Ai suoi piedi atto XVIII

di
genere
dominazione

Ogni sabato avevo il compito di lavare le mutande della settimana. Di abitudine il mio supremo usava due cambi al giorno. Dunque sette x due = quattordici paia + un paio delle mie (avevo licenza di un solo cambio, qualche volta di due, se proprio me la ero fatta addosso) + alcuni dei miei tanga e peri di scena, fanno circa venti I.I. (=Intimi Indumenti). Le mie erano le più lorde e dovevo per forza smacchiarle con la candeggina. Al resto del bucato provvedeva senza problemi il nostro factotum. Avevo imparato una differenza importantissima. Le mie mutande si chiamavano Paraculi o Vesticulo, le sue Reggipalle, Pigliaforme, Parasessi, Cazzeforti e Astucci, fate voi come vi suona meglio. Quest'ultima definizione era più che garbato ed appropriata anche ad essere proferita in alta società per designare (guarda caso) in modo anodino il ripostiglio della sua asta. Le lavavo a mano con estrema cura, le strizzavo nel risciacquo, le stendevo in lavanderia su di un filo, usando le stesse mollette dei miei passati e futuri tormenti, quasi ad imbastire una filza multicolore di grande effetto, perché parevano cordoni di bandierine per una festa di complea(n)no: una volta asciutte le stiravo una per una, ripiegandole con vero amore e adorandole, sempre fantasticando come per bene si riempivano dei genitali del mio supremo e in quanto alle mie, in maniera assai più volgare, del mio deretano. Infine le sistemavo in due distinti stipi, in gradazione di colore le sue, ad effetto arcobaleno, un po' più a caso le mie, che tanto erano solo o bianche o nere, come i tasti del pianoforte. Il suo stipo era marchiato “FOGLIE DI FICO”, il mio “COMPOST”. Tutte le volte che ero alle prese con gli I.I. del padrone mi veniva il desiderio di baciarli. Ma cercavo di trattenermi per preservare al cento per cento la loro ritrovata immacolata innocenza e il loro candore.
scritto il
2024-09-23
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