Dai piedi in su atto XXV

di
genere
dominazione

Lo schiavo può essere tenuto nudo e a corpo libero (per osservare come si dispera, si agita, saltella, fa piroette, si dimena e si contorce), a viso aperto o incappucciato (in uno stato di deprivazione sensoriale), in costrizione, più o meno in catene o stretto da corde e legacci, sulla croce o in gogna, o capovolto su un cavalletto (che limitano la sua cinetica e gli escludono ogni via di fuga), anche in posture bizzarre (di ludibrio, che lo facciano sentire ridicolo o degradato) o scomode (che lo fiacchino e ne indolenziscano le membra), più o meno a lungo, in ansia e in pena per l'attesa. Poi gli si incute paura, descrivendogli in anticipo quali strumenti sono stati prescelti e quali metodi e obbiettivi di tortura si intendono esercitare su di lui (restando ancora nascosto dietro un paravento, fingendo di dialogare con lui, come per parlamentare alla pari, ma consentendogli di proferire a stento solo dei semplici “Sì Signore”, “No Signore”). Tutto deve svolgersi senza fretta alcuna, valutando per bene il grado di sottomissione, di sudorazione e di eccitazione che il predestinato via via sviluppa (soprattutto attraverso l'esame attento del suo cazzo, che può restare moscio e molle o drizzarsi poco o spianarsi in piena erezione), in funzione di diniego o di consenso al trattamento. A questo punto inizierà il suo calvario. Il sadico entra in campo e non lascia scampo al malcapitato. Sfodera il suo primo e più primitivo armamentario: i suoi denti, le sue mani, le sue dita, le sue unghie e i piedi, la sua perfettissima verga e la cinta di cuoio dei suoi pantaloni. Sputa e morde le sue carni. Con le dita palpa, fruga e pizzica qua e là, stuzzica i capezzoli e li unghia, strizza il sesso e le palle, a tiro e a strappo, ispeziona e tormenta bocca e buco del culo. Elargisce buffetti, scappellotti sulla nuca, qualche sventola sulle guance, qualche tirata di orecchie, due o tre calci da dietro fra le palle, e poi giù a menare sberle e schiaffi, sculacciando per bene e arrossando il suo candido sedere, per portarlo al calor rosso, fino a un colore vinaceo, nei toni lividi del bordò. A questo punto estrae il suo cazzo, glielo struscia fra le natiche, entra in buca, lo fotte, lo martella e lo deflora. Fine del primo tempo. Segue una pausa, utile ad entrambi per riaversi un po'. Il padrone slega lo schiavo e lo conduce sbilenco ad esaminare l'ingombro di fruste e di strumenti punitivi stesi in bell'ordine sul piano di un tavolo. Glieli mostra e glieli descrive uno a uno con dovizia di particolari. Ci sono uno scudiscio da equitazione, uno staffile, un flagello a nodi, un nerbo, una coda di bue, un gatto, una canna, un pungolo, una paletta, un cucchiaio, una spazzola, un ispido guanto, due rotoli di carta vetrata (a grana fine -P220- e a grana grossa -P40-) da far indossare sotto gli indumenti a diretto contatto con la pelle, un battipanni, un fascio di ramaglie, una treccia di ortiche, un rotolo di giornale, un manganello, un righello, una stecca, un cane, e infine la sua personale e scintillante cintura di cuoio nero. Gli chiede se capisce a cosa può mai servire quell'apparecchio. Lo schiavo annuisce sembra che lo sappia, ma tentenna. Il dom spiega: In primo luogo a soddisfare il mio piacere in quanto tale di seppellirti di colpi. In secondo luogo per farti conoscere e sperimentare per la prima volta le atmosfere cupe e dolorose della fustigazione. In terzo luogo per guardarti soffrire e gustarmi le tue scomposte reazioni. E subito gli scandisce quale può essere la varietà degli obbiettivi. Spolverarlo, educarlo, correggerlo, punirlo, castigarlo, piegarlo e raddrizzarlo, purificarlo, addestrare, addomesticare, degradare, strapazzare, ferire, infliggere e affliggere, sfigurare, mortificare, esasperare, abbruttire, sfinire e rifinire, tramortire, svergolare, arroventare, fiammeggiare e zebrare, seviziare, martirizzare, annientare e asfaltare e massacrare il suo bellissimo culo, fino a trasformarlo in un trofeo abbellito e scolpito a pioggia, a sbalzo, a righe, a brufoli e a piaghe, a sbucciature e graffi, a sfregi, densi di sofferenza e di purissima sopportazione. Tale sarà il tuo destino se ti poni al mio servizio. Non tutti lo sanno che la frusta muovendosi a una velocità superiore a quella del suono (che è di 343 m/s) genera un “bang sonico” o “boato sonico” che si definisce nel classico terribile rimbombo del suo “schiocco”.
scritto il
2024-09-28
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