Ripetizioni molto particolari - 7
di
Lokrost
genere
dominazione
– Ma agente. In realtà io…. – provai a replicare venendo però stoppata sul nascere.
– Ma in realtà cosa? Era un’altra persona alla guida? Eppure da come ti abbiamo visto guidare prima di fermarti, sembravi proprio tu. – risponde l’agente con tono nervoso ed autorevole.
Con altrettanta autorevolezza, aperta la porta mi prende per un braccio e con forza mi trascina fuori dall’abitacolo.
– Agente la prego! Non ho fatto niente e lasci il mio braccio. – cerco di dire mentre provo a divincolarmi quasi terrorizzata per tutta questa durezza.
– Più si agita. Più non collabora. Più sarà peggio per lei. – risponde mentre ci spostiamo di fronte alla mia auto.
– ..ed ora mani dietro la schiena – continua con tono quasi di “routine” e dopo avermele ammanettate mi spinge a novanta sul cofano.
Cerco di rialzarmi ed una mano va subito a spingere sulle mie spalle per riportarmi in posizione.
– L’agente le ha detto di stare ferma. Cosa crede? Che stiamo giocando ? – replica una voce fuori campo.
– Ma io non ho fatto niente. – rispondo, mentre vedo un’altra persona in divisa che si avvicina.
Mi fissa negli occhi quasi in tono di sfida.
Poi, rivolgendosi all’altro agente che mi trattiene sul cofano, comanda :
– Prendi i documenti dalla sua borsetta e cerca il libretto di circolazione nel porta oggetti. – prende respiro, e poi scendendo con lo sguardo lungo il mio corpo, continua :
– A lei, adesso ci penso io –
– Come vuoi – annuncia l’agente dopo aver smesso di trattenermi .
Mentre l’agente ora è nella mia auto che fruga tra le mie cose, l’altro si avvicina.
Lo sento che mi fissa, anche se ora sta dietro di me, immagino perfettamente cosa stia guardando.
– Non ti ho mai vista da queste parti. Sei nuova? – mi domanda continuando a starmi alle spalle.
– Abito poco distante da qui – rispondo mentre sudo notevolmente.
– Ti senti a disagio per caso? Da quanto ti sei trasferita? Questa, adesso è la tua zona? – mi domanda freddamente.
Alla domanda “Questa, adesso è la tua zona? “ capisco subito che mi ha scambiata per una prostituta e allora controbatto cercando di fargli capire la realtà.
– Ma io ho sempre abitato qui, sono nata in questa città! – rispondo
- Ho finito da poco l’università e il mio lavoro attuale è dare ripetizioni – aggiungo ancora per cercare di convincerlo.
– Palle! Non vogliamo collaborare allora? – mi urla quasi, piegandosi affianco a me e dopo avermi preso per i capelli, ruota il mio volto verso il suo.
– Vuoi che ti portiamo in caserma? Vuoi stare qualche giorno reclusa? Oppure decidi che è meglio collaborare? – mi domanda facendo un mezzo sorrisino all’ultima domanda.
Una voce da dentro la mia auto però, distrae l’uomo.
– Marescia’, guarda che dice la verità. Sta proprio qui dietro l’angolo casa sua. Ho qui la sua patente. – afferma l’agente ancora seduto al posto guida.
Quindi l’uomo torna a fissarmi e sempre tenendomi per i capelli mi domanda :
– E tu vestita così dai ripetizioni? Di che tipo? Si può sapere? – domanda con tono di scherno.
Ora però mi sento offesa e controbatto nervosamente :
– Ora una ragazza non può più vestire come vuole? –
Prende fiato e poi fissando il mio culo ormai completamente scoperto data la mia posizione, risponde :
– Certo che può, ma non mostrando a tutti che tra le gambe è completamente depilata perché non porta le mutandine –
Un sorrisino maligno compare sul suo volto, prima di lasciarmi i capelli e ordinarmi di alzare il busto dal cofano. Poteva semplicemente dirmi che non ero abbastanza vestita, o che non portavo l’abbigliamento più consono, invece si è spinto a dire qualcosa che si poteva notare solo guardando quella parte di me con un notevole interesse.
Una volta in piedi, grazie ai tacchi mi trovo a sovrastare in altezza l’uomo che mi sta facendo il terzo grado.
Vorrei potermi rimettere a posto la gonna, almeno da riuscire a coprire parte del culo ormai del tutto scoperto e di conseguenza anche la mia passera, ma le manette non me lo consentono.
Come se non bastasse, mi ordina di allargare le gambe e tenendomi sempre rivolta verso la macchina mi ordina di stare ferma.
Guardando poi all’interno dell’abitacolo, immaginavo di trovare l’altro agente impalato a guardare la mia posizione oscena, ma invece non c’è più nessuno.
“Quando se ne sarà andato? Avrà visto tutto?“ penso ruotando la testa verso l’auto degli agenti.
Infine lo trovo all’interno della loro auto, completamente disinteressato, quasi come se non si fosse accorto di me, intento a compilare quello che suppongo essere un verbale.
– Bene, porti droga con te? Alcool? – mi domanda mentre raccoglie i miei capelli dietro la schiena.
– No, sto solamente tornando a casa – rispondo adirata.
– Se non te ne stai calma ti porto in caserma hai capito o no? – risponde tirandomi i capelli che ancora teneva in mano.
Prendo fiato, respiro, cerco di calmarmi e chiudendo gli occhi faccio un assenso con il capo.
– Bene, ora vediamo se veramente non porti droga con te – replica lasciando i capelli e mettendo le mani sui miei fianchi.
– Cosa vuole fare? – domando con il cuore che batte a mille.
– Una semplice perquisizione – risponde con una calma che mi fa saltare i nervi.
– Ma cosa crede di fare? Non dovrebbe perquisirmi una donna? E poi cosa ci sarebbe da perquisire scusi? Non vede da se che non potrei portare con me nulla? – rispondo nervosamente.
– Come vuoi tu, allora andiamo in caserma e calcolando che il personale femminile deve essere richiesto, penso che aggiungendo tutte le varie scartoffie, te ne esci tra due o tre giorni. – dice prendendomi un braccio e trascinandomi in direzione della loro auto.
Punto i piedi a terra e cerco di fermare l’uomo.
– Va bene, va bene, facciamo sta perquisizione. – rispondo agitata.
– Ecco, finalmente ragioniamo. Ora, torna davanti alla tua auto! – e così feci, mentre l’uomo immobile, con le braccia incrociate mi guardava tornare nella posizione di prima.
Dovevo essere uno spettacolo indecente ed altrettanto arrapante, con le braccia ammanettate dietro la schiena, la striminzita gonna arrotolata in vita, con calze, reggicalze scoperte e il corpetto, che sculetto verso la mia auto. Infine, dopo essere arrivata a destinazione, chiudo gli occhi, prendo fiato a pieni polmoni e completo l’opera allargando nuovamente le gambe ancora più di prima.
Non lo sento parlare, ma sento i suoi passi sull’asfalto che si dirigono verso di me.
Una sua mano torna a raccogliere i capelli dietro la mia schiena e subito dopo, partendo da dietro le orecchie, le mani cominciano a scendere percorrendo la mia pelle nuda.
Scorrono sulle spalle e lungo le mie mani, fino ai gomiti piegati dietro la schiena, dopodiché iniziano a scorrere lungo i fianchi, sulla pelle coperta dal mio corpetto.
Percorrono la mia schiena verso il basso fino all’orlo dove trovano la pelle nuda, poco prima della gonna arrotolata.
Senza staccarsi, proseguono in avanti, andando a congiungersi sul mio ombelico. In quell’istante, il mio cuore inizia nuovamente a battere all’impazzata.
Quelle mani, ora iniziano a salire, tastando nuovamente il corpetto fino a dove trovano le due coppe che contengono il mio seno.
Da una parte la mia mente sperava si fermassero per confermare che tutto fosse finito, mentre dall’altra speravo che proseguissero quella surreale perquisizione per scoprire fino dove si potessero spingere questi uomini.
Quelle mani.
Quasi mi prese un colpo quando le sentii avvolgere le coppe del corpetto per poi stringere la presa. Non contento, dopo aver mollato la presa, torna a stringere con più vigore. Una stretta che mi fa sospirare e lanciare un piccolo e flebile lamento.
– Silenzio – mi viene comandato quasi sottovoce, mentre viene mollata la presa e dopo essersi chinato, inizia a risalire con le mani lungo le mie gambe fasciate dalle calze.
Sale, e sale ancora fino alle ginocchia, sale lungo le cosce, supera l’orlo delle calze e continua.
Con il cuore ormai in gola, attendo il gran finale mentre la brezza notturna che passa tra le mie gambe, mi fa notare una frescura molto accentuata sulla mia patata.
“Cazzo! Questo quando si accorge che sono bagnata, cosa vorrà farmi?“ penso tra me.
Le mani intanto salgono fino al mio culo che senza mezze misure mi viene stretto con forza.
Con altrettanta frenesia, mentre una mano scorre nel solco delle mie natiche, l’altra prende possesso della mia patata che risulta completamente fradicia.
L’agente a questo punto si ferma, un dito della mano però si muove, si sposta tra le labbra, entra in esse trovandole sempre più bagnate. Trova poi il clitoride, gonfio, come fosse un bottone e poi, sprofonda in me come fosse un coltello nel burro.
Apro la bocca e ansimo.
-Basta, va bene così. – Dice staccandosi e mentre si dirige verso la loro auto, lo vedo succhiarsi il dito che probabilmente aveva appena fatto visita in me.
Poco dopo torna con i miei documenti e quello che suppongo essere un verbale.
Dopo averli posati sul cofano della mia auto, mi toglie le manette.
Senza ricompormi, mi volto verso l’uomo che ora è accompagnato dal collega che non sembra assolutamente turbato dalla mia condizione oscena.
Ancora una volta si avvicina lentamente, raggiunge con le mani i miei fianchi su cui si posa delicatamente.
In senso di arrendevolezza, allargo le braccia ora libere dalle manette, come a dire che può fare ciò che desidera.
A questo punto le mani risalgono ancora una volta lungo il corpetto, sotto lo sguardo dei due uomini e raggiungono ancora una volta le coppe che fasciano il mio seno.
Il mio respiro è nuovamente affannato, mentre chi ho di fronte sembra estremamente calmo.
Il collega si accende una sigaretta mentre si gusta la scena e poi, le dita si insinuano tra le coppe e il mio seno.
In pochi istanti, entrambe le tette vengono liberate dall’impedimento, libere ora di essere viste dai due uomini.
Anche lui, si allontana per gustarsi meglio la scena.
Mi fissa tra le gambe, vede che non oso muovermi, vede la mia voglia, la sente nell’aria.
– Te la sei cavata sta volta, la multa è per una luce bruciata. – respira a pieni polmoni e poi si accende anche lui una sigaretta.
Non oso ricompormi ancora.
Mi guardano entrambi, mi fissano mentre raccolgo i documenti e poi è l’altro uomo ad avvicinarsi.
– Levati di torno e la prossima volta vai piano – mi dice vendendomi imbambolata, con le gambe larghe e la mia voglia che suppongo stia già iniziando a colare.
Accenno un assenso con il capo, butto tutto quello che ho in mano sul sedile del passeggero per poi ricoprirmi alla meglio.
I due stanno già entrando nella loro auto mentre io sono ancora qui intenta a rivestirmi.
Mi sveglio con fatica che sono ormai le 22.00 di sabato sera.
Alzandomi, speravo di averlo solo sognato quel maledetto venerdì notte.
Ma poi, le calze, il reggicalze e quel corpetto striminzito, mi riportarono alla realtà dei fatti.
La mia patatina ancora gonfia, richiedeva attenzioni che nella corsa verso casa, dopo essere uscita dalla macchina, si era richiusa con paura di essere vista per la strada, per le scale che feci per non incontrare gente e poi in casa. Di corsa a letto, coperta dal solo lenzuolo, sperando che mia madre non fosse già tornata dal turno di notte.
Puzzavo di sudore, di super-alcolici ed i bei capelli boccolosi che mi ero fatta, erano ridotti ormai a una massa intrecciata e deforme che ben poco si avvicinavano a qualcosa di bello.
Ancora avevo stampata nella mente, la faccia da porco di quell’agente e del suo collega che sembrava impassibile a cosa gli capitava di fronte.
Dopo essermi svestita ed aver buttato tutto in lavatrice, mi dedico a una doccia risanante.
Non ho idea di quanto sia stata sotto l’acqua, ma quando uscii, trovai sul mio cellulare 4 chiamate senza risposta.
– Ma chi mi cerca a quest’ora? – dissi tra me ad alta voce, constatando che erano ormai le 00.45.
– Numero privato. Ma vaffanculo. – continuai a borbottare ad alta voce, mentre mi dirigevo in camera con addosso il solo asciugamano mezzo aperto e svolazzante.
Come al solito il caldo è atroce e dalle finestre spalancate non filtra aria. Il tempo di aprire l’armadio per cercare qualcosa da indossare e già sto sudando.
– Sto caldo atroce… Non riesco proprio a sopportarlo. – barbotto mentre estraggo dai cassetti degli shorts grigi e leggeri e una canotta anch’essa grigia.
Lascio cadere l’asciugamano a terra e senza nemmeno asciugarmi, indosso quei due pezzi striminziti, sperando che così facendo il caldo si senta di meno.
Scalza, pensando che il pavimento fresco riesca in qualche modo a rinfrescarmi, mi dirigo quindi al frigorifero.
– Fantastico, una bella birra fresca. – annuncio trovandola in bella mostra appena aperta l’anta del frigorifero.
Cerco quindi del ghiaccio nello scomparto superiore.
– Perfetto. – dico mentre rovescio il ghiaccio e poi la birra in una grossa caraffa.
Accendo quindi la televisione e dopo essermi distesa sul divano, inizio a dissetarmi ricevendo finalmente delle scariche gelate in tutto il corpo.
In pochi minuti finalmente, sembra che non senta più tutto quel caldo atroce, ma altrettanto velocemente mi sale una leggera ubriachezza che in pochi secondi mi fa rizzare qualcosa sul petto.
Come due piccoli razzi pronti a partire, i miei capezzoli quasi vogliono forare la stoffa del soffice tessuto che li copre.
Ci vogliono pochi minuti prima che tutta la birra finisca e nella caraffa rimanga solo il ghiaccio che ancora non si era sciolto.
Questione di pochi secondi e la mia mente malata agisce contro ogni mia volontà.
Aziona le mani.
Le dirige alla mia canotta che abbassa facendo saltare fuori le mie tette. I capezzoli sono ora liberi di puntare verso il soffitto senza alcuna stoffa che li fermi.
Poi l’inevitabile.
Entrambe le mani si dirigono alla caraffa ed estratto un cubetto di ghiaccio per mano, si dirigono ai miei capezzoli duri come il marmo.
Gocce di acqua gelida, cadono su quelle due cupole quasi perfette ancora prima che il ghiaccio vada a contatto con i capezzoli.
Scosse di godimento iniziano ad invadere il mio corpo ancora prima del contatto, solo grazie a quei pochi istanti.
Poi finalmente, quei due cubetti si poggiano senza alcuna delicatezza su entrambi i miei razzi pronti per il decollo.
Finalmente decollo.
Senza pietà struscio quei gelidi cubetti di acqua sui miei seni senza una meta ben precisa, per il solo gusto di sadismo e di goduria eccelsa che mi provocano.
Tutta la pelle si raggrinzisce in un turbine di goduria e gelo che non si riesce a descrivere.
Poi uno dei due cubetti, in un attimo di follia, si dirige tra le mie gambe, dentro quei semplici e leggeri shorts.
Diretto non sulle mie labbra, ma all’interno di esse.
– Voglio ficcarmelo dentro e spingerlo fino in fondo – dico in piena estasi dei sensi.
E proprio quando il cubetto inizia ad allargare le grandi labbra al suo passaggio e quando finalmente sta per varcare quelle più piccole e delicate iniziando a farmi bagnare come una maiala…….
……….. squilla il telefono ……………
– Porca puttana! – urlo mentre sbatto a terra i due cubetti e mi alzo nervosamente dal divano in cerca del telefono.
Mentre scalza, cammino verso il tavolo, calpesto casualmente uno dei due cubetti ormai frantumati a terra, il quale mi regala ancora qualche scossa piacevole lungo la mia gamba destra.
Prendo nervosamente il telefono in mano e quando leggo lo schermo :
– Ancoraaa? Ma che palle questi numeri anonimi! – urlo quasi e poi schiaccio il tasto verde.
– Pronto? Ma chi è a quest’ora ? – domando attendendo una risposta dall’altro capo della cornetta.
– Sono Francesco! Ma sto usando il telefono di papà! – risponde sottovoce.
– Ahh sei tu.. Ma cosa vuoi a quest’ora?? – domando rispondendo anche io sottovoce.
– Senti, sto impazzendo. Non riesco a studiare se non mi aiuti. – mi conferma con tono disperato.
– O semplicemente il tuo pisello non sta più nei pantaloni? – domando maliziosamente.
– No ti giuro, Giada! Non riesco a studiare se non mi aiuti e poi lunedì ho il primo scritto! – risponde ancora più disperato.
Sbuffo. Ci penso su qualche secondo e poi concludo.
– Va bene Fra, vieni da me, ti aspetto ma ad una condizione ! – rispondo quasi in tono materno.
– Qualunque, basta che mi aiuti – risponde Francesco quasi in tono di supplica.
– Si studia e nient’altro, ci siamo capiti? Fino a quando non hai finito tutti gli scritti devi tenere il tuo pisello nelle mutande. – rispondo ora in tono di comando.
Poi aggiungo :
– Però se sarai bravo, prima degli orali avrai una piccola ricompensa. Tutto chiaro? – domando nuovamente in tono quasi materno.
– Capito. Sisi. Grazie Giada, ti adoro. Mi stai salvando. – mi risponde quasi con il fiatone.
In altre occasioni avrebbe notificato il suo dissenso al non poter fare porcate con me, ma si vede che sta volta è disperato e ha veramente bisogno di ripetizioni.
Così nel giro di nemmeno mezzora, me lo trovo sotto casa con lo zaino ed il suo pollice premuto sul tasto del mio campanello.
– Sali. – rispondo prima di schiacciare il tasto per aprire il portone e senza attendere risposta richiudo la cornetta del citofono.
Apro quindi la serratura di casa e socchiudo la porta in modo che possa entrare, dopodiché mi vado a sedere al tavolo della cucina, dalla parte nascosta, in modo che non veda il mio culo appena entrato.
Mentre attendo il suo arrivo, guardo ancora il cellulare, trovando un messaggio da un numero sconosciuto.
– Ciao Giada! Sono Francesco! Ho finito i soldi sul mio e ti cerco da quello di mio papà! Ti prego, vediamoci! Non riesco a studiare senza di te! –
Immagino l’abbia spedito prima di avermi chiamato l’ultima volta.
– Oggi voglio essere seria e produttiva. – dico tra me prima di sentire la porta spalancarsi e poco dopo richiudersi rumorosamente.
Entra in cucina con fretta, quasi non mi degna di sguardo mentre appoggia la cartella a terra e preso in mano una pila di libri li sbatte sul tavolo quasi con violenza.
Lo vedo che è disperato, sudato in volto, capelli sconvolti e persino la maglietta indossata al contrario.
Tutta la mia voglia che avevo prima da sfogare, dopo questa visione, improvvisamente cessa e dopo aver scosso il capo ridendo, finalmente ci mettiamo al lavoro.
Francesco andò via da casa mia che erano ormai le 6 di domenica sera, giusto per poter cenare con i suoi genitori.
Interrotti solo da spuntini ogni 2 o 3 ore e dalle volte che io o lui dovevamo andare in bagno, lo aiutai a studiare per più di 15 ore.
Nel frattempo lo intossicai quasi, fumando un pacchetto e mezzo di sigarette, ma alla fine, con delle occhiaie che quasi toccavano il suolo, se ne andò molto rilassato e finalmente sicuro di riuscire a combinare qualcosa il giorno successivo.
Per tutta la settimana, il tavolo della mia cucina fu invaso dai suoi libri e dalle sue irruzioni improvvise in casa. Mia madre ormai mangiava sul divano da parecchi giorni mentre noi facendoci spazio tra un libro e l’altro mangiavamo ciò che capitava.
La madre di Francesco ormai non chiamava nemmeno più per sapere se tornava a casa per cena o per dormire. Ogni cosa era lasciata al caso e oltre a vederlo sempre più distrutto, nel contempo stava smontando anche me che ogni giorno mi sentivo più stanca.
Le mie amiche tentarono più e più volte di farmi uscire la sera, ma niente. Non ci riuscivo, oppure non potevo perché Francesco era qui al tavolo, piegato sui libri a studiare e a domandarmi questo e quello, a farmi appuntare cos’era importante ed a quale pagina avrebbe trovato i riferimenti.
Infine, per mia fortuna anche la terza prova si concluse.
Ed io, anche se per poco, riuscì a respirare.
Poi, il venerdì sera, un altro messaggio da un numero che non avevo in memoria mi risvegliò improvvisamente i sensi, sapendo di cosa si trattava.
– Ma il premio? Non sono stato bravo? – nessuna firma. Ma sapevo che era Francesco.
Mia madre assonnata, pronta per andare a lavoro, stava mangiando finalmente al tavolo di cucina quando quasi saltò in piedi per lo spavento quando mi vede alzarmi e di corsa dirigermi in camera.
– Giada!?!?!?! Tutto bene? – mi urlò quasi, correndomi in contro.
– Si mamma .. tutto bene, scusami – dissi ridendo
– Vai a cagare Giada! – rispose ridendo e tornando al tavolo per riprendere la cena appena interrotta.
Aperto l’armadio, per prima cosa mi spogliai e poi guardandomi allo specchio mi domandai :
– Ed ora, quale porcata vogliamo fare Giadina? – mi domandai a bassa voce passandomi un dito sul capezzolo di destra che già iniziava ad indurirsi.
Penso che in quei pochi minuti che passarono, avrò cambiato più capi io che tutte le ragazze di una sfilata di moda.
Poi infine, dopo una scelta molto sobria ma provocante del mio intimo, trovai anche un abito adatto.
Ora però un problema al quanto grosso, mi impediva qualunque cosa.
– Ma vestita così dove cazzo voglio andare? – mi domandai guardandomi.
Ai piedi semplici infradito erano il problema minore, salendo poi oltre le mie depilate e nude gambe, circa un dito sotto il mio culo, dopo uno stretto elastico violetto iniziava un leggerissimo e attillatissimo vestito a rete piccola anch’esso violaceo che mi copriva fino a poco sotto le mie ascelle, terminando anche sta volta con uno stretto elastico violetto.
Sotto ad esso, un perizoma copriva la mia patatina sul davanti e si riduceva ad un semplice filo nero che passava tra le mie chiappe per poi ricongiungersi poco più sopra metà di esse.
Infine, un reggiseno composto da una semplice fascia nera che copriva e sorreggeva ben poco, completava il mio abbigliamento.
In effetti così non potevo assolutamente uscire di casa.
Presi il telefono e composto il messaggio lo inviai al numero sconosciuto.
– Ci vediamo in cantina tra mezzora –
Inviato il messaggio, indossai un tubino anch’esso senza spalline e aderente sopra quello che già indossavo e uscii così di casa.
La patata già colava.
– Ma in realtà cosa? Era un’altra persona alla guida? Eppure da come ti abbiamo visto guidare prima di fermarti, sembravi proprio tu. – risponde l’agente con tono nervoso ed autorevole.
Con altrettanta autorevolezza, aperta la porta mi prende per un braccio e con forza mi trascina fuori dall’abitacolo.
– Agente la prego! Non ho fatto niente e lasci il mio braccio. – cerco di dire mentre provo a divincolarmi quasi terrorizzata per tutta questa durezza.
– Più si agita. Più non collabora. Più sarà peggio per lei. – risponde mentre ci spostiamo di fronte alla mia auto.
– ..ed ora mani dietro la schiena – continua con tono quasi di “routine” e dopo avermele ammanettate mi spinge a novanta sul cofano.
Cerco di rialzarmi ed una mano va subito a spingere sulle mie spalle per riportarmi in posizione.
– L’agente le ha detto di stare ferma. Cosa crede? Che stiamo giocando ? – replica una voce fuori campo.
– Ma io non ho fatto niente. – rispondo, mentre vedo un’altra persona in divisa che si avvicina.
Mi fissa negli occhi quasi in tono di sfida.
Poi, rivolgendosi all’altro agente che mi trattiene sul cofano, comanda :
– Prendi i documenti dalla sua borsetta e cerca il libretto di circolazione nel porta oggetti. – prende respiro, e poi scendendo con lo sguardo lungo il mio corpo, continua :
– A lei, adesso ci penso io –
– Come vuoi – annuncia l’agente dopo aver smesso di trattenermi .
Mentre l’agente ora è nella mia auto che fruga tra le mie cose, l’altro si avvicina.
Lo sento che mi fissa, anche se ora sta dietro di me, immagino perfettamente cosa stia guardando.
– Non ti ho mai vista da queste parti. Sei nuova? – mi domanda continuando a starmi alle spalle.
– Abito poco distante da qui – rispondo mentre sudo notevolmente.
– Ti senti a disagio per caso? Da quanto ti sei trasferita? Questa, adesso è la tua zona? – mi domanda freddamente.
Alla domanda “Questa, adesso è la tua zona? “ capisco subito che mi ha scambiata per una prostituta e allora controbatto cercando di fargli capire la realtà.
– Ma io ho sempre abitato qui, sono nata in questa città! – rispondo
- Ho finito da poco l’università e il mio lavoro attuale è dare ripetizioni – aggiungo ancora per cercare di convincerlo.
– Palle! Non vogliamo collaborare allora? – mi urla quasi, piegandosi affianco a me e dopo avermi preso per i capelli, ruota il mio volto verso il suo.
– Vuoi che ti portiamo in caserma? Vuoi stare qualche giorno reclusa? Oppure decidi che è meglio collaborare? – mi domanda facendo un mezzo sorrisino all’ultima domanda.
Una voce da dentro la mia auto però, distrae l’uomo.
– Marescia’, guarda che dice la verità. Sta proprio qui dietro l’angolo casa sua. Ho qui la sua patente. – afferma l’agente ancora seduto al posto guida.
Quindi l’uomo torna a fissarmi e sempre tenendomi per i capelli mi domanda :
– E tu vestita così dai ripetizioni? Di che tipo? Si può sapere? – domanda con tono di scherno.
Ora però mi sento offesa e controbatto nervosamente :
– Ora una ragazza non può più vestire come vuole? –
Prende fiato e poi fissando il mio culo ormai completamente scoperto data la mia posizione, risponde :
– Certo che può, ma non mostrando a tutti che tra le gambe è completamente depilata perché non porta le mutandine –
Un sorrisino maligno compare sul suo volto, prima di lasciarmi i capelli e ordinarmi di alzare il busto dal cofano. Poteva semplicemente dirmi che non ero abbastanza vestita, o che non portavo l’abbigliamento più consono, invece si è spinto a dire qualcosa che si poteva notare solo guardando quella parte di me con un notevole interesse.
Una volta in piedi, grazie ai tacchi mi trovo a sovrastare in altezza l’uomo che mi sta facendo il terzo grado.
Vorrei potermi rimettere a posto la gonna, almeno da riuscire a coprire parte del culo ormai del tutto scoperto e di conseguenza anche la mia passera, ma le manette non me lo consentono.
Come se non bastasse, mi ordina di allargare le gambe e tenendomi sempre rivolta verso la macchina mi ordina di stare ferma.
Guardando poi all’interno dell’abitacolo, immaginavo di trovare l’altro agente impalato a guardare la mia posizione oscena, ma invece non c’è più nessuno.
“Quando se ne sarà andato? Avrà visto tutto?“ penso ruotando la testa verso l’auto degli agenti.
Infine lo trovo all’interno della loro auto, completamente disinteressato, quasi come se non si fosse accorto di me, intento a compilare quello che suppongo essere un verbale.
– Bene, porti droga con te? Alcool? – mi domanda mentre raccoglie i miei capelli dietro la schiena.
– No, sto solamente tornando a casa – rispondo adirata.
– Se non te ne stai calma ti porto in caserma hai capito o no? – risponde tirandomi i capelli che ancora teneva in mano.
Prendo fiato, respiro, cerco di calmarmi e chiudendo gli occhi faccio un assenso con il capo.
– Bene, ora vediamo se veramente non porti droga con te – replica lasciando i capelli e mettendo le mani sui miei fianchi.
– Cosa vuole fare? – domando con il cuore che batte a mille.
– Una semplice perquisizione – risponde con una calma che mi fa saltare i nervi.
– Ma cosa crede di fare? Non dovrebbe perquisirmi una donna? E poi cosa ci sarebbe da perquisire scusi? Non vede da se che non potrei portare con me nulla? – rispondo nervosamente.
– Come vuoi tu, allora andiamo in caserma e calcolando che il personale femminile deve essere richiesto, penso che aggiungendo tutte le varie scartoffie, te ne esci tra due o tre giorni. – dice prendendomi un braccio e trascinandomi in direzione della loro auto.
Punto i piedi a terra e cerco di fermare l’uomo.
– Va bene, va bene, facciamo sta perquisizione. – rispondo agitata.
– Ecco, finalmente ragioniamo. Ora, torna davanti alla tua auto! – e così feci, mentre l’uomo immobile, con le braccia incrociate mi guardava tornare nella posizione di prima.
Dovevo essere uno spettacolo indecente ed altrettanto arrapante, con le braccia ammanettate dietro la schiena, la striminzita gonna arrotolata in vita, con calze, reggicalze scoperte e il corpetto, che sculetto verso la mia auto. Infine, dopo essere arrivata a destinazione, chiudo gli occhi, prendo fiato a pieni polmoni e completo l’opera allargando nuovamente le gambe ancora più di prima.
Non lo sento parlare, ma sento i suoi passi sull’asfalto che si dirigono verso di me.
Una sua mano torna a raccogliere i capelli dietro la mia schiena e subito dopo, partendo da dietro le orecchie, le mani cominciano a scendere percorrendo la mia pelle nuda.
Scorrono sulle spalle e lungo le mie mani, fino ai gomiti piegati dietro la schiena, dopodiché iniziano a scorrere lungo i fianchi, sulla pelle coperta dal mio corpetto.
Percorrono la mia schiena verso il basso fino all’orlo dove trovano la pelle nuda, poco prima della gonna arrotolata.
Senza staccarsi, proseguono in avanti, andando a congiungersi sul mio ombelico. In quell’istante, il mio cuore inizia nuovamente a battere all’impazzata.
Quelle mani, ora iniziano a salire, tastando nuovamente il corpetto fino a dove trovano le due coppe che contengono il mio seno.
Da una parte la mia mente sperava si fermassero per confermare che tutto fosse finito, mentre dall’altra speravo che proseguissero quella surreale perquisizione per scoprire fino dove si potessero spingere questi uomini.
Quelle mani.
Quasi mi prese un colpo quando le sentii avvolgere le coppe del corpetto per poi stringere la presa. Non contento, dopo aver mollato la presa, torna a stringere con più vigore. Una stretta che mi fa sospirare e lanciare un piccolo e flebile lamento.
– Silenzio – mi viene comandato quasi sottovoce, mentre viene mollata la presa e dopo essersi chinato, inizia a risalire con le mani lungo le mie gambe fasciate dalle calze.
Sale, e sale ancora fino alle ginocchia, sale lungo le cosce, supera l’orlo delle calze e continua.
Con il cuore ormai in gola, attendo il gran finale mentre la brezza notturna che passa tra le mie gambe, mi fa notare una frescura molto accentuata sulla mia patata.
“Cazzo! Questo quando si accorge che sono bagnata, cosa vorrà farmi?“ penso tra me.
Le mani intanto salgono fino al mio culo che senza mezze misure mi viene stretto con forza.
Con altrettanta frenesia, mentre una mano scorre nel solco delle mie natiche, l’altra prende possesso della mia patata che risulta completamente fradicia.
L’agente a questo punto si ferma, un dito della mano però si muove, si sposta tra le labbra, entra in esse trovandole sempre più bagnate. Trova poi il clitoride, gonfio, come fosse un bottone e poi, sprofonda in me come fosse un coltello nel burro.
Apro la bocca e ansimo.
-Basta, va bene così. – Dice staccandosi e mentre si dirige verso la loro auto, lo vedo succhiarsi il dito che probabilmente aveva appena fatto visita in me.
Poco dopo torna con i miei documenti e quello che suppongo essere un verbale.
Dopo averli posati sul cofano della mia auto, mi toglie le manette.
Senza ricompormi, mi volto verso l’uomo che ora è accompagnato dal collega che non sembra assolutamente turbato dalla mia condizione oscena.
Ancora una volta si avvicina lentamente, raggiunge con le mani i miei fianchi su cui si posa delicatamente.
In senso di arrendevolezza, allargo le braccia ora libere dalle manette, come a dire che può fare ciò che desidera.
A questo punto le mani risalgono ancora una volta lungo il corpetto, sotto lo sguardo dei due uomini e raggiungono ancora una volta le coppe che fasciano il mio seno.
Il mio respiro è nuovamente affannato, mentre chi ho di fronte sembra estremamente calmo.
Il collega si accende una sigaretta mentre si gusta la scena e poi, le dita si insinuano tra le coppe e il mio seno.
In pochi istanti, entrambe le tette vengono liberate dall’impedimento, libere ora di essere viste dai due uomini.
Anche lui, si allontana per gustarsi meglio la scena.
Mi fissa tra le gambe, vede che non oso muovermi, vede la mia voglia, la sente nell’aria.
– Te la sei cavata sta volta, la multa è per una luce bruciata. – respira a pieni polmoni e poi si accende anche lui una sigaretta.
Non oso ricompormi ancora.
Mi guardano entrambi, mi fissano mentre raccolgo i documenti e poi è l’altro uomo ad avvicinarsi.
– Levati di torno e la prossima volta vai piano – mi dice vendendomi imbambolata, con le gambe larghe e la mia voglia che suppongo stia già iniziando a colare.
Accenno un assenso con il capo, butto tutto quello che ho in mano sul sedile del passeggero per poi ricoprirmi alla meglio.
I due stanno già entrando nella loro auto mentre io sono ancora qui intenta a rivestirmi.
Mi sveglio con fatica che sono ormai le 22.00 di sabato sera.
Alzandomi, speravo di averlo solo sognato quel maledetto venerdì notte.
Ma poi, le calze, il reggicalze e quel corpetto striminzito, mi riportarono alla realtà dei fatti.
La mia patatina ancora gonfia, richiedeva attenzioni che nella corsa verso casa, dopo essere uscita dalla macchina, si era richiusa con paura di essere vista per la strada, per le scale che feci per non incontrare gente e poi in casa. Di corsa a letto, coperta dal solo lenzuolo, sperando che mia madre non fosse già tornata dal turno di notte.
Puzzavo di sudore, di super-alcolici ed i bei capelli boccolosi che mi ero fatta, erano ridotti ormai a una massa intrecciata e deforme che ben poco si avvicinavano a qualcosa di bello.
Ancora avevo stampata nella mente, la faccia da porco di quell’agente e del suo collega che sembrava impassibile a cosa gli capitava di fronte.
Dopo essermi svestita ed aver buttato tutto in lavatrice, mi dedico a una doccia risanante.
Non ho idea di quanto sia stata sotto l’acqua, ma quando uscii, trovai sul mio cellulare 4 chiamate senza risposta.
– Ma chi mi cerca a quest’ora? – dissi tra me ad alta voce, constatando che erano ormai le 00.45.
– Numero privato. Ma vaffanculo. – continuai a borbottare ad alta voce, mentre mi dirigevo in camera con addosso il solo asciugamano mezzo aperto e svolazzante.
Come al solito il caldo è atroce e dalle finestre spalancate non filtra aria. Il tempo di aprire l’armadio per cercare qualcosa da indossare e già sto sudando.
– Sto caldo atroce… Non riesco proprio a sopportarlo. – barbotto mentre estraggo dai cassetti degli shorts grigi e leggeri e una canotta anch’essa grigia.
Lascio cadere l’asciugamano a terra e senza nemmeno asciugarmi, indosso quei due pezzi striminziti, sperando che così facendo il caldo si senta di meno.
Scalza, pensando che il pavimento fresco riesca in qualche modo a rinfrescarmi, mi dirigo quindi al frigorifero.
– Fantastico, una bella birra fresca. – annuncio trovandola in bella mostra appena aperta l’anta del frigorifero.
Cerco quindi del ghiaccio nello scomparto superiore.
– Perfetto. – dico mentre rovescio il ghiaccio e poi la birra in una grossa caraffa.
Accendo quindi la televisione e dopo essermi distesa sul divano, inizio a dissetarmi ricevendo finalmente delle scariche gelate in tutto il corpo.
In pochi minuti finalmente, sembra che non senta più tutto quel caldo atroce, ma altrettanto velocemente mi sale una leggera ubriachezza che in pochi secondi mi fa rizzare qualcosa sul petto.
Come due piccoli razzi pronti a partire, i miei capezzoli quasi vogliono forare la stoffa del soffice tessuto che li copre.
Ci vogliono pochi minuti prima che tutta la birra finisca e nella caraffa rimanga solo il ghiaccio che ancora non si era sciolto.
Questione di pochi secondi e la mia mente malata agisce contro ogni mia volontà.
Aziona le mani.
Le dirige alla mia canotta che abbassa facendo saltare fuori le mie tette. I capezzoli sono ora liberi di puntare verso il soffitto senza alcuna stoffa che li fermi.
Poi l’inevitabile.
Entrambe le mani si dirigono alla caraffa ed estratto un cubetto di ghiaccio per mano, si dirigono ai miei capezzoli duri come il marmo.
Gocce di acqua gelida, cadono su quelle due cupole quasi perfette ancora prima che il ghiaccio vada a contatto con i capezzoli.
Scosse di godimento iniziano ad invadere il mio corpo ancora prima del contatto, solo grazie a quei pochi istanti.
Poi finalmente, quei due cubetti si poggiano senza alcuna delicatezza su entrambi i miei razzi pronti per il decollo.
Finalmente decollo.
Senza pietà struscio quei gelidi cubetti di acqua sui miei seni senza una meta ben precisa, per il solo gusto di sadismo e di goduria eccelsa che mi provocano.
Tutta la pelle si raggrinzisce in un turbine di goduria e gelo che non si riesce a descrivere.
Poi uno dei due cubetti, in un attimo di follia, si dirige tra le mie gambe, dentro quei semplici e leggeri shorts.
Diretto non sulle mie labbra, ma all’interno di esse.
– Voglio ficcarmelo dentro e spingerlo fino in fondo – dico in piena estasi dei sensi.
E proprio quando il cubetto inizia ad allargare le grandi labbra al suo passaggio e quando finalmente sta per varcare quelle più piccole e delicate iniziando a farmi bagnare come una maiala…….
……….. squilla il telefono ……………
– Porca puttana! – urlo mentre sbatto a terra i due cubetti e mi alzo nervosamente dal divano in cerca del telefono.
Mentre scalza, cammino verso il tavolo, calpesto casualmente uno dei due cubetti ormai frantumati a terra, il quale mi regala ancora qualche scossa piacevole lungo la mia gamba destra.
Prendo nervosamente il telefono in mano e quando leggo lo schermo :
– Ancoraaa? Ma che palle questi numeri anonimi! – urlo quasi e poi schiaccio il tasto verde.
– Pronto? Ma chi è a quest’ora ? – domando attendendo una risposta dall’altro capo della cornetta.
– Sono Francesco! Ma sto usando il telefono di papà! – risponde sottovoce.
– Ahh sei tu.. Ma cosa vuoi a quest’ora?? – domando rispondendo anche io sottovoce.
– Senti, sto impazzendo. Non riesco a studiare se non mi aiuti. – mi conferma con tono disperato.
– O semplicemente il tuo pisello non sta più nei pantaloni? – domando maliziosamente.
– No ti giuro, Giada! Non riesco a studiare se non mi aiuti e poi lunedì ho il primo scritto! – risponde ancora più disperato.
Sbuffo. Ci penso su qualche secondo e poi concludo.
– Va bene Fra, vieni da me, ti aspetto ma ad una condizione ! – rispondo quasi in tono materno.
– Qualunque, basta che mi aiuti – risponde Francesco quasi in tono di supplica.
– Si studia e nient’altro, ci siamo capiti? Fino a quando non hai finito tutti gli scritti devi tenere il tuo pisello nelle mutande. – rispondo ora in tono di comando.
Poi aggiungo :
– Però se sarai bravo, prima degli orali avrai una piccola ricompensa. Tutto chiaro? – domando nuovamente in tono quasi materno.
– Capito. Sisi. Grazie Giada, ti adoro. Mi stai salvando. – mi risponde quasi con il fiatone.
In altre occasioni avrebbe notificato il suo dissenso al non poter fare porcate con me, ma si vede che sta volta è disperato e ha veramente bisogno di ripetizioni.
Così nel giro di nemmeno mezzora, me lo trovo sotto casa con lo zaino ed il suo pollice premuto sul tasto del mio campanello.
– Sali. – rispondo prima di schiacciare il tasto per aprire il portone e senza attendere risposta richiudo la cornetta del citofono.
Apro quindi la serratura di casa e socchiudo la porta in modo che possa entrare, dopodiché mi vado a sedere al tavolo della cucina, dalla parte nascosta, in modo che non veda il mio culo appena entrato.
Mentre attendo il suo arrivo, guardo ancora il cellulare, trovando un messaggio da un numero sconosciuto.
– Ciao Giada! Sono Francesco! Ho finito i soldi sul mio e ti cerco da quello di mio papà! Ti prego, vediamoci! Non riesco a studiare senza di te! –
Immagino l’abbia spedito prima di avermi chiamato l’ultima volta.
– Oggi voglio essere seria e produttiva. – dico tra me prima di sentire la porta spalancarsi e poco dopo richiudersi rumorosamente.
Entra in cucina con fretta, quasi non mi degna di sguardo mentre appoggia la cartella a terra e preso in mano una pila di libri li sbatte sul tavolo quasi con violenza.
Lo vedo che è disperato, sudato in volto, capelli sconvolti e persino la maglietta indossata al contrario.
Tutta la mia voglia che avevo prima da sfogare, dopo questa visione, improvvisamente cessa e dopo aver scosso il capo ridendo, finalmente ci mettiamo al lavoro.
Francesco andò via da casa mia che erano ormai le 6 di domenica sera, giusto per poter cenare con i suoi genitori.
Interrotti solo da spuntini ogni 2 o 3 ore e dalle volte che io o lui dovevamo andare in bagno, lo aiutai a studiare per più di 15 ore.
Nel frattempo lo intossicai quasi, fumando un pacchetto e mezzo di sigarette, ma alla fine, con delle occhiaie che quasi toccavano il suolo, se ne andò molto rilassato e finalmente sicuro di riuscire a combinare qualcosa il giorno successivo.
Per tutta la settimana, il tavolo della mia cucina fu invaso dai suoi libri e dalle sue irruzioni improvvise in casa. Mia madre ormai mangiava sul divano da parecchi giorni mentre noi facendoci spazio tra un libro e l’altro mangiavamo ciò che capitava.
La madre di Francesco ormai non chiamava nemmeno più per sapere se tornava a casa per cena o per dormire. Ogni cosa era lasciata al caso e oltre a vederlo sempre più distrutto, nel contempo stava smontando anche me che ogni giorno mi sentivo più stanca.
Le mie amiche tentarono più e più volte di farmi uscire la sera, ma niente. Non ci riuscivo, oppure non potevo perché Francesco era qui al tavolo, piegato sui libri a studiare e a domandarmi questo e quello, a farmi appuntare cos’era importante ed a quale pagina avrebbe trovato i riferimenti.
Infine, per mia fortuna anche la terza prova si concluse.
Ed io, anche se per poco, riuscì a respirare.
Poi, il venerdì sera, un altro messaggio da un numero che non avevo in memoria mi risvegliò improvvisamente i sensi, sapendo di cosa si trattava.
– Ma il premio? Non sono stato bravo? – nessuna firma. Ma sapevo che era Francesco.
Mia madre assonnata, pronta per andare a lavoro, stava mangiando finalmente al tavolo di cucina quando quasi saltò in piedi per lo spavento quando mi vede alzarmi e di corsa dirigermi in camera.
– Giada!?!?!?! Tutto bene? – mi urlò quasi, correndomi in contro.
– Si mamma .. tutto bene, scusami – dissi ridendo
– Vai a cagare Giada! – rispose ridendo e tornando al tavolo per riprendere la cena appena interrotta.
Aperto l’armadio, per prima cosa mi spogliai e poi guardandomi allo specchio mi domandai :
– Ed ora, quale porcata vogliamo fare Giadina? – mi domandai a bassa voce passandomi un dito sul capezzolo di destra che già iniziava ad indurirsi.
Penso che in quei pochi minuti che passarono, avrò cambiato più capi io che tutte le ragazze di una sfilata di moda.
Poi infine, dopo una scelta molto sobria ma provocante del mio intimo, trovai anche un abito adatto.
Ora però un problema al quanto grosso, mi impediva qualunque cosa.
– Ma vestita così dove cazzo voglio andare? – mi domandai guardandomi.
Ai piedi semplici infradito erano il problema minore, salendo poi oltre le mie depilate e nude gambe, circa un dito sotto il mio culo, dopo uno stretto elastico violetto iniziava un leggerissimo e attillatissimo vestito a rete piccola anch’esso violaceo che mi copriva fino a poco sotto le mie ascelle, terminando anche sta volta con uno stretto elastico violetto.
Sotto ad esso, un perizoma copriva la mia patatina sul davanti e si riduceva ad un semplice filo nero che passava tra le mie chiappe per poi ricongiungersi poco più sopra metà di esse.
Infine, un reggiseno composto da una semplice fascia nera che copriva e sorreggeva ben poco, completava il mio abbigliamento.
In effetti così non potevo assolutamente uscire di casa.
Presi il telefono e composto il messaggio lo inviai al numero sconosciuto.
– Ci vediamo in cantina tra mezzora –
Inviato il messaggio, indossai un tubino anch’esso senza spalline e aderente sopra quello che già indossavo e uscii così di casa.
La patata già colava.
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