Dai piedi in su atto XXXII

di
genere
dominazione

Avevo dimenticato di inserire pure questo.
La presa per il culo, che in molti casi è una fortezza ben fortificata e difficile da espugnare, viene perseguita anche dagli eteromaschi, come aspirazione sentita ma poco assecondata. A loro tocca spesso in sorte di restare al palo, quando si trovano a dover fare i conti con i freni, con i veti e con i decisi dinieghi, ispirati a decenza e vergogna, delle femmine, quasi tutte neghittose all'idea di subire un assalto di rovescio. In questo caso anche i mazziatori più ardimentosi, spavaldi e ostinati devono desistere dai loro intenti delittuosi, profondersi in scuse e rassegnarsi a ingranare penosamente la retromarcia. A lancia in resta imboccano allora la via principale non troppo disonorevole della vagina. Pertanto il sedere diventa appannaggio quasi esclusivo degli invertiti attivi, alle prese con i loro passivi, che per loro natura e per definizione sono più zelanti e propensi, più malleabili e arrendevoli nell'allentare le difese e nell'alzare bandiera bianca, calando il ponte levatoio del loro castello, per lasciarsi di buon grado violare dai loro partner, ai quali porgono un caloroso benvenuto anche quando si fingono dei malcapitati. Nella sua declinazione BDSM la presa per il culo diventa ancora più ovvia e più pregnante, assume i contorni striduli e schiamazzanti della prevaricazione, in forma di violenza e di stupro. Tirato per i capelli nel fragore della pugna, lo schiavo può rimanere a corpo libero oppure risultare abbigliato e imbrigliato dai vari elementi identificativi della sua rassegnata sottomissione. Il principale dei quali è il collare con il guinzaglio. Viene mortificato nella completa depilazione anche del pube, Viene bardato da polsiere e da cavigliere, bendato e imbavagliato o inibito dalla ball gag. O deve indossare una maschera o un passamontagna, che può avere o non avere una finestra solo sulla bocca o anche agli occhi, o l'una e l'altra o nessuna. Oppure viene castigato da un cappuccio, come quello di un condannato che sale il patibolo, che lo annienta e lo oscura completamente. Versa in uno stato di squallida deprivazione da fargli perdere ogni tratto di personalità. Il poveretto non conserva alcuna traccia di amor proprio. Gli vengono immobilizzati gli arti. È ridotto alla impotenza. Nel precipizio della abiezione è condotto al confine fra uomo, animale e bestia. Diventa oggetto di coercizione, di spregio e di dileggio. È completamente in balia del suo padrone, magnifico sovrano del suo triste destino. Le posizioni che dovrà assumere nella inculata possono essere le più varie e risalgono tutte più o meno al Kamasutra. A cominciare da quelle più semplici e letterecce: disteso sul materasso per essere preso a panino, a terga o a usbergo, cioè supino e faccia a faccia o prono, o su un fianco (a cucchiaio), a gambe chiuse o aperte, con le spalle o il torace abbracciato e serrato nella tenaglia del dom, che lo pizzica e gli stuzzica i capezzoli o gli unghia la schiena. Le posizioni più abbiette e laide della monta son almeno cinque. A pecora sul pavimento, con la variante della testa schifosamente infilata nel cesso, al muro, prono a squadra e divaricato sul piano di un tavolo o supino a spaccata (gambe sollevate a forbice), e a smorzacandela (la più penetrante, quella che più di tutte fa vibrare nel culo la forza e l'energia devastante del cazzo). In ogni caso il buco roseo che si apre fra le natiche dello schiavo diventa al crescere delle mire del dom un bersaglio perfetto e predestinato. Il padrone vi entra dentro e ne prende possesso. Entra ed esce. Frizza e frigge il pavimento pelvico. Nel turbine delle sue voglie lo tempesta di colpi in un andirivieni impaziente e scalpitante di passare all'arrembaggio. Durante il quale prorompe davvero violento a martello. Di sicuro il derelitto, travolto dai colpi, ne riemergerà stordito, contraffatto e sovente anche segnato e sfigurato per sempre. Certi padroni diventano subito impulsivi e brutali. Altri quasi si dondolano. Lo escono e lo rientrano più fluido, più controllato ad altalena, indugiando in una flemma che comunque non esclude il vigore, come se agitassero un remo e si trastullassero nel rollio di babordo e di tribordo, nel beccheggio di prua e nel sussulto delle onde del mare del piacere. Questi hanno uno stile più perseverante e sono più perspicaci e attenti a registrare sui loro sismografi, disseminati in tutte le zone del corpo, i porci segnali di qualsivoglia vibrazione tellurica, anche la più insignificante. Pervengono più cauti, dopo momenti solfeggiati in adagio, fino al dispiegarsi di un allegro in accelerazione, scandito a colpi di reni, fra sospiri, fra gemiti e ansimi condivisi, in mezzo ai quali si diventa sempre sordi e ciechi, nel cedimento dei sensi, poco prima di tagliare il traguardo dell'acme, di quella splendida volata finale che scoppia in una apoteosi e che è segnata dagli schizzi dell'orgasmo fra gli spasmi del corridoio anale. Subito seguita da un senso di abbandono, che diventa paralisi muscolare e quasi parèsi, incredula, instupidita, vuota, incamminata lungo il capolinea dell'affanno residuo del mantice dei polmoni, che inspirano ed espirano i guaiti del godimento, con fiati ormai alla deriva e alla ricerca di ristoro e di rientro alla normalità. È questa la pura e intramontabile legge del coito sul tamburo del sedere. Il suo ritmo selvaggio fornisce giusto sfogo ai cazzi e porta nutrimento ai culattoni. Innalza i padroni nel cielo dell'estasi e precipita gli schiavi nella più nera e servile turpitudine. Quando ormai il dom è ormeggiato in rada e sazio vi cala l'ancora, sussurra compiaciuto all'orecchio del sub: che bella fica che hai! Il cui commento sdilinquisce lo schiavo e lo blandisce. Lo inquadra, dopo averlo quasi demolito, nella consapevolezza della sua essenza e nel recinto della sua relativa utilità al servizio dell'Eros del dominio.
scritto il
2024-10-04
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