo della nostra auto, per tenere le mie terminazioni nervose tutte sul chi va là. Il padrone mi dice sempre che sono come i nodi di un tappeto, forse del suo zerbino, e che sono le sentinelle e le antenne del dolore. Questa è la prima postura, chiamato fra di noi anche solo “Prima”. Poi c'è la “Seconda” ovvero il cavalletto. Piedi e mani ben piantati sul pavimento, gambe e braccia leggermente flesse e molleggiate in modo che il culo arrivi alla giusta altezza del cazzo del padrone quando mi salta sopra e mi copre e mi monta come il toro con la vacca. La “Terza” a pecorone. Come la bestia che sono diventato, accucciato sul pavimento a quattro zampe, con le natiche che sfiorano i talloni. La “Quarta” da vera puttana. Sdraiato di schiena sul bordo di un letto o di una poltrona a gambe sollevate e aperte o riverse sopra le spalle del padrone. La “Quinta” mani al muro, gambe manco a dirlo aperte, schiena ad arco, testa ben sollevata. La “Sesta”, e per mia fortuna ultima fra quelle di ordinanza, a smorzacandela, a padrone seduto in trono o disteso sul pavimento per infilzare il suo gagliardo piolo e sudare di muscoli scivolando su e giù in modo da prenderlo dentro tutto, proprio tutto come non mai, e masturbarlo fino a mescolare i miei gemiti con le sue urla di godimento nel fluire della sborra. Le ho imparate bene a memoria e sto attento a non sbagliarle, perché se sbaglio il mio culo diventa rosso come un peperone e devo anche chiedere umilmente scusa. Siamo due animali e io divento sempre di più una bestia nel suo zoo. Se dice “Cavallo” devo nitrire. Se dice “Pecora” devo belare. Se dice “Maiala” devo grugnire. Se dice “Asina” devo ragliare. Infine se dice “Cagna” devo abbaiare, ronfare, latrare, ringhiare o ululare a comando. Faccio schifo ma il padrone mi insegna che lo schifo che sono e che divento mi avvicina alla vetta o alla punta non del suo cazzo ma della più pura perversione.
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