Dai piedi in su atto XX
di
cagnetta rottainculo
genere
dominazione
Domande, dirette o indirette, al padrone non ne facevo mai. Era una regola che mi aveva dato. Un bel giorno lo vedo rientrare in casa con una cassa di ceri da cimitero. Sto zitto e mi armo di pazienza. A che serve importunare il mio supremo PM (=Padrone e Maestro) con richieste di spiegazioni? Presto o tardi ogni dubbio, ogni mia curiosità troverà puntuale risposta nei fatti. Che vi posso dire? quella volta covavo una certa ansia. Dopocena il dom ha abbassato le luci e ha fatto girare sul piatto del giradischi una musica tetra, di uno coro che sembrava quello delle anime del limbo. Poi mi ha ordinato di sistemare tutti quei candelotti sul pavimento lungo il perimetro della stanza e di accenderli ad uno ad uno. RO (=Ricevo Ordine) disponiti al centro, accucciati e restaci appollaiato. Eseguo a puntino. La mia schiena era un piano inclinato, che terminava con il culo appoggiato sui calcagni. Dentro il culo il padrone mi ha cacciato una candela a bastoncello e un'altra uguale dovevo tenerla a morso fra i denti. Per fortuna che non erano accese. RO di mugolare, senza fare pause, una nenia la più lamentosa che mi fosse possibile e di modularla nei toni del dolore e dello spavento, la qual cosa all'inizio non mi riusciva abbastanza facile, ma suonava un po' finta. Con l'andare del tempo mi è venuta più che bene, senza sforzo, in un unico e continuo via vai di gemiti, perché era diventata vera la colata di cera calda che mi scendeva dalle spalle lungo il solco del culo fino ai talloni. La sentivo addosso come la cresta di un dinosauro. Per sfinirmi meglio il padrone mi ha marchiato una natica con la punta di un ferro da stiro rovente, sostenendo che era un “segno” di possesso. Per lo strazio ho cacciato un urlo il più acuto di tutta la mia carriera. Ma non era finita lì. Il dom mi ha fatto stringere fra le mani un posacenere di cristallo. Ha acceso uno dei suoi sigari cubani e ha cominciato a fumarlo. Spargeva la cenere a bella posta fuori traiettoria dal mio servizio e io correvo a cercare di intercettarla ma poche volte ci riuscivo. Mi sbuffava davanti al muso e si divertiva a sentirmi tossire come un caino perché il fumo mi andava di traverso in gola rendendo la mia voce sempre più rotta. Seduto placido egli disegnava nell'aria una sfilza di anelli, che a me ricordavano soltanto quelli della catena che mi teneva legato a lui. Ero in uno stato de deplorevole afflizione. Ma il mio supplizio non era ancora terminato. Mi ha fatto scattare sull'attenti. In quel modo mi sono scrollato di dosso tutta la cera che avevo sul groppone. Ho dovuto raccoglierla, frantumarla in pezzi, liquefarla in una pentola e poi versarla in uno stampo cilindrico di almeno dieci centimetri di diametro con al centro uno stoppino di corda, per ricavarne un grosso lume sul quale il padrone ha voluto incidere con l'unghia la data, prima che io la riponessi nella vetrina dei suoi trofei. Infine mi ha portato in bagno, seduto nella vasca e tenuto a mollo nell'acqua gelida che mi versava da un secchio. I denti mi battevano da rompere in tanti pezzi i cubetti di ghiaccio che il dom mi faceva tenere in bocca. Avevo la pelle d'oca. Tremavo e il pistolino lo sentivo assiderato. In queste maniere, tra freddo e caldo, ero ridotto talmente allo stremo da fargli compassione. Mi ha ripescato da quell'algido avello lasciandomi finalmente in pace. Per rianimarmi mi ha somministrato due aspirine in un grog così bollente da ustionarmi la lingua, che però mi ha dato il conforto di stordirmi almeno un po'. Nonostante ciò ero ancora infreddolito. I miei singhiozzi sono andati avanti per tutta la notte che ho trascorso chiuso fuori dalla stanza da letto. Se mai il dom li sentiva, forse che sì forse che no sarà riuscito a chiudere occhio. Dal canto mio ho schiumato a lungo di rabbia e di patimento e l'unica parola che mi veniva in mente era: Basta! Basta! Basta!
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